Iniziativa diocesana per la preparazione al Battesimo

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1 Diocesi di Treviso - Ufficio diocesano per il coordinamento della pastorale Anno pastorale Formare cristiani adulti in una Chiesa adulta Anno secondo Iniziativa diocesana per la preparazione al Battesimo La preparazione dei genitori al battesimo di un figlio/a: occasione pastorale e opportunità di annuncio A cura dell Ufficio di Pastorale

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3 La preparazione dei genitori al battesimo di un figlio/a: occasione pastorale e opportunità di annuncio Occasione pastorale... La richiesta del battesimo del figlio/a da parte dei genitori è una circostanza che offre molteplici spunti per la pastorale parrocchiale: il battesimo dei bambini si pone ancora oggi come un rito di ingresso nella vita degli uomini e delle donne, nella società; come passaggio verso una condizione nuova, come celebrazione del mistero della vita, di una dimensione che supera i genitori stessi che l hanno generata. Non mancano le ragioni sociali o di tradizione che spingono a battezzare un figlio, che portano in sé un proprio valore: esprimono che la nascita di un bambino non è né un fatto privato né un evento spiegabile fino in fondo, ma che va inserito in un contesto più ampio. Nella richiesta del battesimo è forte l appello al trascendente, l apertura verso una dimensione più grande di noi, che si ponga come garante di fronte alla fragilità della vita nascente e alla propria debolezza, intuita dai genitori stessi di fronte al compito che spetta loro. La comunità cristiana si scopre chiamata a mettersi in gioco da parte della richiesta di battezzare un bambino: è un occasione per avvicinare quella coppia, per conoscerli, visto che è tanto che non frequentano ; è anche un occasione per mostrare un volto di comunità cristiana accogliente, gioioso, vivace, per far conoscere che tipo di parrocchia siamo... un occasione per essere comunità che ascolta, una Chiesa vicina alle persone.... Non manca l interesse per la dimensione religiosa: un occasione per parlare

4 di nuovo dei dieci comandamenti, della responsabilità di essere genitori cristiani, della pratica religiosa, di sollecitare l interesse religioso in persone che è tanto che hanno abbandonato la fede.... Un occasione che è intuita come promettente dalla Diocesi: non è solo in gioco la vita dei bambini, ma soprattutto il cammino di fede dei genitori. Una circostanza che, se vissuta bene, con tempi adeguati, con coppie che accompagnano, con incontri in casa, con celebrazioni curate, non manca di toccare alcuni degli interessati, di riavvicinare le persone alla comunità cristiana e all esperienza di fede.... e opportunità di annuncio Coloro che si rendono disponibili alla preparazione dei genitori al battesimo dei figli sono consapevoli della particolarità del momento e dell importanza del proprio ruolo. Inoltre, non sono poche le domande che nascono in questa circostanza. Con il battesimo si diventa figli di Dio : capita di chiedersi cos è il bambino prima di essere battezzato, che rapporto ha con il Signore. Può essere chiamato figlio di Dio anche prima del battesimo? Se sì, che cosa apporta in più il sacramento del battesimo? È facile pensare il battesimo e ogni sacramento come qualcosa che si aggiunge alla realtà umana, che dà qualcosa in più, che altrimenti non sarebbe raggiungibile. Impostando così le cose, però, si corre il rischio di pensare che si possa star bene anche senza, che se ne potrebbe fare a meno, visto che il sacramento si aggiunge a ciò che già sono già. Ci si può chiedere invece: cosa il battesimo svela di me, della mia vita, della mia realtà? Che senso ha dare il battesimo a un bambino se i genitori non sono credenti praticanti?. La prassi pastorale ci ha portati a fare affidamento nella fede della Chiesa, in cui il bambino viene battezzato. In questo modo, però, si salta la questione della fede dei genitori e la responsabilità della chiesa di annunciare e il suo dono di generare alla fede. Il riferimento alla fede della Chiesa era sicuramente più comprensibile in un contesto di cristianità, di società cristiana, all interno della quale un bambino, crescendo, veniva iniziato alla fede. In contesto, come il nostro, in cui la fede non può più essere data per scontata in nessuno, non è sufficiente fare riferimento alla buona fede (è fede cristiana?) dei genitori, a una vaga disponibilità ad educare cristianamente il figlio. Legato a quest ultimo aspetto, ci si può chiedere se basti una comunicazione di valori cristiani o di un generico riferimento religioso perché l educazione possa essere detta cristiana. Senza dubbio, la religiosità va evangelizzata, a chi è aperto a Dio va annunciato il Dio di Gesù Cristo. A questo riguardo, si può distinguere tra teismo e fede cristiana : non basta che una persona dica Dio per essere sicuri che stia parlando del Dio che Gesù ci ha rivelato nel Vangelo. Il nome Dio, infatti, è usato anche da gruppi e organizzazioni che poco o niente hanno a che fare con l esperienza cristiana. Di conseguenza, siamo stimolati a fare attenzione anche al linguaggio che utilizziamo quando si preparano i genitori al battesimo e durante le celebrazioni. Come si misura la fede di una persona, di un adulto? Si può misurare? Questo interrogativo compare ogni volta che avviciniamo adulti per preparali a vivere un sacramento di un figlio: come posso io decidere se i genitori sono pronti o no? Chi sono io per farlo?. Di fronte all indubbia impossibilità di ognuno di noi di giudicare la vita altrui, non può essere saltata la responsabilità di custodire la fede. Il catecumenato antico degli adulti prevedeva gli scrutini, vere e proprie tappe di verifica del cammino di avvicinamento all esperienza pienamente cristiana. Il contesto di società cristiana ha fatto mettere da parte il tema del discernimento : non si tratta solo di porsi di fronte a un insieme di casi ( se vengono due con-

