-AIM MAGAZINE- Macrotrivial. Magari avessi quattro braccia come la dea Kali! I polimeri e le sportine di plastica. Eleonora Polo
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- Gustavo Bartolini
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1 -AIM MAGAZINE- Macrotrivial Magari avessi quattro braccia come la dea Kali! I polimeri e le sportine di plastica Eleonora Polo CNR-ISOF, c/o Dip. dichimica, via L. Borsari 46, Ferrara, Italia. Fax: ; Tel: ; polo@isof.cnr.it Le sportine di plastica per la spesa in polietilene sono state bandite nel nostro paese nei supermercati, ma continuano ad essere largamente impiegate negli altri esercizi commerciali. E' vero che, se sono abbandonate nell'ambiente, inquinano e deturpano il paesaggio, ma questo dipende dalla nostra maleducazione ed inciviltà, non dalle sportine ingiustamente demonizzate. Proviamo a vedere come siamo arrivati a questo punto. Chi non ha mai desiderato, nei momenti critici, di possedere un paio di braccia supplementari? E' un fatto incontestabile che, quando occorre trasportare molti oggetti, due mani spesso non bastano. L'unico modo per risolvere il problema è fornirci, per così dire, di braccia artificiali, cioè di mezzi che siano in grado di espandere le nostre capacità di contenere e trasportare oggetti. Nella storia della tecnologia troviamo sistemi di tutti i tipi, accomunati, però, dal fatto di essere quasi sempre o ingombranti o poco capienti. I materiali sintetici hanno iniziato a dominare il settore delle borse per la spesa soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso: ricordo le vecchie sporte di plastica intrecciata che usava mia madre per Fig.1 The British Museum, Kali, litografia (1895) andare a fare acquisti, un autentico passo in avanti rispetto a quelle in vimini o paglia (che non si potevano piegare e dal volume fisso) o di stoffa (più facili da trasportare, ma poco capienti). C'era allora, però, una sostanziale differenza rispetto alla situazione attuale: i generi alimentari erano acquistati quasi tutti i giorni anche in città, grazie alla vicinanza di negozi e mercati rionali e soltanto in particolari occasioni ci si spostava dal proprio quartiere per la spesa ordinaria. Le cose sono cambiate radicalmente negli ultimi venti-trent anni: le persone hanno sempre meno tempo per fare acquisti, nelle città è sparita la maggior parte dei piccoli negozi, i centri commerciali e gli ipermercati sono spesso lontani dalle abitazioni. L'avvento delle sportine di plastica ha costituito un progresso significativo sia in termini di ingombro che di capienza, tanto più che la parte più consistente della - 8 -
2 -AIM MAGAZINE- spesa alimentare si fa ormai una volta a settimana, per cui è necessario trasportare in una volta sola decine e decine di pacchetti dal carrello alla macchina e dalla macchina al frigorifero o alla dispensa di casa. E' stato calcolato che, escluso il tempo di percorrenza in auto, la vita media di una sportina di plastica sia di minuti. Questo cambiamento nelle abitudini di acquisto ha portato ad un incremento esponenziale nel consumo delle sportine di plastica ed a seri problemi di impatto ambientale causati soprattutto dalle nostre cattive abitudini. Ma come si faceva una volta? Gli uomini primitivi consumavano il cibo direttamente nel luogo in cui veniva trovato o prodotto e, quando occorreva trasportare o conservarlo, la natura stessa forniva i materiali adatti: conchiglie, zucche, corteccia di alberi o foglie. Con il progredire della civiltà iniziarono a circolare contenitori un po più sofisticati, ma sempre di origine naturale: rami e tronchi scavati, fibre vegetali intrecciate o tessute, interiora e pelli di animali, argilla impastata, si è usato veramente qualsiasi cosa. In principio fu il sacchetto di carta La carta costituisce la forma più antica di quello che oggi viene definito packaging