PREVENCIÓN Y REPARACIÓN DE DAÑOS POR ACCIDENTES DEL
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1 PREVENCIÓN Y REPARACIÓN DE DAÑOS POR ACCIDENTES DEL TRABAJO Alberto Levi Universidad de Modena y Reggio Emilia Departamento de Economia Marco Biagi Italia 1. Innanzi tutto desidero porgere il mio ringraziamento più sincero al Comitato organizzatore di questo Congresso. E per me un grande onore essere qui e per questo desidero manifestare la mia più sincera gratitudine 2. Il quadro normativo attualmente in vigore in Italia in materia di salute e sicurezza sul lavoro è il frutto di un articolato processo di elaborazione regolativa che si è sviluppato nel corso di oltre settant anni e che ha visto stratificarsi nel tempo una pluralità di fonti, ragion per cui si è pervenuti, nel 2008, alla elaborazione di un Testo Unico, introdotto con il decreto legislativo n. 81. Nell ambito di questo corpus normativo così complesso è opportuno distinguere tre tappe di sviluppo epocali. Diacronicamente, la prima di queste tre tappe risale al 1942, anno di emanazione del vigente codice civile, il cui art. 2087, ancora oggi, rappresenta a pieno titolo il pilastro fondamentale della materia, non solo nelle ricostruzioni della dottrina giuslavoristica, ma anche pragmaticamente, nelle aule dei Tribunali. La seconda tappa è costituita da una serie di decreti presidenziali emanati nel corso degli anni cinquanta. Mentre il terzo momento epocale è ascrivibile al 1994, anno in cui viene adottato il decreto legislativo n. 626, che rappresenta il recepimento della normativa europea, come noto, da sempre estremamente attenta al tema della sicurezza sul lavoro. Va anticipato fin da subito che oggi è in vigore il decreto legislativo n. 81 del 2008, il cosiddetto Testo Unico, il quale, al fine di razionalizzare la materia, ha proceduto a risistematizzare l impianto regolativo del decreto n. 626, pur riconfermandolo nelle
2 sue direttrici essenziali, senza tuttavia introdurre cambiamenti così epocali così come aveva fatto il decreto n. 626, oggi peraltro abrogato. Ecco perché le tappe di cui si suggerisce analisi sono tre e non quattro. 3. Veniamo alla prima fase. L art del codice civile è una norma magnifica, da sempre osannata, che dopo oltre settant anni dalla sua emanazione continua ad essere il fulcro regolativo della materia. Essa impone all imprenditore di adottare le misure di sicurezza che, secondo la particolarità del lavoro, l esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l integrità fisica e la personalità morale del lavoratore subordinato. Da un punto di vista di tecnica legislativa, come è dato vedere, il codice civile, con questa norma, riesce a realizzare il sogno di ogni legislatore. Attraverso il riferimento alla tecnica, il legislatore crea una norma che nonostante un innovazione tecnologica incessante riesce ad essere sempre attuale: la tecnica si aggiorna continuamente, ma il testo della norma resta invariato. E questo è sicuramente un primo grandissimo pregio della norma in questione. A questo primo pregio se ne aggiunge un secondo. Come noto, il vero punto nodale della sicurezza sul lavoro non è tanto di ordine giuridico, quanto di ordine economico. Il problema di fondo per l imprenditore è la scelta tra due opzioni che sono agli antipodi: la massima sicurezza tecnologicamente possibile (cioè tutto ciò che la tecnica consente, a prescindere dai costi) e la massima sicurezza concretamente attuabile (che consente una valutazione dell imprenditore in termini di costi e benefici). Ebbene, a questo proposito, l art. 2087, senza dubbio alcuno, compie la scelta a favore della opzione della massima sicurezza tecnologicamente possibile, garantendo così alla persona del lavoratore il livello più alto di tutela. Accanto a questi due enormi pregi, peraltro, l art ha due grandi difetti. Questo riferimento generale alla tecnica ha fatto sì che la norma sia stata spesso considerata eccessivamente generica. In secondo luogo, su un piano strettamente concreto, la scelta per la massima sicurezza tecnologicamente possibile ha fatto 2
3 dell art una norma applicata più che altro in chiave repressiva, e solo raramente in chiave prevenzionistica. In altri termini, l art è stato troppo spesso invocato soltanto a infortunio avvenuto, per sancire la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro. Una norma, insomma, sicuramente magnifica, per i due pregi di cui si è detto, ma implicante anche i due difetti evidenziati. 4. Di qui la seconda tappa, i decreti prevenzionistici degli anni 50, sui quali peraltro è opportuno soffermarsi soltanto brevemente, in quanto si tratta di una normativa che a differenza dell art oggi non è più in vigore, è stata abrogata. Tali decreti hanno introdotto tre fondamentali novità. Innanzi tutto, si è cercato di rimediare al problema della eccessiva genericità dell art. 2087, introducendo una normativa molto specifica, buona parte della quale, tuttavia, è risultata subito vecchia. Non è facile fare una normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Se la si fa troppo generica, si incorre nelle critiche di cui si è detto. Se la si fa troppo specifica, diventa presto obsoleta, in considerazione dell evoluzione tecnologica rapidissima. La seconda novità dei decreti degli anni cinquanta attiene ai soggetti dell obbligo di sicurezza, cioè alle persone cui la legge impone l adempimento dell obbligazione di sicurezza. Nel 1942 il soggetto obbligato è uno solo: il datore di lavoro. Nel 1950 i soggetti diventano quattro: il datore di lavoro, che viene ovviamente confermato come principale obbligato, i dirigenti, i preposti e i lavoratori. La terza novità invece riguarda la previsione, per la prima volta, di una responsabilità penale, in relazione all ipotesi della mancata osservanza degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. 5. Veniamo, ora, alla terza tappa epocale dell evoluzione normativa: il decreto legislativo n. 626 del A questo proposito, sotto il profilo dei soggetti obbligati all adempimento dell obbligo, è opportuno sottolineare, in primo luogo, il passaggio dalla quadripartizione, a dodici soggetti. Com è dato vedere, il ventaglio soggettivo si 3