5 viventi devo comportarmi così,...se invece è una ragazza madre devo..., se sono due sposati in chiesa tutto fila liscio..., se sono due sposati in comune allora ci vuole un corso a parte... ), ma di valutare il tipo di fede presente negli interessati. La fede cristiana è un esperienza intima, privata, devozionistica, che ognuno vive per sé? Senza dubbio, quella del discernimento è una questione delicata e decisiva: l accompagnatore degli adulti che si pone tale interrogativo sulla fede dei genitori che è chiamato ad accompagnare intuisce che questa domanda lo riguarda in prima persona: posso dire che la mia è fede cristiana? Da cosa lo si capisce? Cosa so di Gesù? Che rapporto ho con lui? Se mi chiedessero da cosa Cristo mi ha salvato, cosa risponderei? In cosa ha cambiato la mia vita?. Diventa, pertanto, un occasione per lasciarsi interpellare a livello personale. Queste domande che emergono nella preparazione dei genitori mettono in luce non solo che la figura dell accompagnatore è decisiva, ma anche che il battesimo di un bambino, oltre che un occasione pastorale, può diventare una vera e propria opportunità per annunciare la fede in Gesù Cristo, il centro della fede battesimale: che cosa significa che il battesimo ci immerge nella morte di Cristo? S. Paolo afferma: quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione (Rom 6,3-5). Il battesimo, quindi, ci conduce a fare i conti con la morte di Cristo e i suoi effetti in noi, la liberazione dalla morte. In che modo tale immersione ha trasformato e trasforma la mia vita? S. Paolo accenna alla sua esperienza personale in Rom 8, descrivendo la vita nuova dei battezzati. La sfida consiste nel chiedermi come potrei raccontare la mia vita nuova di battezzato, di persona immersa nella morte di Cristo. L annuncio della fede non è un annuncio improvvisato o veloce, non si tratta di comunicare tra le righe che io ti ho detto quello che dovevo dire della fede, ora tocca a te... ora la questione è in mano tua... io ho fatto il mio dovere.... Si tratta, piuttosto, di mettersi in gioco in un cammino di gradualità, di essere capaci di accompagnare gli adulti nell esperienza della fede. Prepararli, annunciare la fede in Gesù Cristo, suscitarla, farla crescere, accompagnare i primi passi, verificarli. La pastorale battesimale diventa perciò opportunità per un (rinnovato) primo annuncio della fede: «lo scopo del primo annuncio non è primariamente quello di condurre a una credenza nell esistenza di Dio o ad un qualsiasi impianto dogmatico. La fede che il primo annuncio intende generare è la fede di tipo biblico, che ha le sue caratteristiche specifiche, che la differenziano da altre forme, pur rispettabili, di religiosità» (Linee per un progetto di Primo Annuncio, 2002, p. 15). Al centro dell annuncio stanno i temi dell umanità di Gesù come via di rivelazione e di salvezza dell amore del Padre e la gratuità di tale salvezza offerta da Cristo. Pertanto, lo stile dell annuncio, e quindi degli incontri con i genitori, non è secondario: «attraverso l annuncio del Vangelo, Dio parla alla libertà dell uomo, per offrirgli un rapporto di amore con sé; pertanto la via è quella del dialogo e dell incontro tra l annunciatore e il destinatario» (p. 25). Questi gli elementi che caratterizzano l annuncio secondo il modello biblico: - la dimensione testimoniale; - la narrazione dell evento pasquale della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo; - la promessa dell efficacia nella vita dell ascoltatore (promessa del dono dello Spirito); - la richiesta di affidarsi alla Parola annunciata;

6 - l indicazione della via da percorrere per poter sperimentare l affidabilità della Parola abbandonandosi progressivamente ad essa, fino al segno dell immersione bat tesimale; - l offerta del sostegno della comunità. Priorità diocesana Un ulteriore motivo per cui la Diocesi si impegna in questo tema è la prospettiva di far crescere un ampia e diffusa ministerialità laicale e familiare. All interno del cammino delle comunità parrocchiali verso le Collaborazioni Pastorali, la formazione degli adulti diventa un compito fondamentale per la nostra Chiesa diocesana. Prendersi a cuore i formatori dei percorsi di preparazione dei genitori al battesimo dei bambini è un passo concreto in questa prospettiva. L attenzione a preparare adulti per adulti può essere un elemento di convergenza delle attività pastorali e una scelta capace di far convergere le energie all interno della Collaborazione Pastorale. Spesso viene chiesto che vengano indicate in modo chiaro alcune priorità in vista di una semplificazione pastorale: questa scelta diocesana si pone in questa prospettiva. Se «la vera comunità cristiana è una comunità di adulti nella fede» (Una meraviglia ai nostri occhi, 23) e se adulto nella fede è colui che è capace di generare alla fede, allora prepararsi a far nascere la fede nelle persone è caratteristica propria di ogni credente cristiano. Infatti, «la fede si rafforza donandola» (Redemptoris missio, 2). Anno pastorale A partire dall importanza del battesimo di un bambino per i genitori, come emerso anche nella riflessione di Enzo Biemmi lo scorso 8 giugno (v. allegato), con il cammino pastorale di quest anno ci proponiamo di: 1) ascoltare le esperienze in atto nelle parrocchie di preparazione dei genitori al battesimo dei figli e di 2) raccogliere i nodi importanti, 3) in vista di elaborare un itinerario di formazione per accompagnatori di adulti che chiedono il battesimo di un figlio. La proposta si svilupperà come segue: 1) Ad ottobre 2012 si terrà un incontro, per gruppi di vicariati, di ascolto delle esperienze presenti nel territorio (cf. date in agenda). 2) Tra gennaio e marzo 2013 (19/1, 23/2, 16/3 pomeriggio) si svolgeranno tre laboratori diocesani sul materiale emerso, a cui possono partecipare coloro che sono interessati ad approfondire l argomento e a contribuire al l elaborazione dell itinerario di formazione.

