BACK TO THE FUTURE CASTELLO DI RIVOLI TERZA GIORNATA (18 MARZO 2012) - POMERIGGIO

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1 BACK TO THE FUTURE CASTELLO DI RIVOLI TERZA GIORNATA (18 MARZO 2012) - POMERIGGIO Francesco Bernardelli: Cominciamo la seconda parte, ultima sessione di questa tre giorni. Dedicheremo un attenzione particolare a un tentativo di delineazione di quelli che sono i caratteri di questa Torino letteraria, soprattutto degli ultimi 20 anni. Ci sposteremo poi ai rapporti tra arti visive e letteratura, per arrivare a un tentativo di ragionamento, in realtà, di nuovo su quello che è il sistema e sui meccanismi di questo sistema. E sulle possibili nuove vie da esplorare o nuovi modelli da testare. E quella sarà un po la destinazione dell ultima tavola rotonda. Siamo molto lieti di poter riprendere questa sessione pomeridiana con Giovanni Tesio. (segue bio) Giovanni Tesio: Intanto ringrazio per l applauso preventivo, confidando soprattutto in quello conclusivo, se sarò capace di raccontare almeno uno spicchio, un pizzico della Torino letteraria e di ipotizzare (disegnare è altra cosa) una qualche mappa di ciò che accade in questa nostra città. È che temo di non farcela, lo dico subito. Denuncio fin da subito che il mio scopo (lo scopo che mi è stato assegnato), non sarà di fatto raggiunto. Soprattutto perché credo difficile fissare delle mappe in un clima e in una situazione così indeterminata e indistinta, qual è quella che stiamo vivendo. Certo è che nel pensare questo intervento breve mi sono riferito mentalmente a un romanzo di Reif Larsen intitolato Le mappe dei miei sogni, perché io sogno sempre di creare delle mappe che costituiscano dei percorsi persuasivi, ma poi cedo alla mia inettitudine. Da questo romanzo traggo tuttavia un avviso che vale un epigrafe: Una mappa non si limita a fotografare l esistente, ma formula e dischiude proposte di senso. Magari riuscissi, nei pochi minuti che ho a disposizione, a fotografare l esistente e soprattutto a dischiudere proposte di senso! Venendo al merito, comincerei intanto col dire che gli scrittori in Piemonte, in generale, e a Torino in particolare, non sono mai mancati. Anzi, ne abbiamo avuti di ben solidi e, in un certo senso, anche di canonici, se solo penso per il solo Novecento a Pavese, a Fenoglio, a Primo Levi; se solo penso, cioè, agli scrittori che sono anche tra di loro in qualche modo collegabili con un filo molto forte di poetica e di stile. Questi scrittori ci sono stati, hanno segnato un sentiero non secondario nel bosco delle patrie lettere, hanno smentito che il Piemonte sia come tale una terra poco o scarsamente propensa alla letteratura, hanno insomma individuato e ristabilito (rinnovandola) una tradizione. Fatto sta ed è che a partire da qualche anno, diciamo da un trentennio, la città-laboratorio degli ingegneri ha cominciato a trasformarsi in una città di opere di inchiostro. C è stata indubbiamente una stagione in cui ci si vergognava di scrivere a Torino e ci si vergognava di Torino. A testimoniarlo per tutti è Natalia Ginzburg nell introduzione a Cinque romanzi brevi, quando, scrivendo da Londra dove aveva seguito il suo secondo marito Gabriele Baldini nominato direttore dell Istituto Italiano di Cultura di quella distanza racconta: Mi dolevo di essere nata in Italia ed abitare a Torino. Salvo poi, appunto da Londra, recuperare la presenza della malfamata città.

2 Dicevo che negli ultimi 30 anni, da un certo punto in poi, la vergogna di essere a Torino è stata superata. Dagli anni Ottanta (e anche un po prima), si è cominciato a guardare a Torino come ad un luogo più persuasivamente letterario. In parte, frutto di un mercato che, sul terreno nazionale, ha preso ad allargarsi e a gonfiarsi ovunque. A me per esempio piacerebbe sapere che cosa è accaduto in altre città: come Milano, come Bologna, come Roma, come Napoli, proprio per comparare il comparabile, confrontare realtà diverse che potrebbero aiutare a comprendere di più le specificità della nostra. In proposito, riporto qui una constatazione che Mario Baudino ha fatto nella sua rubrica Cartesio apparsa su «La Stampa» di venerdì 13 agosto 2010: Come è noto, google ha contato i libri in circolazione al mondo e ha raggiunto la quota libri. Nel frattempo il numero sarà ancora cresciuto, ma poco importa. Io lo assumo qui per fare della situazione di Torino una specie di sineddoche. E soprattutto perché mi pare che sia un dato capace di stimolare più di una domanda e almeno una constatazione. Questa: che nessuno ne sa abbastanza, anche di Torino. E tuttavia visto che il compito è questo azzardo in ogni caso la domanda: essendo i romanzieri torinesi una sineddoche una parte di un tutto per nulla rassicurante quali possono essere le cause di una proliferazione indubbia? E poi: quali mappe potremmo mai tracciarne? Cominciamo dalla prima domanda: quali cause. Una: la ricerca di un rinnovamento generazionale, la scrittura giovanile ad esempio, che ha cominciato ad abitare certi momenti della letteratura nazionale (penso, per esempio, al fenomeno del cosiddetto pulp, al fenomeno dei cannibali, che è durato pochissimo, ma che c è stato). Due: la forza trainante di personalità come Tondelli (a una propaggine tondelliana, proprio perché siamo a Torino, appartiene per esempio l esordio di Giuseppe Culicchia). Tre: le nuove avanguardie della letteratura performativa (i narrative invaders secundum Renato Barilli). E già saremmo con questo a una possibile mappa di stile. Quattro: la post-moderna commistione dei generi, di alto e di basso, di recuperi e di citazioni. Cinque: la debolezza dei canoni. Sei: l allargamento del cosiddetto target, che mi fa pensare a una possibile citazione del sempreverde Benjamin: Il labirinto è la via giusta per chi arriverà in ogni caso, sempre troppo presto alla meta. E questa meta è il mercato. E via dicendo. Questo ci deve far riflettere. Penso all allargamento del cosiddetto target, la logica quantitativa interna alla produzione di nuovi mercati: case editrici in cerca di talenti da brucare e magari da bruciare; scrittori che durano veramente una stagione o due, uno o due titoli, poi scompaiono e nessuno ne sa assolutamente più nulla. Ma dovrei anche parlare dell incremento europeo delle scritture di genere e di consumo: il giallo, il fantasy, la fantascienza, il noir, senza perdere di vista il rosa rivisitato ho letto proprio oggi su «la Repubblica» l articolo di Natalia Aspesi e anche del genere storico più o meno volgarizzato. Ma poi ci sono anche ragioni più specifiche che riguardano, appunto, Torino. Ad esempio, le molte iniziative di scrittura in cui ogni città ha fatto il suo (la ragione del necessario confronto), ma a Torino forse più visibilmente che altrove. Prima con la ignotissima Skepsis, che forse è stata una delle prime organizzazioni a provocare il gusto dello scrivere, poi naturalmente con la Holden (e anche con scuole di singoli). Né

