Numero 5 anno 12 - febb./marzo periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento

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1 Numero 5 anno 12 - febb./marzo periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento

2 E D I T O R I A L E Ciao a tutti i Pratisti! Scrive Martina Folena, co-caporedattrice tornata dal Canada qualche settimana fa a condividere con Silvio l onore della direzione di questa testata. Ho seguito i progressi del giornalino anche dall estero, ma ora che sono di nuovo sul suolo italiano ho ripreso a partecipare più attivamente alla realizzazione dei nuovi numeri. È un vero piacere essere di nuovo fisicamente nella redazione! Vi comunico con grande soddisfazione che non è rimasta neanche una copia dell ultima edizione del giornalino! Io e Silvio abbiamo distribuito alcuni numeri anche all Open Day del liceo che si è tenuto lunedì 22 febbraio. Devo ammettere che è stato veramente interessante vedere i volti di chi l anno prossimo potrebbe finire nel nostro stesso universo scolastico e, perché no, anche in redazione Moltissime madri che come al solito parlano sempre al posto degli studenti, i quali probabilmente non si preoccupano neanche un quarto di quanto non lo facciano le genitrici ci hanno chiesto se non sia troppo pesante il Classico, ora che è passato l obbligo del tedesco per il biennio, e quante ore studiamo al giorno, eccetera... Sfatare il mito del Liceo Classico Divoratore di Anime non è mai facile, ma se non altro sembra che tutti i partecipanti all Open Day siano stati positivamente impressionati dalla scuola, così come dall ultimo numero del giornalino. Il Prati non è fatto solo dalle materie che vi si insegnano. Il Prati è fatto dagli studenti. Il fatto che non siano sempre i soliti a scrivere è emozionante: significa che ci sono ancora persone che vogliono prendere l iniziativa, mettersi in gioco, lanciarsi in qualcosa di nuovo. Questo è lo spirito che cercavamo nella nostra redazione, e l abbiamo trovato! Lascio la parola a Silvio e saluto chiunque stia per tuffarsi fra le pagine di questo nuovo fantastico numero. Martina Folena Come ogni mese vi ricordiamo che il ricavato della distribuzione del nostro giornale verrà donato all - Associazione Umanitaria Save the Children, la onlus sostenuta anche dalla nostra scuola. Questo mese infatti abbiamo raccolto 70 euro. Come potrete notare c è stato un calo delle offerte e sicuramente le ragioni sono due: molti giornalini, come ha precedentemente spiegato Martina, sono stati distribuiti alle famiglie durante l Open Day il 22 febbraio. I- noltre la settimana della distribuzione di Praticantati ha coinciso con il viaggio di istruzione delle classi quinte in Irlanda. Poiché sarebbe spiacevole se questo mese riaccadesse, a causa del fatto che in queste settimane avranno luogo la maggior parte delle gite d istruzione, abbiamo deciso di pubblicare un numero doppio mese, in modo che possa essere distribuito quando tutti gli studenti sono in sede ed anche per far respirare i nostri impegnatissimi giornalisti! La temutissima riforma alla fine è passata. So che le critiche sono più che altro negative, ma magari possiamo anche ricavarne qualcosa di buono. A questo punto, ora che la riforma entrerà sicuramente in vigore col nuovo anno scolastico, la nostra mossa più saggia potrebbe essere pensare a come limitare i danni e sfruttarne ogni potenzialità nascosta. Vi prometto che ne parleremo in modo più esauriente nei prossimi numeri. La nostra redazione cresce di numero ad ogni riunione e abbiamo grandi progetti all orizzonte. Non potete immaginarvi il mio entusiasmo quando, dieci giorni dopo il mio ritorno dal Canada, ho partecipato alla prima riunione dell anno e ho trovato la stanza piena di volti nuovi. Soprattutto la partecipazione del ginnasio alla redazione del giornalino è un grandissimo traguardo. Per ultimo riteniamo necessario mostrare la novità di questo numero di Praticantati. Come sicuramente avrete notato in ultima pagina, al posto della messaggeria spostata in penultima, abbiamo inserito la pubblicità! Infatti la pubblicazione di questo numero ci è stata sponsorizzata dalla Cassa Rurale di Trento: un opportunità in più per far progredire il nostro giornale, anche in termini di iniziative di solidarietà e beneficienza a sostegno di chi è meno fortunato di noi. Pertanto, per i prossimi numeri, riproponiamo l offerta per uno spazio pubblicitario: se ci fosse qualche società, imprenditore o persona interessata a sponsorizzare la propria attività sul nostro giornalino, ci contatti! E ricordate: visitate il nostro sito internet e collaborate con noi su il mondo di Praticantati anche sul web! Silvio Defant 2 PRATICANTATI Febbraio/Marzo 2010

3 In questo numero PRATICANTATI è il giornalino del Liceo Prati n 5 anno 12 febbraio/marzo 2010 INTERVISTA 4 Da Prataiolo a. - Politico ATTUALITA PRATAIOLA 7 La voce dei rappresentanti 8 Consulta i praticanti 26 Epico duello 3C vs 2E NEL MONDO 10 Voglia di università 13 La tua ultima auto ATTORNO A NOI 9 27 gennaio, e noi cosa facciamo? 11 Disney World 12 Tutti pazzi per il 3D, ma a qualcuno non piace 21 Angelologia FILM E TELEFILM 23 Dorian Gray 24 L uomo che verrà, di Giorgio Diritti MUSICA 24 Dummy TECNOLOGIA 28 IPad: è davvero una magica rivoluzione? MODA 30 Prataioli di Carnevale INFO & FUN 29 Le meraviglie della natura 30 Orrroscopo 32 Tachicardia amorosa POESIA 34 Spas(i)mi notturni Pazzia La propria croce VIAGGI 14 Prataioli on the road to Bologna 16 Marty, live from Burnaby - ultimo episodio 18 Cucina dal mondo LA POSTILLA 35 La messaggeria di Praticantati LIBRI E DINTORNI 22 Stephen King: the Dome SPORT 27 Trial: che passione! Redazione Redattori: Dario Goxho Angelo Naso Martina Sevegnani Riccardo Schöfberger Francesca Valla Enrico Dal Fovo Enrico Pozzo Jacopo Sartori Yassmine Zouggari Giorgia Folgheraiter Arianna Arrighetti Mattia Graiff Angelica Giovannini Dario Amadori Direttore responsabile: Antonio Di Seclì Caporedattori: Martina Folena & Silvio Defant Francesca Pedron Fabrizio Lettieri Gaia Manzin Gaia Pedron Lisa Caresia Francesca Laura Nava Gaia Faustini Realizzazione grafica dell immagine di copertina: Giulia de Martin Disegno a pagina 33 realizzato da: Martina Sevegnani Autorizzazione del Tribunale di Trento n 1390 del 1 luglio 2009 Volete informazioni? Ci volete scrivere? Fate così: contattate la redazione utilizzando la redazione.praticantati@liceoprati.it usate il box della messaggeria nell atrio in sede e nella sala dei distributori automatici in succursale contattateci direttamente (possibilmente non durante le lezioni qualcuno avrebbe da ridire.) ❹ su potrete interagire con Praticantati anche sul web, facilmente, velocemente ed immediatamente. Un modo ancora più diretto per esprimere i nostri pensieri e per essere più vicini gli uni agli altri. n 5 anno XII PRATICANTATI 3

4 I N T E R V I S T A So che lei ha frequentato il nostro liceo. Ci può dire in che periodo di preciso? Io ho conseguito la maturità nel 1978, un epoca molto diversa. Difficile per la scuola italiana: incominciavano ad esserci le tensioni dei primi anni 80. Era anche un epoca molto bella, caratterizzata dalla partecipazione: incominciavano le prime esperienze degli organi collegiali della scuola, per la prima volta c erano gli organismi in cui si eleggevano gli studenti. Un periodo che ricordo molto bello e particolare. C era la Preside De Finis che cominciava all epoca il suo percorso. Ricordo le assemblee studentesche che si organizzavano in modo diverso, su argomenti anche politici, c era una militanza politica anche nel mondo degli studenti. Credo personalmente che tra tutte le scuole, senz altro il liceo classico, il Prati in particolare, conservi ancora un ruolo molto importante nell ambito scolastico della nostra comunità. 4 PRATICANTATI DA PRATAIOLO A. POLITICO di Francesca Valla Come prosecuzione della rubrica Da prataiolo a..., questo mese abbiamo deciso di intervistare il più celebre personaggio politico che ha calcato la scena provinciale negli ultimi anni, e, come richiede questo nostro spazio, anch esso ex alunno del nostro liceo: il presidente del governo provinciale del Trentino Lorenzo Dellai. Il governatore, in questo spazio, ci ha infatti concesso parte del suo tempo per raccontare il percorso scolastico, universitario e lavorativo che ha maturato nel tempo per raggiungere la sua attuale carica politica. Lo abbiamo incontrato qualche settimana fa nel suo ufficio in piazza Dante, dove per circa un oretta ha avuto luogo l intervista. Come mai a suo tempo ha scelto il liceo classico? E ora le sembra che sia stata una scelta positiva? La rifarebbe? La rifarei di sicuro; l ho anche consigliata e la consiglio ai miei figli. Purtroppo negli ultimi anni si è diffusa una leggenda metropolitana, cioè che il Prati è una scuola molto difficile, quindi finora non sono riuscito a promuovere questa scelta in famiglia, anche se io la rifarei di sicuro. Ho scelto come sempre sulla base di convinzioni e informazioni che avevo assunto e anche sulla base della fortuna, come tutte le scelte che si fanno da ragazzi, no? Non si fanno mai scelte motivate al cento per cento: si tiene conto di informazioni, di qualche suggerimento degli insegnanti, delle reti amicali, dell immagine e della percezione che in quel momento un Istituto ha. A me sembrava una scuola capace di offrire soprattutto uno spettro molto ampio di informazione e questa forse è la cosa più importante. C è ancora secondo me la necessità di una scuola superiore che ti dia i fondamenti, poi certamente oggi siamo nell epoca delle specializzazioni, anzi, delle iper specializzazioni. Nonostante ciò, la cultura classica può aprire gli orizzonti, consentire uno spazio ampio di conoscenze e dare un senso alle specializzazioni. Per me Febbraio/Marzo 2010