7 La proposta della fede agli adulti. Dalle intenzioni ai passi concreti Intervento di fratel Enzo Biemmi Treviso, 8 giugno 2012 Sono più di 40 anni (a partire dal Documento Base della catechesi del 1970 e poi su fino al catechismo degli adulti degli anni 80 e 90, ai diversi orientamenti pastorali, alle note sull iniziazione cristiana, al Convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006, fino al recente Educare alla vita buona del Vangelo) che l appello a mettere gli adulti al centro dell evangelizzazione risuona all interno della Chiesa come una specie di ritornello. E questa reiterata insistenza, prendiamone atto serenamente, tradisce anche la nostra fatica a passare dalle intenzioni ai passi concreti. C è un evidente scarto tra le convinzioni della nostra comunità ecclesiale e le sue concrete realizzazioni. Così l appello alla centralità della catechesi degli adulti ha spesso il sapore delle grida di manzoniana memoria: bisogna, dobbiamo, è urgente... Le dichiarazioni di intenti si ripetono, e intanto gli anni passano, le generazioni sfilano una dopo l altra, le famiglie non iniziano più alla fede i loro figli e la catechesi ecclesiale resta ancora fondamentalmente diretta ai bambini. Una inchiesta sui catechisti negli anni 90 dava questi dati: dei circa catechisti italiani, e- rano impiegati per i ragazzi dell iniziazione cristiana (elementari e medie). Per gli adulti rimaneva il 4 %. Sarebbe come se il 92% dei medici italiani fossero pediatri. Secondo voi, le cose da allora sono cambiate tanto? Il nostro impianto catechistico rimane puerocentrico e finalizzato ai sacramenti. Con questo noi confermiamo, senza volerlo, che la fede è una cosa importante fino a quando si è bambini, e lo è molto di meno dopo, quando si entra nell età adulta. E questo è esattamente quello che capiscono i ragazzi e i loro genitori. Detto questo, è inutile piangersi addosso. Meglio vedere quello che già stiamo facendo e, a partire da quanto è già in atto, provare a individuare qualche passo per rinforzare alcune buone pratiche e inserirle in un progetto diocesano condiviso e in una logica di lavoro a rete. Mi sembra questo il dato positivo che emerge dall inchiesta fatta nella vostra diocesi. Ci sono già esperienze, piuttosto diversificate e frammentate, è vero, ma non siamo all immobilismo. C è dunque un ponte tra le intenzioni e le realizzazioni, magari un ponte tibetano un po traballante, ma non c è il vuoto. Come rinforzare la nostra proposta nei riguardi degli adulti? Come rendere le nostre parrocchie delle comunità adulte e per gli adulti? Senza pretendere di dare ricette, vorrei darvi alcuni suggerimenti in questa direzione. Una domanda utile e allo stesso tempo inutile: ma gli adulti, sono interessati alla fede? Quando ci impegniamo a portare il vangelo agli adulti siamo spesso scoraggiati di trovarci di fronte a persone in apparenza sempre meno interessate alle nostre catechesi. La domanda che ci poniamo spesso, e che ci scoraggia fino quasi a paralizzarci, è questa: ma come si fa a proporre il Vangelo

8 a gente che non è interessata? La Lettera ai cercatori di Dio 1 sembrerebbe a questo proposito essere passata a lato della questione. Ai cercatori di Dio si può rivolgersi, ma con la maggioranza della gente che non cerca Dio, cosa possiamo fare? Questa domanda è da una parte utile, dall altra del tutto inutile. E utile perché ci aiuta a renderci conto che ci troviamo di fronte a una diversificazione del mondo degli adulti rispetto alla fede sempre più evidente, secondo almeno una quadruplice tipologia: gli appartenenti alla comunità, che si impegnano al suo interno (militanti); i praticanti che in forma più o meno continua frequentano il culto; il gruppo di adulti piuttosto numerosi che il sociologo Garelli ha definito come salutari o intermittenti, che si accostano alla Chiesa nei grandi passaggi simbolici della vita (nascite, prime comunioni e cresimi, matrimoni, funerali); gli adulti in aumento che non passano affatto dalle nostre parrocchie. Quando diciamo catechesi degli adulti parliamo di fatto di un impegno diversificato: una catechesi come formazione e cura della fede del gruppo di credenti appartenenti (sempre più pochi); una catechesi come riavvio della fede, per cristiani praticanti per abitudine (parliamo per loro di secondo annuncio); e di un vero primo annuncio per adulti che si sono da tempo allontanati dalla chiesa o che non sono battezzati. Questa realtà ci richiama la parabola del seminatore (Mc 4) con la tipologia dei quattro terreni, e ci invita a tenerne conto. D altra parte la stessa parabola non sembra molto interessata alle nostre analisi sociologiche. Sembra invece far leva più sulla forza intrinseca della Parola e sulla speranza del seminatore che sulla recettività del terreno. Al punto che potremmo pensare che questo seminatore sia sprovveduto, perché getta il seme dove capita. Sappiamo che 1 Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l annuncio e la Catechesi, Lettera