3 andrebbero di fatto trascurate altre iniziative, alcune via via spente, altre ancora in vita: l Osservatorio Letterario Giovanile del Comune, gli incontri a tema letterario tipo Parole Moleste, la BBS Letteraria che era una biblioteca telematica proposta e realizzata da giovani e per giovani a cui andrebbe aggiunto un premio letterario come il Calvino per l inedito, legato alla rivista «L Indice». Senza dimenticare che per anni ha rombato una macchina potente come il Grinzane Cavour, con i suoi inviti plurimi a scrivere il giornale, scrivere la radio, scrivere la televisione, il teatro, il cinema, il sabato sera e così via. Di fatto i nomi degli scrittori sono aumentati vertiginosamente. Penso a scrittori come Baricco e qui si potrebbe pensare anche alla mappa dei migranti, cioè di coloro che nascono a Torino e che poi si spostano altrove, ma poi ad altri come Voltolini, Canobbio, Culicchia, Barbero, che sono già tutti acquartierati in nicchie più o meno consolidate. Ma poi penso ai giovani e ai giovanissimi: Andrea Bajani, Christian Frascella, Fabio Geda, Giancarlo Pastore, Davide Longo, Gaia Rayneri, penso a quel loro incunearsi tra esordienti di età diversa facendo lo slalom tra padri e madri nobili che inorridirebbero, io credo, all etichetta con cui li epiteto per gioco come Oddone Camerana, Lorenzo Mondo, Laura Mancinelli, Marina Jarre... e ne potrei aggiungere non pochi. Tant è che farò alla rinfusa solo i nomi promiscui di qualche vivente, senza avere le presunzione di darne un elenco completa. Da Guido Ceronetti a Giampiero Bona, da Sergio Astrologo ad Andrea De Marchi, da Enrico Remmert a Sergio Pent, da Lidia Ravera che fa parte dei migranti ad Alessandra Montrucchio, da Benedetta Cibrario a Stefania Bertola, da Gianni Farinetti a Silvio Bernelli, da Gianluigi Ricuperati a Roberto Cazzola, da Federico Audisio di Somma a Pierluigi Berbotto. Sto mettendo insieme volutamente tutta una serie di scrittori che appartengono a generazioni diverse, a diversi climi, a diverse temperature, a diverse gradazioni di valore. E potrei continuare ancora, contaminando: da Enrico Pandiani a Luca Rastello a Gian Luca Favetto a Dario Buzzolan a Davide Longo ad Alessandro Defilippi a Elisabetta Chicco Vitzizzai a Elena Loewenthal ad Anna Berra a Patrizia Varetto a Paola Mastrocola a Margherita Giacobino a Elena Varvello, e persino a Luciana Littizzetto... Potrà bastare? Voglio dire, io credo che possa bastare. Possiamo fare finta di finire qua. Ma solo per dire: come ci orientiamo in questa massa di nomi, in questa lista vertiginosa? Ecco, io dico che non dovremmo dimenticare ciò che Manzoni sottolinea in un episodio dell 11 de I Promessi Sposi: quel bambino (uno dei suoi figli) che cerca di rimettere nello stabbio i porcellini d India che ne sono fuggiti. Un po così anche noi. Creare delle mappe? In questa confusione non è assolutamente facile. Quali mappe, dunque? Mappe di genere, mappe di sesso (la scrittura cosiddetta al femminile ), mappe d età, mappe di contenuto (o tematiche), mappe di nazionalità (sono ormai molti gli scrittori che provengono da altri paesi e scrivono in italiano; e proprio ieri ho recensito su «Tuttolibri» il terzo libro Quasi due di Hamid Ziarati, un iraniano che vive a Torino e che scrive in italiano), mappe di stile, mappe di qualità. Una mappa di tipo generazionale non credo che alla fin fine possa dire molto. Apparentemente più persuasiva potrebbe essere una mappa della scrittura al femminile, ma non so fino a che punto sia, a sua volta, conveniente. Non credo che

4 possa essere molto proficua (ma forse sì) la mappa dei giornalisti-scrittori, che sono sempre di più. Mappe tematiche? Più utili, forse, se penso per fare un solo esempio alla figura di Primo Levi, e al tema molto torinese del lavoro ben fatto, se penso al Tino Faussone de La chiave a stella, che può passare in certi romanzi anche di scrittori come Alessandro Perissinotto (vedine La canzone di Colombano) oppure come Alessandro Defilippi (vedine Manca sempre una piccola cosa). Mappe di genere? Direi di sì, visto che lì risulturebbe (e risalterebbe) un origine precisa: ossia la comparsa di un libro che è servito davvero da palinsesto per altre esperienze di scrittura, dico La donna della domenica di Fruttero & Lucentini. I giallisti torinesi, se penso a Bruno Gambarotta, se penso a Margherita Oggero, se penso a Gianni Farinetti e ad altri come loro, sono scrittori di gialli spesso elusi, che approfittano del giallo in realtà per impiantare un osservatorio di natura morale (moralisti capaci di osservare i mores, i costumi e i tic di una società in cammino). E allora lì, qualcosa di specifico e di speciale mi sembra di poterlo riconoscere. Di più davvero non mi riesce di dire (20 minuti sono insufficienti per esprimere la complessità di un fenomeno tutto da indagare). Per quanto mi riguarda, mi limito a dire e chiudo che un critico, pur consapevole della pochezza a cui ormai la critica letteraria s è ridotta, non dovrebbe rinunciare a stabilire le sue mappe vivaddio di qualità. E allora, se mi si chiedesse quali sono, in questa mappa di qualità, gli scrittori su cui io punterei, qualche nome potrei indubbiamente e finalmente anche farlo. Se non lo faccio non è tanto per lasciare un inutile suspense ma è semplicemente per rispettare i 20 minuti concessi, dai quali credo di non avere derogato. Francesco Bernardelli: Approfitteremmo allora per invitare Luciano Alberti, ne siamo molto lieti. Olga Gambari: Si descrive con una biografia molto stringata. (segue bio) Il suo è un punto di vista da intellettuale e di mercato insieme, che ci interessava molto mescolare dopo questa introduzione più tecnica, diciamo, di sguardo a volo generale sulla mappatura di tutto quello che è il mondo della letteratura a Torino, che è scrittura, mercato, eventi. Luciano Alberti: La Torino degli anni ottanta vista da un operatore interno al mercato si presenta articolata in imprese di librerie private, alcune librerie gestite da gruppi editoriali nazionali e alcune Cooperative che prevalentemente gestiscono il mercato universitario. Esistono librerie con una radicata presenza nel tessuto culturale che da anni superano il semplice elemento commerciale di distribuzione delle novità e della proposta di catalogo e propongono eventi, mostre, incontri con autori e con operatori del settore, alcune librerie importano volumi dall estero e propongono novità e volumi d arte, cataloghi di mostre. Esistono librerie dell usato e bouquinistes.

5 Sulla scena torinese negli anni ottanta cresce la presenza di nuove librerie, espressione di progetti commerciali nazionali, che vengono definite librerie di Catena e sono legate a gruppi editoriali nazionali che proprio in quegli anni si sono consolidati e che stanno implementando le opportunità di distribuzione diretta. Si fanno i primi passi verso una filiera virtuosa che va a creare strutture apposite nei propri organigramma per gestire direttamente oltre la ricerca e la produzione del libro, compito puro dell editore, anche la distribuzione e la promozione del libro, fino alla gestione diretta di punti vendita sul mercato locale e che allargano le opportunità di presenza e controllo della gestione dei propri prodotti. Si fanno i primi passi sulla conoscenza attiva e diretta del mercato. I dati di vendita non sono più soggetto di analisi del singolo librario ma sono valutati anche centralmente e confrontati,dove vi sono esperienze città per città. Le esperienze e i risultati di Feltrinelli, a livello nazionale, partite nel 1955, fanno scuola e creano riferimento oltre che come opportunità di mercato anche come esempio di cambiamento della qualità di servizio che proprio in questi anni faranno la differenza e stimoleranno ed esalteranno i cambiamenti, oltre che per la scena commerciale anche per la professionalità di un mestiere che, seppur con una storia antica, rimane limitato all iniziativa personale, alla formazione individuale a circuiti intellettuali privilegiati ed elitari. Non intendo sostenere che la qualità di servizio espressa fino ad allora fosse insufficiente o critica, considero invece l ampliamento di mercato e l affacciarsi di nuovi operatori (le Cooperative universitarie, le librerie Mondadori, il Club degli editori e le librerie Rizzoli), la diffusione di nuove presenze culturali (le pagine di Tuttolibri de La Stampa) la nascita della Scuola Librai Della Fondazione Mauri a Venezia, considero dunque questi elementi innovativi, un crescente stimolo per la richiesta di arricchimento della professionalità del libraio e della qualità dei servizi proposti alla clientela. Una trattazione a parte meriterebbe la rivoluzione portata alla qualità del lavoro e alla qualità dei servizi offerti, dall applicazione di tecnologie informatiche alle metodologie di lavoro. Per banale che possa sembrare oggi questa affermazione, trent anni fa era oggetto di discussioni, confronti, e citazioni memorabili (una per tutte : IL COMPUTER NON FA POESIA). In rari casi l esigenza di informatizzazione delle librerie emerge da un esigenza professionale. Ci si informatizza perché l anello superiore della distribuzione si sta informatizzando! Questa esigenza è considerata, è condivisa, ma i programmi di gestione, mi riferisco ai primi anni di comparsa sulla scena nazionale, sono differenziati, spesso non comunicano tra loro, pochi hanno una valenza nazionale. I gruppi editoriali allestiscono per le proprie librerie programmi di gestione finalizzati alle informazioni che loro interessano, che sono spesso diversi tra loro. Ma non solo! La gestione informatica era consapevolmente intuita come rivoluzionaria per un settore job intensive che ha nella manipolazione del prodotto e nel rapporto diretto e personale con il fruitore finale del libro, le caratteristiche di efficacia commerciale.