flessibile. Già nel I-II sec. a.c. i cinesi utilizzavano fogli di corteccia di gelso da carta (Brussonetia papyrifera) per avvolgere gli alimenti. Il più antico pezzo di carta che possediamo è stato fabbricato in Cina (150 a.c.) a partire dagli stracci. Nei quindici secoli successivi la tecnica di produzione della carta si è perfezionata e gradualmente diffusa in Giappone (610), Asia centrale (750) ed Europa (1150), in cui fu portata dagli arabi che ne avevano carpito i segreti di fabbricazione ai persiani dopo la conquista di Samarcanda. La prima cartiera europea fu costruita in Spagna intorno al 1157, mentre in Italia le prime entrarono in attività ad Amalfi (1220) e Fabriano (1276). Da qui la produzione si diffuse in tutta la penisola e nella maggior parte dei paesi europei, ma Fabriano mantenne a lungo la sua supremazia grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche. A causa del costo elevato, però, non era neppure pensabile un impiego della carta diverso da quello di supporto per la scrittura, tanto più che la materia prima, gli stracci, era sempre insufficiente rispetto alla domanda. Fig.2 Illustrazione del processo di produzione della carta nell'antica Cina
3 -AIM MAGAZINE- Una valida alternativa economica fu trovata solo nel 1844 da Frederic Gottlob Keller, un tessitore di Heinicken (Sassonia), che depositò un brevetto per una pasta preparata dal legno. Di perfezionamento in perfezionamento, il processo di trasformazione dal legno divenne così economico da trasformare la carta da lusso per pochi privilegiati a prodotto di largo consumo. La disponibilità di carta industriale abbondante e a basso costo aprirà le porte a tutta una serie di nuovi impieghi, compresa la fabbricazione di shopper. Dobbiamo l introduzione della carta in questo settore a quattro inventori americani che quasi nessuno conosce: Francis Wolle ( ), Margaret Knight ( ), Charles Stillwell ( ) e Walter H. Deubner. Francis Wolle, botanico e pastore protestante, inventò e brevettò nel 1852 (USP 9,335) la prima macchina per fabbricare sacchetti di carta dal fondo a V, sufficientemente capienti e robusti per poter essere utilizzati per la spesa. Questo macchinario costituì la base per la meccanizzazione del processo e per tutti i successivi miglioramenti. Nel 1869, Wolle, insieme al fratello e ad altri fabbricanti, fondò la Union Paper Bag Machine Company, che, anni dopo la sua morte, aprì nel 1935 a Savannah un impianto ora di proprietà della International Paper ancora in funzione. Fig. 3 Il prototipo della macchina di F. Wolle Nel 1870, Margaret Knight, impiegata della Columbia Paper Bag Company a Springfield, inventò una macchina in grado di tagliare, piegare ed incollare borse dal fondo piatto che potevano stare in piedi da sole, molto più pratiche e capienti di quelle allora disponibili. Il suo datore di lavoro, all'inizio, si lamentò molto del tempo che lei dedicava allo sviluppo della macchina, ma si ammorbidì, quando gli venne offerta la possibilità di acquistare il brevetto nel caso avesse funzionato. Margaret costruì il primo prototipo in legno (Fig.4a), ma fu costretta a farne fare uno in metallo per poter presentare il brevetto. Un certo Charles Annan, che ebbe modo di vedere il modello in ferro mentre veniva costruito, rubò il disegno e depositò subito il brevetto a suo nome, pensando che una donna non avrebbe mai avuto il coraggio e la disponibilità economica per affrontare una battaglia legale. In tribunale sostenne, come prova dell'autenticità delle sue affermazioni, che una donna non avrebbe mai potuto possedere le capacità tecniche per inventare una macchina così complessa. Ma non sapeva con chi aveva a che fare. Quando Margaret Knight gli fece causa, fu in grado di esibire tutta la documentazione dettagliata della progettazione e costruzione