ai cercatori di Dio, 12 aprile raccontando questa parabola Gesù parla di se stesso, dell apparente insuccesso del suo annuncio. E sembra dire ai suoi discepoli sfiduciati, e in ultima analisi a se stesso, che bisogna donare il Vangelo semplicemente perché è buono e ha fatto bene a noi, e avere fiducia che questo, in qualcuno (uno solo su quattro, per la verità) opera miracoli: il 30, il 60 e qualche volta il 100 per uno. Ci sono altre due parabole molto istruttive, quelle di Matteo del tesoro e della perla. Perché mai Matteo avrebbe dovuto raccontare due parabole esattamente uguali? Non ne bastava una? No, perché tra le due c è un unica differenza sostanziale: in quella del tesoro il contadino non cerca, si imbatte per caso. Nella seconda, invece, il negoziante di perle cerca. In entrambi i casi l accento è posto sulla sorpresa, sul di più per grazia che la scoperta riserva. Matteo sembra qui mettere in scena le due possibilità dell evangelizzazione: quella rivolta a chi cerca e quella rivolta a chi non cerca. E sembra dirci che non c è nessuna differenza. Il Vangelo è per tutti grazia, sorpresa, e come ci accade spesso nella vita, ci vengono incontro cose che non cerchiamo, ma che cambiano la nostra esistenza. Quale la morale? Semplicemente questa. Affrontando praticamente (e non solo nelle intenzioni) la catechesi degli adulti noi non ci concentreremo più sulle disposizioni più o meno positive delle persone, non vincoleremo più l annuncio alle condizioni della sua accoglienza. Avremo anche noi la sprovvedutezza di puntare tutto sulla grazia del Vangelo, sulla sua forza intrinseca, sulla nudità della nostra testimonianza. Gli adulti sono molto diversi tra di loro, è vero, ma sono tutti capax dei, capaci di Dio, tutti a- datti al Vangelo. Anzi, sembra che siano i più poveri di loro, i più sguarniti, i più lontani quelli che, di fronte ad un annuncio gratuito e a una testimonianza coraggiosa, si lasciano colpire dal suo valore. E stato così per Gesù. Volete che sia diverso per noi? In alcune regioni del sud mi hanno spiegato che se vengo invitato a cena non devo portare nulla, perché significherebbe che il mio ospite, anche se molto povero, non è in grado di o-

9 norare la mia presenza. Ho pensato: che bella lezione per l evangelizzazione! La nostra gioia deve essere quella di donare il meglio che abbiamo, senza preoccuparci se l altro porta o non porta qualcosa. Invece, 17 secoli di cristianità ci hanno abituato troppo bene (o troppo male): il nostro dono è condizionato al fatto che le persone portino qualcosa, siano a posto, abbiano le carte in regola, presentino la fede come la intendiamo noi, ecc. Che assurdità condizionare il dono del Vangelo alla situazione delle persone. Allora la direzione è chiara. Ci concentreremo su quello che abbiamo da donare noi, e non lo faremo per fare dei proseliti, ma perché la nostra gioia, come dice Giovanni (1Gv 1,1-4), sarà piena solo quando il Vangelo sarà donato a tutti. Diremo semplicemente quello che per grazia siamo diventati. E anche il solo modo per disinnescare attese sproporzionate, colpevolizzazioni, frustrazioni. Finito il tempo della cristianità, entriamo in quello della gratuità e libertà. Ricordiamocelo: tre su quattro non accoglieranno, non per cattiveria, ma per la complessità della vita. Se è stato così per il legno verde, che è Gesù, cosa volete che sia diverso per il legno secco, che siamo noi sua Chiesa? Quale vangelo agli adulti? Cerchiamo ora di addentrarci un po di più sulle proposte concrete di catechesi degli adulti. La domanda allora è la seguente: quale vangelo sono in grado di ascoltare gli adulti? Quale vangelo sarebbero disposti ad accogliere le donne e gli uomini di oggi? La domanda è in questo caso volutamente rovesciata rispetto a quella che facciamo di solito, la quale grosso modo suona così: quale vangelo è bene che gli adulti sentano? E a partire da questa seconda prospettiva che noi prepariamo i nostri programmi, organizziamo i nostri incontri, predisponiamo i nostri contenuti. Questa è una partenza legittima, perfino doverosa. E così che risulta estremamente importante poter delineare a quale punto di arrivo dobbiamo condurre le persone, qual è la figura adulta della fede. Il Vescovo lo ha fatto in modo molto chiaro ed efficace nei suoi orientamenti pastorali. Questo deve costituire il quadro di riferimento. Quando il quadro di riferimento si traduce in percorso, allora non dobbiamo confondere il traguardo con la strada. Noi desideriamo che incontrino il Signore Gesù nella sua comunità, e desideriamo che giungano alla piena maturità in Cristo. Ma dobbiamo partire da dove sono, non dal punto in cui ci troviamo noi o dal punto in cui sarebbe bene che arrivino. Formulata dal versante del percorso, la domanda ha una risposta semplicissima: gli adulti sono disposti a sentire il Vangelo che è vangelo, vale a dire buona notizia sulla situazione della loro vita. Sono disposti a sentire ciò che rende buona e bella la loro vita. Sì, proprio