6 Il prodotto oggetto del lavoro del libraio, a differenza di altri prodotti, crea interattività tra i soggetti della transazione. Non è una semplice consegna, gentile e asettica, di un oggetto richiesto. Implica e permette interazione, scambio, confronto. E questo è nella storia, antica, del mestiere. Uno strumento veloce ed interattivo di catalogazione e di archiviazione offre nuove opportunità, che peraltro in trent anni di applicazione sono tuttora in continua implementazione, stimola nuovi servizi, abbrevia tempi di consultazione e di verifica di disponibilità e reperibilità. Oggi queste opportunità sono ampliamente esplorate e date per scontate. Il processo di inserimento nel settore librario è stato complesso, controverso, dibattuto e costoso. Ha costituito un forte cambiamento nella professionalità degli operatori e nella percezione dei clienti. Un settore che, con operatori diversi, vende un prodotto con le stesse caratteristiche di forma, prezzo e disponibilità, differenzia le opportunità di successo con la qualità dei servizi offerti alla clientela. La capacità di offrire servizi alla vendita, fortemente implementata dalla gestione informatica, ha contribuito a creare differenza nel successo commerciale degli operatori presenti. Ulteriore argomento di articolato dibattito che in questi anni e stato il prezzo del libro e la dimensione dello sconto praticato in libreria. Ora la pratica è regolamentata da una legge nazionale, ma l esperienza degli operatori si è formata in anni di confronti che sono stati vissuti con tensione accorata e argomentata. Ma non è solo lo sconto che ha creato elementi di dibattito tra gli operatori. L orario di apertura, le relazioni commerciali con i fornitori, le implementazioni di prodotti venduti negli spazi delle librerie, i servizi offerti alla clientela, l incremento di incontri ed eventi con autori ed editori, sono state evoluzione nella professionalità del commerciante e nuove opportunità di servizio per clientela. E offerta per la comunità. Per la città. I nuovi spazi, aperti in genere da operatori nazionali, riversavano su Torino esperienze acquisite in altre città. Sono spazi generalmente più ampi, in posizione centrale, con un assortimento diversificato e numericamente più grande. Gli ambienti sono più spaziosi ed accessibili e la consultazione è diretta e basata su principi comunicati da indicazioni o cartelli (tutto questo con maggiore o minore efficacia a secondo dei principi espositivi scelti). La presenza di altri prodotti, sempre in ambito culturale o legato alla comunicazione, è il modo di offrire più opportunità al cliente. Porto l esempio la mia esperienza nella libreria di Via Roma aperta nel 1989 dal gruppo editoriale Fabbri e poi passata alla Rizzoli. La Fabbri aveva allora un altra libreria a Milano, in piazza Cavour. La Rizzoli, un anno prima, aveva aperto in galleria San Federico una libreria più classica, sorella minore delle esperienze storiche di Milano E Roma. Il G.E.Fabbri colse l opportunità di inserire nel preesistente salone di Via Roma, che ospitava la storica Edicola Internazionale, una libreria che, con una struttura disegnata da Gabetti e Isola, permettesse di gestire entrambi i prodotti. L edicola esisteva da anni e timidamente proponeva alcuni libri a fianco delle testate, nazionali e internazionali. Fabbri opera un forte investimento in arredo e progetto,

7 affidando a Gabetti e Isola la progettazione degli spazi e crea per Torino uno spazio di forte impatto tra i più ampi e fruibili del centro della città. La coesistenza con i locali della Stampa dovrà creare opportunità di collaborazione e sinergie culturali e di comunicazione. All interno c è uno spazio per presentazioni ed eventi, mostre, manifestazioni. Quando si crea una libreria in uno spazio nuovo, sempre pensando al 1989, il successo dipende dalla capacità di creare curiosità, informazione, simpatia, oltre naturalmente ad avere ciò che la clientela desidera. Conquistare la fiducia del cliente è arte lunga e implica capacità, professionalità. Bisogna creare empatia con il cliente. Esserne capaci ed averne il tempo. In genere il primo contatto con i clienti è fondamentale. Quindi una forte comunicazione e un negozio impattante e nuovo, un offerta di prodotti leggibile e intrigante come libri e giornali sono un forte primo contatto. La vera difficoltà sta nel fare tornare il cliente. La vendita dei giornali e delle riviste crea una continuità quotidiana con il cliente. La proposta di un genere omologo, in termini di lettura e aggiornamento culturale, con la presenza di un catalogo, non particolarmente approfondito, ma fortemente selezionato in un ambiente molto dinamico ed informale (nel progetto iniziale erano presenti monitor per la trasmissione di video promozionali e la trasmissione differita di eventi e la diffusione di musica) doveva essere un ambiente nuovo per la città. Il successo commerciale di quella esperienza nacque dalla poliedricità della struttura e dalla notevole duttilità alle richieste del pubblico torinese che la libreria, il suo personale e la direzione centrale, seppero mettere in atto. L edicola apriva alle del mattino e chiudeva alle era aperta la domenica mattina, non aveva periodi di ferie. Il mercato dell informazione dettava ritmi senza pause. La guerra del Golfo del gennaio del 1990 ci fece scoprire una dinamica su cui riflettere. Le notizie relative ai bombardamenti americani erano diffuse dagli ultimi telegiornali della notte. I bombardamenti spesso proseguivano nelle prime ore della notte creando tensione e aspettative per un informazione più approfondita. La mattina, erano i giornali a mantenere il filo di continuità dell approfondimento e dell informazione ( che continuava nel pomeriggio con l edizione di Stampa Sera). La continuità e l offerta di informazione era completata dalla presenza delle più importanti testate straniere che spesso riuscivano a preparare e diffondere edizioni speciali che, a Torino, avevano pochi punti di reperimento. Le notizie, oggi, hanno una vita breve per i motivi che, meglio di me, altri sanno spiegare, ma nel 1990 questa era la forma di informazione più veloce e più differenziata che fosse possibile reperire (c era solo televideo e le notizie Ansa ). La presenza nella nostra stessa sede de La Stampa contribuì a creare un forte legame con la città. Le sedi giornalistiche delle agenzia di stampa che risiedevano nel nostro palazzo alimentava incontri con giornalisti e redattori che frequentavano la nostra libreria. Ricordo pomeriggi del sabato e domeniche mattine in cui era estremamente difficile per il personale attraversare la libreria a causa della ressa di pubblico.

8 Ma ricordo anche che fummo in grado per gestire eventi lampo in sedi distaccate come i Mondiali del 1990, (quando per poter vendere giornali per la Torcida che era prevista a Torino, organizzammo con i brasiliani del quotidiano O Globo una consegna aerea su Caselle che impegnava a ritirare centinaia di copie del quotidiano spedite appositamente per i tifosi che avevano in via Roma il luogo di riferimento e che ci fece ottenere una citazione e un articolo di ringraziamento per la collaborazione da parte del quotidiano), le edizioni dell allora Salone del libro nella sede di Lingotto e dei primi saloni Auto nella sede di via Nizza (allora allestivamo una libreria /edicola di 70 metri quadri per i visitatori dei saloni sempre gestendo la richieste di Stampa e Corriere e delle testate internazionali di essere presenti dove c erano pubblico e soprattutto operatori, nazionali e internazionali), le giornate delle esposizioni della Sindone furono invece una delusione dal punto di vista commerciale (anche se eravamo sulla strada principale di accesso a Piazza castello le migliaia di pellegrini avevano percorsi stabiliti e rare occasioni di distrazione ), la mostra del Barocco a Stupinigi fino alle ultime Olimpiadi invernali. E poi gli incontri con centinaia di autori, editori, operatori del settore, giornalisti e, cosa personalmente rilevante, con centinaia di clienti che hanno creato un osmosi che, forse, è rimasta l ultima vera gioia di un mestiere che si sta perdendo. Perché la trasformazione del mio lavoro, negli anni ottanta ha avuto un accelerazione impressionante, che lo cambiato e plasmato in nuove forme e con nuovi strumenti, e ha creato un mestiere nuovo che, forse perché deriva da un mestiere antico e ricco di profonda memoria, saprà scoprirsi e definirsi in nuove forme, questa trasformazione, dicevo, sarà profittevole per le aziende ma non dovrà mai togliere a questo mestiere la caratteristica primitiva che è quella di informare l altro, il cliente, che c è un emozione nuova in vetrina!. Olga Gambari: Volevo ancora farti una domanda in 2 minuti. La domanda che volevo farti è se Torino sia una città che legge o meno, quanto sia una città legata alla lettura, quali siano i suoi amori, i suoi gusti, e quanto sia legata ai propri autori che, come ci diceva Giovanni Tesio, in realtà sono molti. Brevemente, solo questa... Luciano Alberti: Posso portare un esempio basato da una percezione che, seppur è basata su anni di esperienza, spero non risulti banale. È molto difficile avere successo a Torino. In tanti settori, tutte le persone che hanno testimoniato in questi 3 giorni la loro esperienza artistica, il loro impegno ad ampio raggio, penso possano testimoniarlo. Con i libri penso che sia ancora più difficile e le persone che hanno avuto un successo a livello nazionale partendo da Torino penso debbano senz altro il loro successo alla loro capacità. Fondamentalmente il successo si misura in che cosa? Numero di copie vendute? Plauso della critica? Se diamo questi canoni, i numeri... il professore ci insegna e ci ha dato un catalogo di autori che hanno avuto successo, ma il successo in termini di numeri non è stato raggiunto da tutto questo catalogo di autori. È difficile, anche perché il successo delle vendite si raggiunge con strumenti che, non sempre, sono a Torino. Si vendono tante copie non perché scrivo bene, perché sono bravo, ma perché la gente sa che sono bravo e che scrivo bene. Comunicare che uno è bravo e scrive bene non parte

