La Costituzione Dogmatica LUMEN GENTIUM

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1 Pontificia Università della Santa Croce - CONCILIO VATICANO II - Roma, 3-4 maggio 2012 IL VALORE PERMANENTE DI UNA RIFORMA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE La Costituzione Dogmatica LUMEN GENTIUM I. La Chiesa, centro del Magistero Conciliare REV. PROF. JOSÉ RAMÓN VILLAR UNIVERSIDAD DE NAVARRA/PAMPLONA Il Vaticano II è il primo Concilio che si è occupato della Chiesa in maniera profonda ed esaustiva. Come è noto, il programma di lavoro del Concilio, con numerosi schemi preparatori sulle più disparate questioni e senza un filo conduttore comune, andò concretizzandosi nel corso dei primi due anni conciliari del 1962 e del Il 4 dicembre Il cardinal Suenens, con l approvazione di Giovanni XXIII e il sostegno del cardinal Montini, propose in Aula di organizzare il lavoro conciliare sui temi Ecclesia ad intra ed Ecclesia ad extra. 1. Lumen Gentium, filo conduttore dei documenti conciliari In questo modo, il Concilio trovò un criterio unificatore dei lavori sull identità e la missione della Chiesa, prestando particolare attenzione all unità cristiana e al dialogo con il mondo moderno. Assieme alla Dei Verbum, la Lumen Gentium è l asse portante del magistero conciliare ed è a partire da essa che gli altri documenti del Concilio vanno interpretati. Nella Lumen Gentium la Chiesa dichiara il proprio mistero, la sua origine, la sua struttura e la sua missione. Il mistero di Cristo che si compie nella Chiesa è esposto nella Costituzione Sacrosanctum Concilium. Il Decreto Orientalium Ecclesiarum e il Decreto Unitatis redintegratio sono un prolungamento della Lumen Gentium. I capitoli specifici sul ministero gerarchico nella Lumen Gentium sono poi sviluppati nei Decreti corrispondenti Christus Dominus e Presbyterorum Ordinis (assieme al Decreto Optatum totius dedicato alla formazione sacerdotale). La Apostolicam actuositatem sviluppa, invece, i principi del capitolo 4 sull apostolato dei laici, mentre la Perfectae caritatis amplia il capitolo 6, dedicato ai religiosi. La missione della Chiesa, trattata nel capitolo 2, si prolunga nel Decreto Ad gentes, nella Dichiarazione Nostra aetate, che si occupa delle religioni non cristiane, e specialmente nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, a cui va aggiunta la Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, il Decreto Inter mirifica sui mezzi di comunicazione sociale, nonché la Dichiarazione Gravissimum educationis sull educazione cristiana. 2. La Chiesa dipende ed è relativa al mistero di Dio L importanza del tema della Chiesa nel Concilio non mette in secondo piano Dio come centro della fede e dell esistenza cristiana. La Chiesa è l opera storica della divina Trinità. La ragione della sua esistenza si trova in Dio e nel suo disegno di salvezza per l umanità. Le parole iniziali della Lumen Gentium sottolineano con vigore che il centro della fede è Dio che si rivela in Cristo e non la Chiesa: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa» (LG, 1). Paolo VI, chiudendo il Concilio, insisterà ancora su questo carattere teocentrico dei suoi documenti 1. II. Il Concilio: un rinnovamento per la missione Quando Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II, auspicò un lavoro di aggiornamento della Chiesa e del suo messaggio. Non si trattava di un rinnovamento fine a se stesso. Aveva 1 Cf. PAOLO VI, Discorso di chiusura del Concilio, 7-XII /10 -

2 un intenzione esplicitamente missionaria: che la luce del Vangelo potesse percepirsi meglio nel mondo, illuminando il momento storico. Inoltre, questo rinnovamento era unito al desiderio, e non poteva essere altrimenti, di trasmettere l intero patrimonio della fede cattolica. Secondo le intenzioni di Giovanni XXIII, rese manifeste nel discorso di apertura del Concilio, la continuità non doveva essere una mera ripetizione del già detto. Per far questo non ci sarebbe stato bisogno di un Concilio. Il suo obiettivo era, quindi, di ottenere un insegnamento pastorale della fede cattolica, diverso da quello che era divenuto abituale nei secoli passati. 1. Un magistero pastorale In effetti, una delle caratteristiche essenziali della Lumen Gentium, ma anche degli altri documenti, è la finalità pastorale dei suoi pronunciamenti dottrinali. A Trento si fece una distinzione netta tra i Decreti dottrinali o dogmatici e i Decreti disciplinari o di riforma ecclesiastica. Nel Vaticano II non troviamo nulla di simile: questa distinzione, infatti, non è assimilabile a quella tra Costituzioni e Decreti. Anche le Costituzioni hanno un espressa intenzionalità pastorale, che non inficia per nulla il carattere dichiarativo della dottrina. Pertanto, il Vaticano II differentemente da Trento e dal Vaticano I non ha avuto la pretesa di elaborare definizioni dogmatiche, sebbene la sua dottrina abbia pur sempre il valore di supremo magistero della Chiesa, da accogliere con religioso ossequio da parte dell intelletto e della