COME GUARDARE AL GOVERNO MONTI? Alcune riflessioni con molti documenti.

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1 COME GUARDARE AL GOVERNO MONTI? Alcune riflessioni con molti documenti. A distanza di alcuni mesi dall insediamento del nuovo governo italiano e dopo una ben cospicua serie di misure prese dallo stesso, mi sono chiesto da semplice cittadino quale idea mi fossi fatto del nuovo esecutivo. Quelle che seguono sono delle riflessioni che ho ritenuto non dovessero rimanere personali ma fosse opportuno diffondere tra i lettori del sito e, eventualmente, farne oggetto di discussione collettiva, considerato che le misure già adottate e quelle che fra breve verranno coinvolgono la vita di tutti i cittadini ed è bene che questi se ne interessino e mostrino partecipazione. Nella esposizione del mio pensiero mi sono avvalso delle considerazioni espresse recentemente da qualificati editorialisti ed esperti di economia e diritto del lavoro. Ho lasciato quasi per intero alcuni dei loro interventi pubblicati sui quotidiani perché le opinioni espresse con continuità mantengono chiarezza e migliore comprensione degli argomenti trattati. In molti abbiamo salutato l avvento del governo Monti con un sospiro di sollievo perché desse dignità ad una nazione gravemente colpita nel immagine internazionale e procedesse con equità e giustizia al risanamento economico dello Stato affrontando anche una serie di riforme condivise dai partiti e dai cittadini. Dobbiamo riconoscere che nel consesso internazionale l Italia non è guardata più come una nazione zimbello e senza affidabilità come accadeva con il precedente governo, per cui l immagine positiva odierna è da ascrivere all azione e ai comportamenti di Monti e del suo governo. Moltissimi cittadini, pur dovendo sopportare sacrifici immediati e futuri, hanno guardato con fiducia e rispetto all azione del nuovo governo con la speranza che, dopo un primo momento dettato dall urgenza di fare cassa, l azione fosse rivolta anche verso i privilegi, gli sprechi, i poteri forti, le lobby, le clientele, le varie corporazioni e dove si annidano patrimoni e soldi a palate che sfuggono in gran parte al fisco. In primis sono stati colpiti soprattutto i lavoratori dipendenti (riforma pensioni: ben tre interventi sul sistema pensionistico negli ultimi cinque mesi del 2011) e i pensionati, cioè le categorie che ogni mese subiscono le trattenute alla fonte senza poter sfuggire al fisco in alcun modo. Le altre categorie (autonomi, professionisti, ecc.) versano l Irpef solo al momento della dichiarazione dei redditi e a dicembre. Per incamerare subito soldi (fare cassa) la cosa più semplice, perciò, era agire su chi già le tasse le paga mensilmente. Da dove arriva infatti l IRPEF? L 82% da Dipendenti 1

2 e Pensionati; da Autonomi, Impresa, Partecipazioni e Altri si ricava complessivamente solo il 18%. IRPEF Dati in % Fonte: Agenzia delle entrate anno Dipendenti Pensionati Autonomi Impresa Partecipazioni Altri ,59 27,07 4,19 4,58 5,16 6, ,51 27,29 4,39 4,24 4,99 5, ,18 28,51 4,30 3,79 4,51 5,72 Ma una volta stabilizzati i conti ai fini del risanamento e il pareggio di bilancio, ci saremmo aspettato qualche intervento mirato in altra direzione che non fosse quella solita del lavoro dipendente. In nome della BCE o dell UE si varano oggi misure, ci dicono, per adeguarsi alle normative degli altri stati, ma all adeguamento del sistema fiscale o ancora meglio dei salari e degli stipendi quando ci pensano? Perché un docente, un operaio, un impiegato italiano deve percepire quasi la metà dell equivalente tedesco o francese? L adeguamento deve valere solo per limitare i diritti del lavoratore? Perché non si estendono anche i diritti esistenti in Francia, Germania, Danimarca ecc. quali un sistema di ammortizzatori sociali adeguato o un sistema collaudato e coperto di flexsecurity scandinavo (in Francia e in Germania e in forme diverse nei Paesi scandinavi esiste sussidio di disoccupazione, tutela della maternità, sostegno alle giovani coppie e altri strumenti similari che in Italia non esistono, per tutelare i gruppi più svantaggiati). Qui la priorità sembra essere l art. 18. Il caso dell art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n 300) Vero o falso problema? Vediamo i numeri: su 160 mila cause di lavoro pendenti solo 300/500 sono attivate ai sensi dell art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Vi sembra un problema reale per il sistema delle imprese e per lo sviluppo? L'articolo 18, cioè l'obbligo di reintegrare il lavoratore, resterà solo nei licenziamenti per motivi discriminatori, e varrà per tutte le aziende, comprese quelle con meno di 15 dipendenti. Ma a questa estensione "dimensionale" della tutela corrisponde una limitazione di quella "funzionale". Nei licenziamenti per motivi disciplinari soggettivi toccherà al giudice decidere se applicare la reintegra o l'indennizzo. E nei licenziamenti per motivi economici oggettivi scatterà solo l'indennizzo. Proprio quest'ultima è stata la molla che ha fatto scattare il no della Cgil. Sarebbe ingeneroso liquidare questo no come il solito riflesso pavloviano di una deriva sindacale massimalista e conservatrice. In questo nuovo schema l'articolo 18, di fatto, non viene "manutenuto", ma manomesso. I diritti si trasformano in moneta. Una forzatura paradossalmente accettabile, in un Paese che cresce a ritmi del 3% e crea un milione di posti di lavoro l'anno, o in un Paese che ha un sistema collaudato e coperto di flexsecurity scandinavo. Non nell'italia di oggi, in piena recessione, con una disoccupazione giovanile del 29,7% e un nuovo sistema di ammortizzatori sociali che entrerà a regime solo nel In queste condizioni, la "via bassa" della 2

