VI DOMENICA DI PASQUA Domenica «della dimora nella carità» Gv 15,9-17; At 10, ; Sal 97; 1Gv 4,7-10

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1 VI DOMENICA DI PASQUA Domenica «della dimora nella carità» Gv 15,9-17; At 10, ; Sal 97; 1Gv 4,7-10 II Colletta O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa' che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni agli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli. Per il nostro Signore... Tra le tante parole che ai nostri giorni rischiano di essere usurate e di perdere di significato, c è anche la parola amico. Oggi capita che la si usi in senso deteriore, intendendo, più che un affetto vero, un rapporto poco limpido. Una parola abusata anche tra di noi a volte, indicando tutti quelli che incontriamo come amici. L amicizia, avere un amico, è qualcosa di estremamente serio, vero e bello. Essere in amicizia è qualcosa di grande, che va al di là e al di fuori dei rapporti familiari o di quelli sociali o istituzionali, addirittura anche ecclesiali. Nell amicizia c è di mezzo il cuore e l intelligenza, la volontà e i sentimenti, cioè tutta la persona nella sua profondità e interezza. Gesù stesso nel Vangelo di questa domenica ci chiama amici e declina questo fatto con il comandamento dell amore. Nel suo discorso più importante, quello dell ultima cena, che solo l evangelista Giovanni riporta, Gesù ci offre la descrizione dell amicizia, illustrandone la gratuità, e il dovere di amare, come due realtà che non sono antitetiche tra loro. Chi entra nella vera amicizia, entra in un amore che dura, che ispira e incoraggia ogni scelta e comportamento. Non più servi, neppure discepoli, ma amici: l evangelista Giovanni ha compreso bene il messaggio di Gesù e per questo nella sua lettera (II lettura) ci chiama addirittura figli di Dio, fratelli in Cristo, partecipi della stessa comunione di Dio, la grande comunione dell amore in Dio. Il comandamento dell amore è rivolto da Gesù non a servi, ma ad amici, che condividono lo stesso ideale. Imparare a conoscere e a conoscerci è il primo gradino per accogliere, per amare, per dimostrare attenzione e interesse, affetto e stima verso una persona. Siamo chiamati a essere come Dio (I lettura), che «non fa preferenze di persone», ma accoglie, ama, perdona e dona a tutti il suo Santo Spirito. Gesù ci ha lasciato, come dono d amico, per stare sempre con noi, la sua Parola, una Parola di vita. La sua è una parola vera, una parola che diventa vita. Gesù è l amico vero, che è venuto a dare la vita per noi e ci chiama a vivere in amicizia con lui, a rimanere nel suo amore, sempre, per tutta la vita. La vera, reale e piena comunione è garantita dal dono della sua Parola: amici perché a conoscenza e consapevoli della Parola e della volontà del Padre. L amicizia con Gesù deve far vedere lui e non noi, riconoscendo la presenza di Cristo, l unico vero Salvatore (I lettura), che rivela e offre l amore di Dio. Gesù ci vuole suoi amici: la gioia è la prova di questa amicizia, perché è un frutto dell amicizia con lui. Egli ci ha scelti, non perché fossimo migliori degli altri, ma perché ci ama e ci vuole suoi amici nel dono dello Spirito Santo, che nel suo nome è per noi fonte di amore e di gioia, di comunione e di amicizia.

2 PRIMA LETTURA Dagli Atti degli Apostoli (10, ) Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anche io sono un uomo!». Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni. Parola di Dio. 2