volontà. Il Concilio non ha avuto nemmeno la pretesa di decidere su questioni teoretiche dibattute, ma solo quella di offrire un esposizione intelligibile a tutti e capace di incidere nella vita cristiana, così da suscitare un risveglio evangelizzatore che ponesse la Chiesa in stato di missione. Questo magistero pastorale evidenzia il fatto che il Concilio Vaticano II mantenne una profonda comprensione del carattere salvifico e missionario della rivelazione di Dio proclamata dalla Chiesa, che è inseparabile dal suo carattere di verità. Tutto ciò diviene importante al momento di interpretare i testi conciliari. Il rifiuto dello schema preparatorio de Ecclesia all inizio del Concilio non ha avuto originariamente il significato di una rottura con i contenuti del magistero precedente. I padri conciliari, in realtà, desideravano un testo più incentrato sulla Parola di Dio letta nella tradizione viva della Chiesa e più attento alle circostanze dell epoca contemporanea. La sostituzione dello schema non si dovette unicamente a un rifiuto di contenuti specifici (anche se era evidente la necessità di chiarire alcuni punti), quanto piuttosto a un desiderio di cambiamento di prospettiva e di stile. Il nuovo schema rispondeva meglio a un esposizione ispirata nel testo biblico e nella tradizione patristica, assai diversa dallo spirito giuridico e scolastico dello schema preparatorio. 2. Rinnovamento nella continuità Il Concilio Vaticano II affermò la propria continuità con gli insegnamenti precedenti, specialmente con il magistero di Trento e del Vaticano I (LG 18; DV 1; DH 1; ecc). È però evidente che la Costituzione Lumen Gentium, come gli altri documenti conciliari, contiene nuovi sviluppi dottrinali, complementari al magistero anteriore. Le novità dottrinali, in realtà, sono sempre relative perché, in qualche modo, devono sempre essere contenute in nuce nella tradizione della Chiesa. Le novità del Concilio non sono l apparizione di qualcosa di mai detto in precedenza o una novità sconosciuta nella tradizione cattolica. Di rigore, la novità è sempre uno sviluppo, interno alla tradizione stessa, di aspetti che per diverse circostanze sono compresi meglio in un determinato momento storico. È la legge stessa del divenire storico che non procede per salti, né costituisce un inizio assoluto. «I contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno afferma Benedetto XVI bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato» 2. La 2 BENEDETTO XVI, Motu proprio Porta fidei, n /10 -

3 novità appare nella continuità del soggetto portatore della tradizione, che è la Chiesa stessa rappresentata attraverso il Concilio. 3. Novità e continuità: compromesso o consenso? Spesso si parla di testi di compromesso per indicare il giustapporsi di una nuova affermazione con un affermazione tradizionale. In realtà, si tratta di testi di consenso che il Concilio stesso, soggetto unico di tali testi, accetta come espressione del tipico consentire in unum dei Concili. Se questi testi sembrano delle giustapposizioni è perché il Concilio non afferma mai le novità in modo alternativo ma complementare alla dottrina anteriore. La novità non è mai in contrasto con la continuità. Senza dubbio, alcuni passi conciliari non offrono sempre la medesima articolazione teologica propria di entrambi gli aspetti di novità e di continuità. Ma questo non è un qualcosa di negativo in se stesso, in quanto non spetta ai Concili elaborare delle sintesi dogmatiche. Il Concilio delimita semplicemente gli spazi o le frontiere dogmatiche che ogni sintesi teologica deve poi rispettare. Del resto, il Concilio non ha voluto esprimersi sulle questioni dibattute, perché questo è il compito della teologia. 4. Rinnovamento teologico e progresso dogmatico La novità conciliare più incisiva, a nostro modo di vedere, è consistita in una nuova lettura della fede cattolica, in grado di ripristinare le interrelazioni e le proporzioni adeguate tra tutti gli elementi della tradizione, dopo secoli di accentuazioni unilaterali di alcuni di essi, sia teoriche che pratiche. Questo aspetto è particolarmente importante. Il Concilio non ha offerto solo sviluppi di alcune determinate dottrine, ma anzitutto una presentazione del Mistero della Chiesa che, integrando gli insegnamenti anteriori, li ridimensiona e li completa alla luce del nexus mysteriorum. Potremmo affermare che il Concilio, in maniera istintiva più che riflessiva, abbia esercitato in actu il principio dell ordine o gerarchia delle verità nell esposizione della fede cattolica. In tal senso, la novità compare in due ambiti tra loro correlati nel testo della Lumen Gentium: 1) una nuova prospettiva e interrelazione dell insieme dei vari aspetti del Mistero della Chiesa, 2) e sviluppo di alcuni elementi particolari a partire dalla Scrittura e dalla Tradizione (dogmatica, liturgica, patristica). III. La Costituzione dogmatica Lumen Gentium 1. L Ecclesiologia e il suo rinnovamento precedente al Concilio Tra i fattori che rendono