5 il classico è questo: non tanto le specifiche competenze che ti da, ma il metodo di analisi e lo stimolo alla criticità e alla curiosità, per me è stato così. Anche oggi ritengo che abbia un ruolo fondamentale per questo motivo nel panorama delle opzioni formative. Cosa ricorda di questa scuola? Naturalmente ho molti ricordi di quel periodo come ciascuno ha della propria adolescenza. Innanzitutto il Prati di allora non è il Prati di oggi. Ad esempio mi ricordo che si faceva educazione fisica in un aula molto piccola del secondo piano, dove per giocare a pallavolo si doveva tracciare la riga di bordo campo a un metro e mezzo di altezza sul muro. Mi ricordo l insegnante storico di ginnastica, il professor Postal. Oggi, al contrario, avete una palestra straordinaria e anche un - aula magna! Mentre noi le assemblee le dovevamo fare sul corridoio. Nonostante ciò ricordo che noi tutti abbiamo avuto la possibilità di fare un esperienza di comunità studentesca e di interazione con gli insegnanti. Ricordo le difficoltà iniziali come il primo approccio col greco. Anche se abbiamo avuto la fortuna di aver trovato degli insegnanti straordinari che ci hanno insegnato attraverso queste difficoltà e astrusità ad accedere ad un patrimonio di conoscenza che ci ha allargato la mente e che ci ha permesso di esercitare la libertà di pensiero. E queste cose sono quello che mi resta di quest esperienza. Non tanto le conoscenze specifiche. Infatti, ora come ora avrei difficoltà a leggere una riga in greco! Ricordo anche che in quegli anni il Prati era una palestra della politica: Io ero compagno di banco di un ragazzo di Lotta Continua, mentre io ero di Democrazia Cristiana e mi tornano in mente le grandi discussioni. Ripenso al senso che allora noi giovani davamo alla politica, all assidua partecipazione alle assemblee, al fatto che ciascuno di noi andasse a scuola con il proprio giornale di partito: io col Popolo, il mio compagno di banco citato prima, Roberto Fontana, con Lotta Continua. La politica quindi non era una cosa che si viveva da lontano ma era molto vicina agli studenti, a differenza di adesso. A questo punto ci farebbe piacere conoscere un aneddoto positivo e uno negativo dei tempi in cui ha frequentato il Liceo Prati. Oh signore!! L aneddoto positivo, anche se un po drammatico, è come ho preparato la maturità. Io e il mio compagno, dovendo recuperare un po di tempo che, onestamente, avevamo dedicato alla politica, abbiamo speso tre giorni e tre notti intere con un grande patema d animo a far ripetizioni per l esame di maturità al centro culturale Rosmini. Un altro episodio significativo è stato quando per la prima volta abbiamo occupato il nostro liceo, per occupazione s intende che si facevano solo delle assemblee un po più lunghe, mi ricordo lo stupore e lo sconcerto della Preside De Finis, che all epoca era all inizio della sua carriera, quando siamo andati a comunicarle il fatto. La cosa comunque finì bene. Che cosa è cambiato nella scuola trentina e nel Liceo Prati rispetto a quando l ha frequentato lei? Non è cambiato solo il liceo ma tutto il mondo. Per alcuni anni ci si è posto il dubbio della validità degli studi classici: per tutti gli anni Ottanta e Novanta sembrava che tutti dovessero affrontare studi più moderni (scientifici, informatici, tecnologici). Nonostante ciò il Prati è rimasto un punto fermo. In quest epoca, tuttavia, si riflette di più sui problemi anche etici a livello globale, come la crisi economica e quella ambientale o i rapporti stessi tra uomo e tecnologia. Gli studi classici aiutano da questo punto di vista a mettere insieme le conoscenze. E oggi è una scuola competitiva e pronta a futuri cambiamenti. Ad esempio in queste settimane stiamo parlando di riforme nazionali e io devo dire che, nonostante quello che si sente dire, noi siamo ben attenti a non cancellare il liceo classico dal piano di offerta formativa. Certamente dobbiamo raccordare quest importante ruolo degli studi classici con quello che è l impianto del nuovo sistema scolastico. Ci sono delle nuove norme che vanno adattate, come quella dell - obbligo scolastico fino ai sedici anni; questo implica che il biennio deve avere, a differenza di prima, una duplice finalità: in primo luogo deve indirizzare verso un settore specifico, ma anche tenere conto del fatto che si debbano rafforzare le competenze di base. Quanto gli studi classici hanno influenzato la sua carriera politica e soprattutto quanto le sono serviti nel suo lavoro e nella sua vita in generale? Come dicevo prima gli studi classici ti danno un metodo di analisi e stimolano le capacità critiche e logiche. Per chi fa politica, metodo e logica sono fondamentali e quindi sono molto grato alla mia famiglia che all epoca fece sacrifici per farmi studiare al Prati. Qual è la materia studiata a scuola che più le è servita, di quale avrebbe fatto a meno e infine di quale sente o ha sentito la mancanza? Quella che più mi ha interessato e coinvolto sono state la storia e la filosofia, perché mi hanno aiutato a ricevere un quadro sistematico delle conoscenze. Quella a cui avrei rinunciato, purtroppo, e dico purtroppo perché ho avuto una valida insegnante, è la storia dell arte, alla quale non sono mai riuscito ad appassionarmi. Alla terza domanda sinceramente non so rispondere perché ritengo che abbiamo avuto un quadro generale abbastanza completo delle materie. Anche perché negli anni di formazione di base delle scuole superiori credo sia un errore moltiplicare le discipline, meglio consolidare le competenze sulle materie fondamentali. n 5 anno XII PRATICANTATI 5

