LTI C'erano le BDM 1 e la HJ 2 e la DAF 3 e altre innumerevoli sigle. Nel mio diario la sigla LTI compare in un primo momento come scherzo
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- Eva Amore
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1 LTI C'erano le BDM 1 e la HJ 2 e la DAF 3 e altre innumerevoli sigle. Nel mio diario la sigla LTI compare in un primo momento come scherzo parodistico, subito dopo però come rapido ausilio della memoria, una sorta di nodo al fazzoletto; ben presto, e per tutti gli anni della miseria, come una vana legittima difesa, un SOS rivolto a me stesso. Un segno senz'altro di tipo erudito, del resto di tanto in tanto il Terzo Reich amava far uso di risonanti parole straniere: Garant sembra più importante di Biirge e dijfamieren fa più impressione di schlechtmachen. (Forse queste parole non tutti le capiscono, e quindi fanno più impressione). LTI: Lingua Tertii Imperii, lingua del Terzo Reich. Molto spesso ho ripensato a un aneddoto della Berlino di un tempo, forse si trovava nel mio bel volume del GlaBbrenner, lo scrittore umoristico della rivoluzione di marzo - ma dov'è andata a finire la mia biblioteca, in cui avrei potuto controllare il mio ricordo? Avrebbe forse un senso chiedere alla Gestapo se esiste ancora? «Papà, - chiede dunque un ragazzino al circo che fa quell'uomo sul filo con quell'asta?». «Sciocchino, è un'asta per tenersi in equilibrio, a cui si regge forte». «Ehi, papà, ma se la fa cadere?». «Stupido, ma se ti dico che la regge forte!». In questi anni il diario è stato continuamente per me l'asta per reggermi in equilibrio, senza la quale sarei precipitato mille volte. Nelle ore del disgusto e della disperazione, nella desolazione infinita del monotono lavoro in fabbrica, al letto degli ammalati e dei moribondi, presso le tombe, nelle angustie personali, nei momenti dell'estrema ignominia, quando il cuore si rifiutava di funzionare - sempre mi ha aiutato questo incitamento a me stesso: osserva, studia, imprimi nella memoria quel che accade, domani le cose appariranno diverse, domani sentirai diversamente: registra il modo in cui le cose si manifestano e operano. E ben presto poi questo appello a collocarmi al di sopra della situazione conservando la mia libertà interiore si condensò in una formula misteriosa e sempre efficace: LTI! LTI! Anche se avessi l'intenzione, ma non è così, di pubblicare l'intero diario di quell'epoca con tutti gli avvenimenti quotidiani, anche in quel caso lo intitolerei con questa sigla. Si potrebbe intenderla in senso metaforico; infatti, come si suole parlare della fisionomia di un'epoca o di un paese, così un'epoca si esprime attraverso il suo linguaggio. Il Terzo Reich parla con spaventosa uniformità da tutte le sue manifestazioni, da vivo e da
2 morto: dall'ostentazione smisurata dei suoi edifici fastosi e dalle sue macerie, dal modello ideale dei soldati, degli uomini delle SA e delle SS, fissato su manifesti sempre nuovi e tuttavia sempre uguali, dalle sue autostrade e dalle sue fosse comuni. Tutto questo è la lingua del Terzo Reich e di tutto questo naturalmente si parla in queste pagine. Ma quando per decenni, e con grande soddisfazione, si è esercitata una determinata professione, alla fine si resta segnati da questa più che da ogni altra cosa; perciò è stata la lingua del Terzo Reich, proprio in senso letterale e in senso filologico non metaforico, a cui io mi sono tenuto stretto e di cui ho fatto la mia asta per reggermi in equilibrio sulla desolazione delle dieci ore di lavoro in fabbrica, sull'orrore delle perquisizioni. degli arresti. dei maltrattamenti ecc. ecc. Si torna sempre a citare la frase di Talleyrand secondo cui la lingua servirebbe a occultare i pensieri del diplomatico (o più in generale di un uomo astuto o ambiguo). Ma qui è vero esattamente il contrario. Ciò che qualcuno vuole occultare, o agli altri, o a se stesso, perfino ciò che racchiude entro di sé inconsciamente, la lingua lo porta alla luce. È in fondo il significato della frase Le style e' est l'homme; le asserzioni di una persona possono essere menzognere, ma nello stile del suo linguaggio la sua vera natura si rivela apertamente. Mi è capitata una cosa strana con questa singolare (filologicamente singolare) lingua del Terzo Reich. Proprio agli inizi, quando non ero soggetto ancora ad alcuna o tutt'al più a moderate persecuzioni, cercavo di sentirne parlare il meno possibile. Ne avevo a sufficienza del