9 da Torino, parte dai gruppi editoriali che possono appoggiare, enfatizzare l uscita di un libro, l esperienza di un autore, le qualità di un autore, facendo campagne stampa, facendo promozione, facendo... questo porta al successo dei numeri. Il successo della critica... io sono convinto che l esperienza apripista di «Tuttolibri» con tutte le esperienze di critica che poi i giornali e gli operatori culturali locali hanno prodotto, contribuiscano a dare un successo, a legittimare e a far conoscere le qualità di un autore. Però, la mia esperienza è che sia molto difficile avere successo partendo da Torino. Dopodiché, si ha successo magari a Torino, ma è difficile averlo a livello nazionale. Io sono stato il primo direttore di Giuseppe Culicchia e forse questa esperienza ha un po offuscato tutte le mie percezioni successive. Con il successo che ha avuto Giuseppe, sembrerebbe facile per tutti... Non penso che lo sia. Francesco Bernardelli: Continuiamo questa perlustrazione di quella che è la situazione libraria torinese partendo da un caso sintomatico, molto noto, di un libraio che comunque a Torino ha accompagnato l affermazione di tutta una serie di situazioni, anche sociali, politiche eccetera, ed è una breve testimonianza registrata, che abbiamo avuto da Angelo Pezzana. (segue bio) Angelo Pezzana (videointervento): Che dire di questa città per uno come me che ormai ha superato la settantina e che quindi ogni tanto, spesso, si volta indietro e guarda e fa dei paragoni? Com era Torino prima? Per esempio, negli anni Sessanta era una città molto provocatoria, perché non c era niente e allora qualunque cosa uno voleva fare, era una novità, inventava, creava dal nulla. Io ho cominciato a fare il libraio nel 63 con una piccola libreria in via Bertola, dove c era «La Stampa» una volta, aveva tutti gli uffici, la tipografia... Ed era un periodo bello, perché... avevo invitato gli scrittori nella libreria, era la prima volta che si faceva, in genere, nelle librerie si vendevano libri e ho detto: Be, vendiamo i libri e facciamo conoscere gli scrittori. Ho cominciato subito invitando né Pautasso, né Brambilla, ho invitato James Baldwin, Allen Ginsberg... e ho cercato di far venire della gente che movimentasse un po questa tranquillità molto piemontese, molto seria anche, che ha tutti i suoi lati positivi, perché Torino è una città di grande creatività proprio perché non c erano divagazioni, oggi ci sono più divagazioni e forse si crea un po meno. Allora era un bel vivere in una città dove, appunto, essendoci pochissimo, era facile inventare le cose. Per cui, il mio privilegio di stare in una libreria... Poi sono venuto alla Luxemburg, che è più grande, l altra era una piccola libreria, che c è ancora peraltro, la libreria Hellas, che ha una storia culturale, è stata la prima libreria che ha tenuto i libri americani e inglesi, libri stranieri... Anzi, io sono stato il primo a vendere i libri stranieri in una libreria. Anche questo ha smosso le acque... Tenere i giornali, le riviste culturali. Insomma, ho avuto il privilegio di stare in mezzo ai libri, stare in mezzo ai libri è un privilegio. Forse non si fanno i soldoni, ma si ha uno sguardo su tutto il mondo, che ti permette di vivere in maniera più intensa, più stimolante soprattutto. Io mi sono sempre sentito portato a fare delle cose, ma non sentendone la paternità,

10 semplicemente mi piaceva stimolare cose nuove, farle nascere, curarle e poi lasciarle andare. È stato così anche con il Salone del Libro. Mi ricordo che a Torino quando lanciai l idea... A quell epoca ero consigliere regionale, quindi avevo un piccolissimo potere, però i piccolissimi poteri, se uno li paragona al non potere, sono sempre qualcosa. Quindi, ho potuto chiedere a personalità importanti nel campo editoriale, soprattutto: Ma perché non c è un salone del libro in Italia?. Non lo voleva nessuno: Ma no!. Gli editori? Ma non vendiamo i libri neanche in libreria e adesso facciamo il salone del libro?. Dico: Sì, io penso che si debba fare come nelle altre città del mondo, dove io vado da 30 anni eravamo alla fine degli anni Ottanta e si fa anche pagare l ingresso, Pagare l ingresso? Ma se i libri non li comprano in libreria, uno deve pagare per andarli a vedere? No, è un idea folle. Sarà un totale fallimento. È stato un totale fallimento che dura ancora adesso, sono 25 anni che c è il Salone del Libro ed è una delle manifestazioni più importanti, anche a livello librario internazionale. Quindi, bisogna avere coraggio e fare delle cose. Io mi sono sempre trovato bene a cercare, non ho mai frequentato tanto, non sono un tipo mondano, non ho frequentato salotti, qualche volta mi invitavano, ma io dicevo sempre delle cose sgradevoli, per cui non mi invitavano più... quindi ero molto fortunato, non dovevo più cercare scuse. Non ho mai frequentato la mondanità, ho girato parecchio, perché girando uno capisce tante cose, però a Torino mi trovo bene perché secondo me, appunto... anzi, forse oggi sto meno bene di prima, perché ci sono più divagazioni, più cose da fare, iniziative, eventi, la città è molto cambiata, è migliorata... poi certe cose non funzionano, certe cose sono anche un po folli, se uno le guarda bene, ma si dice sempre che a Torino è impazzito Nietzsche, quindi un grano di follia, in una città che in genere è positivamente moderata, non eccessiva, che ha il senso del confine, dei limiti... Sono situazioni stimolanti, per cui uno sta bene... Poi è una città in cui uno, volendo, cammina, gira a piedi, non è che deve muoversi sempre con qualche mezzo. Ci sono intere aree demaniali che potrebbero diventare un Guggenheim, io l avevo proposto quando ero consigliere regionale e mi hanno detto: Ma tu sei matto, ma ti sei montato la testa?, dico: No, lo rileva il Comune, poi lo regala a una grande istituzione culturale. In via Cernaia, al posto delle caserme, facciamo un museo di grande livello. Magari, per esempio, invece di farlo a Rivoli, si faceva lì. Ah, ma no, le caserme... Non si può spostare tutta una... Ecco, qui è tutto da conservare. Tutto. Anche quello che andrebbe invece cambiato. Io avrei visto volentieri dei bellissimi grattacieli anche in pieno centro. Perché? Però sono tutte cose che qui fanno molta fatica, poi quando uno riesce a imporle... Però io non ho mai salito troppi gradini per arrivare a quel tipo di potere, che non ho mai cercato... Poi, anche se lo cercavo, non lo trovavo. Però, qui, l ambizione è un peccato. Chi è ambizioso viene visto male. Qui bisogna essere modesti. Mi ricordo quando ho parlato con un intellettuale importante torinese, quando volevo fare il Salone del Libro, mi ha detto: Ah, magnifica idea! Ma ne hai parlato con i sindacati?, e io ho detto: Ma veramente è l ultima cosa a cui penserei, perché non è che sto cercando di assumere del personale, è un idea per realizzare qualcosa..., Ah no, il sindacato è la prima cosa. E questa persona non rappresentava certo il movimento dei lavoratori. Però, è talmente tutto condizionato dal potere esistente, che