6 Pensa che lo studio di certe materie come la filosofia, l italiano, la storia e altre e l ambiente del liceo in generale abbiano in qualche modo influenzato le sue idee politiche o il suo modo di agire? Mah, diciamo che queste materie mi hanno stimolato, mi hanno dato un metodo di analisi di problemi e soprattutto mi hanno fatto capire che la verità non sta mai da una parte. Non c è una verità sola, ma la gestione della conoscenza è plurale: vanno ricomposti gli spezzoni di verità. In questo caso la risposta è sì, ho avuto insegnanti che mi hanno stimolato a costruirmi una mia idea. Questi metodi che ho imparato dai miei insegnanti sono stati l antidoto ad ogni fondamentalismo a prescindere dalle idee politiche. Inoltre non abbiamo mai avuto nemmeno una vaga idea del pensiero politico dei nostri insegnanti; in classe si discuteva, certo, di qualcuno avevamo acquisito informazioni, anche se per fatti esterni alla scuola, ma nonostante ciò hanno lasciato che noi maturassimo le nostre tesi autonomamente. E quindi ci è stato insegnato anche il rispetto delle idee altrui. In che periodo si sono formate le sue idee? Nel periodo in cui ho iniziato a fare il Prati, quindi nel 73-74, all inizio ho avuto la fortuna di partecipare a un gruppo studentesco chiamato gruppo Milani, chiamato così per la figura di don Lorenzo Milani. Gruppo che si era costituito in tutte le scuole di Trento, perché era il primo anno che si dovevano eleggere gli studenti nel Consiglio d Istituto: i famosi Decreti Delegati, infatti, erano stati emanati in quegli anni. Nacque appunto questo gruppo studentesco di propensione cattolico-democratica e per me quella è stata la prima esperienza di attività politica. Qualche anno dopo è iniziata l esperienza di partito. Alcuni di noi coltivano il sogno di entrare in politica. Ai tempi del Liceo si sarebbe mai immaginato di entrare in politica e di raggiungere la presidenza provinciale? Beh, di fare il presidente della provincia non potevo di certo immaginarlo a quell età, però di fare politica si: ne ero convinto fin dall inizio. Avevo cominciato a vedere nella militanza politica una cosa molto importante e significativa, poi il percorso degli studi superiori ha confermato questa scelta. Mi auguro che tanti studenti abbiano questo sogno, perché la cosa più drammatica che vedo in questi ultimi quindici anni è proprio la distruzione del concetto di politica: il fatto che la gente, soprattutto i giovani, veda la politica come una cosa non importante per la comunità, questa è la cosa più grave che possa accadere in una democrazia. Brevemente: come e quando è entrato in politica e che cosa l ha spinto a farlo? 6 PRATICANTATI Come ho già detto prima sono entrato attraverso questo gruppo studentesco nei primi anni in cui frequentavo il Prati. Verso la fine del ho invece scelto una militanza più propriamente partitica, mi sono iscritto al mio partito: la Democrazia Cristiana, e da lì è iniziato il mio percorso di informazione. Allora un giovane che voleva entrare in un partito politico doveva prima imparare, a- scoltare. Questa è stata la cosa più bella di quel periodo. Oggi vedo invece che ci sono carriere molto rapide e che molti posti di elevata responsabilità vengono assegnati a gente priva di una formazione, priva di un percorso di crescita, requisiti che all epoca invece erano considerati necessari. Quindi ho iniziato ad ascoltare le persone più autorevoli, che ne sapevano di più, dando una mano anche a fare le cose più umili: sembra uno scherzo, ma all epoca si andava a fare anche lavori manuali per organizzare la Festa dell Amicizia, per mettere insieme gli stand, per vendere i libri. Attività manuali che ci davano l idea che la politica non fosse qualcosa di artificioso, ma qualcosa che si costruisse con l impegno e la militanza quotidiana. La politica è una vocazione: è difficile dire il perché la fai. Certo la fai perché è un modo per servire la comunità, cambiare il mondo, costruire un futuro migliore, ma in realtà c è una chiamata come per molte altre attività. Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni del suo lavoro? Le difficoltà sono soprattutto quelle di una comunità sempre più frammentata: in Trentino abbiamo una base sociale coesa, ma anche da noi cominciano ad esserci fenomeni di frammentazione. Non è facile trovare la via per fare sintesi e rapportarsi con le esigenze della gente, senza perdere il disegno e la visione del futuro. Quando non hai visione di futuro, ti accusano. Il buon politico non deve solo sapere ascoltare il popolo, ma deve anche conoscere il domani: conciliare la funzione guida con l ascolto per il popolo. Una cosa positiva del mio lavoro, che mi da soddisfazione, è guidare un territorio come il Trentino stimato da tutti in Italia e non solo. E io sono sempre orgoglioso di rappresentarlo. E infine un saluto agli studenti del suo ex liceo e uno o più consigli per i futuri politici. Mi auguro che siano in tanti ad ambire a ruoli importanti nella politica o nel giornalismo. Non è retorica dire che gran parte della classe dirigente è uscita dal liceo classico e che sarà così anche in futuro, spero. Bisogna spendersi senza preoccupazioni perché è un esperienza che va vissuta fino in fondo senza riserve. Per prima cosa poi non bisogna mai rinunciare alla propria libertà di pensiero, bisogna coltivare uno spirito critico di libertà, ma anche un senso di lavoro di squadra, quindi mantenere la disciplina senza mai rinunciare alla libertà. Saluti a tutti. Febbraio/Marzo 2010

7 Attualità prataiola La voce dei Rappresentanti di Enrico Pozzo e Jacopo Sartori Salve a tutti! Febbraio è passato, un altra assemblea è andata, e ci avviciniamo pian pianino alle vacanze pasquali. Speriamo ancora che la cogestione sia stata di vostro gradimento, come l assemblea del 26 febbraio, un assemblea leggermente atipica. Quest assemblea si è svolta con tema principale lo sport: sono stati proiettati film sul rubgy negli anni 20 (In amore niente regole), sul problema della violenza negli stadi inglesi (Hooligans) e su due atleti che dovevano superare le qualificazioni alle Olimpiadi del (Momenti di Gloria); parallelamente a queste proiezioni, si sono svolte le finali di calcetto maschile e femminile, e la partita di pallavolo professori-studenti. E stata un assemblea complessivamente positiva dal nostro punto di vista, e speriamo sia stata di vostro gradimento. Parliamo ora di quello che si farà: il 31 marzo si terrà l assemblea cinema che occuperà tutta la mattinata. Alle otto di mattina, dopo l appello, si andrà al Cinema R o m a per la visione di u n f i l m (probabilmente Invictus); alla fine della proiezione si tornerà a scuola e si terranno tre gruppi riguardo ai temi sollevati dal film. I rappresentanti di classe verranno incaricati, verso metà marzo, di raccogliere i soldi per l ingresso al cinema. Altro argomento riguardante gli ultimi mesi di scuola: il mega super concertone stratosferico dell 8 maggio, in Piazza Dante, con la collaborazione dei cinque istituti principali di Trento (Da Vinci, Galilei, Prati, Rosmini, Vittoria) dove suoneranno 10 gruppi (2 per istituto) e vi saranno esposizione di quadri degli istituti dell artistico e spettacoli di danza delle studentesse del coreutico, con in aggiunta spettacoli di giocolieria dell associazione Giratutto. Sarà una specie di festa, che tenta di riprendere i lati positivi di Mesiano. Gli ultimi ritocchi li stiamo dando in questi giorni, e speriamo che tutto vada in porto. Ultima cosa, il triangolare tra i tre istituti!!! Quest - anno si è pensato di riportare in auge la manifestazione sportiva, di cui purtroppo tutti ricordiamo i tristi fatti avvenuti al Briamasco quattro anni fa. Quindi, la formula sarà diversa, in quanto il triangolare si terrà al Palasport, l 1 giugno, e si svolgeranno le partite di calcetto a 7 pallacanestro - pallavolo tra i tre istituti, per permettere al gentil sesso di partecipare a questa manifestazione con la pallavolo, e per dare un tono più giocoso e meno agguerrito all idea di questo torneo. A breve noi rappresentanti inizieremo a cercare 30 baldi giovini che vogliano assumersi la responsabilità di tenere tutto il torneo sotto controllo, sedando eventuali risse e facendo il controllo all entrata degli zaini degli spettatori, per non rovinare la manifestazione su cui stiamo lavorando da tre mesi a questa parte. Quattro anni fa la colpa è stata di studenti esterni all istituto, quest anno quindi si darà ad ogni studente un pass per entrare. E l ultima chance che ci viene data dai tre dirigenti scolastici, tutti favorevoli a questa manifestazione. Se anche quest anno falliremo, ovvero se accadono eventi simili a quelli successi al Briamasco, sarà molto improbabile che ci venga concessa nuovamente una possibilità simile. La responsabilità grava sulle spalle di tutti noi studenti. Buona continuazione, e al prossimo numero! n 5 anno XII PRATICANTATI 7

8 Attualità prataiola CONSULTA I PRATICANATI di Francesca Pedron e Fabrizio Lettieri Ciao a tutti! S è tenuta venerdì 19 febbraio la quarta seduta della consulta provinciale. Gli aggiornamenti sono pochi, anzi, se avete letto le nostre relazioni sul sito della scuola (visitatelo! vi preghiamo!) i progetti sono fermi a come li abbiamo lasciati il mese scorso. Motivo? Delibera Dalmaso! La Consulta Provinciale si sta impegnando a promuovere un test creato da noi studenti per verificare se la riforma proposta dal nostro assessore sia gradita o meno. Questa iniziativa ha rubato molto tempo durante la seduta di Gennaio e il Presidente Tommaso Galli ha ritenuto opportuno fermare i lavori per stendere in modo definitivo la scheda. Il questionario verrà proposto alle classi quinte di tutti gli istituti trentini poiché le più adatte, avendo vissuto cinque anni di scuola superiore, a giudicare eventuali cambiamenti e modifiche alla struttura didattica. Poche le domande ma efficaci! I quesiti sono differenti da scuola a scuola e da indirizzo a indirizzo. Per quanto riguarda il liceo classico il test chiede: 1.come valuti l attuale monte ore settimanale? 2.sarebbe stato utile un biennio orientativo per il tuo istituto? 3.avrebbe consentito un tuo eventuale reinserimento in altro istituto? 4.sarebbe bastato un solo anno comune per comprendere la specificità formativa del tuo istituto? 5.alla luce della tua esperienza potenzieresti: le discipline di cittadinanza le discipline di indirizzo attività laboratoriali 8 PRATICANTATI discipline opzionali 6. saresti favorevole a cambiare le ore di educazione fisica, da 2 ore a settimana annuali a 3 ore per il primo biennio, 2 ore in terza e quarta e 0 in quinta? se sì, le ore a disposizione in quinta le impiegheresti per: orientamento all università recupero di discipline in cui hai carenze, o approfondimento altro Ammettiamo che giungere a questo risultato non è stato semplice! Da subito sono emerse le storiche divergenze tra rappresentanti del Liceo Classico e rappresentati del Liceo Scientifico ma, dopo numerosi richiami all ordine e ultimatum da parte del presidente e segretari (la nostra Francesca era tra i gladiatori più infocati ahahah ) abbiamo firmato la pace e abbiamo trovato una soluzione che accontentasse tutti i litiganti. I vostri rappresentati Francesca e Fabrizio! Febbraio/Marzo 2010

