Le origini Antichi disegni di tecniche di ju jitsu

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1 Le origini La lotta è una degli sport più vecchi del mondo. Ma, in principio non si parlava di sport; era semplicemente il mezzo per fare intendere agli altri ragione attraverso l'uso della forza. Talvolta lo scopo era addirittura di sopprimere il nemico. In tutte le regioni del mondo, ogni popolazione possedeva un sistema di combattimento con armi o a mani nude, che migliorava assieme ai progressi della civiltà. In Cina e in Egitto si utilizzavano anticamente già raffinate tecniche di combattimento. Il Giappone, durante millenni, visse isolato dal mondo. Nel V secolo, la civiltà cinese penetrò attraverso la Corea e modificò profondamente la cultura nipponica. Questo avvenimento ebbe ripercussioni politiche e culturali sul Giappone: i monarchi inviarono a più riprese delle missioni culturali in Cina ed in Corea per consolidare ed approfondire le scienze acquisite. Il Giappone viveva sotto un regime feudale retto dall'imperatore, dove, in realtà, il potere era esercitato da un governatore militare: lo Shogun. Il paese era diviso in distretti militari appartenenti ai vassalli dello Shogun, i Daymio, temibili guerrieri. Antichi disegni di tecniche di ju jitsu La lotta corpo a corpo e le altre arti marziali trovarono, nel Giappone feudale, un terreno meraviglioso per svilupparsi. L'apporto della cultura cinese in fatto di combattimento a mani nude fu notevole: vennero applicate le avanzate nozioni mediche e i principi taoisti dello yin e yang. La conoscenza dei punti vitali del corpo permise di sviluppare tecniche di combattimento che si basavano sui colpi inferti: gli atemi. Dopo il XVII secolo venne creato il bushido, e si sviluppò il Ju Jitsu come "arte della flessibilità". L'influenza del buddismo fu preponderante ed i samurai, che storicamente avevano disprezzato le forme di lotta a corpo a corpo come adatte solo alle classi inferiori, cominciarono a sviluppare elaborate tecniche di combattimento in cui il principio JU (flessibilità) era dominante. Basandosi dunque su principi filosfici taoisti e buddisti, i bushi (i guerrieri) ripensarono le tecniche di combattimento. Il XVII secolo fu particolarmente ricco e segnò il periodo d'oro della pratica del Ju Jitsu. In quest'epoca furono create innumerevoli prese e tecniche di attacco e difesa. Ogni scuola ed ogni maestro conservava gelosamente i segreti laboriosamente messi a punto. I

2 Nel patrimonio tecnico del Judo rimane memoria delle antiche tecniche della scuola di Ju Jitsu Kito Ryu: esse compongono "la forma delle cose antiche", il Koshiki no kata. L'iniziazione alle tecniche segrete si operava nel più grande mistero: pochissime scuole misero per iscritto i loro insegnamenti. La trasmissione era dunque quasi sempre orale. Questo stato di cose si prolungò fino alla fine del periodo feudale (1867) e, ancora oggi, alcune vecchie scuole di Ju Jitsu conservano gelosamente i loro segreti. L'imperatore Mutsu-Hito ( ) introdusse in Giappone la civiltà occidentale e questo determinò, nel giro di qualche anno, l'adozione delle scienze e delle arti europee. Il rapido mutamento che ne conseguì e l'infatuazione verso la cultura occidentale, misero in cattiva luce tutto ciò che caratterizzava l'antico regime feudale. Le arti marziali cominciarono ad essere viste con disprezzo e l'introduzione dei fucili e delle armi bianche favorì l'abbandono dei metodi di lotta. Soltanto i samurai vi rimasero fedeli. Gli esperti di Ju Jitsu furono costretti ad impartire lezioni per vivere, ma il desiderio di aderire alla cultura occidentale condusse rapidamente ad un rilassamento dei costumi: la tradizione marziale rischiava di scomparire. Jigoro Kano Il patrimonio marziale nipponico rischiava di essere dimenticato per sempre se un uomo non lo avesse rimesso in discussione. Quest'uomo si chiamava Jigoro Kano, nato il 18 ottobre 1863 a Mikage. Egli giunse a Tokyo nel 1870 per continuare la sua formazione scolastica in Istituti d'istruzione. Delicato di salute era alto solo un metro e cinquanta e pesava 48 chili. A 16 anni decise di rafforzare il proprio corpo con la pratica della ginnastica e del baseball. Inoltre nelle liti tra studenti Kano veniva sempre battuto. Jigoro Kano ( ) Ferito nel suo orgoglio di samurai nel 1877 si interessò alle arti marziali e, seppur disapprovato dai familiari, prese lezioni di Ju Jitsu alla Tenjin Shinyoryu con i maestri Iso e H. Fukuda dai quali apprese i segreti del randori e dei kata. Al tempo stesso fu guidato dal maestro I. Ihikubo della Kito-ryu che insegnava uno stile di Ju Jitsu del tutto diverso. Inoltre il giovane Kano fece approfonditi studi su antichi testi di insegnamento (densho) di molte antiche Scuole di Ju Jitsu. Nel 1882, ormai laureato, accettò l'impiego di insegnante II