questo: il vangelo della vita buona. Siamo dunque nel cuore della sfida pastorale di questo decennio. Detto in maniera un po più cruda ma comunque efficace, diciamo che gli adulti, noi stessi per primi, sono disposti ad accogliere quello che in qualche modo serve a loro, quello che è loro utile. Questa prospettiva dell utilità applicata all evangelizzazione non ha alcune connotazione banalmente u- tilitaristica. Essa vuole indicare che ogni a- dulto è raggiunto là dove si collocano i compiti che è chiamato ad assumere e le sfide che essi comportano. Questo primo livello di utilità non banale riguarda quindi i ruoli, quelli di padre e di madre, quello di marito o moglie, quello legato al lavoro e alla professione, e così via. Infatti, la nostra identità, il senso che noi diamo alla vita nella sua fase adulta, è legato ai nostri ruoli e ai nostri compiti. Ciò che ci aiuta ad affrontarli meglio, questo siamo disposti ad accoglierlo, anzi lo cerchiamo. Ma c è un secondo livello di utilità non banale del quale tutti siamo alla ricerca: riguarda il nostro modo di stare al mondo, di stare dentro la nostra pelle, di stare in relazione con gli altri, di vivere le cose belle o brutte che ci succedono. Questo livello riguarda non il fare, ma l essere, il senso ultimo del nostro esistere. E non è difficile capire questo: quando u- na proposta formativa raggiunge i due livelli

10 di utilità (rispetto al fare meglio e all essere meglio, al ben-essere) allora noi attiviamo nelle persone il massimo della disponibilità. Se i bambini e i ragazzi sono aperti a tutti gli apprendimenti, gli adulti non apprendono che quello che in qualche modo li riguarda. Vale anche per noi, per i catechisti quando viene loro proposta una formazione, per i preti quando fanno la formazione permanente. Si colloca proprio dentro questa prospettiva l invito del Convegno ecclesiale di Verona e dei documenti dei Vescovi italiani, fino agli orientamenti pastorali per questo decennio: annunciare il vangelo dentro il bisogno di vita delle persone: il vangelo degli affetti quando ci si innamora e si stabilisce una relazione stabile con un partner; il vangelo della paternità e maternità quando nasce un figlio, quando lo dobbiamo educare, quando lo dobbiamo lasciar partire; il vangelo del lavoro quando si ha un lavoro, quando lo si perde, quando lo si cerca senza trovarlo; il vangelo delle infinite fragilità che ci colpiscono nella vita, prima fra tutte la fragilità affettiva; il vangelo dei distacchi, delle separazioni e dei divorzi che lasciano ferite profonde, il vangelo di nuovi legami stabiliti; il vangelo dei lutti, delle perdite di un figlio, di un coniuge, di un parente; il vangelo della malattia, propria e altrui; il vangelo della morte, quando ormai è chiaro che resta poco da vivere. Si apre qui una mappa estremamente variegata di catechesi degli adulti, nella linea di un trasloco della comunità ecclesiale nella vita della gente, nel suo bisogno di vita. I vescovi li hanno chiamati ambiti di vita, soglie della fede, esperienze antropologiche, passaggi della vita. E interessante notare come l indagine fatta nella vostra diocesi mostra che, al di là delle apparenze, questa variegata mappa umana non è del tutto disabitata dalla proposta ecclesiale del vangelo. Certo, si tratta di una presenza ancora debole, rimanendo prevalente una proposta interna agli obiettivi ecclesiali e ai suoi bisogni. Ma qualche passo è avviato. E la direzione da incrementare, facendo sì che la Parola continui a farsi carne. Per questo trasloco non facile, occorre liberarci di una eccessiva preoccupazione nostra: quella di temere che se raggiungiamo gli adulti per i loro bisogni, in qualche modo noi li strumentalizziamo. Lo diciamo, ad esempio, per i genitori dei ragazzi che devono ricevere i sacramenti. L adulto va raggiunto come adulto, non come genitore, ci capita di sentir dire o di dire. Ma di fatto nella nostra vita non possiamo distinguere i due livelli: siamo adulti in quanto genitori, in quanto mariti e mogli, in quanto preti, in quanto insegnanti, ecc. Prendiamo atto di una cosa importante. Di solito Dio si apre una strada nelle nostre brecce, nelle nostre crepe, nelle nostre fragilità. La fede adulta è quella che si vive nella quotidianità e nell ordinarietà, è vero, ma questo è sempre un punto di arrivo. La partenza, invece, è quasi sempre dentro u- na interruzione dell ordinarietà. Dio bussa nella nostra esistenza o quando la vita ci presenta un eccedenza gratuita, o quando ci fa sperimentare, spesso drammaticamente, il limite e la morte. Dio di solito non riesce a raggiungerci quando le cose vanno bene, quando la nostra vita è un lungo fiume tranquillo, quando affettivamente abbiamo buone relazioni, buona salute, un buon bilancio economico. Quando nella nostra vita irrompe un amore che non ci meritiamo, quando ci nasce un figlio, quando attraversata la malattia ritroviamo la salute, allora noi sentiamo la necessità profonda di dire un grazie. Quando siamo dentro l esperienza della sofferenza, dentro la minaccia del morire in tutte le sue sfaccettature (psicologiche, fisiche affettive), allora da noi sale un grido. U- na grazie e un grido: in queste due fessure si presenta il volto di Dio. Il rendimento di grazie e l invocazione ritmano le stagioni della fede, e spesso ne avviano il cammino. I salmi sono a questo proposito più liberi di noi. Nei 150 salmi si va dal grido al grazie e alla lode (gli ultimi), con un crescendo progressivo dal salmo 1 al salmo 150, quasi a dire che l esperienza umana del bisogno è luogo antro-