linguaggio delle vetrine, dei manifesti, delle divise brune, delle bandiere, delle braccia tese nel saluto nazista, dei baffetti inteccheriti alla Hitler. Mi rifugiavo, mi sprofondavo nel mio lavoro, tenevo le mie lezioni, dolorosamente mi sforzavo di non vedere come i banchi davanti a me fossero ogni giorno più vuoti, lavoravo con la massima concentrazione al mio studio sul diciassettesimo secolo della letteratura francese. Perché continuare ad amareggiarmi la vita leggendo scritti nazisti dal momento che era già abbastanza amareggiata dalla situazione generale? Se per caso o per errore mi capitava fra le mani un libro nazista, dopo il primo capitolo lo buttavo via. Se per la strada sentivo sbraitare Hitler o il suo ministro della propaganda, facevo un'ampia deviazione per allontanarmi dall'altoparlante; mentre leggevo i giornali mi sforzavo il più possibile di pescare i fatti nudi e crudi - che nella loro nudità erano già sufficientemente sconsolanti - dalla disgustosa brodaglia
3 di discorsi, commenti e articoli. Quando poi si fece pulizia tra i dipendenti statali e io persi la mia cattedra, cercai più che mai di isolarmi dal presente. Gli illuministi, Voltaire, Montesquieu, Diderot, così poco moderni e tanto disprezzati da chiunque si ritenesse importante, erano stati sempre i miei preferiti. Ora potevo impiegare tutto il mio tempo e le mie capacità lavorative nella mia opera, già arrivata a buon punto; per quanto riguardava il diciassettesimo secolo, nel Palazzo Giapponese di Dresda mi trovavo come un topo nel formaggio: nessuna biblioteca tedesca, forse nemmeno la Biblioteca nazionale di Parigi avrebbe potuto offrirmi del materiale migliore. Ma poi mi colpì il divieto di frequentare le biblioteche, che mi sottrasse la possibilità di continuare il lavoro della mia vita. Poi venni cacciato di casa, e poi tutto il resto, ogni giorno qualcos'altro. Ora l'asta per reggermi in equilibrio divenne il mio attrezzo più necessario, la lingua del tempo il mio interesse primario. Cominciai a osservare sempre più attentamente come parlavano gli operai in fabbrica, come si esprimevano le bestie della Gestapo e anche come ci si esprimeva fra noi, noi ebrei chiusi in gabbia. Non si potevano notare molte differenze, addirittura proprio nessuna. Indubbiamente, nazisti e loro avversari, beneficiari e vittime, erano tutti guidati dagli stessi modelli. Cercai di impadronirmi di questi modelli, e in certo qual modo questo era straordinariamente facile, perché tutto quello che veniva stampato o detto in Germania era regolato dalle norme del partito; quanto in qualche modo deviava dall'unica forma ammessa non diventava di dominio pubblico; libri, giornali, scritti ufficiali e formulari di qualche ufficio, tutto nuotava nella medesima salsa bruna e questa assoluta uniformità della lingua scritta spiegava anche quella del linguaggio parlato. Ma se per migliaia di altre persone sarebbe stato un gioco da ragazzi ricavare dei modelli, per me era estremamente difficile, sempre pericoloso e talvolta semplicemente impossibile. A chi portava la stella gialla era proibito acquistare, ma anche prendere in prestito ogni tipo di libro, periodico o giornale. Tenerli di nascosto in casa era pericoloso; venivano occultati sotto armadi e tappeti, sopra stufe e mantovane o conservati tra le provviste di carbone come carta da bruciare; espedienti che naturalmente servivano solo st aveva fortuna. In vita mia veramente mai un libro mi è rimbombo nella testa come Il mito del XX secolo di Rosenberg; 4 non perché si tratti di una lettura
4 eccezionalmente profonda, di difficile comprensione o intimamente emozionante, bensì perché un certo Clemens per alcuni minuti mi martellò il capo con quel volume. (Clemens e Weser erano addetti a tormentare gli ebrei di Dresda, li si distingueva generalmente come «quello che picchiava» e «quello che sputava»). «Porco ebreo, come osi leggere un libro come questo?» urlava Clemens. La cosa gli appariva come una sorta di profanazione dell'ostia sacra. «E soprattutto, come ti permetti di avere qui un libro della biblioteca circolante?». Solo il fatto, provato, che il volume era stato prese in prestito a nome della moglie ariana e anche che gli appunti relativi al libro erano stati distrutti senza essere stati decifrati mi salvarono quel giorno dal campo di concentramento. Tutto il materiale doveva essere procurato per vie traverse e utilizzato in segreto. E quanto altro non potevo