LA INDICAZIONE DI ORIGINE NELLA GIURISPRUDENZA. 1. La giurisprudenza precedente alla legge sulla tutela del made in Italy

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1 LA INDICAZIONE DI ORIGINE NELLA GIURISPRUDENZA 1. La giurisprudenza precedente alla legge sulla tutela del made in Italy Art 517 Codice Penale Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro. Va anzitutto ricordato che per giurisprudenza costante il bene tutelato dalla norma è l ordine economico e la lealtà nei rapporti commerciali che devono essere garantiti contro gli inganni ai consumatori. La giurisprudenza si era divisa sulla individuazione del momento consumativo del reato, in particolare sostenendosi a volte che la presentazione alla dogana non integrava l illecito non essendo la presentazione stessa comparabile con un atto di messa in vendita e non comportando una messa in circolazione, dove per messa in circolazione deve intendersi ogni atto diffusivo della merce stessa. (Cass 20/1/1996, Dubini, CED Cassazione ) Il contrasto è stato risolto, con specifico riferimento alle violazioni in tema di made in Italy dall art 49 della legge che ha specificato come il reato si compia sin dalla presentazione della merce in dogana. Il delitto consiste nell usare nomi, marchi, segni distintivi, nazionali o stranieri, atti ad ingannare il compratore sull origine, provenienza o qualità dell opera o del prodotto. Il presupposto di tale reato è l esistenza di nomi o marchi che caratterizzano il prodotto, individuandolo e distinguendolo dagli altri della medesima specie, sicché l agente ne fa

2 uso applicandolo ad altro prodotto similare e traendo così in inganno il consumatore sulla vera provenienza e qualità. In questa sede pare importante sottolineare che il mendacio sulla provenienza geografica consiste nella utilizzazione mendace di una provenienza geografica cui la generalità dei consumatori associa un particolare pregio nella qualità del prodotto. Ciò significa anzitutto che ove l indicazione geografica sia utilizzata come marchio in maniera del tutto avulsa da ogni possibile riferimento alla località (come ad esempio Cortina per sigarette) il reato non si potrebbe configurare. Il principio è quindi che il reato andrebbe escluso qualora il compratore non colleghi l indicazione geografica con caratteristiche specifiche del prodotto, poiché si dovrebbe supporre che in tal caso l atto di acquisto (e cioè il comportamento economico del compratore) non è determinato dalla indicazione geografica. L argomento va valutato con attenzione anche con riferimento alla indicazione made in Italy ; infatti se essa va considerata una indicazione geografica semplice, dovremmo ritenere che la configurabilità del reato non sia una conseguenza automatica dell uso mendace, potendosi invece escludere i casi in cui il compratore non associ l indicazione made in Italy a caratteristiche del prodotto; ciò comunque fino alla emanazione della legge 350/03 sulla tutela del made in Italy, la quale sembra ritenere penalisticamente rilevante la falsa indicazione made in Italy in sé e quindi indipendentemente dalla potenziale ingannevolezza sulle caratteristiche. Il problema è molto importante e dovrà essere necessariamente esaminato dalla giurisprudenza e dalla dottrina poiché la legge non ha fornito ad oggi una definizione di made in Italy ; rifacendosi infatti al senso comune, con tale dicitura ad oggi non si attribuiscono a singoli prodotti (o categorie di prodotti) determinate caratteristiche, ma si attribuisce una unica caratteristica generica e trasversale a tutti i settori e cioè l essere frutto della creatività e fantasia italiana.