4 -AIM MAGAZINE- della macchina, così, prima donna a vincere una causa per l'assegnazione di un brevetto, poté registrarlo (USP 132,890) a suo nome nel 1873 (Fig.4b). Fondò la Eastern Paper Bag Co. ricevendo le royalties per il suo brevetto. Quando fu installato il primo macchinario, i lavoratori (uomini, ovviamente) si rifiutarono di seguire le sue indicazioni dicendo: Che cosa può saperne una donna di macchine?. Invece Margaret Knight, considerata negli Stati Uniti l'equivalente femminile di Edison, aveva inventato il primo macchinario all'età di dodici anni e depositato il primo brevetto a 30, seguito da altri venticinque, per un totale di ben novanta invenzioni, e non solo nel campo dell'imballaggio. Non si sposò mai. Dopo le esperienze di lavoro con gli uomini del suo tempo, possiamo forse darle torto? (a) Fig.4 (a) Smithsonian Museum: primo prototipo in legno della macchina inventata da Margaret Knight; (b) brevetto originale depositato della macchina che nessuna donna avrebbe mai potuto inventare (b) Nel 1883 l'ingegnere meccanico Charles Stilwell inventò una macchina (USP 405,616) in grado di produrre borse dal fondo quadrato e piatto e fornite di pieghe laterali che ne facilitavano l'apertura, la piegatura e l'immagazzinamento (Fig.5). La differenza con quelle che usiamo oggi è veramente minima. Chiamò la sua invenzione Self-Opening-Sack (S.O.S.), perché bastava un semplice colpo secco del polso per aprire una borsa. Purtroppo per lui, Stilwell non divenne ricco con questa invenzione, perché depositò il brevetto per i soli macchinari, che poi vendette alla Union Paper Bag Company (Philadelphia), ma non brevettò l'idea della piegatura dei sacchetti, che fu prontamente copiata da molti altri. Fig.5 Brevetto originale di C. Stillwell
5 -AIM MAGAZINEI pregiudizi sono duri a morire La maggior parte dei libri attribuisce ancora erroneamente l'invenzione della borsa dal fondo piatto a Charles Stillwell (che brevettò solo la macchina per la piegatura), mentre la maggior parte dei siti web a Margaret Knight. Che mondaccio! Walter H. Deubner, gestore di una piccola drogheria a Saint Paul (Minnesota), osservando i suoi clienti, si era reso conto che la quantità di merce che poteva essere trasportata con facilità era uno dei fattori limitanti nella spesa (oltre alla disponibilità del portafoglio, ovviamente). Pensò: Se riesco a trovare un sistema che permetta ai clienti di trasportare più cose, certamente compreranno di più. Dopo quattro anni di tentativi, riuscì a mettere a punto un sacchetto prefabbricato poco costoso, dotato di comodi manici di corda, e robusto abbastanza per trasportare da 5 a 35 kg di merce. Lo brevettò nel 1926 chiamandolo Deubner shopping bag (USP 1,714,162, Fig.6a). Tre anni dopo ne produceva e vendeva oltre un milione all anno. (b) Fig.6 (a) brevetto originale di W.E. Deubner; (b) Brian Tolle, opera dedicata alla borsa di Deubner, Los Cerritos Center, California, 2010 (a) La fabbricazione della carta a partire dal legno I materiali di partenza più usati sono la polpa di cellulosa (soprattutto di legno tenero, come abete e pioppo), fibre tessili (cotone, lino e canapa) o carta riciclata. Le fibre del legno sono costituite principalmente da polimeri naturali: cellulosa (45%) ed emicellulosa (30%) unite da interfibre di
6 -AIM MAGAZINElignina (20%). Il restante 5% è composto da terpeni, resine ed acidi grassi. Una pasta di cellulosa ad alto contenuto di lignina dà luogo a carta che invecchia ed ingiallisce facilmente a causa della presenza di numerosi doppi legami. Questa pasta economica è usata soprattutto per giornali e cartoni. La pasta più pregiata, detta pasta chimica, a minore contenuto di lignina, permette di ottenere carte di maggior pregio o per l'imballaggio alimentare. Gli stadi principali della lavorazione (Fig.7) sono, nelle loro linee essenziali, abbastanza simili a quelli inventati dai cinesi molti secoli fa: a) preparazione delle fibre mediante