3 La conversione di Cornelio Atti 10,25-48 Nella seconda parte della sua opera Luca delinea l espandersi dell annuncio evangelico al di fuori di Gerusalemme (8,5 14,28). A tal fine egli presenta l opera di Filippo in Samaria e la conversione dell eunuco della regina d Etiopia (c. 8); la conversione di Saulo, e un viaggio apostolico di Pietro nella zona costiera della Palestina (9,32-43), a conclusione del quale situa la conversione del centurione Cornelio, il primo gentile che aderisce al cristianesimo senza passare attraverso la circoncisione (10,1 11,18). La liturgia riprende alcune parti di questo importante episodio. In At 10,1-24 sono narrati gli antefatti dell evento. Cornelio, «centurione della coorte italica», un gentile «timorato di Dio», cioè simpatizzante del giudaismo, riceve la visita di un «angelo di Dio» il quale gli assicura che le sue preghiere e le sue elemosine sono state gradite a Dio. Gli dice quindi di mandare qualcuno dei suoi uomini a Giaffa, dove si trovava un certo Simone, detto Pietro e di invitarlo ad andare da lui. Cornelio obbedisce e invia due dei suoi servi e un soldato. Nel frattempo anche Pietro, che non a caso era ospite di un «conciatore di pelli», considerato impuro a motivo della sua professione, ha una visione: per tre volte egli vede scendere dal cielo un lenzuolo pieno di animali puri e impuri, mentre una voce gli dice: «Uccidi e mangia». Dopo di che giungono gli inviati di Cornelio e Pietro li segue. A Cesarea lo attende Cornelio con tutti i suoi parenti e gli amici più intimi. Il racconto che segue si divide in tre parti: l incontro con Pietro (vv ), il discorso dell apostolo (vv ) e infine gli effetti che esso provoca (vv ). Vengono proposti dalla liturgia alcuni vv. delle prime due parti e la terza. L incontro tra Pietro e Cornelio Cornelio attendeva un inviato di Dio; perciò va incontro a Pietro e si prostra ai suoi piedi. Ma Pietro lo «rialza» dicendo: «Alzati, anche io sono un uomo» (vv ). I due diversi verbi che indicano l «alzarsi» sono gli stessi che altrove sono usati per indicare la risurrezione. Tra i termini greci che significano «uomo» Pietro sceglie il più generico (anthropos), non solo per indicare che egli, ben consapevole di non essere un personaggio divino, intende scoraggiare altri omaggi, ma anche per sottolineare la fondamentale uguaglianza dei due individui, che la medesima condizione umana rende fratelli: la differenza tra giudei e gentili è ormai scomparsa. Il discorso di Pietro Il discorso inizia con un aggancio alla situazione concreta. L apostolo richiama ciò che egli stesso, proprio in quella circostanza, ha scoperto: alludendo a Dt 10,17 e a Lc 20,21 egli dice che Dio non «fa preferenza di persone», ma che in ogni nazione chi lo teme e pratica la giustizia trova accoglienza presso di lui. Ciò significa non solo riconoscere che i gentili non devono più essere considerati impuri, ma anche affermare in positivo che al di fuori del popolo eletto esistono di fatto persone di cui Dio gradisce la devozione e la condotta (vv ). Sviluppi dell intervento di Pietro Il discorso di Pietro a casa di Cornelio ha un effetto immediato, in quanto mette in moto una serie di processi che comportano un grande cambiamento non solo in Cornelio, ma anche in Pietro. Non appena questi finisce di parlare, lo Spirito santo discende sui presenti. A questa scena assistono alcuni giudeo-cristiani di Giaffa, i quali si 3