possibile una migliore comprensione del patrimonio della tradizione, e il corrispondente progresso dottrinale, va sottolineato il decisivo rinnovamento dell ecclesiologia che poi si tradusse nei testi conciliari. Per rendersi conto di questa novità occorre ricordare la concezione predominante della Chiesa nel magistero e nella teologia in epoca anteriore al Concilio. Il trattato de Ecclesia era stato costruito in maniera apologetica a causa delle controversie con la Riforma protestante e con il successivo razionalismo e indifferentismo del XIX secolo. In polemica con lo Stato Liberale, in cui l influenza della Chiesa veniva meno, quest ultima era considerata come societas perfecta indipendente dallo Stato, superiore a una società civile sovente considerata, non senza ragioni, come un mondo irreligioso e senza Dio, al margine del quale la Chiesa costruisce le proprie istituzioni e il proprio mondo. «Questa Chiesa è per essenza una società diseguale», affermava Pio X, composta di due categorie: la gerarchia e la moltitudine dei fedeli soggetti all obbedienza di pastori dotati di giurisdizione e di potestà di magistero. La Chiesa si identificava anzitutto con la gerarchia, e singolarmente con il Papa, la cui potestà assoluta era stata affermata in modo inequivocabile nel Concilio Vaticano I. Tutto questo favoriva un immagine piramidale della Chiesa, dove predominavano gli aspetti istituzionali, di autorità e competenza e i vincoli visibili di unità. E conduceva, tra le altre conseguenze, al non riconoscimento di valore ecclesiale alcuno agli - 3/10 -

4 acattolici dissidenti. La Chiesa è pensata secondo categorie giuridiche e sono lasciate cadere nell oblio le nozioni più genuine della Scrittura e dei Padri. L assenza di un vero metodo dogmatico finiva essenzialmente per assimilare il trattato de Ecclesia con i trattati di Diritto Pubblico Ecclesiastico. Nonostante l ecclesiologia ereditata, durante la prima metà del XX secolo, i movimenti cattolici di rinnovamento mettevano in evidenza gli aspetti spirituali della Chiesa come vita di comunione con Cristo. L esegesi e la teologia patristiche riportarono alla luce le categorie di Corpo di Cristo e di Popolo di Dio, così come la centralità dell Eucarestia come mistero di comunione fraterna in Cristo. I movimenti apostolici dei laici riscoprivano il sacerdozio comune cristiano, la dimensione comunitaria della Chiesa e la responsabilità missionaria di ciascuno. Questo rinnovamento spirituale e teologico sfocerà nel Concilio e avrà eco nei suoi testi, nei suoi insegnamenti e nelle sue riforme. Il Concilio sarà la traduzione riflessa di un ecclesiologia già vissuta e pensata in parte negli anni precedenti, e che diverrà più intensa durante la stessa esperienza conciliare. 2. La riforma dello Schema preparatorio Molti di questi valori saranno accolti da Pio XII nelle encicliche Mystici Corporis (1943) e Mediator Dei (1947), nonché nello schema preparatorio de Ecclesia presentato al Concilio. Questo schema risentiva, tuttavia, di un eccessiva ispirazione giuridico-societaria in voga nella scolastica accademica. Durante la prima settimana di novembre del 1962 i Padri conciliari ne giudicarono severamente lo stile generale che non era conforme al magistero pastorale richiesto da Giovanni XXIII, e ne criticarono anche il modo in cui trattava alcune questioni. Lo schema riproponeva semplicemente la formula del Mystici corporis sulla natura della Chiesa militante e la questione dei membri della Chiesa, con un identificazione esclusiva del Corpo Mistico con la Chiesa Cattolica Romana. Criticarono, quindi, il trattamento giuridico dell episcopato ( i vescovi residenti ) e la nozione di collegio episcopale, che era presentata come una partecipazione alla potestà pontificia. Ad eccezione del testo dedicato ai laici, il resto dei temi sull autorità, l obbedienza, il magistero, lo stato religioso, il compito missionario della Chiesa, le relazioni con lo Stato, ecc., erano trattati dalla prospettiva dei diritti e dei doveri, senza spirito teologico alcuno. Del resto, lo schema sulla Liturgia, che già era stato presentato in Aula conciliare, faceva riferimento a un ecclesiologia ben diversa da quella che si poteva leggere nello schema preparatorio de Ecclesia. 3. Il nuovo Schema e il suo iter redazionale Gli undici capitoli dello schema preparatorio subirono una profonda revisione durante la prima sessione che ebbe come risultato una nuova bozza, ispirata al cosiddetto schema Philips. Fu presentato in Aula nel secondo periodo del 1963 con solo 4 capitoli, i cui titoli manifestano il cambio di orientamento: 1. Il mistero della Chiesa. 2. La costituzione gerarchica della Chiesa e specialmente dell episcopato. 3. I Popolo di Dio e in particolare i laici. 