3 Si porrebbe quindi porre un problema simile a quello della volgarizzazione esaminato in tema di marchi, poiché l abuso della dicitura made in Italy, sta già portando ad un progressivo fenomeno che è stato definito di annacquamento ed anche la tutela penale potrebbe quindi essere messa in discussione. 2. Le sentenze FIAT del 1984 Per la materia di cui ci si occupa il primo e importante precedente è costituito dalle sentenze rese tra il gennaio 1984 e l ottobre dello stesso anno dalla Pretura di Torino (di condanna) e poi dal Tribunale di Torino (di assoluzione). 1 Il Pretore aveva condannato il presidente della Fita, nonché il presidente e l amministratore delegato di Fiat Auto ex art 517 c.p. ritenendo che l uso di quel solo marchio su auto prodotte all estero, fosse atto ad indurre in inganno i compratori sull origine, provenienza e qualità del prodotto. FIAT aveva posto in vendita o comunque messo in circolazione, automobili 127 e 131 realizzate in Spagna da Seat, 126 realizzate in Polonia da Pol Mot, 128 realizzate in Jugoslavia da ZCZ, tutte con il marchio FIAT e quindi appunto idonee, secondo il Pretore, a trarre in inganno il consumatore su origine provenienza e qualità. Il Tribunale invece ha poi assolto gli imputati considerando che la produzione avveniva sì all estero, ma sempre su licenza e controllo di FIAT la quale con l apposizione del marchio ne garantiva la qualità; può essere in particolare ricavata nel caso la seguente massima: 1 In realtà un altro precedente (ancora più datato) è Cass 29/1/1979, ( For It, 1981, II, 252 ) dal quale è ricavabile il principio per cui è lecito il comportamento dell imprenditore che affida ad altre imprese la materiale produzione di un dato bene, qualitativamente identico a quello omologo prodotto dall impresa madre, poi contrassegnato col marchio di quest ultima. In particolare il principio di diritto così si esprime: difatti non può negarsi che l imprenditore, nel campo dell attività industriale, possa affidare a terzi sub-fornitori l incarico di produrre materialmente, secondo caratteristiche qualitative e ricette pattuite con l esecutore, un determinato bene, e che possa imprimervi il proprio marchio con i suoi segni distintivi e quindi lanciarlo in commercio.

4 Non integra gli estremi del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all art 517 CP, il fatto dei responsabili di una azienda italiana che ponga in vendita o metta in circolazione col proprio marchio sul mercato italiano autoveicoli di cui è produttrice, fabbricati materialmente all estero su sua licenza con gli identici requisiti tecnici di quelli omologhi da essa prodotti in Italia. (Trib. Torino 12/10/1984 Giur Pen. 1985, II, 230). La sentenza, pur essendo datata, reca già alcune considerazioni che potremmo considerare premonitrici di quella che sarà la giurisprudenza sul made in Italy. Si vedano in particolare i seguenti passi: Perciò la Fiat Auto va ritenuta produttrice delle vetture in questione, proprio in base alla definizione di costruttore accolta dal pretore (<< persona fisica o morale sotto la responsabilità del quale un veicolo è montato per costituire un unità pronta ad essere immessa in uso >>) aderendo a quella sancita dall I.s.o. (International Organisation for Standardisation) nel luglio 1982, perché sotto la piena responsabilità di tale società i veicoli vengono montati ed immessi in uso. Essa ha, quindi il diritto di apporvi il proprio marchio (che è marchio di fabbrica e non già semplicemente di commercio) e, essendo tale responsabilità pure esclusiva (nessuna verso gli acquirenti se ne assumono, in base agli accordi contrattuali che li legano alla Fiat, i terzisti), ha il diritto di apporre il proprio marchio da solo Perciò nessun illecito penale è ravvisabile nella loro condotta, in quanto nessuna attitudine recettiva circa la provenienza dei veicoli importati dall estero è ricollegabile all apposizione sugli stessi del solo marchio << Fiat >>. Anche perché, come già sottolineato e come riconosciuto pure dal pretore, il giudizio sulla provenienza non può andare disgiunto da quello sulla qualità. Affinché vi sia l inganno punito dalla norma incriminatrice dell art. 517 c.p. occorre che il mendacio afferente la derivazione aziendale abbia qualche riflesso negativosulla scelta che il consumatore deve fare in