4 meravigliano che lo Spirito Santo discenda anche su dei gentili, come risultava loro dal fatto che essi parlavano in altre lingue e glorificavano Dio (vv ). Il racconto presenta quello che si verifica nella casa di Cornelio come un nuovo inizio, un gesto significativo di Dio volto a rivelare senza equivoci la destinazione universale della salvezza. Si tratta di una specie di seconda pentecoste che fonda la chiesa dei gentili. I giudeo-cristiani di Giaffa che assistono alla scena sono designati da Luca come «i credenti (venuti) dalla circoncisione»: è un modo per ricordare al lettore che questi primi cristiani, che portano nella loro carne il segno dell appartenenza a un popolo separato da tutti gli altri, sono profondamente condizionati dalla loro origine. Nonostante la profezia di Gioele: «Io effonderò il mio Spirito sopra ogni carne» (cfr. 2,17), essi rimangono sconcertati quando un gruppo di gentili, che temono Dio ma sono incirconcisi, vivono un esperienza spirituale del tutto simile alla loro. Pietro, dal canto suo, non ha bisogno di riflettere a lungo per trarre le conseguenze teologiche e pratiche dell accaduto. Dal momento che il Signore stesso aveva preso in modo inequivocabile l iniziativa, egli ritiene che ci siano motivi sufficienti per battezzare Cornelio e tutti i suoi familiari: non si può infatti rifiutare il segno del battesimo a chi già possiede la realtà che esso significa (vv a). Ma in tal modo accetta che venga sovvertito l ordine che egli stesso aveva indicato all inizio: conversione, battesimo, dono dello Spirito (2,38). E soprattutto egli accetta che i gentili accedano alla salvezza senza che ricevano previamente la circoncisione. Pietro, ordina dunque che siano battezzati nel nome di Gesù Cristo. A Cesarea è nata una chiesa domestica, e i neobattezzati chiedono al loro ospite di «fermarsi alcuni giorni» presso di loro (v. 48b). L incontro tra Pietro e Cornelio si conclude felicemente, e sembra che non ci sia niente da aggiungere. Ma non è così. Lasciandosi condurre dallo Spirito, Pietro ha compiuto un gesto rivoluzionario, rischiando di dividere la chiesa. Egli dovrà perciò giustificarsi di fronte ai fratelli di Gerusalemme (11,1-18). Accusato di essere entrato nella casa di non circoncisi e di aver mangiato con loro, contraendo la loro stessa impurità rituale, Pietro non fa altro che mostrare come abbia fatto ciò sotto l impulso dello Spirito. Il vero battesimo, la grande novità scaturita dalla risurrezione, comporta l immersione nello Spirito Santo. Se Dio ha preso l iniziativa di concedere questo dono a un gruppo di incirconcisi ancora prima che essi esprimessero la propria adesione all annuncio del Vangelo, ciò significa che voleva segnare in tal modo l inizio di una nuova tappa del suo disegno di salvezza. Anche se i protagonisti dell episodio narrato sono simpatizzanti del giudaismo, e quindi non sono gentili in senso assoluto, la chiesa ha visto nella loro esperienza il segno che Dio ha abbattuto in maniera irreversibile il muro di separazione tra Israele e le nazioni. Gli ostacoli che si frapponevano all evangelizzazione del mondo sono ormai scomparsi. 4

5 SALMO RESPONSORIALE (Sal 97)(98) Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. R. Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d Israele. R. Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni! R. SALMO 97 (98) Esultanza davanti al Signore che viene Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un canto nuovo non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici. È Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: Gli ha dato vittoria la sua destra. Il canto nuovo celebra le meraviglie di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli. La sua salvezza, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. È una salvezza universale. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia. 5

6 SECONDA LETTURA Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (4,7-10) Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati Parola di Dio. CANTO AL VANGELO (Gv 14,23) Alleluia, alleluia. Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui. Alleluia. 6

7 Conoscere Dio che è Amore 1Gv 4,7-10 In questo brano Giovanni ci propone un approfondimento sul tema dell'amore. Chi ama è generato da dio e conosce dio (vv. 7-8) «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio»: dopo aver insegnato i criteri del discernimento spirituale circa la vera fede e la retta dottrina, Giovanni riprende il suo tema preferito: il dovere di amarci gli uni gli altri, presentato qui, come già in precedenza (2,10), come criterio di valutazione, perché l'amore è da Dio. Ricordiamo qui brevemente i diversi inviti all'amore reciproco: 2,7-10 (è un comandamento antico e nuovo che fa dimorare nella luce); 3,11-6 (ha Gesù come modello); 3,18 (va realizzato con i fatti); 3,23 (va praticato secondo il precetto datoci da Gesù); 4,7.11 (è promosso dall'amore di Dio). È bellissimo il modo di esprimersi di Giovanni se traduciamo alla lettera: Amatissimi, amiamoci... L'Apostolo sente di amare i suoi fedeli e invita ad amare tutti perché l'amore vero è un dono proveniente da Dio. «Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio»: riassumiamo qui la dottrina di questa lettera sulla generazione da Dio: ecco le condizioni per essere generati da Dio: praticare la giustizia (2,29), credere che Gesù è il Cristo; ecco gli effetti: chi è nato da Dio non pecca e non può peccare (3,9; 5,18), vince il mondo (5,4). Cristo poi è il Generato per eccellenza (5,1). Qui Giovanni vede l'essere generati e il conoscere Dio come due segni che sono, insieme, condizione ed effetto dell'amore. «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore»: Dio, presentato all'inizio come Luce (1,5), viene ora definito come Amore (definizione ripetuta in 4,16: le uniche due volte in tutta la Bibbia). Dio in quanto Padre è Amore amante, in quanto Figlio è Amore amato e in quanto Spirito è Amore vivente. Dio si svela solo a chi diventa amore. Dio ha dimostrato il suo amore inviando il Figlio (vv. 9-10) «In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi»: l'amore che Dio ha per noi non è fatto di soli pensieri o sentimenti, ma di opere concrete di salvezza che lo manifestano. Questa manifestazione consiste nell'incarnazione. «Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito»: Gesù lo aveva già detto chiaramente a Nicodemo: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,16-17). «Perché noi avessimo la vita per mezzo di lui»: il mondo, in questo caso, siamo noi, e la vita eterna donataci consiste nel vivere per mezzo di Cristo fino al punto da dire con Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. L'amore è vita; è il Cristo vivente in noi! (Gal 2,20). «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio»: l'amore non può partire da noi esseri umani. Parte unicamente da Dio. Noi non siamo capaci di amare né Dio, né il prossimo e nemmeno noi stessi in maniera corretta. Solo Dio può farci capire che cosa è l'amore vero e può donarci la capacità di viverlo. «Ma è lui che ha amato noi»: solo Dio sa amare veramente. È ben difficile capire perché Dio esiste; è un mistero che supera la nostra intelligenza. Eppure Dio esiste necessariamente, perché non può non esistere l'amore infinito e perfetto. «E ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»: l'amore di Dio è talmente grande (infinito) che non solo ha mandato il Figlio suo, l'unigenito, uguale al Padre, ma lo ha dato a noi come vittima di espiazione, perché con la sofferenza della sua croce fossimo liberati dai peccati. 7