4. La vocazione alla santità nella Chiesa. Lo schema fu accettato dalla maggioranza come base di discussione, che fece maturare progressivamente il testo fino a giungere agli 8 capitoli finali. Va sottolineato il protagonismo che ebbe il tema della collegialità episcopale, che avrà momenti di tensione con le questioni interlocutorie proposte dai Moderatori durante il secondo periodo, e con la Nota esplicativa previa nel terzo periodo; la divisione del capitolo sul Popolo di Dio e i laici che verrà trasformato rispettivamente nel capitolo 2 sopra il Popolo di Dio, subito dopo il capitolo sul mistero della Chiesa e immediatamente prima quello sulla gerarchia, e nel capitolo 4 sui laici. Con questo cambiamento il Popolo di Dio assume il ruolo di categoria organizzatrice della Costituzione. La divisione del capitolo sulla vocazione universale alla santità darà luogo al capitolo 6 specifico sui religiosi. Infine, saranno aggiunti il capitolo 7 sull indole escatologica della Chiesa e il capitolo 8 sulla Vergine - 4/10 -

5 Per motivi di spazio non posso dilungarmi sui momenti principali dell iter redazionale e mi concentro sul contenuto della Costituzione. IV. Il Mistero: Popolo di Dio e Corpo di Cristo nello Spirito Fin dall inizio della Lumen Gentium è chiaro che solo a partire dal Mistero Trinitario si raggiunge una piena comprensione del mistero della Chiesa. È il nuovo punto di partenza teologale che impregna tutta la considerazione della Chiesa a partire dalla fede. Il testo non prende spunto da una visione esterna e sociale dell istituzione come tale, ex hominibus. Non inizia dal basso ma dall alto, dalla vita trinitaria estesa e offerta all umanità. Ogni insegnamento conciliare sul mistero, la vita e la missione della Chiesa porta impresso questo sigillo trinitario come propria origine e fine: Chiesa de Trinitate e ad Trinitatem, con un fine che la trascende ma inserita nella storia dove deve manifestare il Dio vivo. Il testo della Lumen Gentium si chiude con una professione di fede trinitaria (n. 69). Questo modo di procedere, come dicevamo, mette in atto la gerarchia di verità. 1. Ecclesia de Trinitate Il Concilio collocò la sua dottrina sulla Chiesa in una prospettiva storico-salvifica come Popolo del Padre (n. 9) e Corpo di Cristo vivificato dallo Spirito (nn. 3, 4 e 7). La Chiesa è mistero, cioè manifestazione storica del disegno di Dio che la incorpora nella sua vita trinitaria: de unitate Patris, et Filii et Spiritus sancti plebs adunata (san Cipriano). Questa prospettiva ebbe vita facile in seguito alla decisione conciliare di parlare della Trinità secondo il linguaggio economico della Scrittura e dell antica tradizione ecclesiale, cosa che condusse a mettere in primo piano il ruolo di ognuna delle Persone divine in relazione alla genesi e alla vita della Chiesa. La Chiesa nasce dall amore del Padre (n. 2) che invia il Figlio per costituirla (n. 3) e, con Lui e attraverso di Lui, lo Spirito santificatore per vivificarla e mantenerla in unità (n. 4) e il suo compimento si avrà alla fine dei tempi. La sua missione è annunciare e instaurare il Regno di Dio, già presente in essa in mysterio (n. 5). Il mistero della partecipazione alla vita di Dio, che è la Chiesa, appare già nella sua fondazione a partire dalla predicazione del Regno fatta da Gesù (n. 5), e si rivela in molti modi nelle numerose figure e immagini con cui l AT e il NT fanno riferimento alla Chiesa (n. 6). La Chiesa non si lascia ridurre a una definizione o a una nozione. È solo l insieme delle sue figure e delle sue immagini che ci permette di approssimarci al suo Mistero, nei limiti entro i quali è possibile esprimerlo in concetti umani. Tra queste, alcune immagini sono più significative del Mistero. 2. Corpo di Cristo Tra tutte le immagini, infatti, si erge quella del Corpo di Cristo (n. 7), che secondo la Commissione Dottrinale è plus quam imago, in quanto ci introduce nel nucleo più profondo della Chiesa. La dimensione cristologica è ineludibile per la comprensione della Chiesa. Ma il Vaticano II non ha usato la categoria di Corpo di Cristo come la definizione della Chiesa. È un fatto sorprendente perché Corpo Mistico era la categoria sotto la quale era stato portato a termine il rinnovamento dell ecclesiologia, e che Pio XII aveva proposto nella sua enciclica Mystici Corporis. Lumen Gentium raccoglierà senza dubbio il patrimonio della Mystici Corporis, ma non presenta il Corpo Mistico come la categoria principale. Questa decisione del Concilio aveva dei buoni fondamenti. L ecclesiologia del Corpo Mistico tendeva a vedere la Chiesa come una incarnazione continuata e a essere male interpretata nel senso di un monofisismo ecclesiologico o di una divinizzazione della Chiesa che dimenticasse la sua alterità rispetto a Cristo. Inoltre, vi erano difficoltà nell articolare teologicamente il tema della appartenenza della Chiesa, come vedremo in seguito. Un altra novità è l importanza che la Lumen Gentium dà alla missione dello Spirito nell economia di salvezza (nn. 2-4 e AG 2-4), tema già presente in nuce nella Mystici Corporis. La - 5/10 -