3 alla Scuola dei Pari (Gakushuin). Nel frattempo aveva fatto le sue scelte fra i vari metodi di Ju Jitsu praticati fin dall'era Edo, e, con la collaborazione di soli nove amici-discepoli fondò la sua scuola: il Kodokan. La famiglia kano Il kodokan Fondato nel 1882, il KO-DO-KAN significa letteralmente "Scuola per lo studio della Via"; inizialmente il dojo di Jigoro Kano era di soli 9 allievi su 12 tatami e si trovava in una saletta del tempio shintoista Eishoji sito nel quartiere Shimoya di Tokyo. Le tecniche che Jigoro Kano prese a base per il suo metodo "Judo Kodokan" si ispiravano principalmente alle forme tradizionali delle scuole Kito-ryu e Tenjin Shinyo-ryu. Molte altre tecniche di Ju Jitsu furono modificate e affinate da quelle che in origine appartenevano alla tradizione, ma l'intima essenza del Judo, che faceva convergere forza e flessibilità, fu un concetto che Jigoro Kano definì a poco a poco con una ricerca razionale e con metodo scientifico. Eisho-ji : Prima sede del kodokan Il Kodokan rilevò parecchie sfide lanciate dalle altre scuole di Jiu Jitsu e nel 1886 riportò la prima vittoria grazie ai famosi allievi Shiro Saigo e Yokoyama: Sezioni del Kodokan furono aperte a Nirayama, Edajima e Kyoto. Il Kodokan e il Judo si imposero e il dojo di Tokio si ingrandiva di anno in anno. In pochi anni il metodo di Kano catturò l'attenzione del Ministero della Istruzione nipponico. Quest'ultimo cominciò a prendere in considerazione i meriti delle varie Scuole di Ju Jitsu con l'intento di inserire questa arte marziale tra le materie di studio accanto alla educazione fisica. Ben presto il Judo divenne materia integrante di studio nelle Scuole di tutto il Paese, e dovunque in Giappone si tenevano gare di Judo. III