3 produttività e della competitività scelta finora dalle imprese espone i lavoratori a un rischio oggettivo: qualunque crisi aziendale sarà regolata con i licenziamenti per motivi economici, al "prezzo" di un indennizzo che costerà poco più di un qualunque pre-pensionamento. Questo aspetto non può essere trascurato, in un sistema produttivo che investe assai poco (negli ultimi dieci anni la quota di ammortamenti dell'industria è calato dal 6 al 3,7% rispetto al fatturato) e che già ora tende a far pagare ai più deboli il conto della crisi. E stupisce che il premier giustifichi la decisione di scardinare l'articolo 18 con la necessità di far cadere un impedimento "vero o presunto" agli investimenti esteri in Italia. Non si comprime un diritto, in nome di una "presunzione". Se c'è anche solo un ragionevole dubbio che per le imprese straniere l'articolo 18 sia "un alibi" per non investire, allora le si convince con la forza dei numeri. E i numeri, oggi, dicono che su 160 mila cause di lavoro pendenti solo 300/500 sono attivate ai sensi di quella norma, che dunque è un falso problema. È al Parlamento che questo governo risponde, ed è in Parlamento che questo governo si andrà a cercare i numeri che servono a far passare questa riforma. È un principio incontestabile. La sovranità del potere legislativo non è in discussione. l'impressione che in una parte del governo e del Parlamento vi siano forze che animate da una rivincita ideologica spingono per "dare una lezione" alla Cgil è forte, e non da oggi. Come è forte l'impressione che all'esecutivo, in fondo, non dispiaccia presentare a Bruxelles e ai mercati una riforma del lavoro accompagnata dallo "scalpo" del sindacato più importante, da esibire come un trofeo di "guerra". (Massimo Giannini, la Repubblica, 21/03/2012) Infatti il peso e l'importanza dell'articolo 18 è pressoché irrilevante. I casi in cui è stato applicato il reingresso nel posto di lavoro negli ultimi dieci anni non arrivano al migliaio e soprattutto non ha mai avuto ripercussioni sullo sviluppo dell'economia reale e sui suoi fondamentali. In vigenza di quell'articolo gli investimenti, i profitti, il livello dei salari, le esportazioni, i consumi, sono andati bene o male per cause completamente diverse. Quanto alla giusta causa, la cui presenza può consentire un licenziamento e la cui assenza può renderlo possibile, essa è già contenuta in leggi precedenti all'articolo 18 e può essere sempre sollevata dinanzi al magistrato. Conosco bene l'obiezione di Monti: i mercati vogliono un segnale che li rassicuri sulla fine dei poteri di veto del sindacato, vogliono cioè la fine della concertazione con le parti sociali. Non credo che attribuire ai mercati questa richiesta corrisponda a verità. I mercati non sono un soggetto unitario, ma una moltitudine di soggetti ciascuno dei quali è portatore di una propria visione e d'una propria valutazione. Mi domando piuttosto che cosa accadrebbe se le conseguenze di quella norma determinassero uno sconquasso sociale. Infine osservo che l'articolo 1 della Costituzione recita che l'italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Si tratta d'una banalità o d'un principio che deve ispirare il legislatore? per i licenziamenti motivati da ragioni economiche il sistema tedesco prevede un tentativo di conciliazione tra l'imprenditore e il sindacato d'azienda; in caso di fallimento (secondo le statistiche le trattative fallite sono soltanto l'11 per cento dei casi) si va dal magistrato del lavoro che può annullare il licenziamento (reingresso) o stabilire un congruo indennizzo.(eugenio Scalfari, la Repubblica, 25/03/2012) Perfino Giorgio Squinzi, neo eletto alla guida di Confindustria afferma: Comunque non credo che sia l articolo 18 a fermare lo sviluppo del paese Cos è che ferma lo sviluppo del paese? 3

4 In primo luogo la troppa burocrazia. Poi la mancanza di infrastrutture. E il costo eccessivo dell energia. Su queste cose occorre lavorare. Penso al caso della British Gas che dopo dieci anni se n è andata da Brindisi perché non arrivavano i permessi. Con la disoccupazione devastante di oggi, con le fabbriche che chiudono e i licenziamenti di migliaia di lavoratori a cui assistiamo, bisogna veramente credere che oggi il problema principale per creare sviluppo e occupazione è rappresentato dalla modifica dell art. 18 che riguarda solo pochissimi casi tra milioni di lavoratori? Veramente crediamo che non si investe in Italia per via dell art. 18? O per l eccessivo costo della manodopera? E com è che in Germania tutte le case automobilistiche, nonostante la crisi internazionale attuale, hanno stabilito record di volumi di affari con boom di vendite nei mercati emergenti, bonus distribuiti agli operai (7500 euro a testa) e decine di migliaia di nuove assunzioni? Non sono fabbriche delocalizzate in altre parti del mondo, ma operanti in Germania con stipendi e salari che sono il doppio di quelli degli equivalenti italiani. Forse perché non sono garantiti dall art. 18 come in Italia? E allora, se questo è il problema prendiamo a prestito il modello tedesco. Ma stranamente il governo Monti e in primis la ministra Fornero non ne vogliono sentir parlare. Si tratta, allora, di colpire un simbolo, un tabù. La contesa sull art. 18 è puramente simbolica? Oppure, come prospettato da alcuni, nella volontà governativa c è un intento pedagogico? Cioè, cambiare la mentalità degli italiani. In questo caso, la lezione a chi va data? A tutti gli italiani? Siccome il PDL e Confindustria sono d accordo sulla modifica all art. 18, la lezione è rivolta al sindacato, al popolo del centrosinistra, a chi vuole accanitamente lavorare e non lasciare il posto di lavoro? Solo ai lavoratori dipendenti? A chi già soffre per le condizioni di lavoro, a chi teme di perdere il posto, a coloro che le tasse le pagano mese per mese? Dopo il primo tempo con lacrime e singhiozzi, dichiara in un altra puntata la ministra Fornero: le tensioni sociali mi creano angoscia. Figurati a chi rischia il posto di lavoro o viene licenziato con la nuova normativa che vorrebbe fare applicare. Non si tratta di sola questione di soldi, ma di dignità dell uomo. «Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio» ha detto l'arcivescovo Giancarlo Bregantini, capo commissione Cei per il Lavoro, sulla riforma Fornero. «In politica ha detto a Famiglia Cristiana l'aspetto tecnico sta diventando prevalente sull'aspetto etico». Bregantini, presule di Campobasso e già a Locri in prima fila contro la criminalità ha speso parole che fino ad oggi nessun vescovo aveva espresso: «Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati elegantemente, con un eufemismo, "flessibilità in uscita", se il lavoratore è persona 4