spappolamento (pulping) chimico, meccanico o misto b) sbiancamento (bleaching) con derivati del cloro o perossidi c) formazione del foglio e pressatura d) trattamenti superficiali (patinatura, siliconatura, ) e) essiccamento. Fig.7 Processo di produzione della carta a partire dal legno L'impatto ambientale delle sportine di carta Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: non esiste attività umana di produzione o trasformazione industriale priva di effetti dannosi sull'ambiente. L'industria cartaria non fa eccezione. Pensate che nei soli Stati Uniti, ogni anno, sono usati quaranta miliardi di borse di carta. La necessità di reperire grandi quantità di legno ha portato, con la complicità di governi ed autorità locali, a deforestazioni selvagge che hanno messo in pericolo le grandi foreste pluviali, il polmone verde del
7 -AIM MAGAZINEnostro pianeta. In secondo luogo, il trasporto dei tronchi richiede un ingente consumo di combustibili fossili necessario per lo spostamento dei camion o degli elicotteri. Una volta giunti a destinazione nei siti di stoccaggio, i tronchi sono sottoposti a varie operazioni, come la rimozione della corteccia e la formazione della polpa con cui realizzare la carta, trattamenti che richiedono un grosso dispendio di risorse, soprattutto idriche. Anche i processi successivi di produzione ed il riciclo presentano aspetti critici, perché lo sbiancamento viene realizzato con ossidanti chimici, che, se dispersi o non opportunamente trattati, possono inquinare i corsi d'acqua. Le soluzioni per arginare il problema sono essenzialmente tre: a) evitare gli usi impropri e gli imballaggi non necessari o ridondanti. b) riciclare quanto più possibile la carta, anche se bisogna sapere che la carta riciclata non è adatta a tutte le applicazioni ed il suo aspetto, nonostante lo sbiancamento, ne rende difficile la commercializzazione. Lo stesso processo di riciclo non è innocuo dal punto di vista ambientale. c) utilizzare quanto più possibile carta con marchio FSC (Forest Stewardship Council), che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Greenpeace ha pubblicato una guida gratuita per un uso più sostenibile della carta: è possibile scaricarla in rete all'indirizzo: (se la leggete senza stamparla, è meglio ) Quindi chi pensa che le sportine di carta siano un'alternativa ecologica a quelle di plastica si sbaglia di grosso. Oltretutto durano di meno, vuote occupano molto più spazio, non possono essere usate per prodotti provenienti dal banco frigo o surgelati e bisogna pregare che non piova
8 -AIM MAGAZINEEntra in gioco la plastica I primi brevetti relativi alla produzione di shopper in plastica risalgono al 1950, ma si trattava quasi sempre di sistemi compositi in cui i manici venivano aggiunti in un secondo momento. Le prime buste di plastica costituite da un unico pezzo le dobbiamo all ingegnere svedese Sten Gustaf Thulin, che lavorava per la compagnia Celloplast di Norrköping. Nel 1965, inventò un sistema per produrre una busta per la spesa con manico, ottenuta piegando, tagliando e saldando un tubo piatto e sottile in polietilene (Fig.8). La Celloplast era già un azienda importante nel campo della produzione di film di cellulosa e nella lavorazione delle materie plastiche con metodi innovativi. Grazie a questo brevetto (USP 5,669,504) assunse una posizione di Fig.8 Disegno dal brevetto originale monopolio nella produzione delle borse per la spesa e costruì (USP ) Celloplast impianti in tutta Europa e negli USA. Quando le grosse catene di distribuzione commerciale iniziarono ad adottare le borse di plastica, si scatenò una vera e propria guerra commerciale per cercare di infrangere questo monopolio. Ci riuscì il gruppo petrolchimico americano Mobil nel 1977, aprendo la strada a tutta una serie di perfezionamenti tecnici fino ad arrivare al 1982, anno in cui le due maggiori