5 ordine alla qualità (e correlativamente al prezzo) del prodotto, perché, in mancanza di tali effetti, l eventuale mendacio sarebbe assolutamente irrilevante sotto il profilo penale. Come già spiegato, la normativa penale è predisposta allo scopo di proteggere il consumatore da possibili inganni al momento della scelta del prodotto e, trattandosi di prodotti industriali dio serie quali gli autoveicoli, ciò che può interessare al consumatore è unicamente quali siano state la progettazione e la tecnica produttiva e quali siano le prestazioni fornite: chi sia il costruttore effettivo ed il luogo di fabbricazione sono irrilevanti La sentenza Thun (Cass 2500/1999) In questo caso si trattava delle nota fabbrica di oggetti in ceramica Thun di Bolzano la quale faceva realizzare sotto il proprio diretto controllo i prodotti in Cina, apponendo sugli stessi la dicitura Thun (Bz). La Cassazione emanò un provvedimento assolutorio considerando che la legge ha inteso assicurare al consumatore una garanzia sulla origine e provenienza non già da un determinato luogo (tranne nel casi espressamente previsti dalla legge), ma da un determinato produttore che ha la responsabilità giuridica economica e tecnica del processo di produzione. Questa massima è fondamentale poiché ha ispirato tutta la successiva giurisprudenza di Cassazione quando si è trovata ad applicare la legge 350/03 sulla tutela del made in Italy in tema di fallace indicazione di provenienza. Come si evince infatti dal passo qui successivamente riportato le considerazioni fondamentali su cui si basa la decisone sono, come nella sentenza Fiat, la funzione del marchio e (in fatto) il controllo che imprenditore del marchio compie sulla produzione affidata a terzi (ovvero sulla produzione de localizzata, per usare una fraseologia più attuale):

6 . occorre premettere che, secondo la concorde e comunque più accreditata dottrina e giurisprudenza, il marchio rappresenta il segno distintivo di un prodotto siccome proveniente da un determinato imprenditore e che contiene determinate caratteristiche qualitative in quanto rappresenta il risultato di un processo di fabbricazione del quale il detto imprenditore, titolare del segno distintivo, coordina economicamente e giuridicamente i vari momenti e fattori del procedimento di produzione. Ciò premesso, va di fatto rilevato che nella specie costituisce circostanza pacifica quella secondo cui gran parte della produzione degli oggetti di ceramica veniva effettuata materialmente in stabilimenti cinesi, ma su commissione della <T.> la quale forniva la materia prima e sulla base di un procedimento di fabbricazione che la committente aveva preventivamente concordato con il fabbricante il quale aveva l obbligo di osservarlo, anche perché tecnici della casa madre periodicamente controllavano in loco il rispetto delle modalità di fabbricazione. E chiaro, allora, che esattamente il tribunale ha escluso la sussistenza degli estremi del reato ipotizzato Nella completa ed esauriente motivazione di tale sentenza viene peraltro affrontato anche il problema del rapporto tra l art 517 CP e l Arrangement di Madrid del 1891 sulle false e fallaci di indicazioni di origine (sistematicamente richiamata da Agenzia delle Dogane come violazione concorrente, e in un certo senso sussidiaria, rispetto a quelle previste dalla legge 350/03 in materia di tutela del made in Italy), escludendo che la indicazione Bolzano riportata sulla etichetta debba intendersi necessariamente come luogo di produzione, essendo essa in effetti indicazione obbligatoria ai sensi della legge 126/91 (norma allora vigente sulla informazione ai consumatori ed oggi trasfusa nel Codice del Consumo ):. Senza contare, infine, sulla base di quanto premesso, che l Arrangement di Madrid è formulato nel senso che lo spirito della norma è diretto a reprimere il comportamento di chi dichiara una provenienza geografica invece di altra o si vale di segni atti a trarre

7 in inganno gli acquirenti sulla stessa provenienza geografica. Né la situazione nella specie muta per la presenza della inazione Bolzano accanto al marchio <T.> non potendo comunque intendersi, per le considerazioni innanzi svolte, che detta località possa identificarsi con il luogo di produzione, trattandosi di semplice indicazione della sede legale secondo l art. 1 della l n Le sentenze di Cassazione sull art 4.49 legge 350/ /2005 FRO (elettrodi) Fallace Indicazione 13712/2005 Legea Fallace Indicazione (abbigliamento sportivo) 34103/2005 IGAM (magliette) Falsa indicazione 2648/2006 TASCI (abbigliamento) Fallace Indicazione 3669/2006 Moda Lisa (abbigliamento) Fallace Indicazione 12451/2006 Olio (olio di oliva) Falsa indicazione 21797/2006 VIDIVICI (occhiali) Fallace Indicazione 24043/2006 B&D (abbigliamento) Fallace Indicazione 8684/2007 Italian Design (orologi) Fallace Indicazione 27250/2007 (Contarmi) Falsa indicazione Macedonia di frutta 35720/2007 FILA (shorts) Fallace Indicazione 46886/2007 Trenti (occhiali) Falsa indicazione 166/2008 Griffe Montenapoleone Fallace indicazione (ceramiche) 2466/08 Calligaris (coprisedili) Fallace Indicazione 27063/2008 Synergy Group (Jeans) Fallace Indicazione