5 o merce». La dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale. "Nella riforma del governo c'è un evidente profilo di incostituzionalità che riguarda i diritti di cittadinanza, non quelli legati al lavoro, e che non può reggere nemmeno il più elementare degli esami di diritto costituzionale" afferma l'avvocato Gianluigi Pellegrino a proposito della disposizione sull'articolo 18 per i licenziamenti economici. Pellegrino richiama gli articoli 24 e 3 della Costituzione e chiarisce: "La riforma ha fatto una scelta, quella di rendere più flessibile l'uscita, ma non di renderla senza criteri o arbitraria. Una volta che si sceglie di passare al sistema di lasciare al giudice l'opzione reintegro o indennizzo si deve farlo per tutti, lo dice la Costituzione, oppure ci si trova di fronte all'arbitraria liberalizzazione del sistema". Il legale sottolinea che "quella formulazione non può reggere, qualunque giudice direbbe che non si può individuare un criterio generale e poi un meccanismo che lo elude. È come mettere una cellula tumorale in un sistema sano". Caro direttore,un mio diritto ed il potere del giudice a riconoscerlo possono dipendere dalla mera volontà del mio avversario in causa? Sicuramente no per fondamentali principi costituzionali. È allora in poche righe del documento approvato dal Governo il 23 marzo la sostanziale confessione dell incostituzionalità (che sembra davvero manifesta) della previsione che si vorrebbe inserire nel nuovo testo dell art. 18, là dove a pag. 10 si legge che ad assumere importanza decisiva ai fini dell intensità della tutela cui il lavoratore avrà diritto è la motivazione attribuita al licenziamento dal datore di lavoro. Questo infatti vuol dire, come esplicitato nello stesso capitolo del testo governativo, che a parte l ipotesi del licenziamento discriminatorio o disciplinare camuffato, in tutti gli altri casi di licenziamento pure manifestamente illegittimo perché arbitrario (non essendovi né ragioni disciplinari né ragioni economiche per disporlo), il diritto del lavoratore al possibile reintegro viene assurdamente condizionato al tipo di bugia che l imprenditore ha ritenuto di inserire nella lettera di licenziamento (appunto la decisiva motivazione attribuita al licenziamento dal datore di lavoro ). Se il datore di lavoro avrà arbitrariamente allegato inesistenti cause disciplinari allora il lavoratore ha diritto al reintegro; se invece l imprenditore avrà allegato, altrettanto arbitrariamente, inesistenti ragioni economiche, solo per questo il reintegro è escluso! L incostituzionalità è quindi intrinseca a questo progetto di riscrittura dell art. 18 e riguarda i cittadini in quanto tali prima ancora che come lavoratori. Princìpi fondamentali della nostra Costituzione impediscono che l ambito di tutela di ciascuno di noi dipenda dalla volontà della nostra controparte (art. 24). Ed è sempre la Costituzione che impedisce che situazioni identiche vengano trattate in modo diverso (art. 3). E non c è dubbio che un licenziamento privo dei requisiti di legge, lo è allo stesso modo a prescindere da quale sia la falsa allegazione che lo supporta. Il progetto del Governo invece consegnerebbe la seguente assurda situazione. Se un imprenditore vuole semplicemente licenziare (non per discriminazione ma) per semplice voglia di farlo senza che ve ne siano le sole ragioni che l ordinamento prevede per giustificarlo, ebbene l ambito di tutela del lavoratore dipenderà incredibilmente da quale falsa ragione il datore di lavoro deciderà di allegare nell illegittimo ben servito. Se scriverà che è per ragioni disciplinari, il giudice che ne accerta l inesistenza potrà reintegrare il lavoratore. Ma se invece il capo azienda scriverà che è per ragioni economiche, il diritto al reintegro del lavoratore svanirà di incanto, e il giudice che pure accerti 5

6 l inesistenza anche di quel motivo, viene per legge costretto a poter accordare solo l indennizzo. E ciò solo in ragione di ciò che il datore di lavoro ha (falsamente) dichiarato. L incostituzionalità è quindi intrinseca nel progetto del Governo per una sua clamorosa contraddittorietà interna. Perché da un lato afferma il giusto principio generale in base al quale in caso di licenziamento illegittimo può esservi anche il diritto al reintegro (a seconda dei casi che verranno accertati dal giudice); però poi d improvviso crea una fessura dove questo diritto svanisce di incanto e per sola volontà della parte che ha interesse a farlo svanire. Una fessura che all evidenza rischia di diventare voragine contraddicendo lo stesso impianto che il Governo ha stabilito di seguire. A ciò si aggiunga che la salvaguardia infine inserita dal Ministro Fornero per i casi in cui il lavoratore riesca a dimostrare che si sia camuffato un licenziamento discriminatorio o disciplinare, non solo non risolve la questione ma rende l ingiustizia ancora più clamorosa. Ed infatti arriviamo al paradosso che dinanzi a un licenziamento non discriminatorio ma arbitrario che allega inesistenti ragioni economiche, ha maggiore tutela il lavoratore che possa dire di essersi macchiato di qualche colpa disciplinare rispetto a quello che invece nessuna colpa possa attribuirsi! Il punto è che Costituzione alla mano, a parte le ipotesi di nullità del licenziamento per discriminazione, tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo devono avere lo stesso ambito di tutela, quale esso sia. È senz altro legittima l opzione del Governo di passare da un sistema che prevede sempre il reintegro ad un sistema più flessibile dove l intensità della tutela è affidata al giudice del caso concreto. Ma così deve essere sempre, in tutti i casi di licenziamento illegittimo. Non può certo una delle parti in causa determinare quali siano i diritti della controparte e quali siano i poteri del giudice, pena la frontale violazione dell art. 24 della Costituzione che garantisce ad ogni cittadino (lavoratore o meno che sia) la quantità e l intensità delle tutele apprestate dall ordinamento, non certo dalla volontà del suo avversario in causa. È davvero sorprendente che si stia creando tutto questo sconquasso su una ipotesi normativa che per come progettata non supererebbe il più elementare degli esami di costituzionalità. (Gianluigi Pellegrino, la Repubblica, mercoledì 28 marzo 2012) Quali assicurazioni possono dare il Presidente della Repubblica, il Presidente del consiglio, il ministro del lavoro sulla reale volontà dell agire degli imprenditori una volta fatta la legge e modificato l art. 18? Il loro sembra come un invito a non peccare rivolto agli imprenditori, ma sappiamo che tale invito non basta, e non serve, considerata la mole dei peccatori e la coscienza etica di gran parte di loro: il valore denaro per primo, poi eventualmente il resto. Certo, non siamo negli anni Cinquanta e non sono immaginabili licenziamenti di massa per rappresaglia ma non andrebbero sottovalutati i rischi impliciti nelle parole. I confini fra discriminazioni antisindacali, ragioni disciplinari e motivi economici si sono mostrati talora molto labili, e Sergio Marchionne ci ha ricordato spesso quel personaggio di Lewis Carroll che in Alice nel Paese delle Meraviglie dice: «Quando io uso una parola, questa significa esattamente quello che decido io». Bisogna vedere se lo puoi fare, cerca di obiettare Alice: «Bisogna vedere chi comanda... è tutto qua», le risponde Humpty Dumpty. La limitata applicazione attuale dell' articolo 18, infine, appare una buona ragione per mantenerlo, non per abbandonarlo: la sua stessa esistenza contribuisce infatti a disincentivare licenziamenti arbitrari.. E un Paese oppresso, e quasi travolto, dalle macerie di una pessima politica, ha un bisogno estremo di una "pedagogia per il futuro" e di indicazioni limpide sul terreno della equità 6