11 le novità vengono in genere accantonate. Non vorrei però essere negativo, perché qui mi trovo bene, è una città che, quando vado via, ci torno volentieri, si lavora bene... La scena letteraria torinese, intanto si è formata, perché qui è nata credo la prima tendenza del giallo italiano, quindi a Torino, da Fruttero & Lucentini in avanti, sono nate schiere di scrittori, anche molto bravi, validi. Io poi non ho nulla contro la letteratura di consumo, anzi, leggere un libro è un operazione di piacere, per cui se io voglio passare un ora e leggere un bel libro che mi piace, mi va benissimo che sia un libro anche facile, mica devo leggere un libro di filosofia per divertirmi. Però, c è un livellamento, ma a livello editoriale, più che come gusto di lettura, dove si pubblicano molte cose che durano 3 mesi, dopodiché non ne parla più nessuno... ma questo forse è il mercato. Io amo certi libri, certi autori e chi si affeziona a un libro o a un autore tende poi a continuare a viverlo anche con il passare degli anni, quindi questo è un pericolo, bisogna essere coscienti di questo. Però sono anche condizionato dal fatto di vivere in una libreria, io sono molto felice quando arrivano i libri, li guardo... vedo le cose nuove, quando devo prenotare le novità, è un piacere vedere... Poi quando il libro arriva, lo si apre e lo si comincia a leggere... poi magari dopo 10 pagine uno lo chiude. C è un livellamento legato alla produzione di massa, c è poco da fare, questo abbassa il livello del prodotto chiamiamolo pure prodotto però la diffusione è aumentata: oggi tutti leggono. Mi viene da ridere quando si discute di... Il libro è finito, ci saranno altri strumenti, ma no, ci saranno degli strumenti nuovi, che verranno accanto agli altri. Olga Gambari: Adesso volevo chiamare Liliana De Matteis, che ci farà un racconto, un piccolo volo su quello che è stata la relazione tra l arte e la letteratura, intesa nel senso più ampio, a Torino. (segue bio) Liliana De Matteis: Per parlare del rapporto arte-letteratura, occorre entrare nella sostanza del lavoro quello pittorico e quello letterario, dal momento che il più delle volte questa collaborazione si limita ad un lavoro d arte che si ispira o che illustra quello di un letterato o di un poeta. Ecco, questo tipo di rapporto a senso unico, che peraltro talvolta arriva ad esiti assolutamente straordinari, si verifica spesso ed ha in genere un buon successo anche economico. Ma non credo sia il rapporto di cui ci interessa parlare oggi perciò ho cercato di pensare e di ricordare qui alcune situazioni di particolare importanza verificatesi nella nostra città. Letteratura e arte contemporanea era il sottotitolo di una rivista uscita fino al 1968 nel cui comitato di redazione vi erano poeti letterati e critici d arte illustri (Anceschi, Luzi) e su questa rivista erano ospitati saggi molto importanti, densi e ben documentati di quanto succedeva anche nel mondo del contemporaneo in Italia. Su quella rivista ha più volte pubblicato dei saggi straordinari sull arte a Torino e non solo un critico d arte oggi del tutto dimenticato: Albino Galvano, una figura di grande spessore culturale totalmente dimenticata che ebbe fra l altro tra i suoi allievi Sanguineti, Furio Iesi e tanti torinesi divenuti insigni. Ad alcuni il nome di Galvano parrà forse quello di un minore, ma così non era, se è vero che proprio alla fine degli anni cinquanta era lui a scrivere su

12 riviste di assoluta tendenza come quella creata da Manzoni Castellani e Agnetti che si chiamava Azymuth. Perché lo cito: perché curando di recente per il Museo di Scienze naturali una piccola mostra antologica di Mattia Moreni, ho ripercorso gli anni torinesi di questo artista, avendo conferma, che il gruppetto di amici che frequentava in quegli anni torinesi di contestazione all accademia casoratiana, comprendeva oltre a Spazzapan e ad un giovanissimo Mario Merz, in primis Albino Galvano, e poi Piero Bargis, e Guido Seborga, narratori anch essi e Italo Calvino che firmò la presentazione della sua prima mostra personale alla Galleria La Bussola Mi rendo conto che sono partita da lontano, ma volevo che questi nomi che ho citato venissero come dire annotati perché sono l origine, il riferimento forte di un rapporto fra arte e letteratura in questa nostra città. Infatti, arrivando a tempi un po meno lontani, ritroviamo ad esempio, un Edoardo Sanguineti che generosamente si spende in innumerevoli presenze a dibattiti cittadini non solo su letteratura e poesia, ma sulle tematiche più attuali fra scrittura e politica a dar vita come dire a un piccolo cenacolo con un artista come Carol Rama e con musicisti d eccezione come Luciano Berio e sua moglie Cathy Berberian, ed è certo che durante un certo periodo di tempo è facile ritrovare i fili di questo scambio nei loro rispettivi lavori in arte, narrativa o musica. E ritorna, soprattutto, Italo Calvino, mai sazio di frequentazioni artistiche ovunque andasse, ma qui a Torino, legato indissolubilmente a Giulio Paolini ed alla sua poetica. E questo è a mio parere un caso esemplare e paritario di collaborazione, di sintonia e di intelligenza reciproca fra pittore e scrittore. Calvino, nell introduzione al volume di Paolini Idem uscito da Einaudi nel 1975, scrive: queste parole che bene rivelano il rapporto tra i due: Tutte le volte che lo scrittore incontra un suo amico pittore, lo scrittore rincasa rimuginando tra sé. Le opere del pittore non sono veri e propri quadri: sono momenti del rapporto fra chi fa il quadro, chi guarda il quadro e quell oggetto materiale che è il quadro Anche allo scrittore piacerebbe fare delle opere così, però non riesce a trovare la strada. Non credo si possa negare il fatto che sia lui, Giulio Paolini, artista che dagli anni settanta e fino ad oggi, rappresenta il miglior rapporto/legame fra l arte e le lettere, non voglio elaborare teorie, non ne ho il tempo né forse la capacità, ma voglio leggervi qualche titolo di suoi lavori, cominciando dal 1963 con INDICE, passando per LE LIVRE à VENIR, The Encyclopaedia Britannica, Post scriptum e UNA POESIA (di cui fu prodotto anche un piccolo libro con una splendida poesia (sulla poesia di Giulio) di un altro einaudiano che voglio ricordare e che mi fu prezioso amico, e che frequentò e collaborò spesso con molti artisti torinesi, Nico Orengo). Ho citato questo libro di Paolini non solo per parlare del rapporto con Italo Calvino. Esso uscì in una collana einaudiana, particolarmente importante che si chiamava Einaudi Letteratura. Siamo all inizio degli anni settanta, e oltre al Calvino già grande scrittore vi è in casa editrice un giovane critico d arte, Paolo Fossati, che propone questa collana e che ne seguirà lo sviluppo editoriale con dei titoli che vanno proprio nella direzione del mescolare le arti e le lettere, e che con la riproposizione di testi e opere (dal futurismo di Bragaglia al surrealismo di Breton, dalla scultura di Melotti alle fotografie di Mulas, alternati a Beckett, Bataille e Céline), interroga giovani artisti come Bruno Munari, Luciano Fabro, Giuseppe Penone facendoli parlare del loro lavoro, non tanto come analisi critica ma

13 come racconto delle proprie opere in cui far entrare la loro cultura, il proprio quotidiano, la vita stessa. Due movimenti artistici nati a cavallo fra gli anni sessanta e settanta ma attivissimi ancora oggi sono quelli della poesia concreta e visiva, con una sperimentazione forte sulle possibilità grafiche offerte dalla stampa la prima, che ricerca un perfetto equilibrio tra impaginazione, significato delle parole, e forma delle opere: corpi di poesia era un termine usato per definire questa tipologia di opere in cui la poesia si apriva verso l'oggetto con la creazione consequenziale di nuove percettività che giocavano anche sulla componente tridimensionale realizzata con materiali nuovi, al tempo, quali il plexiglas e materiali resinosi. A Torino abbiamo un importantissimo protagonista di questo movimento, Arrigo Lora Totino, un personaggio davvero importante che questa città ha dimenticato (o mai scoperto) per la sua enorme cultura: esperto di letteratura e poesia futurista, è stato il primo, nel corso della rivisitazione di questo movimento, a reinterpretare con registrazioni ormai introvabili la poesia futurista, che ha performato in particolare all'estero le poesie e le tavole parolibere futuriste, in collaborazioni con altri artisti come Sandro De Alexandris e Piero Fogliati, con architetti come Leonardo Mosso e musicisti come Enore Zaffiri, ha creato recitato con strumenti come il tritaparole o il mozzaparole, il liquimofono, ha in un cassetto ovviamente senza editore la storia della poesia visiva dalle origini ai nostri giorni. E naturalmente è degli anni settanta e della pratica concettuale l ingresso del libro d artista come mezzo autonomo per esprimere un lavoro d arte. In questo specifico ambito Torino ha un ruolo di primo piano, con le edizioni di Pier Luigi Pero e Gian Enzo Sperone e dei suoi poveristi, della sottoscritta, con titoli di Griffa, Agnetti, Kaprow, Chiari ecc. e di autoedizioni come il Pistoletto delle Ultime parole famose o i Mille fiumi di Boetti e Sauzeau o il bellissimo Leggere di Giovanni Anselmo. E avanti fin o ad esperienze a noi contemporanee. Il mio tempo è scaduto, ma il rapporto arte-letteratura continua anche oggi ed in alcuni casi in maniera molto, molto stretta: cito solo pochi nomi: quelli di Meri Gorni, di Pierluigi Fresia, di Sabrina Mezzaqui. Ciascuno di loro, coltiva in maniera diversa e personalissima un rapporto di dare-avere assolutamente paritario con e sulla Letteratura. Francesco Bernardelli: Ringraziamo particolarmente Liliana De Matteis, per il bellissimo contributo veramente precisissimo e ricchissimo di spunti. Ne approfittiamo allora per concludere questo ulteriore focus che avevamo fatto nell ambito delle lettere ed entriamo nell ultima area di riflessione, che ci riporta, come avevamo iniziato la prima giornata, nell ambito delle arti visive e, diciamo, delle politiche dei sistemi che pertengono alla ricerca e al lavoro di arte contemporanea. Invitiamo Lisa Parola del collettivo a.titolo. (segue bio) Lisa Parola: Buongiorno eroi resistenti che avete resistito tre giorni, fino alla domenica pomeriggio. Grazie, davvero grazie. E grazie anche a Franz e Olga, perché... Adesso compare una scritta alle mie spalle: è una scritta che ha accompagnato i 15 anni di lavoro di a.titolo.