procurarmi in nessun modo! Infatti quando cercavo di arrivare al nocciolo di una questione, quando, in una parola, avevo bisogno di materiale scientifico specifico, le biblioteche circolanti mi lasciavano a bocca asciutta e quelle pubbliche mi erano interdette. Forse qualcuno penserà che antichi allievi, ora divenuti funzionari, avrebbero potuto aiutarmi per queste necessità avrebbero potuto farmi da intermediari nel procurarmi dei prestiti. Santo cielo! Sarebbe stato un atto di coraggio personale, che avrebbe comportato dei rischi. C'è un grazioso verso in francese antico, che citavo spesso stando in cattedra, ma di cui ho compreso il vero significato solo più tardi, quando la cattedra non c'era più. Un poeta caduto in disgrazia pensa mestamente ai numerosi amis que vent emporte, et il ventait devant ma porte, amici portati via dal vento, e il vento ha soffiato davanti alla mia porta. Però non voglio essere ingiusto: ho trovato amici fedeli e coraggiosi, solo che fra loro non c'erano appunto i colleghi e i collaboratori più stretti. Quindi fra i miei appunti ed estratti ricorrono continuamente annotazioni come: controllare in seguito!... completare successivamente!... trovare più tardi la risposta!... E poi, cessata la speranza di un «più tardi», una diversa annotazione: questo avrei dovuto completarlo in seguito... Oggi, quando questo «più tardi» non è ancora divenuto del tutto «presente», lo diventerà nel momento in cui rispunteranno i libri dalle macerie e dalle difficoltà di trasporto (e allora si potrà abbandonare senza rimorsi la vita impegnata nella ricostruzione per tornare a studiare), oggi mi rendo conto di non essere in grado di trasformare le mie osservazioni, riflessioni e problemi intorno alla lingua del Terzo Reich dalla condizione
5 di abbozzo in quella di un'opera scientifica compiuta. Per far questo, ci vorrebbe un sapere maggiore e anche una vita più lunga, di cui sia io, sia (per il momento) qualsiasi altra persona singola non possiamo disporre. Infatti ci sarà da fare una gran quantità di lavoro specialistico nei più diversi settori: germanisti e romanisti, anglisti e slavisti, storici ed economisti, giuristi e teologi, tecnici e naturalisti dovranno risolvere attraverso saggi e tesi di laurea moltissimi singoli problemi prima che una mente ardita e completa osi rappresentare la Lingua Tertii Imperii nella sua totalità, una totalità al tempo stesso la più misera e la più varia. Tuttavia un primo incerto approccio, una prima riflessione su cose che non possono essere fissate perché ancora fluide, quel «lavoro della prima ora» come dicono i francesi, avrà pur sempre un suo valore per i veri ricercatori del futuro e credo che per loro sarà importante vedere l'oggetto della loro ricerca nella condizione di una metamorfosi compiuta a metà, un po' resoconto concreto di un esperienza, un po' già entrato nell'astrattezza dell'osservazione scientifica. Però, se è questo lo scopo della mia pubblicazione, perché non riproduco esclusivamente il taccuino del filologo così come si può enucleare dal diario, più privato e generale, di quegli anni difficili? Perché ho condensato cose diverse in una visione d'insieme, perché al punto di vista di allora si è accoppiato tanto spesso il punto di vista dell'oggi, dei primi tempi del dopo Hitler? Voglio dare una risposta precisa: perché in tutto questo c è un'intenzione, perché oltre allo scopo scientifico ne perseguo uno didattico. Oggi si parla molto di estirpare la mentalità del fascismo e si fa anche molto per questo fine. Si condannano i criminali di guerra, i «piccoli Pgs 5» (lingua del «Quarto Reich»!) vengono licenziati, i libri nazionalisti tolti dalla circolazione, si cambia nome alle piazze Hitler e alle vie Goring, si abbattono le querce di Hitler. Ma la lingua del Terzo Reich sembra voler sopravvivere in parecchie espressioni caratteristiche, penetrate così a fondo col loro potere corrosivo da apparire come un duraturo possesso della lingua tedesca. Per esempio, quante volte nel maggio del 1945, in discorsi alla radio, in manifestazioni appassionatamente antifasciste ho sentito parlare di qualità «caratteriali» [charakterlich] o della natura «combattiva» della democrazia! Sono espressioni che vengono dal cuore il Terzo Reich avrebbe detto «dall'essenza» - della LTI. È per pedanteria che me ne sento urtato, per quel tanto di pedantesco che si annida in ogni filologo? Risponderò alla domanda con un'altra domanda.