7 sociale. Su quest'ultimo aspetto, su cui il presidente del Consiglio Mario Monti si è impegnato sin dall'avvio, i segnali che sono venuti non sono univoci e hanno sollevato più di un dubbio. Hanno lasciato un sapore amaro, inutile nasconderlo, alcune "non scelte" sul terreno delle liberalizzazioni. E in una difficile emergenza nazionale, che ha portato a interventi molto incisivi sulle pensioni, è difficile comprendere i passi indietro in materia di commissioni bancarie, taxi o farmacie. Per questo le preoccupazioni sono oggi legittime ed è fondata l'esigenza che le modifiche all'articolo 18 siano molto più attente. Sembra comprenderlo anche il nuovo presidente della Confindustria ed è un segnale confortante, così come sarebbero importanti ulteriori avvicinamenti fra le organizzazioni sindacali. Il confronto in corso non riguarda dunque, da tempo, un "potere di veto" corporativo, che si è manifestato semmai in altri e ben diversi settori, ma la capacità del governo di costruire prospettive riconoscibili: prospettive capaci di non sacrificare i settori più deboli e di ribadire che proprio le crisi economiche e politiche rendono preziosi i diritti. Senza questa forte ed esplicita direzione di marcia perderebbe molto valore quella estensione delle norme a tutti i lavoratori che è stata invece importante e che non sarebbe giusto ignorare. Le scelte del governo Monti, infine, sono destinate a influire anche sul "dopo Monti", ed è importante il modo con cui il centrosinistra e lo stesso Terzo polo lo aiutano: anche opponendosi con decisione, quando è necessario, a scelte non sufficientemente equilibrate. Non sufficientemente coerenti con quel progetto di ricostruzione generale, non solo economica, cui il governo e il Paese sono chiamati. (Guido Crainz, la Repubblica, 26 marzo 2012) Il capo economista dell Ocse Pier Carlo Padoan avverte che il vero freno all ingresso degli investitori stranieri in Italia è la corruzione, non certo la rigidità del mercato del lavoro. Nonostante questo monito autorevole, proveniente da un organismo sovranazionale, la riscrittura dell articolo 18 e l abolizione dell obbligo di reintegro nel caso di licenziamenti «per motivi oggettivi o economici» vengono considerate priorità assolute da Monti e Fornero. Con una definizione così «lasca» del diritto a licenziare da parte delle imprese, basterà esibire al giudice un bilancio in rosso per mandare a casa un po di lavoratori. (Massimo Giannini, la Repubblica) Se il Paese non è pronto a queste riforme sono pronto a lasciare annuncia Monti. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale. La seconda è il carico improprio di ideologismo con cui la destra sta avviluppando quella che chiama "la libertà di licenziare", e che rischia di trasformare l'articolo 18 in un nuovo tabù, questa volta rovesciato. Per la "feroce gioia" di chi non guarda al lavoro ma intende solo regolare per legge conti sospesi dal secolo scorso con la sinistra e con il sindacato. Occorre tornare in fretta al merito del problema, de-ideologizzandolo. Il modello tedesco non penalizza certo la produttività e la competitività delle imprese, ma lascia al giudice la possibilità di decidere il reintegro per il licenziamento economico, se si rivela illegittimo. È la forza del buonsenso governante: il Paese è già "pronto". (Ezio Mauro, la Repubblica, 27/03/2012) Ma anche la lettera della BCE, invocata dal governo, dalla Confindustria e da qualche partito per giustificare l intervento sull art. 18, si limita a fissare degli obiettivi e non come raggiungerli: Dovrebbe essere adottata un'accurata revisione delle norme 7