4 Le classificazioni delle tecniche di Judo in Giappone si basano su più di anni di esperienza e sugli studi del maestro Kano aiutato dai suoi allievi. Nel 1895, 13 anni dopo la fondazione del Kodokan, Jigoro Kano, con un Comitato di allievi di alto grado stabilì il Go-kyo o metodo di insegnamento diviso in 5 sezioni. Questa progressione di insegnamento era basata sulla lunga esperienza del Ju Jitsu e sui 13 anni di studi Kodokan. Nel 1920, dopo che le ultime scuole di Ju Jutsu furono assorbite dal Kodokan, Jigoro Kano decise di rivedere il vecchio Go-kyo. In collaborazione con i suoi allievi più esperti e con i maestri di tutte le scuole dell'epoca elaborò un nuovo Go-kyo che è quello che si insegna tuttora in tutti i Dojo del mondo. L'attivita del Kodokan si espanse sempre più e varcò i confini nazionali nipponici. Kano spedì i suoi migliori allievi all'estero. Essi permisero al Judo Kodokan di guadagnare larghi riconoscimenti in tutto il mondo. Nel 1934 fu costruito a Suidobashi (quartiere Tokyo) un moderno e grande edificio che presto divenne la "mecca" del Judo di tutto il mondo. Sembrava che questo sport avesse raggiunto l'apice della diffusione. Nel 1938 il Giappone inviò il prof. Kano al Cairo perché rappresentasse la sua Nazione al 12 Convegno Generale del Comitato Olimpico Internazionale. La partecipazione ebbe grande successo e fu approvata la proposta di far svolgere i prossimi Giuochi Olimpici a Tokyo. A pochi giorni di mare da Vancouver, nel Canada, a bordo della nave Hikawa-Maru, dopo aver svolto un giro di interessanti conferenze, il Professor Jigoro Kano si spegneva all'eta di 79 anni sulla stessa nave che stava per riportarlo in Patria dopo aver conseguito importanti risultati a favore del suo Paese. Appena il Giappone fu mobilitato per la Seconda Guerra Mondiale gli studenti furono arruolati in gran numero nell'esercito. II Ministero per il Benessere organizzò una sezione di Arti marziali e il Judo fu usato come tecnica di combattimento. Di nuovo l'arte uscì dai dojo per l'applicazione sui campi di battaglia. Gli atteggiamenti militaristici pervasero il Paese e dal 1938 il clima politico lasciava presagire la guerra: l'esercitazione delle arti marziali fu in voga in tutto il paese. Il Judo dal dopoguerra ai giorni nostri Nel 1956 il Giappone organizza i primi campionati del mondo a Tokyo. Dalla fine della guerra più di stranieri hanno compiuto un soggiorno più o meno prolungato in Giappone al fine di perfezionarsi. Un nuovo edificio modernissimo, dalle grandi vetrate è stato costruito. Oltre all'immenso tappeto, contiene sale speciali per l'allenamento delle donne, dei bambini, degli allievi particolari e degli stranieri. Ospita tanto studenti specializzati quanto istruttori fissi. IV

5 Il nuovo kodokan a Tokio Assieme al patrimonio di esperienza e di pensiero, il Judo coltiva anche l'aspetto sportivo voluto dallo stesso Jigoro Kano. Egli riteneva infatti che questo fosse il modo migliore per la diffusione del suo metodo in tutto il mondo. Questa intuizione si dimostrò particolarmente esatta: il Judo venne ammesso ai Giochi Olimpici di Tokyo nel 1964 dove il dominio giapponese subì la prima scossa con la vittoria di Anton Geesing nella categoria open (senza limite di peso). Naturalmente questa evoluzione sportiva del Judo ha anche aspetti negativi: il Judo si sta incamminando sempre più verso i modelli di sportività della società moderna. Esistono tuttavia ancora oggi le associazioni di Judo tradizionale che perseguono l'intento di mantenere viva la tradizione, con gare che non rispettano le regole dettate dagli organismi internazionali, esami per la definizione dei gradi di esperto e metodologie di insegnamento che seguono più fedelmente i dettami di Jigoro Kano. Vengono insegnati randori e kata tendendo ad applicare i principi fondamentali che ispirano il Judo Kodokan. "Il Judo ha la natura dell'acqua. L'acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato. Non ha propria forma, ma prende quella del recipiente che la contiene. E` indomabile e penetra ovunque. E` permanente ed eterna come lo spazio e il tempo. Invisibile allo stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra. Solidificata in un ghiacciaio, ha la durezza della roccia..." Gunji Koizumi (8 Dan), Shi-han ( ) V