6 Chiesa è il Corpo di Cristo, unto dallo Spirito (n. 7; PO 2), che la nutre e la edifica in maniera incessante. La connessione tra Cristo e la Chiesa non è diretta ma mediata e assicurata dallo Spirito Santo. Quando il Concilio paragona la Chiesa al Verbo Incarnato, lo fa attribuendo allo Spirito un ruolo analogo a quello che spetta alla seconda persona nel mistero di Cristo. Non è lo Spirito che è al servizio delle strutture, bensì queste che sono al servizio dello Spirito, del quale sono strumento (n. 8). La Chiesa non si fonda esclusivamente sui mezzi istituzionali ma anche sulla varietà dei doni carismatici che ogni fedele riceve. Lo Spirito suscita iniziative di vita religiosa e i carismi (nn. 44 e 45). Il Concilio attribuisce allo Spirito il costante rinnovamento di cui la Chiesa ha bisogno per essere fedele al suo Signore (n. 9). In tal modo, il Concilio porta a termine il recupero della dimensione pneumatologia dell ecclesiologia. 3. Popolo di Dio Il Concilio, tuttavia, privilegiò e trattò in maniera più estesa la nozione di Popolo di Dio come categoria generale che era stata già elaborata negli anni precedenti dall esegesi più risolutiva. Questa decisione è comprensibile perché la nozione di Popolo di Dio offriva il vantaggio di sottolineare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento, la storicità della Chiesa, il suo carattere pellegrinante e la sua indole escatologica (e, di conseguenza, la sua imperfezione e riformabilità). Viene meglio alla luce la natura missionaria della Chiesa e la sua indole di servizio. La realtà sacramentale comune a tutti i battezzati, in quanto membri del Popolo consacrato al Signore, è posta in primo piano. 4. Realitas complexa: comunione e sacramento La prospettiva misterica della Chiesa non nega la sua dimensione istituzionale, che tradizionalmente era evidenziata con l idea di società perfetta. Tutte le dimensioni della Chiesa, in realtà, formano una realitas complexa di elementi visibili e invisibili, istituzionali e spirituali (n. 8). Per questo motivo, non ha senso opporre comunione e istituzione sociale e giuridica. Il Concilio espone teologicamente l aspetto societario della Chiesa in rapporto all agire di Dio. Essa è comunione dei credenti con Dio e tra loro, spirituale e visibile, simboleggiata e realizzata dal mistero eucaristico, ed è anche il sacramento di questa comunione mentre è pellegrina nella storia fino alla consumazione finale (nn. 1, 48) 3. Comunione e sacramento non sono categorie alternative ma dimensioni coestensive a Popolo di Dio e a Corpo di Cristo. Comunione indica il contenuto del mistero, cioè il dono ricevuto da Dio che definisce l essere più profondo della Chiesa che si realizzerà nella pienezza escatologica; sacramento indica il modo in cui Dio offre questo dono all umanità nella Chiesa veluti sacramentum, ovvero come mediazione visibile che annuncia e realizza la comunione, in stretta dipendenza dallo Spirito di Cristo. In tal modo, è posta in rilievo la relatività della Chiesa, che è solo segno e strumento del Signore; viene anche indicata la necessità della Chiesa e della sua missione mentre è pellegrina sulla terra: è sacramento di salvezza per il mondo e ogni uomo è chiamato a fare parte del Popolo di Dio (n. 16). 5. La Chiesa, soggetto storico portatore del mistero Questa Chiesa-Mistero non è una realtà ideale ma sussiste in un soggetto storico concreto, una compago visibilis, che è la Chiesa Cattolica (n. 8; UR 4). Attraverso la celebre sostituzione di est con subsistit in il Concilio non ha rinunciato alla coscienza cattolica della tradizione: «La Chiesa di Cristo [ ] continua a esistere pienamente solo nella Chiesa Cattolica» 4. Ha però rinunciato al significato esclusivo che aveva l identificazione del Corpo Mistico con la Chiesa Cattolica Romana nelle encicliche Mystici Corporis e Humani generis; un significato esclusivo che non permetteva di riconoscere, al di fuori della Chiesa Cattolica, una vera ecclesialità, pur se imperfetta, alle Chiese e 3 Cf. AG 1 (= LG 48); GS 42 (= LG 1), 45 (= LG 48). 4 Dominus Iesus, n /10 -

7 Comunità ecclesiali separate dalla Sede romana, attraverso gli elementa Ecclesiae in esse presenti. Come ha affermato Giovanni Paolo II, «Nella misura in cui tali elementi si trovano nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa di Cristo ha in esse una presenza operante» 5. Ora, come afferma il decreto Unitatis redintegratio, l efficacia di questi elementa Ecclesiae «deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (n. 3); sono doni propri della Chiesa orientati verso l unità (n. 8; UR 3). L unicità numerica della Chiesa non ne esce moltiplicata. Tuttavia, la Lumen Gentium fa progredire la dottrina offrendo una risposta inclusiva. Questo suscita una domanda: vi è presenza della Chiesa Cattolica fuori della Chiesa Cattolica? Per rispondere a questa questione così delicata potranno essere d aiuto le categorie classiche di analogia e di partecipazione. Quanto a questa questione la Lumen Gentium presenta una novità. Nella Mystici Corporis la nozione di membro del Corpo Mistico era determinata in virtù della nozione