8 che regolano assunzione e licenziamento stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro ; questo dice la lettera e non c è giustificazione alcuna per l accanimento contro un diritto qual è quello rappresentato dall art. 18 la cui importanza ai fini dello sviluppo è pressoché irrilevante. È il complesso dei provvedimenti sul mercato del lavoro e, in particolare, le misure di ingresso al lavoro dei giovani, che può produrre crescita eliminando storture e anomalie di contratti vari (co.co.co., co.co.pro. e via di seguito) che quando furono istituiti furono giustificati con la flessibilità per facilitare l occupazione giovanile. Abbiamo visto tutti quale tipo di flessibilità abbia prodotto quella decisione; meglio sarebbe parlare più propriamente di precarietà e sfruttamento. Il comportamento del governo sulle altre tematiche Il comportamento tenuto dal governo in tema di riforme è stato univoco? Oppure verso alcuni temi il governo mostra un accanimento non facilmente riconducibile a equità e giustizia? Se sulla riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro il governo Monti si è mostrato deciso trovando via libera da parte dei tre partiti di maggioranza, identico atteggiamento non c è stato invece per altri interventi di riforma. Su professioni, taxi e farmacie abbiamo fatto cambiare idea al governo titola il Corriere della Sera del 23 marzo 2012 riportando una dichiarazione di Maurizio Gasparri, Pdl. E ancora: Banche, raggiunto l'accordo sulle commissioni Il governo ha accolto l'ordine del giorno della maggioranza che chiede di intervenire «in tempi rapidi» per cancellare l'articolo che azzera le commissioni sui prestiti e ha portato alle dimissioni dei vertici dell'abi, l'associazione delle banche. Ha scritto Massimo Giannini su la Repubblica: «Tra fine dicembre 2011 e fine gennaio 2012 gli istituti di credito italiani hanno comprato Btp e altri titoli di Stato per 28 miliardi di euro, aumentando lo stock mensile da 209 a 237 miliardi. Nello stesso mese di gennaio hanno comprato bond bancari e riacquistato obbligazioni proprie per 41 miliardi. Totale degli investimenti: 69 miliardi. All incirca la stessa cifra che le banche hanno prelevato, al netto degli altri prestiti riconvertiti, dagli sportelli della Bce il 21 dicembre scorso, il giorno del primo Ltro (Long term refinancing Operation, ndr). Eccolo, dunque, l audace colpo messo a segno dai signori del credito. Hanno usato i fondi che Mario Draghi ha opportunamente messo a disposizione per mettere in sicurezza il sistema bancario nei prossimi tre anni non tanto per dare più ossigeno all economia, ma per arricchire i propri portafogli. Prendendo soldi dall Eurotower all1% e reinvestendoli in BTP al 4,5-5%». Non contenti di questo le associazioni bancarie hanno protestato contro la norma del decreto legge sulle liberalizzazioni che sospendeva le commissioni sugli 8

9 affidamenti. E il governo li ha subito accontentati reintroducendo le commissioni bancarie. Chiunque abbia un conto corrente bancario sa che sui depositi della persona il tasso di interesse concesso oggi è dello 0,01%, praticamente zero. Ma sui prestiti concessi dalle banche o sui fidi a quanto ammonta il tasso di interesse che il cittadino deve pagare? Una misura sproporzionata. Non è proprio possibile imporre misure eque? Scrive sempre Massimo Giannini su la Repubblica Affari e Finanza: Lo Stato italiano ha dovuto rimborsare 2,6 miliardi di euro alla Morgan Stanley per una perdita su un derivato di cui non si conosceva l esistenza, finché l agenzia americana Bloomberg non ne ha data pubblica notizia. È giusto che uno Stato investa miliardi e miliardi di denaro pubblico in strumenti finanziari di quel genere? Ed è giusto che i cittadini, ai quali in definitiva quel denaro pubblico appartiene, non sappiano a quanto ammonta l esposizione del Tesoro in queste forme di investimento, né sappiano se e quanto lo Stato ci guadagna o se e quanto invece lo Stato ci perde? Replicando a un interpellanza presentata alla Camera da Antonio Borghesi dell Idv, Marco Rossi Doria ha reso noto che l esposizione della Pubblica Amministrazione in titoli derivati ammonta a 160 miliardi di euro. Giudico il «merito» dei 160 miliardi: nulla in valori relativi, se si confrontano con i miliardi di titoli di ogni tipo attualmente in circolazione. Molto in valori assoluti, se si considera che ogni italiano (neonati compresi) già sopporta un macigno gigantesco da oltre 32 mila 500 euro di debito pubblico, e che ogni aggravio di costo è un sassolino in più che si aggiunge e che pesa sulle spalle dei «soliti noti». al Tesoro ci sono diversi dirigenti, tra quelli che decidono cosa e quanto comprare, che provengono dalle stesse banche d affari dalle quali si acquistano quei derivati. A suo modo, un altra forma di conflitto di interessi. È troppo chiedere al ministro ad interim di occuparsi anche di questi non trascurabili «spread» di etica pubblica? In merito agli interventi e all attività del governo Monti scrive Lina Palmerini su Il sole 24 ore del 22/03/2012, titolando: La lettera dell Eurotower. Mancano le privatizzzaioni su larga scala Conti, pensioni, lavoro: attuate (quasi) tutte le indicazioni Bce Erano i primi di agosto quando fu recapitata al Governo Berlusconi la "lettera della Bce" firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Nessuno, allora, ne conosceva il contenuto che divenne pubblico quasi due mesi dopo scatenando enormi polemiche nel centro-destra, accentuando la distanza tra Silvio Berlusconi e l'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti e mettendo sul tavolo con nettezza il tema della sovranità nazionale limitata. il "programma Bce" appariva troppo pesante da digerire innanzitutto per le misure prospettate ma anche perché erano state appena varate due manovre. Dunque, un conto troppo salato. Ma lo era solo per i partiti, in effetti. Tant'è che adesso a rileggere quella lettera e a confrontarla con le misure decise da Mario Monti quei compiti a casa "made in Francoforte" li abbiamo quasi completati. E con una puntualità applicata non solo ai contenuti ma perfino allo strumento legislativo. «Vista la gravità della situazione scrivevano Trichet e Draghi le misure siano prese con decreto legge». E infatti, finora, quasi tutti i provvedimenti, dal salva-italia alle liberalizzazioni, sono approdati in Parlamento con la corsia rapida del decreto. Con decreto, per esempio, è passata la riforma delle pensioni: un fatto mai accaduto prima soprattutto se si considera che non ci fu l'accordo con i sindacati e furono fatte 9