9 Attorno a noi VENTISETTE GENNAIO, E NOI COSA FACCIAMO? Cosa significa partecipare alla giornata della memoria? di Martina Folena Non penso che ci sia qualcuno che abbia bisogno di essere informato su cosa sia il 27 gennaio. È universalmente noto che questa giornata è dedicata alla commemorazione delle vittime dei campi di concentramento che la Germania nazista edificò durante la seconda guerra mondiale con lo scopo di segregare e giustiziare non solo il popolo degli Ebrei, ma anche omosessuali, religiosi, criminali, prigionieri di guerra e altre minoranze etniche. Il 27 gennaio 1945 i soldati sovietici aprirono i cancelli del lager di Auschwitz. Dal 2000, una legge del Parlamento Italiano segna questa data sul calendario come Giorno della Memoria. Com è giusto, questo giorno viene ricordato, e non solo con una menzione o un excursus durante le lezioni ad illustrare cosa accadde veramente dentro a quei campi di concentramento. Spesso e volentieri, con l avvicinarsi del 27 gennaio s intensifica la produzione di fiction narrative e cortometraggi che affrontano le tematiche della giornata della memoria. La lista è lunghissima, ed alcuni sono dei veri capolavori. Il punto su cui vorrei farvi riflettere non è tanto la qualità di questi elementi, né l indiscutibile significato del 27 gennaio. È questo bombardamento di cortometraggi, fiction, libri. Ritengo che il sovraccarico di cose con cui siamo bombardati ogni fine gennaio abbia finito per togliere molto valore al vero significato del momento. È quasi una commercializzazione dei sentimenti, del valore, della tragedia. Essere sottoposti da questa apparente foga di commemorazione è per certi versi anestetizzante. Bene o male quando si pensa a ciò che è successo il 27 gennaio non si realizza veramente nel profondo che sia accaduto, proprio perché tutto è filtrato dal velo narrativo, dalla magia della fiction. Forse è per questo che anche quest anno la partecipazione al Treno della Memoria è stata altissima. Il 4 febbraio un treno è partito da Trento con sé centinaia di ragazzi dirigendosi in Polonia. Il percorso in questione ha portato i ragazzi a ripercorrere la rotta dei deportati ad Auschwitz fin dentro il campo di concentramento dove migliaia di persone hanno trovato la morte. È questo ciò che meglio di qualunque altra cosa rende consapevoli del nostro passato. Toccare con mano, respirare l aria di quello che è accaduto, sentirlo nelle parole di chi lo ha visto. Film e libri, per quanto ben fatti, non possono dare le stesse percezioni. Per questo ritengo che servirebbe fare un passo indietro, fermarsi a riflettere al passaggio del 27 gennaio. Quel giorno che ormai è routine meriterebbe più incontri con sopravvissuti e lezioni di approfondimento, o più documentari invece che cortometraggi. I romanzi e i film storici sono bellissimi, ma ammortizzano. E gli eventi ricordati il 27 gennaio non hanno bisogno di essere ammortizzati. n 5 anno XII PRATICANTATI 9

10 Nel Mondo Spesso, guardando i vari film e telefilm sul piccolo schermo, e specialmente le serie che hanno conquistato tutti noi ragazzi, si sente pronunciare una frase, che forse un giorno (speriamo!) diremo anche noi: Mamma, sono stato ammesso a!!!. Già, ma non sarà questo il tema dell articolo, bensì il completamento di quella frase, i tre punti. Negli amatissimi film americani sono Harvard, Yale, Princeton, e così via; università famosissime, desideratissime ed il sogno di molti ragazzi. Ma che, indubbiamente, non devono tutta questa fama ai telefilm. Infatti questi college fanno parte della cosiddetta Ivy League, o Ancient Eight, un titolo che accomuna le otto università private più prestigiose ed elitarie di tutti gli Stati Uniti d'america. Sono scuole tra le prime per quanto riguarda la situazione finanziaria: ricevono molti milioni di dollari da parte del governo per spese di ricerca e sussidi. Ma soprattutto sono antichissime e rappresentano le sedi della conoscenza e della diffusione di essa più antiche degli U.S.A.: furono fondate durante il periodo delle colonie americane, alcune persino prima della Guerra di indipendenza. Della lega fanno parte, come già specificato, otto atenei, e sono: Harvard University, Yale University, University of Pennsylvania, Princeton University, Columbia University, Brown University, Dartmouth College e Cornell University. A dispetto di tutte le altre però, quelle considerate più famose sono l università di Harvard e Yale. Ma perché? Parlando di Harvard, che ha sede a Cambridge, in Massachusetts, si può collegare gran parte della sua fama alla sua storicità: è l istituto per l istruzione superiore più a n t i c o d e g l i S t a t i U n i t i ( ) e fin dalla fondazione gode di un altissimo prestigio: forma ed ha formato tra i più qualificati, importanti ed emergenti personaggi della storia americana. Si possono citare Voglia d università di Silvio Defant personaggi come il filosofo e psicologo William James; gli scrittori Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau, Robert Frost, Thomas Stearns Eliot. Hanno frequentato Harvard molti presidenti degli Stati Uniti, come John Adams, Theodore Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy, perfino Barack Obama, ed altri ancora. Inoltre Harvard ospita ogni anno studiosi provenienti da tutto il mondo, un altro fattore indicante il prestigio di quest istituto. Anche per Yale valgono infatti le stesse motivazioni che ci portano a definirla una delle scuole più prestigiose: è il terzo più antico degli Stati Uniti, datato 1701, e tra le personalità celebri laureatesi a Yale si ricordano il patriota Nathan Hale; il lessicografo Noah Webster; l inventore Samuel Morse; i presidenti degli Stati Uniti William Taft, Gerald Ford, George Bush e Bill Clinton. In media entrambe le scuole accettano meno del 20% delle domande di iscrizione, e solitamente i tre quarti degli alunni accettati si iscrivono al College: i criteri di ammissione sono tra i più severi degli Stati Uniti. Gli studenti vivono in edifici all interno del Campus (chiamati rispettivamente Harvard Yard ed Old Campus per Yale), una struttura chiusa che comprende diverse costruzioni molto antiche, adibite a residenze studentesche, mense, biblioteche, aule per i corsi e molte strutture in grado di ospitare manifestazioni culturali e sportive. Sono tantissimi gli indirizzi di studio che si possono frequentare in queste università; le due strutture si sono comunque distinte per l eccellenza in alcune facoltà, come per esempio quella di giurisprudenza di Yale, seguita da quella di teatro, arte, medicina ed architettura. Nella stessa scuola sono inoltre numerosi i corsi di specializzazione post-laurea indirizzati alle arti liberali, scienze matematiche, fisiche e naturali, scienze sociali, arte. I corsi di Harvard sono invece maggiormente indirizzati verso materie tipicamente umanistiche, come storia, sociologia e filosofia, scienze e culture straniere, nonostante sia richiesto un elevato livello di preparazione nell espressione scritta, in scienze matematiche e in una lingua straniera. Le possibilità di specializzazione offerte ai laureati, in molti casi di secolare tradizione, comprendono scuole di materie letterarie, ma allo stesso tempo altre di business administration, odontoiatria, design, pedagogia, giurisprudenza, medicina, pubblica amministrazione ed altre ancora. I College inoltre ospitano e sostengono molte attività sportive: è famosa per Harvard la squadra di football a- mericano Harvard Crimson American, nemica storica della corrispondente di Yale (celebre anche grazie a Wal- 10 PRATICANTATI Febbraio/Marzo 2010

11 ter Camp, ideatore del football americano, ex alunno della stessa scuola). Per di più le università sono sedi di numerose riviste e giornali scolastici, alcuni divenuti celebri e letti da un vasto pubblico, come il quotidiano Harvard Crimson, fondato nel 1873; l Harvard Advocate, un periodico culturale; l Harvard Lampoon, un giornale satirico diffuso in tutti gli Stati Uniti ed altre riviste di ricerca. Anche Yale ha reso famose alcune pubblicazioni destinate agli studenti, tra le quali si ricordano lo Yale Daily News, il più antico quotidiano di un college americano, fondato nel 1878, la Yale Review, trimestrale di letteratura, la Yale Literary Magazine e lo Yale Law Journal. Non si può fare a meno di non essere incuriositi ed attratti (ci auguriamo non scoraggiati) dalla grandiosità di questi veri e propri centri autenticamente cosmopoliti di storia e cultura, luoghi dove la storia è stata scritta per secoli da persone protagoniste, che la stanno scrivendo tuttora e la scriveranno a lungo. Perciò speriamo che anche qualcuno di noi giovani Prataioli, un giorno, dopo aver raccolto a piene mani tutto il proprio coraggio e la voglia di impegnarsi per costruire un futuro migliore - sfidando gli oltre 6000 studenti fra i più capaci al mondo - che in media ogni anno si candidano per l ammissione alla scuola, e sostenendo una retta annuale che supera i , potrà arrivare anche lui a varcare la soglia delle scuole più prestigiose al mondo. Auguri a noi, auguri a tutti. Attorno a noi Amore, amicizia, fratellanza e bontà sono solo pochi dei valori presentati dalla maggior parte delle fiabe Disney. I bambini sono simbolo dell innocenza e probabilmente è solo grazie a loro se si riesce ancora a sognare in questo mondo che alterna realtà umana ad astrazione tecnologica. Infatti per i piccoli non esiste nessun mondo parallelo : loro vivono la favola della vita, che è magica quanto perfetta, non trovando alcuna differenza tra realtà e fantasia. Ma perché? La risposta è: D-i-s-n-e-y e tutte le altre bellissime favole che ci sono state raccontate fino a quando non eravamo più alti di un metro. Tutte queste belle storie a lieto fine che hanno appunto accompagnato la nostra infanzia, hanno sicuramente influenzato il nostro modo di pensare. Non a caso, domandando ad alcuni bimbi chi vorrebbero diventare da grandi, la maggioranza delle risposte rientrano in pilota e calciatore da parte dei maschietti, principessa e ballerina per le bimbe. Quindi ringraziando mille e più volte la fabbrica delle fiabe, mi chiedo se le morali di queste storie siano realmente rivolte solo ai bambini. di Giorgia Folgheraiter In effetti, pensandoci bene, una fiaba può insegnare molto dalla vita. Prendo come esempio il racconto di Biancaneve: oltre a raccontare l amore eterno per il principe azzurro, esso cela aspetti quali il rispetto per la natura o il rifiuto della famosa caramella dagli sconosciuti, tutti elementi a cui una persona non dà importanza leggendo la storia così come viene presentata o guardando il cartone animato lasciandosi abbindolare dalle immagini. Una buona cura per tutti coloro che non credono pienamente di riuscire negli obiettivi proposti dal corso della vita, è proprio una maratona di fiabe Disney, (sappiate che se sceglierete questa fantomatica cura invece di un pomeriggio di studio, non servirà ripetersi nella mente cento volte la frase tutto è possibile, perché il vostro voto sarà comunque inferiore al cinque). Per questo bisogna anche stare attenti a rimanere con i piedi per terra. In conclusione, le morali delle fiabe dovrebbero insegnare molto della vita, oserei dire le basi di essa; il problema è che con il tempo le persone prendono la realtà troppo superficialmente e si dimenticano il mondo della magia come se fossero state colpite da un colpo di bacchetta magica. n 5 anno XII PRATICANTATI 11