6 Qual era il mezzo di propaganda più efficace del sistema hitleriano? Erano i monologhi di Hitler e di Goebbels, le loro esternazioni su questo o su quell'oggetto, le loro istigazioni contro l'ebraismo o il bolscevismo? Certamente no, perché molto non veniva compreso dalle masse, annoiate d'altra parte dalle eterne ripetizioni. Quante volte, finché potevo frequentare le trattorie (non portavo ancora la stella) e più tardi in fabbrica durante la sorveglianza antiaerea, quando gli ariani e gli ebrei stavano in locali separati e in quello ariano c'era la radio (oltre al riscaldamento e al cibo), quante volte ho sentito sbattere sul tavolo le carte da gioco e chiacchierare ad alta voce sul razionamento del tabacco o della carne oppure su qualche film durante i prolissi discorsi del Fuhrer o di uno dei suoi paladini; però il giorno dopo i giornali affermavano che il popolo intero aveva prestato ascolto. No, l'effetto maggiore non era provocato dai discorsi e neppure da articoli, volantini, manifesti e bandiere, da nulla che potesse essere percepito da un pensiero o da un sentimento consapevoli. Invece il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente. Di solito si attribuisce un significato puramente estetico e per così dire «innocuo» al distico di Schiller: «La lingua colta che crea e pensa per te». Un verso riuscito in una «lingua colta» non è una prova sufficiente della capacità poetica del suo autore; non è poi tanto difficile, usando una lingua estremamente colta, atteggiarsi a poeta e pensatore. Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l'effetto tossico. Se per un tempo sufficientemente lungo al posto di eroico e virtuoso si dice «fanatico», alla fine si crederà veramente che un fanatico sia un eroe pieno di virtù e che non possa esserci un eroe senza fanatismo. I termini fanatico e fanatismo non sono un'invenzione del Terzo Reich, che ne ha solo modificato il valore e li ha usati in un solo giorno con più frequenza di quanto non abbiano fatto altre epoche nel corso degli anni. Il Terzo Reich ha coniato pochissimi termini nuovi, forse verosimilmente addirittura nessuno. La lingua nazista in molti casi si rifà a una lingua
7 straniera, per il resto quasi sempre al tedesco prehitleriano; però muta il valore delle parole e la loro frequenza, trasforma in patrimonio comune ciò che prima apparteneva a un singolo o a un gruppuscolo, requisisce per il partito ciò che era patrimonio comune e in complesso impregna del suo veleno parole, gruppi di parole e struttura delle frasi, asservisce la lingua al suo spaventoso sistema, strappa alla lingua il suo mezzo di propaganda più efficace, più pubblico e più segreto. Rendere evidente il veleno della LTI e mettere in guardia da esso credo sia qualcosa di più che pura e semplice pedanteria. Quando un ebreo ortodosso ritiene che una stoviglia sia diventata impura, la purifica sotterrandola. Bisognerebbe seppellire in una fossa comune molte parole dell'uso linguistico nazista, per lungo tempo, alcune per sempre. 1 Bund Deutscher Mddel - Lega delle fanciulle tedesche (tra i 14 e i 21 anni). 2 Hitler Jugend - Gioventù hitleriana (ragazzi tra i 14 e i 18 anni). 3 Deutsche Arbeitsfront - Fronte tedesco del lavoro. Rimpiazzò i sindacati dopo il Le teorie di Alfred Rosenberg, consigliere di Hitler per le questioni 'dottrinali', esprimevano un razzismo esasperato e un violento antisemitismo. 5 Parteigenossen - Iscritti al partito nazista.
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