10 solo tre ore di sciopero. Tra l'altro, la riforma-fornero ha ricalcato e superato la lettera della Bce che chiedeva di «rendere più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità» oltre che innalzare l'età di pensionamento delle donne nel settore privato. Punto realizzato. Così come si è rispettato quello sulla «liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali» visto che in queste ore si sta votando proprio il decreto cresci-italia. Manca solo qualcosa: quelle «privatizzazioni su larga scala» riguardo alla fornitura di servizi locali pure scritte nella missiva. E domani arriverà quel «ridisegno dei sistemi fiscali» che la Bce suggeriva caldamente per «accrescere il potenziale di crescita», come scritto al primissimo punto di una lettera dettagliata che offriva una sponda sui titoli italiani in cambio di un piano doloroso. Doloroso come il capitolo-lavoro, che oggi appare davvero molto aderente ai consigli di Francoforte. Leggiamo la lettera: «Dovrebbe essere adottata un'accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione». E in effetti il Governo con la sua proposta non solo ha rivisto la flessibilità in entrata ma ha modificato l'articolo 18 togliendo il diritto al reintegro nei casi di licenziamenti "economici". Insomma, l'amaro calice è stato quasi del tutto bevuto, a partire dall'anticipo al 2013 del pareggio di bilancio (garantito con il salva-italia) e pure il suo inserimento in Costituzione (siamo alla terza lettura). All'appello ciò che davvero manca è quella stretta sul pubblico impiego «con un significativo taglio dei costi, se necessario, riducendo gli stipendi». Nei fatti ci sono stati degli stop agli aumenti contrattuali mentre sul tetto agli stipendi dei super-dirigenti si è ancora in stand by. Così come non sono state abolite o accorpate le Province ma solo ridotte al rango di organi rappresentativi e non più elettivi. Nel complesso, però, la lettera è stata tradotta in fatti molto più di un qualsiasi programma elettorale. Dinanzi alla situazione attuale non sarebbe il caso di intervenire con urgenza affrontando il problema gravissimo del Finanziamento pubblico dei partiti specie alla luce di quanto accade in questi giorni (indagini sull ex Margherita e sulla Lega, per ora) per la gestione di milioni di euro senza alcun controllo da parte degli organi istituzionali? Si tratta di denaro dei cittadini, di coloro che pagano le tasse, che vanno ad impinguare i patrimoni privati di politici e notabili di partito. Ci sono iniziative governative in merito? Cosa dire, poi, dei tagli alla politica per cui era stata nominata una Commissione parlamentare che doveva svolgere un indagine comparata degli emolumenti dei parlamentari italiani e di quelli delle altre nazioni europee. Risultato diffuso in questi momenti: Rimette il mandato al governo l'organismo presieduto da Enrico Giovannini, che doveva pronunciarsi sugli stipendi di parlamentari e amministratori pubblici. Nessun esito per "i vincoli della legge, l'eterogeneità delle situazioni e le difficoltà nella raccolta dati". Abbiamo capito bene? Altro problema quello delle frequenze televisive che Berlusconi voleva assegnarsi gratuitamente (a differenza di quanto deciso in altre nazioni), il cosiddetto beauty contest. L assegnazione è stata bloccata ma ancora non è stato deciso come 10

11 operare. Situazione simile per la RAI su cui ancora si perde tempo ad intervenire nonostante la preoccupante situazione economico finanziaria e gestionale. Ovviamente pesa lo stop del PDL che in nome dell interesse del privato lascia da parte l interesse pubblico. Stessa cosa accade per la riforma della giustizia dove la proposta del nuovo ministro giace ferma evidentemente per il veto posto sempre dal PDL. Eppure, quella della giustizia è una riforma che riguarda anche lo sviluppo e che tanti investitori, soprattutto stranieri, invocano e aspettano che sia adeguata alla legislazione degli altri paesi europei. E riguardo alla corruzione dilagante, sia in politica che in altri settori, perché i provvedimenti che pur esistono non vanno avanti con la stessa solerzia usata per altri? Il vero freno all ingresso degli investitori stranieri in Italia è la corruzione, non certo la rigidità del mercato del lavoro. (Pier Carlo Padoan, capo economista dell Ocse) Il disastro della Fonsai (famiglia Ligresti) è persino peggio del crack del San Raffaele. La terza compagnia d assicurazione italiana, quotata in Borsa, è stata trasformata nel Bancomat personale di Don Salvatore e dei suoi ragazzi, che in dieci anni hanno succhiato dalle casse societarie oltre 400 milioni, e negli ultimi due esercizi l hanno portata a perdere più di 2 miliardi. Nel silenzio cieco della Consob e dell Isvap, si è consumato l ennesimo scandalo del capitalismo di relazione. Con i presidenti di entrambe le sedicenti «authority amministrative indipendenti» impegnati non a vigilare e a sanzionare, com era loro dovere, ma a piazzare i rispettivi figli nel libro paga dagli stessi Ligresti. Ora, mettendo insieme lo scandalo Fonsai, la corruzione dilagante, e la libertà di licenziamento giustificata da crisi economica, una domanda al governo sorge spontanea: cosa aspetta a reintrodurre nel nostro ordinamento il reato di falso in bilancio, di fatto depenalizzato nel 2002 dall allora premier ad personam Silvio Berlusconi per difendersi dai suoi processi? Cosa aspetta a riallineare l Italia alle ben più severe norme penali vigenti nel resto dell Occidente? Come ha ricordato il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco la settimana scorsa, «senza il falso in bilancio la corruzione non si può combattere». Alla Camera giace un disegno di legge dell Italia dei Valori, che sarà discusso solo a maggio. Ma il Guardasigilli Severino ha già annunciato che sul falso in bilancio «indietro non si torna». Gentile ministro della Giustizia, ci spiega perché dobbiamo rispettare i vincoli europei sui bilanci dello Stato, ma possiamo non farlo sui bilanci delle imprese? (Massimo Giannini, la Repubblica) Vogliamo aggiungere qualcosa su altri problemi sollevati da improvvide dichiarazioni di qualche ministro o viceministro su figli mammoni, sfigati, familismo e corruzione? Ad esempio, Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà, e altre amenità del genere. Viene il dubbio davanti a tali dichiarazioni che chi le profferisce non viva tra la gente ma in qualche salotto ristretto. Noi invece sappiamo quanti dei nostri figli sono dovuti emigrare per lavoro. Del viceministro Michel Martone non sappiamo per quali meriti copra un tale incarico, ma sappiamo che grazie al padre, magistrato di Cassazione e in seguito presidente del Civit (Commissione ministeriale sulla trasparenza nella pubblica 11