6 Il principio base del Judo Il principio base del Judo è conosciuto universalmente attraverso le parole stesse del suo fondatore Jigoro Kano: "La flessibilità può neutralizzare la forza bruta". La parola "Ju-do" infatti è composta da due ideogrammi: "ju" significa flessibilità, non-resistenza, dolcezza, "do" si traduce con cammino o via. Judo è dunque "la via della non resistenza" o la "via della flessibilità", il cammino che conduce ad una vita equilibrata utilizzando un metodo di educazione fisica e mentale basato su una disciplina di combattimento a mani nude. Ideogrammi "JU" e "DO" Il principio stesso di questo tipo di combattimento è la nonresistenza, cedere alla forza avversa per squilibrarla, controllarla e vincerla con un minimo di sforzo. Jigoro Kano ha espresso due massime basilari che dirigono la vita del judo: 1. "Seryoku zenhyo" ("il miglior uso della energia, fisica e morale") 2. "Ji ta kyò ei" ("amicizia e mutua prosperità"). Esse sono veramente l'essenza di quello che lo studio del Judo può dare all'individuo ed alla società: al primo come preparazione fisica ed educazione del carattere, alla seconda come scuola formativa di uomini e donne preparati a lottare equilibratamente per la vita nel rispetto della personalità dei propri simili. Il Dojo Il termine "Do" significa via e il termine "Jo" designa un luogo preciso: "Dojo" dunque si può tradurre come "il luogo in cui si insegna la via". E' un termine di provenienza buddista: la sala di meditazione di certi templi si chiama "Dojo", ed è anche il nome VI

7 della palestra in cui si studia un'arte marziale. Idealmente è un ambiente vasto il cui suolo è ricoperto di tatami (stuoie di paglia o di materiale plastico), i muri sono spogli e in genere di colore chiaro. Al centro del muro di fronte all'entrata sono fissati uno o più elementi simbolici: il fiore del ciliegio, una sciabola da samurai, la fotografia di Jigoro Kano o un kakemono (pittura giapponese che si avvolge su un bambù). Dall'insieme si sprigiona un clima di austerità, di pace profonda, un ambiente favorevole allo studio e alle ricerche serie. Il saluto e l'etichetta nel Dojo Il primo gesto che si insegna ad un principiante in un dojo, dopo averlo iniziato all'annodamento della cintura, è il saluto. Il rispetto dovuto agli altri si manifesta in un cerimoniale codificato ed adattato ad ogni caso. Il saluto si esegue in due maniere: 1. Ritzurei: è il saluto semplice. Si esegue in posizione eretta, gambe unite,talloni uniti, braccia lungo il corpo. (Le donne appoggeranno le mani davanti alle cosce). La posizione di partenza è simile a shizen tai, ma meno rigida. Ci si inchina poi in avanti, lasciando il tronco dritto con un angolo di 30 gradi circa. In questa posizione si segna un tempo di arresto con lo sguardo abbassato in segno di deferenza. Poi si ritorna alla posizione di partenza. Ritsurei viene eseguito quando si sale sul tatami, quando si invita qualcuno ad esercitarsi, prima e dopo i combattimenti. 2. Zarei: è il saluto più cerimonioso. Si esegue in posizione inginocchiata. Partendo dalla posizione eretta si posa il ginocchio sinistro a terra, poi il destro, avendo cura di lasciare le dita dei piedi nella posizione in cui puntano sul tatami. Successivamente esse vengono distese e l'alluce destro viene posato sul sinistro, con i piedi a contatto tra loro. Nel momento in cui le punte dei piedi sono distese e girate sul tatami, si erige la colonna vertebrale e si posano le mani sulle cosce. Queste ultime negli uomini sono separate tra loro ed hanno una distanza di circa 20 cm, mentre nelle donne sono serrate. Si segna un tempo di arresto nella posizione di zazen poi si appoggiano le mani di piatto a terra, le dita rivolte verso l'interno a una distanza di 10 cm dalle ginocchia. Il tronco si piega in avanti verso il suolo flettendo le braccia. Successivamente si ritorna nella posizione di partenza e, eseguendo i movimenti precendenti, ma al contrario, si ritorna in piedi. Zarei è eseguito all'inizio e alla fine di una lezione collettiva ed è obbligatorio nell'esecuzione di alcuni kata (nage-no-kata, Katame-no-kata, Kime-no-kata). VII

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