14 Eccola, sono in soggezione a intervenire sulle parole di Fèlix Guattari, ma pensando a questi anni sostituirei solo la parola creazione con esperienza. Dicevo, grazie a Olga e grazie a Franz, perché io non ho mai scritto un diario biografico e in questi 3 giorni, dove un po forzatamente sono stata seduta qui, si è, come dire scritto da solo. Prenderò la registrazione e la userò in futuro. Allora ricominciamo dalla memoria che ci ha dato Alessandro Stillo, il suo intervento è partito dal 77. Giuro, allora io non ero ancora nel mondo dell arte, ero piccola, mi affacciavo all adolescenza, ma essendo io l ultima di 3 figlie femmine, ricordo lo sguardo preoccupato di mio padre e di mia madre, che allora frequentavano l Unione Culturale ma li ricordo con uno sguardo turbato su due delle loro figlie che si emancipavano, quotidianamente. Anni Ottanta: le mie sorelle si erano emancipate e mi guardavano un po indispettite perché io vivevo la mia giovinezza in pieno riflusso. Non studiavo troppo, andavo molto in discoteca, molto allo Studio 2 nel frattempo però sono riuscita a laurearmi in Storia dell Arte. Andiamo avanti, 1996: dov ero nel 96? Vi propongo una sorta di rewind... E scusate, se parlerò usando un po l io e un po il noi, perché più che un soggetto nomade rubando la definizione a Rosi Braidotti io sono sempre stata qui, dunque pochissimo nomade ma singolare e plurale insieme... Allora esattamente sabato 30 novembre 1996 io ero qui a Rivoli, nel teatrino dove siamo stati fino a ieri, e non ero in questa posizione frontale rispetto a voi, ero dietro il tavolo d ingresso. C era una giovane Ida Gianelli, io ero spaventata, laureata da poco, c era una giovanissima associazione Artegiovane, un giovane Alvise Chevallard, un giovane Fluvio Gianaria, un giovane Walter Santagata. In quell occasione per Artegiovane avevo curato la segreteria e il coordinamento di un convegno internazionale che si intitolava Centri d arte non museali. Siccome già allora la Casa dell Artista sembrava non partire, la giovanissima associazione torinese decise d invitare qui alcune figure importanti, ve le cito: Michel Borrel, Jean Louis Maubant, Ute Meta Bauer, Udo Kittelmann, tra gli italiani c era Bruno Corà... credo, adesso non ricordo, Andrea Bruno e poi ancora l associazione Zerynthia, Studio Blu, Patrizia Brusarosco, un giovane Stefano Arienti, una giovane Patrizia Sandretto. L idea era quella di attivare nuovi spazi per l arte. Vi leggo stralci dei documenti che Alvise Chevallard mi ha messo a disposizione: un centro d arte museale, ovvero la traduzione non ancora esaustiva del tedesco Kusthalle o del francese Centre d art contemporain, Il convegno si legge in un articolo di Walter Santagata aveva pubblicato sul Giornale dell Arte di quel mese- vuole essere un momento di riflessione sull opportunità e sulla possibilità di trasferire nel nostro paese, adattandole alla realtà artistica italiana, le esperienze francesi e tedesche nel campo della formazione dei giovani artisti. Si pensa a luoghi che raccolgano il contributo di critici, galleristi, artisti e collezionisti e che, per la loro dimensione sociale, abbiano forti relazioni con le strutture pubbliche locali e nazionali. Una struttura leggera...in quell occasione Francesco Poli interveniva segnalando come la gestione verticalizzata legata al Comune impedisse uno sviluppo più innovativo e indipendente e segnalava la Promotrice di Belle Arti come una delle possibili sedi, segnalava come modello da seguire Viafarini a Milano. Alvise Chevallard, invece, si concentrava sulla legge del 2% e Walter Santagata individuava come luoghi possibili d intervento, non solo la Promotrice, ma direttamente le sedi delle università. Nel 1996 ero qui. Cosa succede dopo?

15 1995/96: presento, ai Murazzi del Po, con Ivana Mulatero Maurizio Cilli che è in sala con noi lo ricorda il volume Rrragazze. Era un confronto di due generazioni di donne artiste, possiamo dire tra Dadamaino e Giulia Caira e, mentre io ero ai Murazzi a discutere di arte e genere, Francesco Poli invita Luisa Perlo e Giorgina Bertolino a curare la Sezione mostre che lui avrebbe lasciato all Unione Culturale. Sempre in quell anno Mario Cresci invita me e Luisa Perlo a presentare la giovane scena torinese in una galleria dove lui aveva una personale. Tra il pubblico c erano Paolo Fossati e Franz Paludetto. Provammo terrore puro. Paolo Fossati lo ha nominato prima Liliana De Matteis era la voce Arte alla casa editrice Einaudi, io lo avevo incontrato per la mia tesi. Terrore puro avere tra i presenti due figure così importanti e autorevoli! Pochi mesi dopo nasce a.titolo, eravamo in 8, e siccome siamo in questa città un po sabauda e siamo più di 3 donne insieme, siamo, tendenzialmente, femministe. Tra noi c era anche una laureata in Economia e Commercio, avevamo già capito che il tema centrale, negli anni a venire, sarebbe stato quello dell economia ma lei, disperata, ci lasciò velocemente. a.titolo inizia la sua attività all Unione Culturale, nello spazio dell intellighenzia torinese, con un eredità importante da qui erano passati Guy Debord, il Living, Pezzana stesso in quella sede e in quell anno invitammo alcuni artisti nostri contemporanei a confrontarsi con alcune parole chiave dell Internazionale Situazionista; e a quel punto non eravamo solo più femministe, eravamo anche un po politiche. Gli artisti che invitavamo all Unione Culturale erano Cesare Pietroiusti, Cesare Viel, Marco Vaglieri, Enzo Umbaca... i primi segnali di Oreste, una delle prime esperienze di residenza in Italia, un luogo d incontro e di discussione che Harald Szeemann invitò alla Biennale di Venezia nel 99. Sempre ferma qui... partecipammo poi alla mostra di Franz Paludetto, che Luisa Perlo ha già citato venerdì: Donna Critica Torino Franz è un uomo che ha sempre visto molto lontano curammo, in quell occasione, anche il convegno Critica come mestiere? E fu qui che iniziò uno strano equivoco che ogni tanto ci accompagna ancora oggi; siccome eravamo in una mostra, e ci firmavamo a.titolo, in una recensione venne scritto in chiusura: E poi ci sono anche le installazioni dell artista Antonio Titolo, ovviamente maschio. Continuo il rewind: 1999, prima azione di arte pubblica curata da a.titolo. Invitammo Adriano Torregrossa - artista che ancora oggi viaggia tra Bologna e l Egitto a pensare ad un azione per lo spazio pubblico. Citando l articolo 2 della Costituzione italiana, Adriana ci propose di rendere pubblica l Aid El- Fitr la preghiera che segna la fine del Ramadan per la prima volta recitata, non nei garage ma in una piazza pubblica. In quell occasione c era Francesco, c era anche Olga, tutti noi conoscevamo l azione di Adriana Torregrossa e il giorno dopo eravamo sulle pagine di tutti i giornali, ma la notizia di cronaca aveva preso spazio cancellando il processo che l aveva accompagnata. Sulla relazione tra azione, processo e contesto prima o poi varrebbe la pena discutere anche vista la produzione artistica di questi ultimi anni, ma torniamo a noi. 1999: Harald Szeemann, direttore della Biennale di Venezia venne invitato da a.titolo, nell ambito della rassegna Proposte, a tenere una conferenza a Torino. E fu con una certa soddisfazione, e un po meno terrore, che vedemmo seduta in prima fila anche qualche signora dell arte torinese. In quell occasione Szeeman raccontò la sua idea di curatore indipendente, certo era ben