8 4.1 ( Fallace Indicazione ) /2005: questa è la prima sentenza di Cassazione che ha fatto applicazione dell art 4.49 legge 350/2003. Si trattava di elettrodi realizzati in Romania 2 da una controllata della Fro di Verona su cui compariva la dicitura Fro Verona (Italy). La Cassazione si è riportata al caso Thun applicando quindi ancora una volta il principio della prevalenza della provenienza giuridica rispetto a quella geografica, precisando che ove la legge avesse voluto cambiare la portata precettiva dell art 517 CP, si sarebbe espressa in modo ben diverso sia sul piano sistematico che su quello lessicale. La prima funzione espletata dalla legge è in effetti, come già chiarito, la precisazione del momento in cui si applica la norma e cioè sin dalla presentazione della merce in Dogana per l immissione in consumo /2005: in questo caso si trattava di magliette provenienti dalla Romania recanti l etichetta made in Italy ; /05 si trattava di capi di abbigliamento provenienti dalla Cina recanti l indicazione Legea Italy oppure un cartellino con la scritta Legea e con una striscia sottostante recante i colori della bandiera italiana e un riquadro con la scritta Italy ; /06 erano in questione capi di abbigliamento realizzati in Moldavia che recavano la targhetta designed and produced by Tasci srl Rovereto Italy ; /06 riguardava montature per occhiali provenienti dalla Cina con la dicitura Conceived by Vidivici Italia. Come si può notare nei casi esaminati dalle sentenze 3352/05 e 34105/05 (di annullamento senza rinvio della misura cautelare), si tratta di una fallace indicazione (in quanto, nell assunto della 2 E appena il caso di rilevare che all epoca la Romania non era un Paese UE ; oggi invece, trattandosi di un Paese dell Unione Europea, si deve ritenere che l illecito non sarebbe neppure stato contestato.

9 accusa, la omissione della origine potrebbe trarre in inganno l acquirente) mentre nel caso di cui alle sentenze 34103/05 e 2648/06 (di conferma della misura cautelare) si verte nel campo della falsa indicazione poiché il messaggio riferisce univocamente della provenienza italiana ( made in Italy e..produced by Tasci Rovereto Italy ). Nella sentenza 21797/06 infine non si discute né di falsa indicazione, né di fallace indicazione come evidenziato con chiarezza nella motivazione 3 : Comunque la Cassazione nei casi di fallace indicazione (3352/05 e 34105/05), ha ribadito il principio per cui, in genere, relativamente ai prodotti industriali, la cui qualità dipende dalla affidabilità tecnica del produttore, per origine o provenienza del prodotto deve intendersi la sua origine imprenditoriale, cioè la sua fabbricazione da parte di un imprenditore che assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo produttivo, specificandosi peraltro che per i prodotti agricoli o alimentari che sono identificabili in base all origine geografica, la cui qualità essenzialmente dipende dall ambiente naturale e umano in cui sono coltivati, trasformati e prodotti, per origine del prodotto deve intendersi propriamente la sua origine geografica o territoriale. Fermo restando il consolidarsi di questo orientamento, va però segnalato il permanere di un dubbio interpretativo poiché nella sentenza 3352/05 viene dato decisivo rilievo al fatto che la azienda italiana titolare del marchio controllava (anche sulla base di strumenti contrattuali) che il produttore rumeno seguisse il proprio know how e le proprie tecnologie produttive (ed in 3 Orbene nella fattispecie de qua i prodotti in esame, relativi ad occhiali da sole e montature degli stessi, recavano la dicitura conceived by Vidivici Italia. Conceived è un termine espresso in lingua inglese che tradotto significa concepito e/o immaginato ; consegue che i prodotti in esame recavano semplicemente la dicitura di concepiti e/o ideati presso la Vidivici Italia. In altri termini la dicitura in questione non indicava né la provenienza, né l origine italiana del prodotto, ma soltanto il modello o marchio riconducibili alla Vidivici Italia, utilizzato nella realizzazione degli occhiali. Trattasi, pertanto di dicitura né falsa né fallace quanto alla provenienza ed all origine italiana, né illegittima quanto al marchio Vidivici ivi indicato, posto che i prodotti erano destinati alla ditta Vidivici Italia di cui il XY era rappresentante legale.