12 Attorno a noi L elogio del 3D è esploso in particolare recentemente, con l uscita nelle sale del kolossal di James Cameron Avatar, celebrato capolavoro. Molte spettatori hanno esaltato specialmente l uso del 3D sulla pellicola, che favorirebbe enormemente il coinvolgimento del pubblico e darebbe uno speciale dinamismo alla storia. TUTTI PAZZI PER IL 3D ma a qualcuno non piace Avatar è stato il primo film che ho visto in 3D e, a parte la delusione per la lentezza estenuante di alcune parti del cortometraggio, ho trovato il 3D più i- nutile che altro. Immagini sovraesposte nell aria servono veramente a coinvolgere il pubblico? Peraltro, in Avatar il 3D è pressoché assente. Non ci quasi sono effetti spettacolari, immagini che ti saltano all improvviso davanti al volto, insomma, quello che ci si aspetterebbe dall uso della tridimensionalità su una pellicola. Ad un certo punto del film non lo si nota neanche più, tant è che mi sono domandata se la vera bellezza di Avatar - gli effetti speciali, i colori, la scenografia - non sia stata oscurata dal 3D. di Martina Folena Tutti sembrerebbero andare pazzi per il 3D. Ma ad alcune persone non piace. La bellezza di un film è speciale sul grande schermo, proprio perché il film è nato per essere riprodotto su di esso, come un dipinto è nato per essere steso su una superficie. C è qualcosa che sa di troppo nel 3D, e nel caso di Avatar, addirittura di forzato. È davvero necessario usare il 3D in un film la cui bellezza, con la grandiosità delle sue immagini, sarebbe molto più valorizzata sul grande schermo? Inoltre, una delle critiche più spesso mossa contro il 3D è il fastidio agli occhi che si può provare durante la visione del film, a volte anche persistente. Nel mio caso è durato per tutto il tempo ed è stato piuttosto seccante. In definitiva, non riesco a capire a che serva il 3D. Non ha reso Avatar più emozionante, non ha esaltato veramente nessun particolare. Se ne poteva semplicemente fare a meno, e godersi una semplice visione su schermo come abbiamo fatto nelle decadi passate. Nella mia opinione solo l Alice nel Paese delle Meraviglie di Tim Burton potrebbe dare un senso al 3D - immaginate il mondo del visionario regista prendere vita letteralmente davanti al vostro naso - ma con un film d azione come Avatar sembra semplicemente un effetto sprecato. Certo, siamo entrati nell era della corsa al 3D, ma attualmente lo si sta usando soltanto come un blando condimento. Prima che ci nausei, andateci piano. 12 PRATICANTATI Febbraio/Marzo 2010

13 Nel Mondo Tra i tanti veicoli che oggi circolano sulle strade uno attira forse particolarmente la nostra attenzione: il carro funebre. Tutti conoscono la sua funzione, ma pochi si chiedono, quando ne vedono uno transitare, quale sia la sua storia e come si sia evoluto questo mezzo. I primi carri funebri erano trainati da cavalli, e ancora oggi vengono utilizzati in rare occasioni, qualora venga richiesto un funerale particolarmente solenne. Tuttavia la trazione animale fu ben presto soppiantata dalla propulsione elettrica o da motori a scoppio, il cui utilizzo è affermato tuttora. La produzione di autofunebri iniziò durante i primi decenni del XX secolo negli Stati Uniti per poi sbarcare sulle sponde europee dove ne vennero sviluppate diverse tipologie; è qui interessante notare come vi sia un divario che trova riscontro anche nelle differenti filosofie costruttive d Oltreoceano. Negli Stati Uniti vengono utilizzati principalmente gli chassis delle full size, le enormi berline che spesso compaiono nei film di Hollywood. In particolare si prestano a questa trasformazione le Lincoln Town Car e le Cadillac; la General Motors produceva un pianale su base Fleetwood, modello uscito di produzione un paio di decenni or sono, appositamente rinforzato e modificato che era fornito,completo della parte anteriore della vettura di serie, ai vari carrozzieri che allestivano i carri funebri in uno stile molto diverso da quello europeo a La tua ultima... auto di Mattia Graiff cui noi siamo abituati, poiché gli statunitensi prediligono dimensioni maggiori e una linea priva delle enormi parti vetrate presenti sui modelli europei, che ricorda le station wagon. Sulle fiancate viene spesso aggiunto un caratteristico decoro con forma simile a quella di una S allungata. Lo stile europeo a noi più familiare prevede, appunto, cristalli laterali di notevoli dimensioni e spesso una croce sul tetto, ed è indiscutibilmente più sobrio di quello americano; la base del veicolo è nella quasi totalità dei casi una grande berlina con passo allungato e carrozzeria modificata. Vengono solitamente impiegate Mercedes Benz, Jaguar, Volvo e altre auto di lusso. Naturalmente si ha una diversa interpretazione da parte dei giapponesi, che hanno adottato il modello americano e parallelamente sviluppato una propria concezione dell autofunebre: sulla struttura modificata di automobili che generalmente sono di produzione nipponica, o più raramente statunitense, viene montata una costruzione in legno che ricorda un tempio buddista (decorata con differenti stili a seconda delle regioni) dove è alloggiata la bara. Esiste anche un particolare tipo di carro funebre allestito come una sorta di grosso sidecar che affida la sua propulsione ad una motocicletta, impiegato specialmente nei funerali di appassionati motociclisti. Una tale varietà di mezzi che portano comunque tutti alla stessa meta (dove si spera di arrivare come ospiti il più tardi possibile) evidenzia anche le differenze nel celebrare il rito funebre, momento di commiato che riveste particolare importanza presso ogni cultura. n 5 anno XII PRATICANTATI 3