12 amministrazione), nel 2009 ha ottenuto una consulenza di 40 mila euro dall allora ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta per «interventi in materia di digitalizzazione nel settore pubblico dei Paesi Terzi». E proseguendo l elenco delle cose non fatte ancora, che fine ha fatto la patrimoniale di cui parlava Monti all inizio della sua avventura politica? A questo riguardo è significativo dare uno sguardo e riflettere con attenzione sui dati forniti di recente dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell Economia sulla base delle dichiarazioni IRPEF anno 2011 relative ai redditi del 2010: circa 41,5 milioni di contribuenti hanno assolto direttamente l'obbligo dichiarativo attraverso la presentazione dei modelli di dichiarazione Unico e 730, ovvero indirettamente attraverso la dichiarazione dei sostituti d'imposta (Modello 770). circa 10,7 milioni di contribuenti (il 25,8%, cioè oltre un quarto) "hanno imposta netta pari a zero", in pratica non pagano l'irpef (si tratta di contribuenti a basso reddito compresi nelle soglie di esenzione o la cui imposta lorda si azzera con le numerose detrazioni del Fisco). Un terzo dei contribuenti (circa 14 milioni) invece non supera i euro. il 49% dei contribuenti italiani (cioè circa la metà, corrispondenti a 20,2 milioni) ha un reddito complessivo lordo annuo che non supera i euro l'anno. Il 30% dei contribuenti (circa 12,5 milioni) dichiara redditi compresi tra i ed i euro; il 20% (8,3 milioni di soggetti) dichiara redditi compresi tra i ed i euro. solo l'uno per cento dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100mila euro; e sono soltanto i soggetti (lo 0,07% del totale dei contribuenti) che dichiarano oltre 300mila euro. I contribuenti con redditi fino a euro (86% del totale contribuenti con imposta netta) dichiarano il 47 per cento dell'imposta netta totale, mentre il restante 53% dell'imposta netta totale è dichiarata dai contribuenti con redditi superiori a euro (14 per cento del totale dei contribuenti). I soggetti con un reddito complessivo maggiore di euro dichiarano il 4,7 per cento dell'imposta totale. L'imposta "positiva" (l Irpef versata dai cittadini nelle casse dello Stato) è dichiarata da circa 30,9 milioni di soggetti; il 74% del totale contribuenti. Il reddito medio degli italiani è pari a euro. La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia ( Euro) mentre la Calabria ha il reddito medio più basso con euro. nel comunicato del ministero "emerge che i lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a euro (il dato tra l'altro è calcolato «con riferimento ai soli contribuenti che non dichiarano perdite»), mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a euro (nello specifico il reddito medio è pari a euro 12

13 per le imprese in contabilità ordinaria e pari a euro per le imprese in contabilità semplificata), quello relativo ai lavoratori dipendenti è pari a euro e quello dei pensionati è pari a euro. Infine, il reddito medio da partecipazione è stato pari a Euro". i lavoratori dipendenti battono perciò gli imprenditori: se i primi dichiarano infatti un reddito medio di euro, i loro datori di lavoro, gli imprenditori, hanno invece un reddito medio di euro (il dato degli imprenditori tra l'altro è calcolato «con riferimento ai soli contribuenti che non dichiarano perdite», si legge nel dossier del ministero). Ancora, a dar retta alle dichiarazioni dei redditi, tra il reddito medio di un imprenditore e quello di un pensionato ci sono poco più di 3mila euro annui di differenza. In sintesi dai dati ufficiali emerge che circa il 90% degli italiani dichiara un reddito che sta sotto i 35 mila euro (reddito lordo). È l immagine di un Paese che vive, se non in povertà, sicuramente con grande modestia e profonde differenze sociali. Risulta chiaro non esserci corrispondenza tra l evidenza del tenore di vita medio del paese e dichiarazioni dei redditi. Questi dati rispecchiano veramente la realtà dei redditi delle varie categorie? Non sono sufficienti per capire quale sia il livello di evasione fiscale? Circa 611 mila italiani posseggono corposi patrimoni mobiliari (fondi, titoli, azioni) sopra i 500 mila euro, per un totale di quasi 880 miliardi (quasi quanto la cifra, miliardi, prestata dalla BCE alle banche europee negli ultimi tre mesi contro la crisi dei debiti sovrani); oltre 400 mila italiani hanno investimenti fino a un milione di euro, e quasi 8 mila oltre i 10 milioni. Risultano intestate a italiani 100 mila barche di lusso, yacht (natanti lunghi almeno 10 metri); 42 mila di questi sono di proprietà di soggetti che dichiarano 20 mila euro lordi annui. Risultano inoltre 595 mila supercar da 248 cavalli (Mercedes, BMW, Audi, Ferrari, ecc.) e 518 elicotteri privati. (dati Bankitalia e Anagrafe tributaria). Ma sono soltanto (lo 0,07%) i soggetti che dichiarano oltre 300mila euro. Com è possibile se, secondo i dati di Bankitalia, il 10% più ricco della popolazione possiede ben il 44% della ricchezza nazionale? Ma vediamo, sempre con riferimento alle dichiarazioni 2011 prima citate, come si compone il reddito dichiarato: lavoro dipendente pensione Fabbricati Altri redditi Partecipazione Lavoro autonomo Impresa 90,86 3,43 2,28 1,44 0,95 0,81 0,24 Un ulteriore prova che qualcosa non funziona? I contribuenti dichiaranti con reddito lordo compreso tra 29 mila e 35 mila euro risultano essere ; quelli con reddito tra 35 mila e 40 mila sono mentre quelli con reddito tra 40 mila e 50 mila sono Sono le fasce che comprendono tutti i docenti della scuola, 13