8 VANGELO Dal vangelo secondo Giovanni (15,9-1 7) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Parola del Signore. 8

9 L amore di Gesù e dei discepoli Gv 15,9-17 Questo brano rappresenta la logica continuazione dell allegoria della vite e dei tralci, (15,1-8) con cui si apre il secondo discorso d addio di Gesù durante l ultima cena (Gv 15-16): esso infatti ne approfondisce la spiegazione, e al tempo stesso ne indica l applicazione alla vita concreta. Riprendendo il tema del comandamento nuovo, che Gesù aveva dato ai discepoli dopo l uscita di Giuda dal cenacolo (cfr. 13,34-35), il testo insiste sull amore vicendevole sino al sacrificio della vita per gli amici. L uso insistente dei termini «amore», «amare», «amici», mette in evidenza il tema fondamentale dell amore fraterno, che ha per modello l esempio dato da Gesù con il dono della propria vita. Il brano si divide in tre parti: Il rapporto dei discepoli con Gesù (vv. 9-11); Amicizia di Gesù e amore vicendevole (vv ); Elezione e fecondità dei credenti (vv ). Il brano si apre mettendo in luce come tutta la vita dei discepoli dipenda dal rapporto che hanno con il Maestro. Gesù dice loro: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (v. 9). Il Padre ama teneramente il Figlio, tanto da formare con lui un solo essere, e per questo gli ha dato in mano ogni cosa (cfr. 3,35; 5,20; 17,24). Con lo stesso amore con cui è amato dal Padre, Gesù ama i discepoli. Perciò li esorta a rimanere nel suo amore: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (v. 10). Gesù ha dimostrato il suo amore verso il Padre osservando i suoi comandamenti. Anche discepoli potranno essere coinvolti in questo amore che unisce il Padre e il Figlio a patto che osservino i suoi «comandamenti». Nei due casi non si tratta di osservare una serie di prescrizioni, ma di essere partecipi di quell amore che Dio vuole diffondere nel mondo. Il Padre è la sorgente dell amore, che si trasfonde nel Figlio e dal Figlio nei discepoli, che a loro volta devono comunicarlo ai fratelli. Dalla loro unione vitale con Gesù scaturisce per i discepoli l esperienza della gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (v. 11). Accogliendo la sua rivelazione, essi sono stati purificati dai peccati e resi partecipi della sua comunione di vita con il Padre, che è sorgente della pace e della gioia più piena. Il tema della gioia ricorre spesso nel quarto vangelo ed è sempre connesso con la presenza e l opera di Gesù in quanto manifestazione dell amore di Dio nel mondo. Gesù spiega poi che partecipando all amore del Padre e del Figlio i discepoli imparano ad amarsi tra loro: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (v. 12). L amore che unisce Gesù al Padre non è solo il modello, ma anche il fondamento dell amore che unisce i discepoli tra di loro. Si noti il parallelismo tra i «miei comandamenti» (cfr. v. 10) e il «mio comandamento» (cfr. v. 12), che corrisponde al «comandamento nuovo», nel quale si riassume tutto l insegnamento di Gesù. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (v. 13). Egli ha dimostrato l amore più grande perché ha donato la propria vita per i suoi amici; i discepoli devono fare altrettanto per i fratelli. In realtà per Gesù i discepoli sono diventati suoi amici: «Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi» (vv ). Pur implicando reciprocità, l amicizia non esclude che l iniziativa provenga da una delle due parti, cioè da Gesù. Questi infatti chiama i discepoli amici in quanto compiono il suo comando, che consiste nell amore. Dal contesto risulta che l osservanza del suo comandamento non è una condizione previa, ma una conseguenza dell amicizia che li lega a lui. Egli non può più chiamarli servi perché ha 9