14 Viaggi PRATAIOLI ON THE ROAD TO BOLOGNA di Riccardo Schoefberger Dopo una settimana da "prataiolo assillato dallo studio" (?) un weekend o un semi-weekend (ovvero una domenica) in giro per qualche città sconosciuta è un'esperienza meritevole di essere fatta, sia da soli che in compagnia di qualche amico. Per quanto mi riguarda, volendo allontanarmi durante il periodo scolastico almeno per un giorno dalla piccola e non-sempre-vivissima Trento, ho deciso di intraprendere questo viaggio insieme a una mia amica. Come tutti i trentini desiderosi di scappare dalle angosciose montagne, abbiamo aperto un atlante in cerca di una città che disti almeno 100 e massimo 300 chilometri da Trento. Le possibilità erano molteplici: Verona, Mantova, Milano, Venezia, Bergamo, Bolzano, Innsbruck, Emilia...e altre tra le quali quella che più ci ispirava era Bologna. Il passo successivo alla scelta della meta è sempre andare sul sito di Trenitalia per consultare gli orari e i costi dei treni (rigorosamente regionali se non si vuole spendere un occhio della testa). Per arrivare a Bologna bisogna cambiare treno a Verona, quindi abbiamo cercato un treno Trento- Verona e abbiamo scoperto che ce ne sono vari e a tutte le ore. Quando però abbiamo provato a inserire nelle barre di ricerca Verona-Bologna ecco l'amara sorpresa: quei furbacchioni di Trenitalia, dal primo gennaio 2010, hanno sostituito tutti i treni regionali da Verona a Bologna dalle quattro di mattina fino a mezzogiorno con dei treni ad alta velocità Frecciarossa e Frecciargento, che sì arriveranno in pochissimo tempo, ma che in cambio sono costosissimi. Penso sia evidente lo scopo di lucro. Sbollita la rabbia, ci siamo rassegnati a fare una sosta di qualche ora a Verona, altra città stupenda. Il viaggio si presentava dunque così: treno da Trento alle sette di mattina, arrivo a Verona alle otto, sosta a Verona per quattro ore, treno (regionale) per Bologna a mezzogiorno, arrivo a Bologna alle due, treno di ritorno per Verona alle otto e mezza di sera e arrivo a Trento alle undici. I bagagli che è necessario portarsi dietro sono: lo 14 PRATICANTATI zaino comodo e spazioso di scuola, vestiti supplementari in caso di freddo, piantine delle città, qualche euro, qualcosa da bere, qualche snack per il viaggio e il pranzo al sacco (soprattutto per noi che dovevamo pranzare a Verona, città dove con meno di quattro euro non riesci non dico a mangiare, ma nemmeno ad aprire la porta dei bar). Il mattino successivo abbiamo quindi preso il treno, ci siamo riempiti i polmoni dell'aria di libertà che si respira durante i viaggi, e, in poco più di un'ora, eccoci a Verona. Verona è stata già descritta dal nostro Silvio qualche numero fa, quindi eviterò di farlo, vi dico solo: città stupenda e pulita, peccato per i pulmini verdi cetriolo con lo stemma della Lega Nord e le zone periferiche squallide e desolate non appena fuori dal centro. Alle due del pomeriggio, con lo stomaco pieno, siamo andati alla stazione di Verona a prendere il treno per Bologna. Come ci aspettavamo, tutte le legioni di viaggiatori non disposti a pagare trenta euro per un TAV Verona-Bologna avevano avuto la nostra stessa idea. Ma, grazie a qualche sgomitata e a qualche idea strategica, come piazzarsi davanti a tutti, si può sopravvivere pure a questo. Il viaggio Verona-Bologna dura più o meno due ore di enormi distese di campi, capannoni e cittadine fuori dal finestrino. La stazione di Bologna è grande, suddivisa in binari Febbraio/Marzo 2010

15 est e ovest, quindi qualche trentino non abituato a viaggiare e a più di quattro binari si troverà di sicuro disorientato. Usciti dalla stazione io, guida turistica vivente di varie città, ho spiegato alla mia amica della strage di Bologna accaduta il 2 agosto 1980 a opera del terrorismo fascista, nella quale furono ammazzate 85 persone e 200 rimasero ferite. A ricordo della strage appeso alla facciata sulla sinistra è rimasto lo storico orologio che, a causa dell'esplosione, è rimasto fermo alle Superata la piazza di fronte alla stazione, per arrivare in centro, si imbocca via dell'indipendenza, a sinistra della quale sorge il parco della Montagnola, il più grande del centro bolognese e dove si tiene periodicamente un bel mercatino dell'usato, di cd e abbigliamento. La Montagnola è però anche conosciuta per la sua pericolosità nelle ore notturne, quindi evitatela nelle suddette. Bologna è la città dei portici, ce ne sono veramente ovunque in centro anche se un po' meno in periferia. L'ombrello a Bologna è l'invenzione più inutile. Dopo un chilometro di via dell'indipendenza si arriva dritti nel fulcro del centro: piazza del Nettuno, collegata a piazza Maggiore, poco distanti dalle Torri degli Asinelli. Su piazza Maggiore si affaccia il duomo della città e su piazza del Nettuno Sala Borsa, una sorta di piazza riscaldata e coperta dove c'è anche una biblioteca. In piazza Maggiore, quando non fa freddo e non piove (lo dico perchè quando siamo andati noi faceva freddo e pioveva), è presente tantissima gente, turisti per lo più, ma anche cittadini che, salendo su uno sgabello o una cassa di mele, improvvisano delle discussioni politiche coi passanti (cosa, secondo me, stupenda). Accanto alla piazza, perpendicolare a via Indipendenza, passa via Ugo Bassi, via commerciale e piena di negozi, che da un lato (a destra per chi viene dalla stazione) porta verso via s.felice, i negozi dei pakistani e la periferia, dall'altra (a sinistra), continuando sotto il nome di via Rizzoli, verso le Torri degli Asinelli e via Zamboni. Quest'ultima è la via della movida bolognese: locali, pub, ristoranti greci e una scritta "Gatta Gatta" sotto al portico a opera di sconosciuti. A Bologna passa un fiume sotterraneo, che è possibile vedere affacciandosi a una finestrella presente in via Piella. Per chi ha tanto tempo a disposizione consiglio di fare una sola cosa, a Bologna: camminare. Non fatevi ingannare dalle vetrine e dai negozi di moda di via Ugo Bassi: camminate. Le vie centrali sono splendide e meritevoli di essere viste. Il centro cittadino è delimitato da delle porte, ad esempio a ovest porta s.felice e a est porta S.Vitale, che si trovano su un anello di viali esagonali che fungono da tangenziale. All'infuori delle porte sorgono le varie periferie. Un altro parco importante di Bologna, oltre alla Montagnola, è costituito dai giardini Margherita, al di fuori di porta s.stefano. Un consiglio per una gita appena al di fuori di Bologna può essere la visita al santuario di S.Luca, vari chilometri di portici che si arrampicano su una collina a capo della quale ci sono una piazza, una chiesa ma, soprattutto, una fontana che, d'estate, attirerà tutto il vostro amore. Alle otto di sera, esausti, dopo aver scoperto, a prezzo di mezz'ora di cammino, che il ristorante greco poco costoso ma buono che conoscevo in via Zamboni era chiuso per ferie e che le pizze al taglio, che a Trento sono abbastanza grandi, a Bologna sono dei quadratini di dieci centimetri per dieci, abbiamo ripreso il nostro treno e siamo tornati a Trento. Penso che questo viaggio valga la pena di essere affrontato, soprattutto ora che la primavera è alle porte e Bologna è nella sua condizione migliore. TRASPORTI (11.30 andata e ritorno) (per i possessori della smartcard conviene fare il biglietto da Borghetto sull'adige, l'ultimo comune trentino, in poi, solo 8,75 ) CIBO pranzo al sacco oppure una decina di euro TOTALE scalabili facilmente fino a n 5 anno XII PRATICANTATI 15

16 Viaggi Marty, Live from Burnaby Parte quarta di Martina Folena (in ritorno dal fronte occidentale) Alla fine anche gennaio se n è andato, portandosi dietro dicembre e il suo Natale e il suo Capodanno che erano sembrati così irraggiungibili, una volta, così lontani da essere semplicemente impensabili. Si è portato dietro il cenone canadese col tacchino ripieno, la torta celebrativa per le tre settimane a distanza dell one-act che io e la mia amica/attrice Nancy avevamo fatto la sera di Capodanno, si è portato dietro le storielle d amore fra il succo d arancia e l olio d oliva create a cena con Becca, le serate passate a guardare cartoni, i nauseanti packet lunches, la pioggia e le fughe to downtown con Friedi. L ultimo pezzo di vita in Canada è scivolato via così, prima molto piano, poi in un battito di ciglia. Nessuno ti insegna a dire addio. Quando ho lasciato l Italia, sapevo che sarei tornata, che quelle persone le avrei riviste. Era solo questione di tempo. Ma si può dire lo stesso per loro, per quelli che ho lasciato in Canada? No. Non si può. L ultimo giorno di scuola arriva implacabile. Non avevo pianificato di piangere a dirotto e fare una tragedia greca. Il male nasce dentro e si dirama lentamente, in modo sottile, evitando la strada più evidente delle lacrime - ti rode, quel dolore, mangiandosi pezzetti del tuo respiro, rianimando ricordi. E poi, come si fa a piangere quando i tuoi amici in block C ti organizzano pure la festa, e ti tengono su il morale in ogni modo? E' stato un bel block. Abbiamo fatto casino, mangiato pizza, spiaccicato cupcakes in faccia a poveri malcapitati in un folle accesso di goliardia di fine semestre, ballato, fatto foto cretine, sfidato la ragione. Come sempre. Poi mentre io me ne stavo lì a prendermi un secondo di pausa su una delle nostre meravigliose poltrone-della-drama-room, Keith (un altro dei registi e 16 PRATICANTATI dei miei amici) decide di prendere in mano la situazione, improvvisa un palco, fa zittire tutti e dà il via ad un abbraccio di gruppo che non finiva più. Stava per suonare la campana. Io iniziavo a sentire l'ansia che saliva. Non le lacrime ma l'angoscia, la fretta e il bisogno di salutare e di dimostrare l'affetto Ma ci mancava ancora Ms Mann. Arriva lei, la prof a fare il suo discorso d'addio. Quello che mi ha detto... Tante cose. Ero scossa e scivolavano da tutte le parti, non si fermavano nella mia testa. Ma mi ricordo bene la parte del: "Non vedo l'ora di vedere che cosa diventerai, perché hai delle doti incredibili, ed è stato un regalo averti in questa classe. Non ti dimenticheremo mai". Sentivo il cuore nelle orecchie battere di dolore. Monologhi, one-acts, fare le luci correre da ogni parte provare i costumi per lyp sinching tirare su Keith dalla depressione pre-progetto salire alla cabina di controllo e collegare l'ipod alle casse di nascosto fare gli esercizi di improvvisazione applaudire prima delle performances fare prove con Nancy e Kevin quando ancora eravamo solo amici e fare cose idiote nell'art room invece che ripetere le scene saltare al ritmo di unza unza para para tunza con Keith e cantare le canzoni disney con Ryan. Finisce tutto così? Non ricordo esattamente da chi fosse partita l'idea, ma hanno deciso di portarmi in trionfo fuori dalla drama room per tutto il corridoio. Non è che mi sentissi molto stabile, con tre ragazze che mi tenevano su in qualche modo, ma hanno inneggiato il mio nome e mi hanno portata in parata col corteo che seguiva, con la gente che si fermava a guardare, e Keith ha afferrato la mia bandiera del Canada e me l'ha messa sulle spalle, e io per metà piangevo e per metà ridevo. Nessuno voleva andarsene. Abbiamo passato qualcosa come un quarto d'ora in mezzo al corridoio. Febbraio/Marzo 2010