catene di drogherie americane, Safeway e Kroger, iniziarono a sostituire definitivamente le borse di carta con quelle più pratiche ed economiche in plastica. Una volta perduta la sua posizione dominante, la Celloplast subì un forte ridimensionamento fino a dividersi in due tronconi. Nel sito storico di Norrköping si produce ancora oggi plastica, ma è ora il quartier generale della Miljösäck, il maggiore produttore svedese di sacchi per l immondizia prodotti con polietilene riciclato. Le associazioni ambientaliste hanno calcolato che il numero di buste in plastica utilizzato nel mondo sia arrivato a miliardi all anno e l International Trade Commission ha registrato nel 2009 un consumo di 102 miliardi di shopper in plastica nei soli Stati Uniti. Plastica addio? Un consumo così elevato di plastica, insieme alla scarsa educazione e al poco rispetto nei confronti dell ambiente, ci sta portando ad una situazione sempre meno sostenibile. Siamo arrivati al punto che tutto quello che finisce in mare, per effetto delle correnti marine, va a formare vere e proprie isole di plastica distribuite nei vari oceani.4 Anche lì, le sportine ed i loro resti fanno bella mostra di sé. Migliaia di animali acquatici muoiono ogni anno soffocati dai sacchetti di plastica che finiscono nei mari e nei corsi d'acqua, per non parlare del microinquinamento prodotto
9 -AIM MAGAZINEdai frammenti più piccoli. Aggiungiamo il fatto che il polietilene è un materiale che si degrada nell ambiente in tempi molto lunghi ( anni in funzione della sua densità e delle condizioni ambientali). Eppure le sportine in polietilene potrebbero essere riutilizzate più volte finché non cedono meccanicamente, basta soltanto ricordarsi di tenere in borsa o in tasca quei piccoli triangolini,5 che pesano così poco e moltiplicano le capacità di trasporto delle nostre braccia, come Kali. Quando, poi, arrivano alla fine del loro percorso e cominciano a rompersi, basta inserirle nello specifico cassonetto per la raccolta differenziata. Ricordiamo sempre che, anche se non viene riciclato il materiale, si potrebbe sempre recuperare energia grazie all'elevato potere calorifico della plastica. Che cosa è stato fatto e che cosa possiamo fare? Molti governi hanno cominciato finalmente a prendere coscienza del problema cercando di scoraggiare un uso indiscriminato e poco responsabile delle buste di plastica. Ricordo che negli anni Novanta, in Inghilterra, alcune catene di supermercati e grandi magazzini applicavano un piccolo sconto sugli acquisti, se il cliente utilizzava una sportina portata da casa. Ma la soluzione che sembra funzionare più di tanti discorsi consiste nel colpire il portafoglio dei clienti, introducendo una piccola tassa sulle sportine, come ha fatto la Repubblica d Irlanda seguita da molti altri Paesi nel Nello stesso anno il Bangladesh le ha bandite del tutto, perché quelle abbandonate nell'ambiente finivano per ostruire i canali di scolo aggravando gli effetti delle inondazioni dovute ai monsoni. In particolare, nel 1988 e 1998 si sono verificate inondazioni devastanti che hanno sommerso i due terzi del paese. Il bando sembra aver funzionato, perché da allora la situazione è decisamente migliorata. Le campagne di sensibilizzazione intelligenti sono più che benvenute, in particolare quelle rivolte ai più piccoli che sono, forse, più ricettivi nei confronti delle problematiche ambientali. Non è mai troppo presto! Per educare con intelligenza Un bel libro,6 per educare divertendo i bambini, ha per protagonista Cio Cio, una simpatica busta di plastica azzurra, che ama il mondo e vuole tutelarlo. E' frutto della fantasia di Cecilia Coppola, docente di materie letterarie e scrittrice di fiabe, che porta avanti da più di vent anni la sua campagna educativa per il rispetto della natura con coraggio e credibilità ed è diventata testimonial di molte campagne di sensibilizzazione ed educazione nelle scuole italiane