indivisibile di appartenenza alla Chiesa, a partire da vincoli esterni e istituzionali. Tra appartenenza e non appartenenza non esisteva uno spazio intermedio, in modo tale che i battezzati non cattolici non erano veramente, reapse, membri del Corpo Mistico. La Lumen Gentium integra le dimensioni giuridiche, sacramentali e spirituali nella nozione di gradi di incorporazione e di comunione, piena o imperfetta. Il Concilio non parla di membri della Chiesa per evitare discussioni. Sono pienamente incorporati alla Chiesa i battezzati che, possedendo lo Spirito di Cristo, accettano nell insieme l istituzione di salvezza come corpo visibile guidato dal Papa e dai Vescovi. Ma la Chiesa si sente anche unita con quanti non conservano la pienezza della fede o la comunione sotto il successore di Pietro: esiste una comunione imperfetta con i cristiani separati, una comunione non piena attraverso il battesimo e la partecipazione ad altri strumenti della grazia e beni spirituali: il Battesimo, la Scrittura, la vita di fede, di speranza e di carità, e altri doni dello Spirito(n. 15) Unità del Mistero nei capitoli 1 e 2 Una conseguenza di tutto quanto abbiamo detto è la continuità tra il capitolo primo e secondo della Lumen Gentium. È importante sottolineare questa unità per comprendere appieno la dottrina ecclesiologica del Concilio, che mostra la Chiesa a partire dalla Trinità e nella storia della salvezza. In realtà, entrambi i capitoli rispondono al titolo il Mistero della Chiesa, come ebbe a dichiarare la Commissione Dottrinale. Per descrivere questo Mistero, il Concilio sceglie l idea di Popolo di Dio con una sequenza di idee che mostra sommando il contenuto dei due capitoli tutti gli aspetti fondamentali dell essere della Chiesa e della sua missione. La divisione dei capitoli, pertanto, non corrisponde a un diverso contenuto ma all eccessiva lunghezza che avrebbe avuto un unico capitolo. Sarebbe quindi un errore ritenere che il capitolo 1 tratti dell aspetto misterioso della Chiesa nel senso di interiore e invisibile e il capitolo 2 di quello esteriore, visibile e giuridico. In realtà, la Chiesa Popolo di Dio è un modo di continuare a esporre il Mistero della Chiesa che non è l invisibile della Chiesa ma la realitas complexa che la costituisce. Per questo la categoria di Popolo deve essere compresa come determinata trinitariamente a partire dal Padre che costituisce questo Popolo come Corpo di Cristo attraverso lo Spirito, proteso verso la realizzazione della sua pienezza. Questa è la chiave per una lettura adeguata della Lumen Gentium. V. La struttura della Chiesa pellegrinante Nel capitolo 2 e in quelli successivi, il Concilio espone specificamente gli elementi del Mistero nella sua tappa terrestre. 1. Il Popolo sacerdotale organicamente strutturato 5 Ut unum sint, n Cf. UR 3-4, 22; EO /10 -

8 Occorre segnalare la novità strutturale di anteporre il capitolo 2 sul Popolo di Dio al capitolo dedicato al ministero gerarchico. Questa decisione, unanimemente considerata una rivoluzione copernicana, supponeva un ridimensionamento dell interrelazione degli elementi che configurano la Chiesa nel suo camminare terreno. Con ciò, il Concilio ha voluto porre a fondamento della struttura ecclesiale la condizione comune di fedele cristiano (christifidelis), cioè l unità di vocazione e di dignità radicale di tutti i battezzati, membra dello stesso Corpo e cittadini dello stesso Popolo. È a partire dalla comune ontologia cristiana che va compresa la pluralità di vocazioni, carismi e ministeri al servizio dell unica missione. Le differenze che derivano dal ministero gerarchico lasciano intatta l uguaglianza di base che deriva dal battesimo e colloca la gerarchia al servizio della totalità dei battezzati come diakonia al Popolo di Dio, dotata della potestà necessaria per poter servire efficacemente. a) La Lumen Gentium presenta la Chiesa come comunità sacerdotale grazie al recupero del sacerdozio comune e della partecipazione al triplex munus salvifico di Cristo attraverso il battesimo e la confermazione. La Chiesa è comunità sacerdotale organice exstructa (n. 11), cioè è articolata attraverso il sacerdozio ministeriale la cui peculiare ontologia è affermata in continuità con il magistero precedente. Il sacerdozio ministeriale è un momento interno che struttura il Popolo di Dio. In tal senso, il capitolo 3 sul ministero gerarchico costituisce teologicamente una sezione del capitolo sul Popolo di Dio. b) Il punto di partenza per comprendere la Chiesa non è, pertanto, la distinzione tra pastori e fedeli. Il Popolo di Dio li comprende entrambi. La nozione di Popolo di Dio non annulla bensì richiede la funzione dei pastori. L unità tra pastori e fedeli, dei carismi con il ministero gerarchico, non è in contraddizione con l autorità. Niente è più estraneo al magistero conciliare delle varie versioni postconciliari del populismo antigerarchico. Il Popolo di Dio non è il gruppo dei laici opposto al gruppo del clero, come potrebbe ironicamente affermare una visione pre-conciliare. Il Popolo di Dio comprende tutti i fedeli. Ai laici è invece dedicato il capitolo 4, che forma un diptico non tanto con il capitolo 3 sulla gerarchia come è frequentemente affermato, ma con il capitolo 6 sui religiosi. 