10 quel caso la produttrice rumena era anche sotto il controllo societario della azienda italiana), mentre nella sentenza 34105/05 la rilevanza del controllo da parte del titolare del marchio sulla qualità (intesa come somma delle caratteristiche produttive) del prodotto realizzato off shore, appare molto sfumata. 4. Si tratta quindi di capire se (e in che termini) il controllo del titolare del marchio sulla produzione delocalizzata, consenta di mantenere prevalente il concetto della provenienza giuridica del prodotto rispetto a quello della provenienza materiale. Peraltro anche dalla sentenza 34103/05 (pur concernente la diversa fattispecie della falsa indicazione) si ricava uno spunto che potrebbe rimettere in discussione la prevalenza del concetto di provenienza giuridica rispetto a quella materiale (territoriale); ivi si afferma infatti che il consumatore, a fronte della indicazione made in Italy potrebbe essere indotto all acquisto di un prodotto solo perchè ivi fabbricato (o meno) e ciò in base alle più svariate considerazioni soggettive, anche non attinenti alla qualità del prodotto stesso Questo tipo di valutazione (che trova conforto anche in provvedimenti di merito 5 ) tende a ritenere tutelabili, alla luce delle norme in questione, anche le motivazioni etiche, ben distinte da quelle attinenti alla qualità del prodotto (perlomeno nella accezione tradizionale del termine), che potrebbero indurre l acquirente a privilegiare la provenienza italiana ovvero a rifiutare quella estera. 4 Così Casucci in commento a sentenza Dir Ind 2004, Trib. Varese 31/1/06 che così esplicitamente si esprime La più recente scelta legislativa esplicita, intesa ad imporre una corretta e veritiera informazione anche sulla materialità della produzione, tutela inoltre l interesse, di sicuro rilievo sociale, del cittadino ad esercitare un vaglio critico nelle proprie opzioni di consumo anche in funzione delle scelte di strategia aziendale produttiva adottate dall imprenditore, attribuendosi rilievo non insignificante dal punto di vista del giudizio che ciascuno è chiamato a formulare sul prodotto finale al luogo fisico della produzione ed alle, spesso connesse, condizioni materiali di impiego dei fattori produttivi con cui è stato realizzato, e quindi ad esempio, a valutare gli effetti della produzione sull ambiente naturale circostante oppure il trattamento, le condizioni di lavoro ed le tutele offerte alle persone impiegate nella produzione.

11 - 166/08 : questo caso assume aspetti peculiari poiché si tratta di oggetti in ceramica recanti la indicazione Griffe Montenapoleone Milano realizzati in Cina, ma l attenzione della Suprema Corte non si è accentrata su tale dicitura (in sé considerata lecita proprio alla luce dell orientamento consolidato) ma sul fatto che tutto il materiale pubblicitario che accompagnava gli oggetti, aveva espressamente assicurato i consumatori che i prodotti contrassegnati con il marchio Griffe Montenapoleone Milano erano oggetti creati con sapienza e gusto dai migliori artigiani italiani realizzati con tecniche tradizionali, sia per la forma che per le decorazioni manuali, ossia, in sostanza aveva assicurato che si trattava di oggetti fabbricati in Italia, da artigiani italiani. Ne è conseguito un annullamento con rinvio per l esame di tale documentazione. Infine, poiché si rinvengono spesso, da parte degli organi accertatori, affermazioni sulla variabilità di orientamenti della Corte di Cassazione in materia di fallace indicazione, sembra opportuno riportare il più recente pronunciamento della Cassazione (27063/2008), che mette fine ad ogni discussione in argomento: Questa Corte ha ripetutamente affermato, con giurisprudenza ormai costante, che per provenienza ed origine della merce non deve intendersi la provenienza della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione e si rende garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti I provvedimenti GIP Genova Per la loro importanza nei rivolti pratici sono infine da richiamare una serie di provvedimenti del GIP presso il Tribunale di Genova risalenti al dicembre In quelle sede il giudice ebbe a chiarire la (ir)rilevanza delle diciture che compaiono nel