17 Alcuni hanno iniziato a tirare fuori regalini per me all'improvviso, cose che avevano già. Una ragazza mi ha dato un braccialetto dicendomi "questo è mio, ma vorrei tanto che lo tenessi tu". Improvvisamente ho desiderato di aver fatto di più per loro. Aver dato me stessa completamente all'amicizia, fatto tutto il possibile, dimostrato il mio affetto ogni qual volta ne avessi avuta la chance. Improvvisamente ho sentito di non sapere assolutamente come dimostrare la mia gratitudine. Gli abbracci sono abbastanza? La sensazione di vuoto e che il tempo mi stia sfuggendo fra le dita come qualcosa di molto più sottile e violento della sabbia. Non ho intenzione di parlarvi troppo degli addii con la mia host family. Anche quelli mi hanno spezzato il cuore. Nancy e Will sono venuti in aeroporto a salutarmi, quel pomeriggio dell ultimo di gennaio, poi mi hanno lasciata sola con Evan, Kristine, Kat e Rebecca. Lì sì che abbiamo pianto. Il momento in cui capisci che non puoi continuare a tirare in lungo, che devi lasciarli, e saluti e prendi la valigia e passi il check-in, e solo dopo realizzi come con una stilettata che li hai lasciati andare, che sei partita. È stato come ad agosto, in un certo senso. Anche quando ho lasciato l Italia ero stata molto male nel salutare tutti. Ma gli addii di allora non avevano la pesantezza di quelli che ho dovuto dare in Canada. Mentre gli addii italiani li ho risolti nel momento in cui sono tornata in patria, ci vorrà molto più tempo per digerire i goodbyes canadesi. Molto di più. Forse non li digerirò e basta. Questa è stata sicuramente l'esperienza più bella che abbia mai fatto, perché è successo di tutto, perché anche le cose brutte hanno un senso all'interno di un percorso del genere, perché mi sento diversa, più incline ad ascoltarmi, ancora più pronta di prima a combattere. Chi lo sa che ne sarà di quello che ho lasciato sul fronte occidentale. Le immagini sbiadiscono, dopo un po di tempo. I nomi anche. Vale la pena cercare di consolarsi salvando i momenti nella propria anima, tenendoli stretti, immortalandoli, congelandoli nella loro bellezza lontana, nei ricordi. Ma i ricordi, i miei ricordi basteranno, per tutto questo? Sono tornata e sono felicissima di aver rivisto la mia famiglia e i miei amici. Trento la vedevo già piccola e stretta prima di partire, e la mia posizione a riguardo non è mutata. Sono malinconica. I primi giorni mi sembrava semplicemente di essere un alieno. Io ero cambiata, ma Trento era completamente uguale. Niente si è mosso. Ho avuto il momento di crisi che mi aspettavo, ma io chi sono, ma a cosa appartengo. La scuola mi ha fatta tornare in pista molto velocemente. Non che mi aspettassi il contrario, ma pensavo non avrei avuto così tanta difficoltà al ritorno, e soprattutto pensavo che le cose non sarebbero state così rapide, che sarebbe stato un decollo al rallentatore invece ho passato momenti molto neri. I cali di autostima non sono cessati neanche con il Canada. La quantità di lavoro da recuperare è immensa. Ma me la sono cercata, non ho il diritto di lamentarmi e non lo farò. Su un punto però sono irremovibile e non esito a diffonderlo. Andate all estero. Fatelo, questo semestre o anno che sia. Sono consapevole del fatto che non tutti possano essere pronti, ma se le avete, quelle doti che servono, andate. Non fatevi fermare da nessuno, andate a qualunque prezzo, anche se tornare vi distruggerà. Comunque non vi impedirà di apprezzare quello che ritrovate, quella sensazione bellissima di riabbracciare persone che avresti tanto voluto abbracciare quando erano irraggiungibili. Il ritorno è grigio. C è il bianco luminoso del ritrovarsi, e c è quel nero che ti sembra nessuno possa capire. Non è uno stereotipo dire che andare serve ad aprirti gli occhi, a farti capire. Capire cosa? Molte cose. Di te, degli altri. Credetemi, ne vale la pena. Ogni momento di paura o disperazione vale la pena di quello che viene dopo. Io non dimenticherò mai neanche un giorno di questi cinque mesi andati. Ci vorrà più tempo per imparare a custodire i ricordi, ma ancora servirà tempo per realizzare che sono proprio ricordi, e per piangere e poi capire che quei ricordi non valgono di meno solo perché sono andati, ma sono oro e argento, e soprattutto ali. Io sinceramente, pensando a Vancouver, ora ho da dire solo un immenso grazie. Se volete leggere l extended version di Live from Burnaby, andate qui: n 5 anno XII PRATICANTATI 17

18 Viaggi Mia madre è una grande viaggiatrice. Dopo la maturità che ha conseguito nel nostro liceo, si è dedicata alla sociologia e poi alla legge, ma il suo principale interesse rimane l'antropologia. Anche mio nonno mi ha trasmesso l'amore per i viaggi, scorrazzando pazzamente per il mondo, in più mia madre mi ha tramandato da sempre l'interesse per la cucina straniera, facendomi mangiare di tutto da quando ero piccola piccola. In uno dei miei primi viaggi, verso i quattro anni, ho avuto il mio primo contatto con la cucina seriamente piccante - mia madre stava semplicemente abituandomi - pensai allora. Nel deserto della Tunisia mangiai un cous cous veramente piccante, che ora a distanza di tempo considererei nella media. Ma con quel viaggio mi si aprì una porta, una strada che tuttora seguo sempre con più curiosità. Il mangiare, il bere, sono aspetti strettamente legati ai popoli che visito, il cibo cambia da territorio a territorio, i gusti mutano, le ricette non sono mai le stesse. Quando parti on the road devi ricordarti che nella varietà delle difficoltà ci sarà anche quella legata all approccio al cibo. Al di là dei confini europei rischi di tornare a casa con qualche chilo di meno, a meno che tu non faccia uno di quei viaggi organizzati di Valtur, dove ti ritrovi a colazione i tuoi cornflakes preferiti. La prima mattina del mio viaggio in India fu traumatica a dir poco. Ero arrivata a casa dei miei parenti indiani la sera prima (la sorella del mio secondo padre è sposata con un indiano). La mattina mi svegliai in India tra l'umido e il caldo, arrivò una mia parente che mi versò una bella tazza di chai (tè indiano con latte, squisito e speziato). Disse di scendere in salotto che il boy, il servo, mi avrebbe servito la colazione. Il rumore delle stoviglie mi fece venire un certo languorino, ma poi tra l aria calda e umida il mio olfatto percepì uno strano odore di fritto e di cipolla. Conoscevo e apprezzavo già la cucina indiana ma quando capì che per colazione c era pane fritto ripieno di cipolla e patate, servito con uno yoghurt acidissimo, capii che per qualche giorno avrei fatto a meno della colazione. Ora che mi manca la mia bella casa in India, farei mille di quelle colazioni, ma in quel momento stavo per piangere. Cucina dal mondo di Arianna Arrighetti Cominciai a mangiare quel pane fritto alla cipolla. In india si mangia con le mani. Il pane, una sorta di piadina che può essere fritta (nan), al vapore (chapati) o preparata in altri modi ancora, ripiegato serve come un cucchiaio con il quale mangi il resto. Il riso lo si mangia utilizzando la sola estremità delle dita, non ci si sporca oltre la seconda falange. Il riso è cotto al vapore ed è stretto e sottile (biryani), e viene servito con una varietà di zuppe di legumi, chiamate dhal, e verdure come spinaci, cavolfiori speziati e dolci. U- n insalata che viene servita per antipasto che adoro è fatta di patate, banane e mela condita con cumino e limone. Le spezie forti e dolci sono capaci di dare mille sapori ad ogni piatto, ad ogni bevanda. Il lassi è una sorta di frullato di yogurt, che può essere alla fragola o alla menta. Per rinfrescarsi la bocca si mangia anche una sorta di saziki, piatto greco a base di cetrioli e yogurt, chiamato raita; gli ingredienti sono i medesimi ma le spezie lo rendono o dolce o piccante. In India, le spezie hanno non solo il compito di rendere il cibo saporito, ma anche di giovare allo spirito. Nella cucina indiana, infatti, si trova pure una scuola chiamata Ayurvedica. Tale cucina spiega il malessere e la malattia con la scorretta alimentazione: ogni persona avrebbe un particolare carattere, a cui deve corrispondere una particolare alimentazione. In India il cibo, il mangiare, è legato anche ad un a- spetto sociale. Vengono definiti cibi puri ed impuri in 18 PRATICANTATI Febbraio/Marzo 2010