2. Il Collegio episcopale Il Concilio si occupa soprattutto dell Episcopato. Viene affermata per la prima volta in un testo conciliare la natura sacramentale e collegiale dell Episcopato (nn ). Il Concilio ripristinò la dottrina tradizionale sui Vescovi, soprattutto la loro responsabilità all interno della Chiesa universale. I Vescovi come Collegio od Ordine episcopale succedono al Collegio degli apostoli di cui Pietro è capo (n. 20). La novità sta nell affermazione che il Collegio episcopale unito al Papa è il soggetto della potestà suprema su tutta la Chiesa (n. 22). In tal modo, il Concilio colloca le definizioni sul primato papale del Vaticano I nel contesto della collegialità. Il Concilio lasciò alla libera discussione il tema dei soggetti dell autorità suprema nella Chiesa, con due limitazioni: l autorità del Papa non deriva dal Collegio e l autorità del Collegio non deriva dal Papa. La Nota esplicativa previa è un autentica interpretazione del significato della dottrina, che non sminuisce il testo conciliare. La consacrazione episcopale è causa dell incorporazione al Collegio episcopale, assieme alla comunione gerarchica che è condizione dell esercizio legittimo del ministero episcopale, il cui supremo moderatore è il Papa. La Consacrazione episcopale non concede una semplice dignità o disposizione a ricevere la potestà. Se la potestà episcopale richiede un abilitazione giuridica non è perché si tratta di una potestà incompleta ma perché il ministero episcopale include natura sua la necessità della comunione gerarchica per il suo esercizio. 3. Le Chiese particolari La Lumen Gentium tratta principalmente dell universale Popolo di Dio in comunione con il Papa e il Collegio, e tratta dei Vescovi soprattutto come membri del Collegio episcopale e in riferimento alle loro Chiese particolari. Il Concilio ovviamente non fornisce risposte dirette a - 8/10 -

9 questioni che saranno poste solo a posteriori ( priorità o meno della Chiesa universale). Ad ogni modo, la Chiesa particolare ne esce rivalutata, specialmente in relazione al mistero eucaristico, del quale la Chiesa vive e cresce. Al contrario, la Lumen Gentium non considera in maniera strutturale la Chiesa come universale Comunione di Chiese, ma questa novità è presente in quanto si afferma che la Chiesa universale è costituita (ex quibus) dalle comunità locali che meritano il nome di Chiesa (n. 26), in cui esiste (in quibus) l unica Chiesa Cattolica (n. 23) 7. Viene pure riconosciuta la legittimità e la ricchezza della varietà di tradizioni e di discipline, in particolare riguardo ai Patriarcati. È anche menzionata la funzione che possono svolgere le Conferenze episcopali di una regione, dove i vescovi esercitano coniunctim il loro ministero. 4. I laici Il capitolo 4 studia lo stato proprio dei fedeli laici e la loro specifica partecipazione alla missione di salvezza della Chiesa in virtù del fondamento del battesimo e della confermazione, cioè in virtù della partecipazione al triplex munus di Cristo. Offre una visione positiva dei laici (n. 31) come fedeli con eguale dignità a quella dei ministri e dei religiosi, caratterizzati dalla indoles saecularis e che esercitano la missione cristiana nel mondo, nel pieno rispetto dell autonomia delle realtà temporali, ordinandole secondo Dio. Oltre a questo compito generale e proprio, possono anche essere chiamati a una cooperazione più immediata con le funzioni dei pastori. Il testo affronta le relazioni di mutua fiducia e collaborazione tra i laici e i pastori. In un documento magisteriale non si era mai parlato così estesamente e profondamente dei laici e del loro ruolo attivo nella Chiesa. La ricezione teologica post-conciliare, almeno in questi ultimi anni, forse si è concentrata sui laici più come fedeli che collaborano al ministero pastorale della gerarchia che come laici che portano a termine il loro compito ecclesiale nel mondo. 5. Vocazione alla santità Il capitolo 5 affronta, in realtà, un aspetto che apparterrebbe più al capitolo 2 sul Popolo di Dio, per il modo in cui è stato proposto durante i dibattiti in Aula: ogni battezzato è chiamato alla santità, alla perfezione nella carità, ognuno nella sua condizione e stato. La santità non è una vocazione speciale di alcuni. Essa è una e diversa nelle sue forme. Questa affermazione supera lo schema delle due vie: dei precetti per la maggioranza e dei consigli per alcuni chiamati a una santità più elevata. Non è possibile distribuire il Vangelo che è lo stesso per tutti, né la missione che è identica per ciascuno. 