10 rivelato loro tutto quello che ha udito dal Padre. Solo agli amici vengono confidati i segreti di famiglia, mentre i servi ne sono tenuti all oscuro. Ora, Gesù ha svelato ai discepoli, in quanto suoi amici, i segreti più intimi di Dio, rendendoli partecipi della vita divina. Fuori metafora, è con l oblazione della propria vita che Gesù ha manifestato fino in fondo l amore del Padre, rendendo possibile ai discepoli, divenuti suoi amici, di amarsi reciprocamente con la stessa intensità. Gesù approfondisce ulteriormente questo concetto a partire dal tema dell elezione: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (v. 16a). Il rapporto di amicizia che lega i discepoli al Maestro non dipende da una loro scelta spontanea, ma è frutto del dono gratuito e della libera iniziativa di Gesù, che li ha «scelti per sé» e li «ha costituiti» per associarli intimamente alla sua vita e per farli continuatori della sua opera. Gesù ha dato ai discepoli un compito speciale, quello di andare e portare un frutto destinato a rimanere: l efficacia della loro opera non è dunque limitata nel tempo. Inoltre egli assicura che il Padre concederà loro quanto essi chiederanno nel suo nome (v. 16b). L efficacia della loro preghiera dipenderà dalla loro amicizia e intima unione con Gesù. Infine nel v. 17 viene ribadito il comando dell amore vicendevole già espresso nel v. 12, con cui forma un inclusione. Il brano mette fortemente in luce l esigenza che tra i discepoli si instauri un rapporto d amore. Questo viene presentato come un dono che scaturisce dal Padre e prende forma nella persona e nell opera di Gesù, per poi comunicarsi ai discepoli. In modo metaforico questo amore viene chiamato «comandamento», al singolare e al plurale. In realtà l amore vicendevole a cui i discepoli sono chiamati non è un precetto in senso proprio, ma un esigenza interiore che scaturisce dal loro rapporto con il Maestro. Perciò proprio il loro amore umano, nel quale si rivela l amore del Padre e del Figlio, diventa lo strumento scelto da Dio per rivelare se stesso all umanità. Il rapporto che unisce i discepoli a Gesù viene illustrato con il concetto greco di «amicizia», che implica apertura e dialogo. Proprio in quanto amici, i discepoli ricevono da Gesù la rivelazione dei segreti di Dio. Questa espressione non indica chiaramente un seguito di nozioni astratte, ma quella prerogativa divina che è l amore. Gesù è il rivelatore per eccellenza non perché ha manifestato la natura di Dio in senso ontologico, ma perché ha dato un volto umano al Dio che, nella sua natura profonda, è amore (cfr. 1Gv 4,8). Per Giovanni il vangelo consiste essenzialmente nella manifestazione di questo attributo divino per mezzo della persona di Gesù. In questa rivelazione, colta e ritrasmessa dai discepoli, sta la proposta cristiana di salvezza. Questa comporta una felicità che si manifesta fin d ora nella gioia che pervade la vita dei discepoli e costituisce la prova esperienziale della verità del loro messaggio. 10

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