11 pologico del rivelarsi di Dio e il rendimento di grazie è il progressivo riconoscimento del sua agire buono nei nostri confronti. Non avremo quindi nessuna paura a collocarci nelle crepe della vita adulta, sia quelle provocate da eccesso di grazia che quelle provocate da eccesso di dolore. E lì proporremo le nostre catechesi, come rivelazione di Gesù Cristo, morto e risorto per noi. Perché questa è la vita, in fin dei conti: un continuo mistero pasquale, una continua e- sperienza di morte e un continuo anelito di risurrezione. Annunciare il vangelo della paternità e della maternità Un esercizio molto semplice sarebbe allora quello di disegnare in una parrocchia la mappa della catechesi, all interno del Consiglio pastorale o del gruppo catechisti. Si potranno così vedere i pieni e i vuoti, vale a dire dove collochiamo tradizionalmente la proposta del Vangelo e dove da tempo siamo del tutto assenti. Ci accorgeremmo di quanti appuntamenti di Dio nella vita degli adulti la comunità ecclesiale è assente, essendo occupata nelle proprie proposte. Vorrei per questo dire una parola breve su una delle esperienze di vita delle persone che è una vera soglia della fede: quel tempo della vita nel quale si diventa papà e mamme e tutto il tempo successivo dell educazione dei figli. Se per essere genitori bastano 9 mesi, infatti, per essere padri e madri dei nostri figli ci vogliono molti anni. È questo un tempo particolarmente favorevole per la fede, sia perché la nascita di un figlio segna una vera rinascita dell adulto, sia perché la fede di tutti si apre con il battesimo. Abbiamo qui un incrocio particolarmente favorevole. Ascoltiamo la testimonianza di una mamma: «Poi sono nati i bambini ed è stato un momento di ripensamento, perché ti rendi conto di quanto sei poco: due sono troppo pochi per la responsabilità di tirar su degli altri, la coppia non è sufficiente, assolutamente; (...) ci siamo proprio detti che ci vuole qualcuno di più grande che li protegga (...). Io e G. entrambi abbiamo detto che sarebbe bello credere, che veramente sarebbe bello se ci fosse qualcuno che li protegge. La fede è come una ricchezza per chi ce l ha, ti aiuta» (percorsi per genitori, diocesi di Trento). Questa breve testimonianza ci lascia intuire che il venire al mondo di un bambino è un fatto inaugurale nella vita adulta di due persone. Inaugurale significa che interviene nella vita una novità che instaura un nuovo inizio, un ricominciamento. E vero che nasce un bambino, ma è altrettanto vero che nasce una donna e un uomo, nascono come madri e padri. «Che arriva dall embrione alla puerpera?»,... questa donna ogni giorno diventa diversa, dalla sua forma lo vediamo e dall alone, vediamo che questa donna si adatta a creare, anche se pare una contraddizione parlare di adattamento alla creatività.... «Ecco quanto arriva alla donna dall embrione: proprio questo adattamento alla creatività». Si è creduto per molto tempo... che un cordone ombelicale è unidirezionale: ma non è vero. Il cordone ombelicale, come o- gni rapporto vivo, è sempre bidirezionale» 2. Il cordone è bidirezionale: si tratta di una doppia nascita. E questo vale sia dal punto di vista umano che di quello della fede. Prima di tutto dal punto di vista umano. Gli adulti che fanno crescere i figli dentro una relazione di amore, imparano dai piccoli la docilità dell essere, l abbandono fiducioso alla vita. Tornano grazie a loro ad avere un rapporto con la vita non dettato dall utilità, non sottomesso all economia, non dominato dal fare, ma centrato sull essere, sull amore, sul prendersi cura reciprocamente. 2 Dolci Danilo, Dal trasmettere del virus del dominio al comunicare della struttura creativa, Edizioni Sonda, Milano 1988, pag