16 distante dall idea attuale di personal trainer per artisti o baby sitter per artisti : divise tra i workshop della rassegna Proposte, formazione dei giovani e il programma d arte pubblica Nuovi Committenti, veniamo anche chiamate io, Giorgina Bertolino e Francesca Comisso a curare una ricerca sul Sistema torinese dell arte... siamo, più o meno, nel Continuiamo la nostra attività di curatrici indipendenti ma siccome siamo fuori dallo spazio protetto del museo o della galleria, e siamo alternativamente un po politiche, un po didattiche, un po sociali, siamo comunque e sempre ragazze, brave ragazze , sono anni davvero difficili, perché si lavora alla sistematizzazione, internazionalizzazione... tutte parole che, credetemi, non amo riportare in questo difficile momento. A Torino, in quegli anni, si sono ideati strumenti che sono stati importanti per disegnare la Torino della Cultura, mi riferisco al Primo Piano Strategico della Città che era stato in grado di posizionare l arte contemporanea al centro del ridisegno della città dandole una posizione e un valore, come ci ricordava ieri Pierluigi Sacco. E adesso arriviamo al qui ed ora. Fino ad adesso abbiamo fatto un po di rewind. Adesso vorrei passare alla parte seria e grave; vi leggo solo un po di dati mentre vi chiedo di tenere ben presente la frase alle mie spalle. Provo ad elencare qualche cifra e qualche data: 2009, il Ministero dei Beni Culturali chiude la Direzione generale dell Arte contemporanea per accorparla in un unico settore, che comprende anche Paesaggio, Belle Arti, Architettura. Tutto e niente. Una questione tutta italiana, un anomalia italiana se si pensa che, nella primavera del 2010, il governo della Polonia ce lo ricordava Pier Luigi Sacco si è impegnato ad aumentare gli investimenti in Cultura dallo 0,16% all 1% del bilancio entro il E mentre il Primo ministro polacco firmava il Cultural Pact, a Roma la situazione era molto diversa. Gli studenti e i professori dell Accademia iniziavano lo sciopero della fame e si susseguivano Cristiana Perrella ce ne parlerà dopo le riunioni del comitato Occupiamoci di Contemporaneo. Altri dati: alla fine del 2010, una ricerca dell European House Ambrosetti ha dimostrato che, per ogni euro investito nel settore culturale, l impatto sull economia è pari a 2,49 euro. Lo studio ha calcolato anche gli effetti dell investimento sull occupazione, risultato: per ogni incremento di un unità di lavoro nella cultura, lo sviluppo totale sull unità di lavoro nel sistema economico è pari a 1,65. Lo studio è stato citato da tutti, privati, pubblici, giornalisti e non, ma nessuno si è concentrato sulle potenzialità di questo dato, e così, nel 2010, l Italia ha investito in questo settore solo lo 0,21% del PIL; nel 2011 abbiamo fatto ancora peggio, perché siamo scesi allo 0,1% rispetto a una media europea del 3%. Eppure nel 2008, già immersi nel pieno della crisi, il fatturato generato in Italia dal comparto culturale e creativo è stato valutato intorno ai 104 miliardi di euro, con un numero di addetti di circa 550 mila unità. Il Futuro? Vorrei provare ad invitarvi a guardare oltre le cifre con tutte queste strategie, queste burocrazie... forse ci siamo dimenticati di guardare, non tanto gli artisti, ma le opere. Quell oggetto silenzioso, quell oggetto che, se funziona, mette il piede nella porta come scrive Guattari. E allora, mi chiedo che cosa mi raccontano le opere di Giulia Caira, Marzia Migliora e potrei citarne tantissime altre Dadamaino, Giosetta Fioroni, Carol Rama, Marisa Merz, Tania Brughera... che cosa mi dicono, se in Italia non sento quasi mai parlare di Studi di genere? E ancora, che cosa ci racconta il lavoro di Meschac

17 Gaba, il progetto di scuola attivato da Barthélémy Toguo se se non si sentono mai nominare gli Studi postcoloniali? Allora, in questi due ambiti, ai quali aggiungerei anche temi come l ambiente, la riscrittura di alcuni fatti della storia, il lavoro d archivio di Liliana Dematteis in questo senso è davvero fondamentale, per tenere vivi e aperti il documento e la memoria. Questa mattina nell intervista a Franco Fadini, abbiamo sentito la parola immaginario... E qui che bisogna lavorare oggi unendo il termine immaginario con i temi ai quali gli artisti stanno guardando. Un nuovo percorso che la cultura ha intrapreso a metà degli anni Novanta, la data è abbastanza precisa: 95/ quelle sono le date, da qui si è mosso un pensiero fragile, gentile ma anche molto resistente. Torniamo ancora un attimo a Torino, città sabauda, suddita per eccellenza, monocolore sempre, monovoce quasi sempre, ha prodotto una cultura buona, una cultura forte, ma quando lo ha fatto? Quando ha attraversato ambiti, quando è riuscita come diceva Fadini questa mattina a costruire delle parole nuove, a costruire e scrivere la storia, quando è riuscita a non raccontare solo la storia di Piero Gobetti, ma anche quella di Ada, quando si è spostata dalla famiglia Agnelli, per andare verso il pensiero olivettiano. Il senso delle parole, ancora questo e poi chiudo. Quando nel 2010 con Maurizio Cilli, a.titolo ha ideato e curato il progetto situa.to che è un possibile osservatorio, un possibile dipartimento, una libera scuola non ci interessava solo osservare lo spazio urbano attraverso un processo interdisciplinare, sentivamo urgente anche la necessità di costruire una grammatica comune, partendo dal ridare senso delle parole. Ora, c è una parola che mi accompagna da tempo e che ci ha accompagnato anche in numerosi progetti, è immaginario. Immaginario è diverso da fantasia, immaginario ha molte significati, perché immaginare significa crearsi un immagine nella mente ma anche ammettere, concepire, creare, credere, figurare, pensare, anche intravvedere, sospettare, supporre, vagheggiare, dubitare, ricordare, fondare. Grazie a tutti. Olga Gambari: Grazie, Lisa Parola. Purtroppo abbiamo sentito Ugo Bacchella che si scusa, ma non potrà essere presente perché ha avuto un inconveniente in famiglia, un problema... Quindi chiamerei Cristiana Perrella della Consulta Permanente per l Arte Contemporanea di Roma. Ci porta una testimonianza di una cosa, che lei ci racconterà; una cosa proprio in quanto che un organismo vivente, in evoluzione, nato per esigenza, nell ambito della società civile di addetti ai lavori, ma non solo, che per noi è un grande esempio, un esempio importante e interessante da raccontare in questo terzo giorno, quindi come momento che si avvia alla conclusione. (segue bio) Cristiana Perrella: Buonasera. La situazione di Roma è ovviamente molto diversa dalla situazione torinese. Roma è una città che non ha un passato industriale, non ha avuto per molto tempo neanche un presente contemporaneo, essendo una città così profondamente radicata nella storia, e che comunque attrae un flusso turistico immane proprio grazie a questo. Le cose però sono cambiate a partire dal nuovo millennio. Io, per semplificare, indico sempre il Giubileo come un momento importante, non perché

18 sia particolarmente vicina ai temi cattolici, quanto perché, in una città come Roma, il cambiamento anche architettonico, l introduzione di progetti contemporanei nel tessuto vivo della città, è stato un fatto abbastanza eclatante e, secondo me, anche un fatto che ha in qualche modo fatto da apripista a una nuova attenzione a una cultura del contemporaneo che, nei decenni precedenti, aveva fatto molta fatica a trovare una strada. Quindi, non a caso, molti degli edifici commissionati intorno all inizio del nuovo millennio, sono stati edifici destinati ad attività culturali. Il primo è stato l Auditorium di Renzo Piano, che per Roma è stato veramente un progetto importante, Roma non ha avuto un Auditorium dagli anni Trenta fino al 2002, quando l Auditorium si è inaugurato. L unico Auditorium romano era quello di via della Conciliazione, che veniva affittato dal Vaticano con una capienza del tutto inadeguata alle esigenze romane. Questi progetti architettonici hanno avuto, ovviamente, una letteratura molto critica, molto controversa. Tolti sono stati appunto criticati, anche giustamente. Io però credo che il loro ruolo importante sia stato proprio quello di affermare la necessità di un segno contemporaneo in una città così fortemente restia ad accoglierlo, per politiche culturali, per storia, per vocazione anche, appunto, turistica. Il fatto che siano stati degli edifici destinati alla cultura che hanno cambiato le cose, diciamo, io credo che sia stato un segnale importante. Dopo l Auditorium, nel 98 è stato bandito il concorso per la realizzazione del MAXXI, e anche il momento concorsuale è stato un momento importante, perché ha richiamato a Roma molti architetti tra i più importanti. Io ho partecipato al progetto con cui Rem Koolhaas ha realizzato il suo elaborato per il concorso: era un progetto che coinvolgeva molti operatori culturali a Roma, in vari campi. Comunque, è stato un momento molto importante anche il concorso, proprio di riflessione sulle necessità nuove della città. Come tutti sapete, il concorso è stato vinto da Zaha Hadid e il MAXXI ha inaugurato nel Allo stesso tempo, nel 2001 è stato bandito il concorso per l ampliamento del MACRO, che esisteva nei locali riadattati della ex birreria Peroni, e anche il MACRO, il museo de arte della Città di Roma, è stato inaugurato nel Nel 2006 c è stata l inaugurazione del Museo dell Ara Pacis, disegnato da Richard Meier; anche qui un intervento molto criticato, che però, indubbiamente, è stato amato dalla città. È uno spazio che, non soltanto ha un flusso di visitatori importante, ma che è, anche nei suoi spazi esterni, molto amato dalla città, che lo usa come una piazza. Quindi, anche questo elemento di fornire degli spazi con una qualità differente da quelli a cui i cittadini romani sono stati abituati finora ha, secondo me, molto smosso le cose e ha creato un desiderio di contemporaneo. Nel mentre, sempre intorno al volgere del millennio, nascevano molte fondazioni private, fondazioni molto diverse sia da quelle milanesi, che da quelle torinesi, perché sono fondazioni non legate a grandi marchi della moda come nel caso di Milano, fondazioni che non hanno degli spazi museali come quelle di Torino, ma fondazioni legate a un collezionismo privato, che aprono in spazi molto piccoli, molto semplici anche, però con un programma assolutamente indirizzato alla promozione dell arte giovane italiana e internazionale. Sono la Fondazione Nomas, che è nata nel 2008, la Fondazione Giuliani del 2010, il Pastificio Cerere, che nasce con un attenzione particolare alle residenze di artisti, e la Fondazione Depart del Sempre in questi anni nascono delle no profit, non tante, ma importanti, come One to