14 tutti i funzionari e i quadri del pubblico impiego e del settore privato, dei comuni, province, regioni, enti vari, ecc. e le equivalenti figure in pensione Tutti redditi certificati e veritieri. Non vi sembrano troppo pochi i contribuenti compresi in queste fasce di reddito considerato che nelle fasce superiori i numeri dei dichiaranti si assottigliano in maniera impressionante? Provate a trasferire questa situazione a livello locale, ad Amantea. Quanti pensate siano coloro che dichiarano redditi lordi compresi tra 35 mila e 50 mila euro se in Italia sono in tutto (il 5,5% circa) su 41,5 milioni di contribuenti? E secondo voi è un dato che rispecchia la realtà? Non c è da meravigliarsi, perciò, se in Italia l evasione è fondatamente stimata in 280 miliardi di reddito che equivalgono ad un minor gettito fiscale di miliardi di euro; le sue dimensioni ammontano a un quinto (pari al 20%) del reddito nazionale. Quante manovre finanziarie ci saremmo potute risparmiare e quanti sacrifici alleviare se tutti avessimo pagato sulla base dei redditi effettivi e non di quelli dichiarati per anni, decine e decine di anni. I lavoratori che pagano le tasse veramente devono, quindi, mantenere i servizi anche a tanti di coloro che sfuggono in tutto o in parte al fisco. Nelle democrazie nordiche chi non paga le tasse, magari perché non può, si sente in imbarazzo o prova vergogna, in Italia il benestante che evade si sente furbo e intelligente. Ecco perché, personalmente, sono contrario alle esenzioni totali o parziali fatte sulla base del reddito dichiarato. Perché il fisco non riesce ancora a distinguere il vero povero e il finto povero. Ci siamo mai trovati a fare la fila per pagare il ticket all ASL? C è mai capitato di vedere persone straricche che hanno l esenzione per reddito (perché esiguo) e non per patologia? Abbiamo mai assistito ad una fila ad una mensa universitaria per vedere chi e quanto paga alla cassa? Conosciamo gli elenchi di coloro che prendono il presalario all Università e coloro cui spetta l esenzione e i buoni libri nelle scuole? Chi ha esenzione di tutti i tipi per assenza o scarso reddito? Con le tasse si pagano i servizi (assistenza sanitaria, pensioni, scuola, università, strade, ecc.) di cui usufruiamo tutti, compresi chi ancora manca del senso civico e del senso di solidarietà. Ci dicono che il sistema fiscale americano non sia applicabile in Italia (perché?), e neppure sia facile adeguarlo a quello francese o tedesco dove pure ci sono forme di patrimoniale. In Italia non si può applicare la patrimoniale perché altrimenti i capitali vengono portati all estero, ci dicono. Ma perché non succede la stessa cosa in Francia dove la patrimoniale esiste? Non si fa neppure la Convenzione con la Svizzera per tassare i capitali italiani detenuti nelle banche di quello Stato, pur garantendo l anonimato a chi li ha esportati illegalmente oltralpe, perché secondo Roma non sarebbero in linea con le 14

15 direttive europee. Ma la Gran Bretagna e la Germania, che pure fanno parte dell UE, la convenzione per tassare i capitali dei loro cittadini l hanno stipulata da tempo. Sarebbe, quindi, ora che non si accampino più giustificazioni e si proceda con speditezza e decisione verso la riforma del sistema tributario. Basta copiare il sistema fiscale delle nazioni dove questo funziona, e anche se l evasione in maniera più limitata esiste viene colpita con misure severissime. La vera rivoluzione in Italia avverrà solo quando ognuno pagherà quanto dovuto. L articolo 53 della Costituzione della Repubblica Italiana recita: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Ed aggiunge: Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. In parole povere vuol dire che si paga ognuno per quel che può e chi più ne ha, più contribuisce. Conclusioni In un recente spot televisivo si vede la ministra Fornero dire che i tecnici al governo non sono stati chiamati per distribuire le caramelle, a questo ci poteva pensare anche il governo precedente. Però, le caramelle non vanno offerte ad alcuno e invece le caramelle vengono date ad alcuni settori e categorie mentre vengono negate ad altri a cui invece vengono somministrate pillole amare. In nessuna nazione europea l età di pensionamento è così alta come quella stabilita in Italia dopo la riforma. Gli stipendi dei lavoratori del pubblico impiego sono bloccati da anni, di contratti non si sa quando se ne parlerà; i lavoratori della scuola sono stati penalizzati ripetutamente, niente contratti, bloccati perfino gli scatti di carriera previsti dai contratti precedenti, tagli indiscriminati ai fondi per supplenze e per gli altri capitoli di spesa. E intanto l inflazione aumenta. I provvedimenti sono retroattivi solo per i dipendenti. Per i nostri bravi rappresentanti in Parlamento ancora si discute la misura dei tagli da effettuare sui loro corposi emolumenti e, comunque, hanno già fatto presente che le misure non possono essere retroattive. Loro non si ritengono uguali agli altri cittadini che invece, per il Salva Italia, sono già stati tartassati (normativa sulle pensioni retroattiva, Irpef regionale e comunale idem dal mese di marzo stiamo pagando l anno 2011 con le nuove aliquote; in Calabria l Irpef regionale è il 2,03% ed è più alta di quasi tutte le altre regioni italiane; prossimamente pagheremo l IMU con le maggiorazioni sia per la prima che per le seconde case). Ci sono alternative alla situazione attuale? Purtroppo, considerata la situazione dei partiti e la composizione del Parlamento penso di no. Ma i cittadini, nelle forme civili 15

16 e democratiche, devono trovare il modo di far arrivare a chi ci governa lo stato di disagio sociale di chi ha finora sopportato il peso delle misure di risanamento. Altre direzioni vanno prese da ora in avanti da questo governo. I cittadini nelle dovute forme organizzative devono essere partecipi di questo stato di cose, senza delegare ad alcuno in questo mondo politico dove le candidature si tramandano di padre in figlio/figlia, di nonno a nipote, o si perpetuano. Compito dei cittadini è di imporre che la politica venga intesa come servizio alla cosa pubblica e non come percorso per affari, prebende, e come mezzo per arricchimento personale. Ci vuole tempo, molto senso civico oggi carente, e la volontà di riappropriarsi dei propri diritti, sentirsi cittadino e non suddito. Intanto, specialmente ricordandoci del recente passato, teniamoci questo governo con la speranza che, pur tra tante perplessità, sulla spinta dell opinione pubblica e sul senso di responsabilità e solidarietà, faccia riacquistare la fiducia in un futuro migliore alla maggioranza degli italiani, soprattutto ai giovani. Considerato il credo religioso e la professione di fede di quasi tutti i componenti il governo Monti, con profondo rispetto ricordiamo loro il brano del Vangelo di Luca: Guai a voi, dottori della legge, perché imponete agli uomini pesi insopportabili, mentre voi non toccate quei pesi neppure con un dito (Luca, 11, 46). Saverio Giacco 2 aprile

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