19 base alla preparazione del cibo. Le caste superiori non possono mangiare cibo preparato da appartenenti alle caste inferiori: a casa mia in India, i boys non cucinavano perché paria, ma cucinava un'altra donna di casta superiore rispetto a loro. I cibi crudi vengono visti meno puri, perché la preparazione sul fuoco nobilita il cibo e lo rende, appunto, puro. Anche il momento del pasto stesso è ritualizzato. Prima mangiano i bambini, mentre le donne cucinano, poi le donne, mentre la domestica cucina e i bambini giocano e riposano, e infine gli uomini, che fino ad allora sono rimasti in giardino, mentre donne e bambini tolgono il disturbo. Tutto ha una funzione particolare, e il cibo è specchio della società, della cultura e della religione. Fu strana la prima volta che mangiai dai miei parenti sparire dalla stanza per lasciare gli uomini mangiare da soli e bere whisky, cosa proibita a noi donne. In fondo, tra India e mondo arabo poche cose cambiano dal punto di vista della segregazione femminile cambia il cibo, la cultura, ma la segregazione e l asserita inferiorità rimangono le medesime. Un velo in più o in meno non cambia molto, secondo la mia esperienza. Nel mondo arabo, il piatto nazionale è ovviamente il cous cous. In Marocco è servito, qualche volta, con il tajin e diverse salse. Il cous cous è una sorta di semolino asciutto, che apporta i carboidrati nell alimentazione. Può essere vegetariano, servito con verdure e polpette vegetariane (felafel), con il pollo preparato in modi diversi (io amo il pollo al miele, provato a Marrakech in Marocco), o con diversi tipi di pesce. Ovviamente, come presumo che tutti sappiano, mangiare carne di maiale è peccato, perché il maiale è considerato carne impura in quanto la religione islamica, come quella ebraica (ironia della sorte!), vede nel maiale la mancanza di igiene. Il cibo nel deserto è semplice, i beduini non mangiano molto cous cous, e il cibo è difficile come il posto inospitale in cui ti trovi. Arrivata in un villaggio in Libia mi diedero da mangiare cous cous; all'inizio ero lieta di mangiare qualcosa di sostanzioso, dopo giorni e giorni di zuppe e legumi, ma non appena lo assaggiai mi venne un conato di vomito: la carne aveva un sapore fortissimo, sapeva di pettine, era carne di caprone. Il cibo che invece vi auguro di assaggiare nel deserto di sabbia è il pane preparato dai tuareg. Il pane sottile viene steso su una lastra di pietra, fino a creare una specie di piadina. Poi si scava un buco nella sabbia,nella quale si adagia il pane sopra dei carboni ardenti ricoperti di sabbia. Il pane non si può fare ovunque, ma solo dove la sabbia è giusta, è un loro segreto che non ti rivelano, come la loro pelle blu e loro occhi profondi. Sentì l essenzialità di quel cibo, fatto solo di acqua e farina, cotto nella sabbia scaldata dalle braci del fuoco e sentii quanto fosse bello in quel momento trovarmi tra le dune della Libia, sola con la natura di quel luogo mentre il fuoco riscaldava quella fredda notte. Proseguendo nell Africa Nera, una popolazione si nutre solo di purea, polenta, di cibi poltigliosi caldi e considera il cibo crudo, come la nostra insalata, mangime per animali, di conseguenza non ci considerano molto lontani da questi ultimi. Secondo me era questa la popolazione che Tiresia predisse ad Odisseo di dover cercare nel suo ultimo viaggio, ripartendo dall amata Itaca e abbandonando un ultima volta la moglie Penelope e il figlio Telemaco. Nel mio ultimo viaggio in Indocina capitai per caso in un mercato al coperto. Ne avevo visti molti, in giro per il mondo, dal mercato delle spezie ad Istanbul, al suq di Marrakech che di notte si trasforma in un e- norme ristorante che si estende fino alla piazza dove, spostati gli incantatori di serpenti e ammaestratori di scimmie arrivano più di un centinaio di bancarelle ambulanti che aprono i propri tavoli. Ma il mercato di Siam Reap superava tutti i mercati al coperto che avevo visto fino ad allora per lo spettacolo a cui inerme ho assistito. Arrivata nella parte enogastronomica, per così dire, rimasi sbalordita dalla scena che mi si proiettava davanti agli occhi. La carne era appesa a ganci arrugginiti e gocciolava sangue sui banconi, la verdura n 5 anno XII PRATICANTATI 19

20 nei cesti di vimini per terra, in pozze d acqua stagnante, il pesce emanava un puzzo nauseabondo, la frutta era sporca e toccata dalle mani di tutti, tutto ciò accompagnato dalla visione di sciami di mosche che ricoprivano qua e là il cibo. Come a Marrakech, la notte all esterno arrivavano i ristorantini fast food locali, dove ti porgevano riso e altro cibo riposto in ciotole di plastica sudice che venivano sciacquate in un secchio d acqua grigia. Tutto di quella città mi faceva ribrezzo, fuorché un locale di gestione europea, il Blue Pumpkin. Un pomeriggio, stremata e disgustata di tutto ero così triste che accettai di seguire un corso di cucina insieme a mia madre. Ero preoccupata, vedendo le condizioni igieniche della città, ma salimmo al piano superiore di un ristorante e per mia fortuna vidi che la situazione era migliore del previsto, e due europee colonialiste iniziarono a impartire ordini prima ai cuochi e poi a me e mia madre. Iniziammo a tagliare con calma e grazia delle verdure, ma poi lo chef ci fece vedere come fare. La piccola cambogiana iniziò a tritare una carota, una cipolla e poi una zucca come nei film giapponesi. Poi fu la volta delle zuppe, che mi richiamarono un gusto antico, perché una salsa a base di pesce che loro usano come noi i nostri dadi mi ricordò il garum, pasta di pesce fermentato che i latini usarono come base di alcuni piatti. Rimasi ancora più colpita quando la little chef mi insegnò a usare il latte di cocco in alcuni piatti e poi mi disse, davanti a un petto di pollo, one of coco milk, two of sugar dandomi in mano un cucchiaio. Eseguii l ordine, perplessa, ma poi mi dovetti ricredere. Rimasi sorpresa da questa cucina che mischia senza paura il dolce con il salato. Oltre alle nuove spezie che conobbi, assaggiai una strana radice, come lo zenzero, che pestata conferisce un gusto fresco e un sapore di limone ai piatti, quando lo usi come soffritto. Il lemon grass fu una scoperta favolosa, che poi appresi non può crescere da noi. Alla fine mi consegnarono una specie di attestato del ristorante. In Cambogia, le bacchette sono una sorta di moda, in quanto la cucina Khmer tradizionale usa cucchiai 20 PRATICANTATI e coltelli; in Vietnam invece sono di norma, in quanto per un certo periodo è stato sotto il dominio cinese, che riuscì a respingere grazie al coraggio del fiero popolo vietnamita. In Vietnam la cucina è molto simile a quella cinese. Risalendo il Mekong capitai ospite in una casa sulla sponda del fiume. Prima di andare a letto (dove passai la notte in bianco spaventata com ero da un serpente che tenevano come animale domestico) mi chiamarono in cucina. La piccola e vecchia padrona di casa mi introdusse nella cucina: il pavimento era di terra battuta, il rubinetto era all esterno e all altezza delle mie caviglie, e le padelle erano appese alle pareti annerite dal fumo del fuoco aperto. Mi cucinò, su un fuoco alimento da sterpaglie, un riso bollito e mi fece preparare gli involtini primavera, che poi definì fingers, date le esigue dimensioni (come quelle degli indocinesi, del resto). Poi mi preparò degli involtini di pesce avvolti in alcune foglie mi ricordò il purè di mais in foglie di banane mangiato in Amazzonia. In Amazzonia, già che ci siamo, vi consiglio di portarvi dei rinforzi alimentari, perché il cibo consiste prevalentemente in una poltiglia di mais e patate dolci accompagnate da insetti vari e banane In sintesi, il cibo condisce la vita di tutti i giorni in tutti i paesi di tutto il mondo. I cibi danno ritmo alla vita dei popoli, dai fast food americani ai lenti pasti indiani dove la cucina viene definita fuoco sempre acceso. Il cibo francese gareggia da anni con la cucina italiana, mentre chef stellati vanno in Giappone alla ricerca dell essenzialità del cibo, mangiando sushi e wasabi. C è chi ricerca il cibo perfetto, chi assaggia e chi non riesce a mangiare altro che spaghetti. Il cibo che imbandisce le tavole di tutto il mondo è straordinariamente vario, i sapori sempre nuovi; basti pensare che ora esiste un quinto gusto, contenuto in cibi come il grana e la soia, l humani. Il cibo è essenziale per la vita, come lo è l acqua. Sarebbe bello che sulle tavole di tutto il mondo ci fosse il cibo necessario per tutti, perchè molti popoli sono poveri nonostante la varietà e la ricchezza della loro tradizione gastronomica. Febbraio/Marzo 2010

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