12 libretto di istruzioni contenuto in una confezione. Si trattava di piccoli elettrodomestici prodotti in Cina che recavano, all interno della confezione, un libretto di istruzioni su cui era indicato il nome e la sede del titolare italiano del marchio che compariva sulla confezione. Il GIP dispose la archiviazione sulla base di un duplice ordine di motivi: - le diciture che compaiano sull interno della confezione non sono rilevanti al fine di determinare il comportamento economico del compratore e quindi non possono incidere sulla potenziale ingannevolezza. - in ogni caso indicare il nome e la sede del titolare del marchio costituisce adempimento di un preciso obbligo di informativa previsto dal Codice del Consumatore. 4.2 (falsa indicazione) La normativa doganale comunitaria entra in gioco per un duplice ordine di motivi. In primo luogo infatti esse sono di applicazione necessaria nei transiti in uscita e in entrata nella Comunità Europea e ne consegue che, in via di principio, da esse non si potrebbe comunque prescindere anche al fine della individuazione della origine italiana o meno di un prodotto. A ciò si aggiunga che, in ogni caso,l art l.350/2003 ai fini della individuazione del concetto di made in Italy richiama espressamente la normativa europea origine. (lo stesso richiamo, se pure mediato, sembra ricavarsi peraltro anche nel Decreto Ronchi laddove si richiede, anche, il rispetto della normativa vigente ). Comunque il richiamo di cui all art 4.49, viene comunemente inteso come rinvio appunto alle norme dettate in materia di origine dalla UE il che porta subito a due problemi interpretativi ancora aperti e cioè quali siano le norme applicabili agli atti di commercializzazione intracomunitaria (e la questione non è di poco conto considerato il

13 recente inserimento nella UE di nuovi Stati Membri già destinatari di intensa delocalizzazione dall Italia come la Romania) e come vadano coordinate le due norme tenendo conto del fatto che gli obiettivi sono ben diversi poiché la normativa doganale comunitaria ha l obiettivo di individuare l origine a fini tariffari o per l applicazione di altre misure specifiche nell ambito della politica commerciale degli scambi internazionali di merci, mentre la norma sul made in Italy ha come obiettivo la tutela della buona fede dei consumatori e della leale e trasparente concorrenza. Ciò premesso va rilevato che le norme di origine doganale si suddividono tra origine non preferenziale ( utilizzate per l applicazione della tariffa doganale nei rapporti con Paesi non legati alla UE da accordi tariffari - come Stati Uniti e Canada - e per l applicazione di misure di politica commerciale degli scambi internazionali come divieti, contingentamenti, dazi antidumping e compensativi) e origine preferenziale che determina l applicazione di benefici daziari nei rapporti con Paesi legati alla UE da specifici accordi (come Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay e i Paesi del Maghreb). Ai sensi dell art 23 del Codice Doganale Comunitario, per merci interamente ottenute in un Paese devono intendersi: a) i prodotti minerali estratti in tale paese; b) i prodotti del regno vegetale ivi raccolti; c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati; d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati; e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate; f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle acque territoriali di un paese, da navi immatricolate o registrate in detto paese e battenti bandiera del medesimo; g) le merci ottenute a bordo di navi-officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f), originari di tale paese, sempreché tali navi-officina siano immatricolate o registrate in

14 detto paese e ne battano la bandiera; h) i prodotti estratti dal suolo o dal sottosuolo marino situato al di fuori delle acque territoriali, sempreché tale paese eserciti diritti esclusivi per lo sfruttamento di tale suolo o sottosuolo; i) i rottami e i residui risultanti da operazioni manifatturiere e gli articoli fuori uso, sempreché siano stati ivi raccolti e possono servire unicamente al recupero di materie prime; j) le merci ivi ottenute esclusivamente dalle merci di cui alle lettere da a) ad i) o dai loro derivati, in qualsiasi stadio essi si trovino. Questo concetto può essere utilizzato anche in sede di determinazione della origine preferenziale. Quando invece alla realizzazione di un prodotto abbiano contribuito più Paesi si applica in sede non preferenziale, l art 24 del Codice Doganale Comunitario che dice: Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione. Va considerato che con il CDA (Codice Commerciale Aggiornato regolamento (CE) 450/2008) entrambi i concetti verranno notevolmente semplificati (art 36.1: Le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio art 36.2 : Le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l ultima trasformazione sostanziale). In sede preferenziale invece, quando alla realizzazione del prodotto abbiano contribuito più Paesi, l origine viene attribuita in base a quanto previsto dai singoli accordi, ma le