10 -AIM MAGAZINEAndrebbe anche evitato il terrorismo psicologico ingiustificato e privo di basi scientifiche che spesso troviamo nei media. Ad esempio, si è enfatizzato eccessivamente il contributo all effetto serra dovuto alle sportine, perché richiedono combustibili fossili per la produzione, polimerizzazione e lavorazione dell'etilene. In realtà, le fonti principali di anidride carbonica (causa dell'effetto serra) sono il trasporto, il riscaldamento e il funzionamento degli impianti industriali, non certo le sportine. Forse, è anche un po' colpa di scienziati e tecnologi del settore che non sanno o non hanno voglia di parlare al pubblico facendosi capire. Un vecchio problema, e non solo per quanto riguarda la plastica C è così tanta poesia in una sportina Curioso accostamento, non è vero? Eppure ci sono due filmati in cui le immagini di una sportina raggiungono livelli di poesia sorprendenti. Il primo è uno spezzone1 del film American Beauty, vincitore di 5 premi Oscar, diretto da Sam Mendes (1999), in cui vediamo una busta di plastica librarsi nell'aria con una leggerezza quasi metafisica. La voce del ragazzo che aveva girato la ripresa commenta: Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica. E c'è elettricità nell'aria. Puoi quasi sentirla... mi segui? E questa busta era lì; danzava, con me. Come una bambina che mi supplicasse di giocare. Per quindici minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c'era tutta un'intera vita dietro a ogni cosa. E un'incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c'era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so; ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c'è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla... Il mio cuore sta per franare. Il secondo è un breve film, Plastic bag,2 diretto da Ramin Bahrani (2009) e raccontato in prima persona da una sportina di plastica, doppiata nientemeno che da Werner Herzog. Con un linguaggio delicato ci fa seguire l avventura di una sportina di plastica, condannata all immortalità, che cerca il riposo nel vortice di correnti del Pacifico. Il film fa parte di una serie chiamata Futurestates, che si occupa dei problemi più gravi del nostro pianeta e ne immagina le conseguenze nel futuro. Non c è film senza parodia Inevitabile la parodia nella serie a cartoni I Griffin.3 Fig.9 (da sinistra) immagini da: American beauty, Plastic Bag, I Griffin
11 -AIM MAGAZINECiao Ciao busta di plastica! Questo è il titolo di alcuni articoli che si possono trovare in rete e che, in modo esageratamente trionfalistico, festeggiano la definitiva messa al bando da quest anno dei sacchetti di plastica in Italia a favore di quelli in materiale biodegradabile. Come se questa azione, da sola, potesse risolvere tutti i problemi dell inquinamento nel nostro Paese. Lascio ai miei colleghi e collaboratori lo spazio per interventi più specifici, perché ci sono molta confusione e disinformazione al riguardo. Esistono materiali alternativi? Le sportine di plastica sono fabbricate soprattutto in polietilene a differente densità, in funzione delle applicazioni e della resistenza desiderata. Sono usati, sebbene con minore frequenza, anche polipropilene (PP), polivinilcloruro (PVC) e compound fra etilene vinilacetato (EVA) e polietilene a bassa densità (LDPE). Tutte queste sostanze presentano problemi di impatto ambientale o perché la degradazione/biodegradazione richiede tempi troppo lunghi o può produrre composti inquinanti. Per prima cosa dobbiamo spiegare la differenza fra degradazione e biodegradazione. La degradazione è un processo attraverso il quale grosse molecole sono ridotte in frammenti molecolari più piccoli. Può essere innescata dal calore o dall'esposizione ai raggi ultravioletti ed è potenziata dallo stress meccanico. L'ossigeno è di solito incorporato nei