12 Gli adulti, generando alla vita, si rigenerano al valore della vita donata; sentono la bellezza di essere creature. Si tratta di una grande opportunità per ri-cominciare a vivere diversamente. La stessa cosa avviene per quanto riguarda la fede. Gli adulti che generano i bambini alla vita si possono ri-svegliare a una vita che va oltre, che va verso l oltre, che può aprire ad esperienze umane vissute in profondità, che può far emergere interrogativi esistenziali assopiti. Quando noi insegniamo a un bambino a fare il segno della croce, diciamo con lui il Padre nostro o l angelo di Dio, o l Ave Maria, noi grandi torniamo piccoli con lui di fronte a Dio. E loro ci aiutano con la loro semplicità e il loro abbandono, a stare davanti a Dio come figli, a sentirlo Padre per noi, a renderci conto che tutto ciò che siamo e facciamo viene da lui, dalla sua grazia. E quando crescono e cominciano a fare domande, essi danno voce alle domande sopite che sono in noi, e ci chiedono di cercare con loro le risposte giuste, le parole non stereotipate, ci chiedono di non essere superficiali. Insomma, mentre li aiutiamo a credere, noi rifacciamo con loro la strada della fede e ricominciamo a credere noi. E quando sono più grandi, e prendono le loro distanze, anche dalla fede, è molto importante per loro, mentre se ne vanno, che ci sia qualcuno che tiene, che resta. Essi si possono allontanare sicuri, anche dalla fede, perché sentono che c è un porto. Possono essere pellegrini nella vita e non vagabondi, senza riferimenti. Sono i bambini i traghettatori della fede dei grandi. Abbiamo sempre detto che i genitori sono i primi catechisti dei loro bambini; è tempo che cominciamo a renderci conto che i bambini sono i primi catechisti dei loro genitori. I bambini piccoli: dopo, sarà troppo tardi. E questa la sfida che il rinnovamento dell iniziazione cristiana sta affrontando, in molte comunità cristiane. L importante è capire che l iniziazione cristiana non inizia con la prima comunione, ma con il battesimo, il che significa che inizia con i genitori, non con i bambini. La cura della pastorale battesimale diventa così determinante. È spesso il primo appuntamento dopo anni di allontanamento dalla comunità. L accoglienza qui è determinante. Ed è accoglienza nel segno della reciprocità. Gli incontri nelle case dei nuovi genitori sono un primo trasloco della comunità cristiana nelle case della gente. Sono fatti spesso da laici, da coppie di sposi. Avviano semplici e profondi dialoghi. Fanno del bene alla fede non solo dei genitori visitati, ma degli stessi visitatori. Altrettanto piena di sorpresa è la proposta di incontri nel periodo 0-6 anni, in cui possono avvenire cose molto belle, perché non c è in ballo un sacramento. E una grande opportunità pastorale che i genitori gustano senza la fretta di sentirsi prossimi ai sacramenti; si aprono alle relazioni, alla meraviglia della vita e alla ricerca del senso della morte. E così che quando si arriva al tempo della prima comunione, non si parte da zero: per alcuni genitori è un percorso di ricominciamento che continua insieme ai loro figli. In questo annuncio del Vangelo della paternità e della maternità risulta determinante, ancora una volta, il nostro atteggiamento ecclesiale. La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: cosa abbiamo di bello da offrire loro? Avviene come quando qualcuno ci viene a trovare. Gli si fa una sorpresa. Usciamo dalla logica se hai delle condizioni allora ti diamo il sacramento e passiamo a quella: ti facciamo una bella proposta, senza rimanere offesi se non l accettano. Questo chiede molta cura nel contatto e nel tipo di proposta che intendiamo loro fare. Sarà la proposta di un percorso di riscoperta della fede curato e bello, al quale li invitiamo a partecipare, in una logica di proposta e non di ricatto. Si tratta della logica della sorpresa, non di quella del contratto. Fare la sorpresa del Vangelo ai genitori significa entrare in un rapporto di totale gratuità e di profondo a- more con loro. E non pensiate che questo sia un cedimento, un abbassamento delle esigenze del vangelo. E vero il contrario: paradossalmente, più siamo ospitali, più ci possiamo per-

13 mettere di essere propositivi e autentici. Potremmo allora dire così: siamo molto preoccupati di educare la domanda di sacramenti; è invece prioritario educare la nostra risposta. Una nuova evangelizzazione nel segno della reciprocità Vorrei concludere queste mie riflessioni con voi questa sera rendendoci tutti attenti a due aspetti fondamentali. a) Evitare di affrontare il compito dell evangelizzazione degli adulti in modo estrinsecista. I Lineamenta del prossimo Sinodo dei Vescovi ci invitano ad evitare di considerare la nuova evangelizzazione come un cambiamento di strategie nella proposta del Vangelo, e di interpretarla invece come «un azione anzitutto spirituale» (n. 5, p. 23). «La domanda circa il trasmettere la fede... non deve indirizzare le risposte nel senso della ricerca di strategie comunicative efficaci e neppure incentrarsi analiticamente sui destinatari, per esempio i giovani, ma deve essere declinata come domanda che riguarda il soggetto incaricato di questa operazione spirituale. Deve divenire una domanda della Chiesa su di sé. Questo consente di impostare il problema in maniera non estrinseca, ma corretta, poiché pone in causa la Chiesa tutta nel suo essere e nel suo vivere. E forse così si può anche cogliere il fatto che il problema dell infecondità dell evangelizzazione oggi, della catechesi dei tempi moderni, è un problema ecclesiologico, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o azienda» 3. Mi pare che questo sia il primo elemento per