15 analogie esistenti permettono di individuare le linee guida, che trovano esemplificazione anche nell allegato 15 del regolamento CEE 2454/1993. Tali criteri consentono di individuare l origine nel Paese dove: - si verifica il salto tariffario (e cioè il cambiamento di voce doganale, ad esempio da componente a prodotto finito); - si termina il valore aggiunto (ad esempio vengano effettuate lavorazioni che determinano un aumento di valore del 40% sul prezzo franco fabbrica) - viene svolta una lavorazione specificamente individuata (ad esempio per l alluminio grezzo il trattamento termico o elettrolitico.); Ciò posto, i casi riguardanti la falsa indicazione non sono molti; comunque due casi concernono i prodotti alimentari e cioè oli di oliva (12451/2006) e macedonia di frutta (27250/2007) e sono, tra l altro, affrontate problematiche specifiche a quel settore e cioè se per determinare l origine si debba fare riferimento ai regolamenti comunitari - Olio extra vergine di oliva (12451/2006) Si trattava di un caso in cui era stata contestata ad una azienda italiana di aver apposto la stampigliatura made in Italy su confezioni di olio di oliva extravergine ottenuto con la miscelazione di oli di provenienza extracomunitaria. La posizione della azienda italiana era di ritenere lecita la apposizione del made in Italy poiché in Italia avveniva la miscelazione degli oli ritenendo quest ultima appunto una trasformazione sostanziale idonea a conferire l origine. La Corte ha però respinto questa impostazione formulando il seguente principio : Ai sensi sia della normativa nazionale, che della normativa comunitaria in materia di olio di oliva, tale prodotto della natura deve definirsi originario del Paese nel quale vengono raccolte e successivamente trasformate in olio le olive, a nulla rilevando il fatto che il prodotto finale di un olio extracomunitario abbia le stesse qualità organolettiche di un

16 olio prodotto in Italia. - Macedonia (27250/2007) In questa fattispecie era stata contestata la illiceità della apposizione della indicazione made in Italy su una macedonia di frutta prodotta in Italia con frutta proveniente esteri. In questo caso però il responso della Corte è stato per la legittimità sulla base delle seguenti argomentazioni : In conclusione deve ritenersi che la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 49, nella parte che concerne il marchio prodotto in Italia o made in Italy, deve essere interpretato nel senso che, per quanto concerne i prodotti agroalimentari, la loro origine è definita dalla mera derivazione geografica ed indipendentemente dalla localizzazione delle fasi di lavorazione, esclusivamente per i prodotti con i marchi DOP e IPG, che attribuiscono una garanzia di tipicità e di qualità, mentre per tutti gli altri prodotti agroalimentari cd. Generici (ossia diversi da quelli DOP e IGP) per stabilirne l origine deve farsi riferimento ai criteri dettati dagli artt. 23 e 24 Codeice Doganale europeo (applicabili, in mancanza di espresse esclusioni, anche per le merci provenienti, come nella specie, da paesi extracomunitari). Ne consegue che, qualora si tratti come nel caso in esame di prodotti vegetali (così come analogamente per gli animali, i prodotti provenienti da animali vivi, i prodotti della caccia e della pesca, ecc) per paese di origine deve intendersi quello in cui io prodotti sono stati raccolti ovvero quello dove la merce è stata interamente ed esclusivamente ottenuta dai prodotti ivi raccolti o dai loro derivati, secondo quanto il criterio generale dettato dall art. 23 Codice Doganale. Qualora invece si tratti di prodotti vegetali (e più in generale agroalimentari) che non siano commercializzati così come sono stati raccolti o di prodotti che non sono stati ottenuti interamente ed esclusivamente da prodotti raccolti in un determinato paese o dai