frammenti (degradazione ossidativa) originando composti che possono subire ulteriori trasformazioni. Il meccanismo di degradazione è specifico per ogni tipo di polimero e, anche per lo stesso tipo di polimero, varia in funzione del peso molecolare, della distribuzione dei pesi molecolari, del processo di sintesi, ecc... Alla fine il manufatto in plastica diventa sempre più fragile e sottile. Fra le plastiche degradabili le più importanti sono quelle oxo-degradabili (poliolefine additivate con sali metallici prodegradanti, che agiscono da iniziatori del processo di degradazione o lo accelerano) e quelle fotodegradabili (nella cui struttura ci sono già inserite funzionalità chimiche sensibili ai raggi ultravioletti o che sono trattate con additivi sensibilizzanti nei confronti di queste radiazioni). La biodegradazione è, invece, il processo attraverso il quale i microorganismi (batteri, funghi, alghe) convertono i materiali in biomassa, anidride carbonica ed acqua sia in condizioni anaerobiche (compostaggio) che aerobiche (discarica). Di solito questo processo è più veloce rispetto al precedente. I due effetti possono avere punti di convergenza, perché, quando le plastiche degradabili si frammentano, possono produrre molecole abbastanza piccole e chimicamente funzionalizzate da poter essere biodegradate, cambia solo la scala dei tempi con cui avviene questo processo
12 -AIM MAGAZINECi sono vari tipi di plastiche biodegradabili, anche se c'è un po' di confusione riguardo alla terminologia: a) bioplastiche, cioè plastiche provenienti da trattamento di polimeri da fonti rinnovabili, solitamente di origine vegetale (cellulosa, amido di mais, grano, tapioca e/o patate) o costituite da polimeri sintetici (acido polilattico, nylon 11, ) prodotti a partire da monomeri di origine naturale o prodotti da batteri; b) composti di sintesi mescolati ad additivi che ne facilitano l attacco da parte dei microorganismi; c) polimeri solubili in acqua a tempo. I batteri mangiaplastica Periodicamente compaiono sui giornali notizie relative a batteri in grado di mangiare la plastica, una possibile soluzione ai problemi dell'inquinamento, ma anche un rischio se sfuggono al controllo. La fantascienza si era occupata di questo problema in tempi non sospetti. Nel 1969 il libro Andromeda (da cui sono stati tratti un bel film ed una miniserie televisiva) di Michael Crichton parla di microorganismi che riducono la plastica in polvere. In Mutant 59: The Plastic Eaters (1971), gli autori Gerry Davis e Kit Pedlar descrivono una bomba biologica a tempo che distrugge tutte le infrastrutture della nostra civiltà sciogliendo tutte le materie plastiche: La velocità di dissoluzione aumentò lentamente ed inesorabilmente; i malfunzionamenti si susseguirono con frequenza sempre maggiore finché, nell'arco di ventiquattro ore, il centro di Londra si trasformò in un caos congelato senza luce, calore o comunicazione. Conclusione Problema risolto? Non direi proprio! Come sempre, non esiste soluzione priva di danni collaterali. Per prima cosa, le persone dovrebbero essere più responsabili ed informate sulle differenze fra i vari materiali, perché non tutti sono compostabili o possono finire tranquillamente in discarica. Un recente sondaggio Vota il sacco lanciato alla fine dell'anno scorso da Legambiente per chiedere ai consumatori che cosa avrebbero utilizzato al posto delle sportine di plastica, ha fornito questi risultati: il 73% ha votato a favore della sportina riutilizzabile, risultata la scelta più conveniente dal punto di vista economico ed ambientale; il 16% ha scelto lo shopper in bioplastica ed il 10,4% quello di carta. Abbiamo visto che la carta non è una vera soluzione alternativa alla plastica e non è neppure conveniente dal punto di vista energetico. Infatti, secondo uno studio condotto nel 2007 da Boustead Consulting & Associates,7 la fabbricazione delle borse di carta richiede quattro volte più energia rispetto a quelle in plastica ed il riciclo oltre il 90% in più. Inoltre la loro fabbricazione richiede almeno il 20% in più di acqua, un bene prezioso ancora troppo sottovalutato. In un altro articolo, Comparison of the Effects on the Environment of Polyethylene and Paper Carrier Bags, pubblicato nel