impostare correttamente la cateche- 3 Sinodo dei Vescovi, XIII Assemblea generale ordinaria, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Lineamenta, Libreria Editrice Vaticana, 2001, p. 12. si degli adulti. Se le parole della Chiesa non passano nell attuale contesto, non è primariamente perché le persone non capiscono o sono chiuse, né perché i metodi di evangelizzazione sono superati, ma perché le parole del Vangelo non parlano più alla Chiesa stessa. La crisi della comunicazione della fede rinvia la Chiesa ad un rinnovato ascolto. Il secondo annuncio domanda un secondo ascolto. L affermazione più forte in questo senso è che il problema dell evangelizzazione non è un problema catechistico, ma ecclesiologico. Benedetto XVI utilizza il termine tattica per evitare questo fraintendimento: «Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità... portando la fede alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione e a- bitudine» (Discorso ai cattolici impegnati nella chiesa e nella società, viaggio in Germania, 25 settembre 2011). b) L evangelizzazione nel segno della reciprocità. Come metteremo in atto nelle nostre comunità questo secondo ascolto come premessa per un secondo annuncio? Nel modo seguente. Il Signore ci precede nel nostro compito di evangelizzazione. Egli è già misteriosamente presente, tramite il suo Spirito, nel cuore degli adulti verso i quali andiamo. In fondo il nostro compito non è di far nascere la fede (questo è opera dello Spirito Santo), ma va piuttosto nella linea dello svelamento, del riconoscimento di una presenza che ci precede: «andare verso gli altri per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, nel cuore della loro esistenza, le tracce del Risorto che sempre ci precede, che è già là in incognito» (André Fossion). La sfida e il guadagno più grande dell impegno della catechesi degli adulti sta proprio in questa direzione. Spostandoci nei luoghi degli altri, ci viene donata una Parola di Dio per noi, comincia per noi il secondo ascolto. Saranno questi accompagnamenti e questi

14 accompagnati ad essere, per noi, una nuova opportunità di rinascita. Nel compito di e- vangelizzazione, non sappiamo poi bene chi evangelizza chi. Di fatto è una reciproca e- vangelizzazione, perché mentre noi portiamo una pagina di vangelo agli adulti, questi, se raggiunti nella loro profonda umanità, ne hanno una per noi, una parola di Vangelo che lo Spirito da tempo aveva riservato in loro per noi. E così che insieme, riscopriremo tutti il vangelo con occhi e con cuore nuovo. Conclusione Avrete notato che in questo mio dialogo ho sempre proceduto rovesciando le prospettive: non chiedersi cosa hanno da portare gli adulti, ma cosa abbiamo da offrire noi; non concentrarsi solo su quale vangelo è bene che sentano da noi, ma quale vangelo sono in grado di sentire loro; non partire da dove siamo arrivati noi, ma da dove si trovano loro; non pensare solo che i genitori sono i primi catechisti dei loro bambini, ma pensare anche che i bambini sono i primi catechisti dei loro genitori; non pensare che noi abbiamo da portare agli adulti qualcosa che loro non hanno, ma pensare piuttosto che il nostro compito è di aiutarli a riconoscere la presenza di Dio che è già in loro, in modo che possano, come Giacobbe, svegliarsi dal sonno e dire: «Il Signore era qui e io non lo sapevo!» (Gen 28,16); non pensare che noi sappiamo che cosa è il vangelo e gli altri no, ma pensare che dobbiamo noi tornare a leggere il vangelo con occhi nuovi; infine non credere che saremo capaci di leggere il vangelo con occhi nuovi da soli, ma pensare che saranno gli occhi degli altri, dei lontani soprattutto, a risvegliare in noi uno stupore dimenticato, una gioia perduta, un tesoro tornato sotto terra, una perla di grande valore ormai appannata. La catechesi degli adulti non è solo il nodo centrale dell evangelizzazione: è anche il nodo centrale della conversione della comunità ecclesiale al suo Signore, che sembra ancora una volta rivolgerle la parola dell Apocalisse: «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza... Ho però da rimproverati di avere abbandonato il tuo primo amore» (Ap 2,2.4); e ancora: «Conosco le tue opere... Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire...ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convertiti» (Ap 3,1-3). E questo il paradosso bello della nuova e- vangelizzazione: l autoevangelizzazione della comunità ecclesiale non sola, ma insieme con le donne e gli uomini di oggi, insieme alle persone vicine e a quelle lontane, a quelle in regola e a quelle non in regola, insieme ai separati e divorziati, insieme agli ammalati, alle persone colpite dalla malattia, a chi non ha lavoro, a chi pena a sbracare il lunario, a chi è ferito dalla vita. L augurio è proprio questo: andiamo con più coraggio verso forme di annuncio nei luoghi abitati dalla gente, cioè nei nostri luo ghi. E lì che il Signore ci attende.

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