17 loro derivati, ossia quando si tratti di prodotti agroalimentari alla cui produzione abbiano contribuito due o più paesi, che abbiano cioè subito una trasformazione o lavorazione in un paese diverso da quello della raccolta, allora il criterio per determinarne l origine ai fini della disposizione in esame è quello fissato dall art. 24 Codice Doganale europeo, secondo cui in tali casi la merce deve considerarsi originaria del paese in cui è avvenuta l ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione. Nel caso di specie è pacifico che non trattava né di frutta commercializzata così come raccolta, né di merce interamente ed esclusivamente ottenuta mediante frutti raccolti in un determinato paese o da loro derivati, bensì di merce alla cui produzione avevano contribuito due o tre paesi, ossia di prodotti finali che avevano subito un procedimento di lavorazione o trasformazione in un paese diverso da quello della raccolta, sicché il criterio applicabile era appunto quello indicato dal citato art. 24, sempre che, ovviamente, nel caso di specie sussistessero tutte le condizioni ed i presupposti ivi indicati, ed in primo luogo la effettiva presenza di una trasformazione o lavorazione sostanziale Una terza sentenza infine riguarda il settore della occhialeria (Cass 46886/07). La Guardia di Finanza aveva infatti operato un sequestro di numerosi componenti per occhiali presso una ditta italiana, ritenendo che l apposizione del marchio made in Italy sui diversi modelli di occhiale oggetto del sequestro, risultasse illegittima, posto che tutte le componenti erano prodotte in area extracomunitaria da o per conto di una azienda di Honk Kong. Secondo l ipotesi di reato prospettata, la società importatrice avrebbe limitato la propria attività a mere operazioni di controllo e di montaggio delle componenti

18 importate, così che mancherebbero i presupposti per poter apporre ai prodotti finiti il marchio made in Italy. Di diverso parere è stato il Tribunale del riesame, secondo cui la ditta effettuerebbe o farebbe effettuare da altre ditte italiane operazioni di controllo dei componenti grezzi, di montaggio delle diverse componenti, di pulitura delle aste e registrazione dei ganci, e perfino montaggio di terminali e placchette e regolazioni a mezzo del laser: operazioni, queste, che vanno definite sostanziali e considerate come una fase rilevante e determinante del processo di produzione, così che ai prodotti vengono altresì conferite. le proprietà qualitative specifiche. A ciò deve aggiungersi, a parere del Tribunale, che dette operazioni conferiscono al prodotto finale un consistente valore aggiunto che attribuisce al prodotto finito un aumento notevole del prezzo franco fabbrica. Tutto questo imporrebbe, alla luce dell art. 24 del Regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (Codice Doganale Comunitario), la legittimità dell apposizione del marchio Made in Italy. Nell esaminare la vicenda, su ricorso del Pubblico Ministero, la Corte di Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto che appaiono di notevole rilevanza in materia di tutela (giuridica) del made in Italy: 1) Il marchio Made in Italy non tutela soltanto le produzioni interamente effettuate in territorio italiano e si riferisce anche a quelle produzioni che, in parte delocalizzate,trovano però il proprio elemento qualificante nelle caratteristiche che ad esse vengono conferite dal produttore italiano. 1) Tali caratteristiche possono consistere in plurimi elementi, che variano a seconda della natura dei prodotti e che non possono essere codificate in via generale ed astratta. 3) In alcuni casi l elemento preponderante, che qualifica il prodotto come italiano deriverà dalla sua progettazione o dal design, in altri dalla

19 brevettazione della scoperta che costituisce l anima del prodotto, e cioè il suo elemento qualificante, in altri dalla qualità della materia prima impiegata, in altri ancora dalla qualità e specializzazione della lavorazione. 4) Ogni modello di occhiale oggetto del provvedimento di sequestro esige specifiche lavorazioni, con la conseguenza che una valutazione complessiva e indifferenziata dell intero materiale in relazione a tutti i modelli di occhiale, non appare corrispondente alla eterogeneità delle situazioni di fatto. 5) Va poi tenuto conto del fatto che, a parere di questa Corte, il giudizio circa la correttezza del marchio Made in Italy deve avere riguardo non solo alle attività svolte dal produttore italiano successivamente all importazione delle componenti, ma all intero processo produttivo, ivi ricomprendendo, ad esempio, la progettazione, le istruzioni impartite per le lavorazioni svolte altrove, la qualità dei materiali impiegati ed il livello di tecnologia necessario per giungere al risultato finale. 6) Escluso che la semplice riunione di parti di prodotti per costituire un prodotto completo sia considerabile sufficiente per conferire il carattere originario, e che possano costituirlo le operazioni di confezionamento e marchiatura del prodotto finale. 7) Ciò che occorre verificare è se dall intero processo di produzione emerga o meno la specificità essenziale dell apporto dell impresa italiana.

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