13 -AIM MAGAZINE1988 dal Federal Office of the Environment, si legge che, se consideriamo la produzione e l'intero ciclo di vita, le borse di carta possono generare una quantità di inquinanti settanta volte maggiore per l aria e cinquanta volte per le acque rispetto a quelle di plastica. Per quanto riguarda le bioplastiche, non vanno trascurati i seri problemi derivanti dall'utilizzo di risorse alimentari ed agricole a scopo industriale. Infatti, i suoli fertili per l'agricoltura sono sempre più sfruttati e contesi tra la produzione di alimenti, mangimi, fibre tessili, biocarburanti e bioplastiche, aggravando ancor di più il problema della fame nei paesi più poveri. Personalmente non le amo, perché puzzano, si rompono troppo facilmente, si riutilizzano con difficoltà, non si possono conservare per molto tempo, pesano più delle altre, e, dopo averle toccate, mi sembra di avere le mani sporche. Anche se capisco che, dal punto di vista estetico e per la fauna acquatica le sporte intere siano peggio, non mi piace per niente neppure l'idea della microsportina che non vedo, ma che produce un inquinamento parcellizzato, che si infiltra nelle falde acquifere e che, alla lunga, può entrare nel circolo alimentare. Anche dal punto di vista etico la soluzione più sostenibile consiste nella riduzione drastica degli imballaggi e nell'impiego di sporte riutilizzabili che durano anni, se si trattano con un minimo di cura. Alcuni tipi sono un po' ingombranti, ma, dato che ormai quasi tutti vanno in auto a fare la spesona alimentare, non è un gran problema, basta tenerle sempre nel baule. Sono comparse anche sportine sfiziose, dal look accattivante, riutilizzabili, che occupano poco posto e non pesano, e sono ritornate le borse in stoffa, che, però, sarebbe bene non utilizzare per i generi alimentari non sigillati, perché diventano un ricettacolo di muffe e batteri, a meno che non siano buttate in lavatrice dopo ogni spesa. Per concludere, possiamo riassumere la summa dei comportamenti virtuosi con tre Erre : RIDUCI-RIUSA-RICICLA Il riciclo per chi ha tempo da perdere, ovvero la notizia balenga. Dato che la fantasia insieme a qualcos'altro non dorme mai, si trovano in rete consigli di tutti i generi. Persino la BBC8 ha pubblicato in rete le istruzioni per un uso alternativo per le sportine usate: How to Make a Plastic Bag Bra. Non per donne, ma per uomini che le possono indossare nelle feste. No comment! Ma anche altri siti9 non ci fanno mancare idee più o meno praticabili, anche nel campo artistico
14 -AIM MAGAZINEBibliografia 1. Lo spezzone all indirizzo 2. Il cortometraggio, insieme al making of, può essere visionato e scaricato al sito: Polo E., E il naufragar m è dolce in questo mare ma sarà ancora vero? I polimeri e le isole di plastica, AIM Magazine, 2010, 65 (1), (a) Un video per imparare a farlo: (b) le istruzioni scritte: 6. Cecilia Coppola, Ciò Ciò la busta di plastica, 1997, Editoriale Giorgio Mondadori, ISBN: (a) Chaffee C., Yaros B.R., Life Cycle Assessment for Three Types of Grocery Bags - Recyclable Plastic; Compostable, Biodegradable Plastic and Recycled, Recyclable, 2007 ( (b) Subramanian Muthu S., Li Y., Hu J.-Y., Mok P.-Y., Liao X., An Exploratory Comparative Life Cycle Assessment Study of Grocery Bags - Plastic, Paper, Non-woven and Woven Shopping bags, 2010 ( (a) crafts/used-plastic-bags-art-projects-for-dummies; 138/1/Recycled-plastic-bag-crafts.html Fig.10. Galline non più in fuga (c) (b)
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