19 One, come 26cc e molte gallerie nonostante gli anni, anche gli ultimi, siano sicuramente degli anni non semplici per il mercato, soprattutto per quelle gallerie che lavorano sull arte di ricerca e su artisti giovani. Però a Roma hanno aperto invece molti nuovi spazi, da Monitor, che è stata un po l apripista di questa nuova generazione di gallerie, a in ordine sparso, T293, che da Napoli apre la sede romana, Marie-Laure Fleisch, Federica Schiavo, Unosunove, non vorrei dimenticare qualcuno... recentissima l apertura di Frutta, un altro piccolo spazio che però promette molto bene. Quindi, all improvviso, in poco più di 10 anni, Roma cambia radicalmente rispetto agli anni Novanta, in cui ho iniziato a lavorare. È un cambiamento davvero sorprendente, perché all improvviso la città si trova ad avere un sistema dell arte piuttosto articolato, in cui tutte le varie parti sono rappresentate, diciamo ognuna con la sua funzione. Se devo dire, l unica cosa che veramente a Roma ancora manca è la possibilità di accogliere gli artisti; gli artisti romani spesso vanno altrove. Gli artisti del bacino del Mediterraneo, per esempio, che a Roma dovrebbero trovare un approdo quasi naturale, in realtà la saltano per passare ad altre mete. C è una ragione secondo me molto precisa ed è la crisi dell Accademia di Belle Arti, è una crisi di risorse, è una crisi... in certi casi, in passato, è stata anche una crisi qualitativa, e i costi incredibili degli affitti romani... Roma ha un mercato immobiliare che è più costoso addirittura di Milano, per cui è incredibile che un artista debba pagare 1000/1100 euro per uno spazio nemmeno centrale. È evidente che questo rende le cose molto complicate, non esiste nessuna politica di supporto agli artisti in questo senso, nonostante i tantissimi spazi vuoti che il Comune, ad esempio, ha nella città. Questo è un problema molto di base, ma indubbiamente grave, che determina le difficoltà nella creazione di una comunità artistica veramente ricca anche di contributi dall esterno. Questo per raccontare un po la scena romana a chi non la conosce in maniera approfondita. Questi 10 anni hanno creato, comunque sia, anche una nuova attenzione, una nuova affezione, direi anche, da parte di un pubblico che prima certamente non frequentava l arte contemporanea. E tutto questo diciamo che, in qualche modo, è esploso nella primavera dell anno scorso, quando le inaspettate dimissioni di Luca Massimo Barbero dal MACRO e le voci di una crisi grave del museo a pochi mesi dall apertura... Una crisi che si focalizzava soprattutto sull interruzione del processo di trasformazione in fondazione, sul taglio dei fondi, su delle voci peraltro poi rivelatesi infondate sul desiderio della politica locale di influire sulla direzione e sulla programmazione... Comunque, insomma, le voci anche o la realtà dei fatti rispetto alla possibile messa in discussione dell esistenza di uno spazio che, benché rinnovato da poco, aveva comunque già un ruolo importante sulla città, hanno creato un movimento che a Roma, francamente, non aveva precedenti. Un movimento nato da più parti, perché diciamo sull ingerenza politica che sembrava, come dire, allungare la sua ombra su questo museo, si sono ribellati sia gli addetti ai lavori, anche criticati, un gruppo ristretto di addetti ai lavori, che con una lettera pubblica sul giornale ha denunciato lo stato delle cose, ma soprattutto si è formato un numero molto numeroso di... non so come si dice... la mia scarsa frequentazione dei social network qua si dimostra in pieno... comunque un gruppo nato su facebook molto numeroso, che poi è diventato un

20 osservatorio Occupiamoci di Contemporaneo che si è mobilitato in una maniera veramente efficace, riaccendendo la discussione sul museo e tenendo anche, devo dire, sulla corda la politica romana, l assessorato in particolare, chiedendo ragione e facendo domande. Ecco, questo del fare domande è un elemento molto importante, perché, forse, credo che uno dei problemi principali dell attuale situazione, sia quello che non ci sono luoghi, o ce ne sono troppo pochi, proprio per porre domande e soprattutto queste domande, poste alle istituzioni pubbliche, a chi gestisce le politiche dell arte, spesso non hanno risposte chiare. Ecco, è proprio per questo che il movimento di Occupiamoci di Contemporaneo e anche tutte le altre realtà nate intorno a questi temi, a Roma a un certo punto hanno trovato il modo di compattarsi su un progetto, che è il progetto della Consulta Permanente per l Arte Contemporanea. L idea è stata di superare il momento movimentista, che non si è esaurito, perché comunque Occupiamoci di Contemporaneo esiste ancora come osservatorio, ha un sito e funziona perfettamente. Ma la Consulta nasce con un altro obiettivo, quello di porsi come interlocutore, cercato o meno, delle istituzioni, per quanto riguarda appunto le politiche pubbliche legate all arte contemporanea. La Consulta è nata da un assemblea... qua dietro avete visto, anzi, non vedete più, comunque immagini delle varie assemblee che, inizialmente non autorizzate, si sono tenute al MACRO, fino ad arrivare all assemblea costituente che ha dato vita alla Consulta. Consulta che ha 7 membri più altri 7 supplenti, rappresentanti di 7, come possiamo dire, raggruppamenti, categorie, che vanno da quella degli studenti che abbiamo tenuto molto a inserire in questa cosa, proprio perché ci sembrava importante il loro punto di vista, la loro energia, e comunque sia anche la loro proiezione verso il futuro curatori e critici, galleristi, collezionisti, no profit e fondazioni, e artisti, ovviamente. Quindi 7 membri che vengono rieletti ogni 2 anni e che sono autonomi dalla base che li ha eletti nel portare avanti durante questi 2 anni un attività di... Ecco, vi leggo l articolo 2 dello statuto: La Consulta Permanente per l Arte Contemporanea a Roma è un organismo autonomo, che intende contribuire alla funzione di indirizzo nelle politiche pubbliche relative all arte contemporanea e svolgere un ruolo di controllo nell efficace attuazione delle stesse, esprimendo pareri, promuovendo lo sviluppo di un pubblico dibattito su temi rilevanti e formulando proposte in materia. Quindi, obiettivi di controllo, proposta e stimolazione del dibattito, che sono veramente degli elementi che ci è sembrato mancassero completamente in una situazione come quella romana e, devo dire, probabilmente a livello nazionale. L idea è di offrire anche un interlocutore qualificato alle istituzioni pubbliche, appunto, richiesto o meno, perché la possibilità è quella di offrire anche un expertise, in caso di richiesta, ma comunque anche di andare a sottolineare o a chiedere conto di anomalie che esistono nella gestione delle politiche dell arte contemporanea. Gli esempi sono tanti, io non vorrei soffermarvi su dei casi particolari, però, devo dire, i musei romani, per esempio, sono musei che non hanno mai fatto un bando per nessuna delle posizioni che offrono anzi, che non offrono sono sempre state fatte delle chiamate dirette con delle procedure completamente oscure a chiunque. Insomma, questo è soltanto uno dei tanti punti. Ma altrettanto non trasparenti sono anche le linee legate alle acquisizioni delle opere nelle collezioni dei

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