6. I religiosi Il capitolo 6 nasce per divisione da quello precedente e tratta del modo con cui alcuni vivono lo stato religioso per dare pubblica testimonianza (professione pubblica: segno e modo di vita) di questa santità che orienta l uomo verso la Gerusalemme celeste. Il Concilio abbandona la teologia tradizionale dello stato di perfezione, che induceva alla visione di uno stato superiore all interno della vita cristiana. Non offre però alternative compiute per una teologia della vita religiosa. Probabilmente questo è dovuto all origine redazionale del capitolo dedicato ai religiosi, che inizialmente era unito al capitolo sulla santità cristiana e presentava la vita religiosa come un modo peculiare di quella. Ora, questa singolarità della vita religiosa si comprenderebbe in relazione allo stato di vita laicale. Ciò avrebbe richiesto una qualche impostazione della peculiare relazione ecclesiologica dei religiosi con il mondo. Il Concilio, però, non si pose il problema di una riflessione globale sulle diverse forme in cui la Chiesa dispiega la propria secolarità o relazione con il mondo. Questo lavoro sarà portato a termine da Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica Christifideles laici, n La Chiesa una e unica vere inest et operatur in esse: CD 11; AG ; EO 2-3; CD /10 -

10 VI. La Chiesa compiuta 1. La Chiesa terrena e quella celeste, la comunione dei santi Il capitolo 7 sull indole escatologica della Chiesa fu incorporato al testo quasi alla fine del processo redazionale. La sua intenzione iniziale era quella di trattare della venerazione dei santi, ma il suo contenuto fu ampliato con la prospettiva escatologica della condizione cristiana e la sua incidenza sulla pellegrinazione terrena della Chiesa. È messo in evidenza come il Magistero della Chiesa abbia due fasi: Chiesa della terra e Chiesa del cielo, che non sono due ma la stessa Chiesa nelle sue due fasi, essendo la fase terrena un anticipo del suo stato definitivo in tensione verso il suo compimento nella fase celeste, unite entrambe nella communio sanctorum, specialmente nella Liturgia e nello scambio di beni spirituali. Il testo integra l escatologia individuale all interno dell escatologia generale dell umanità intera e del cosmo, sottolineando particolarmente la speranza della restaurazione del mondo attraverso Cristo glorificato e la vigilanza per resistere al maligno durante il tempo della prova terrena. In questo modo, la dottrina tradizionale dei novissimi era collocata in un testo sobrio, che evita con cura di andare oltre il messaggio biblico. 2. La Vergine Maria, tipo della Chiesa Il capitolo 8, infine, descrive il ruolo singolare della Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Come è noto, l incorporazione o meno del testo allo schema de Ecclesia testo fu causa di tensioni in Aula conciliare. Il Concilio, senza dubbio, non rinnega nulla della dottrina su Maria. Afferma di non voler pregiudicare questioni già dibattute ed evita tanto un massimalismo quanto un minimalismo mariano. Non dimentica nemmeno i problemi ecumenici quando afferma che la mediazione materna di Maria non mette per nulla in discussione l unica Mediazione di Cristo (n. 62). Il testo incorpora il magistero pontificio precedente sui privilegi mariani in una descrizione dal tono biblico e patristico della figura di Maria nella storia della salvezza. Il Concilio unisce le due prospettive complementari cristotipica ed ecclesiotipica della mariologia, senza opporle fra loro. Espone l insegnamento fondamentale vincolante per tutti, senza alcuna intenzione di essere esaustivo né polemico. Viene recuperata la tradizione di Maria come tipo e figura della Chiesa pellegrina, Lei che l ha preceduta nel cammino verso la pienezza. VII. Riflessioni conclusive Il Concilio offre una visione della Chiesa come mistero nel quadro trinitario della storia della salvezza. Attribuì importanza primaria all ontologia della grazia della condizione cristiana e alla partecipazione alla triplice missione del sacerdozio di Cristo. Ricordò la dignità di tutti i battezzati e la chiamata universale alla santità e all apostolato. Sottolineò il ruolo del Popolo di Dio, la ekklesia, al cui servizio si pone il ministero gerarchico. Integrò il ministero petrino nella collegialità dell episcopato. Rilanciò il ministero presbiteriale e diaconale. Promosse la vocazione e la missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Confermò la vocazione alla vita religiosa. Accolse la diversità cattolica delle Chiese e delle tradizioni locali nella comunione dell unica Chiesa universale. Con ciò, il Concilio offrì una immagine della Chiesa ben diversa da quella che era stata data in epoca precedente. Ma questa discontinuità non si colloca essenzialmente a livello dogmatico ( nuovi dogmi). Il Concilio non cambiò la dottrina e l apparente discontinuità è, in realtà, un maggiore approfondimento e progresso nella Tradizione, come frutto dell impressionante rinnovamento della teologia nel XX secolo, che sviluppò le potenzialità della fede cattolica in ordine alla vita della Chiesa e all annuncio del Vangelo in epoca contemporanea. - 10/10 -

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