4 amplia davvero a 360 gradi e viene confermato dal Testo Unico del 2008, insieme a tutto quanto da ora si dirà di seguito. Ma la novità che più si ritiene di mettere in evidenza, compatibilmente con il tempo che mi è stato dato a disposizione e che vorrei rispettare, riguarda il contenuto dell obbligo di sicurezza. Il decreto legislativo n. 626, innanzi tutto, al fine di rimediare a quel difetto dell art del codice civile consistente nel fatto di essere stata una norma più che altro repressiva, introduce la programmazione della sicurezza. Ciò significa che la sicurezza deve essere un problema da porsi a priori, prima che l infortunio accada, non soltanto a posteriori. La seconda novità consiste nella cosiddetta gestione concertata della sicurezza. All adempimento dell obbligo di sicurezza devono intervenire in chiave collaborativa tutti i soggetti individuati dalla legge, sfumandosi così la logica tradizionalmente antagonistica tipica delle due parti del contratto di lavoro, a favore di una prospettiva di tipo partecipativo. Ma la più grande novità è la terza: la procedimentalizzazione dell obbligo di sicurezza. Il legislatore dimostra in questo modo di trovare la medianità più ragionevole tra una normativa troppo generica (rappresentata dall art. 2087) ed una normativa troppo specifica, come i decreti degli anni cinquanta. La legge indica un procedimento da seguire, che consiste nelle seguenti fasi: un censimento dei rischi presenti in azienda, una valutazione dei rischi (secondo la doppia prospettiva dell entità del rischio e della probabilità che esso si verifichi), una individuazione delle misure di sicurezza e, infine, l adozione, in concreto, delle misure di sicurezza medesime. Ovviamente tenendo traccia scritta di tutte queste operazioni, in un documento scritto, che prende il nome di Documento di valutazione dei rischi, che deve essere conservato in azienda, periodicamente aggiornato ed esibito da parte del datore di lavoro, in caso di controllo da parte degli organi di vigilanza. Per questa via, il legislatore prende atto che non è in grado di definire che cosa ciascun datore di lavoro deve fare nella propria azienda, perché ogni realtà è diversa 4
5 dalle altre. Tuttavia si prevede un procedimento da seguire, che se realizzato correttamente, ha come esito il fatto di far conoscere al datore cosa deve fare in concreto, nella propria realtà produttiva, al fine di adempiere correttamente all obbligo di sicurezza. 6. Il discorso appena svolto relativo alla procedimentalizzazione dell obbligo di sicurezza, novità anch essa confermata dal Testo Unico del 2008, si lega a doppio filo con quello relativo ai cosiddetti modelli organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro, che rappresenta in Italia, in questo momento, una delle frontiere di maggiore attualità. Tali modelli organizzativi consistono, in buona sostanza, nell applicazione alla sicurezza sul lavoro del concetto della Total Quality. Ovviamente adottare un modello organizzativo non è imposto dalla legge, ma è su base volontaristica. A ciò va aggiunto che adottare un modello organizzativo è costoso, così come è oneroso per l azienda mantenerne la gestione. Tuttavia, l adozione di un modello organizzativo ha una sua prima ricaduta positiva sul piano della responsabilità sociale delle imprese (Corporate Social Responsability). In secondo luogo, ed è questo il profilo che in questa sede merita evidenziare, ha anche un importante ricaduta sul piano strettamente giuridico. In particolare, a partire dal 2007, è stata introdotta in Italia in materia di sicurezza una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Quest ultima ha come obiettivo il fatto di introdurre una forma di responsabilità che è un ibrido, intermedio tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità penale. A seguito dell inadempimento dell obbligo di sicurezza possono dunque emergere quattro tipi di responsabilità: i tre tradizionali, cioè il civile, l amministrativo e il penale, ed oggi un quarto, quello appunto relativo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Quest ultima forma di responsabilità è detta amministrativa perché prevede delle sanzioni di tipo pecuniario, oltre che sanzioni interdittive. Ma è simile alla responsabilità penale, perché prevede sanzioni molto afflittive, che possono arrivare, 5
6 nei casi più gravi, fino a 1,5 milioni di euro. Tra l altro è il giudice penale che accerta questo tipo di responsabilità, la quale tende a superare il principio per cui societas delinquere non potest. Ebbene, l adozione di un valido modello organizzativo esclude la responsabilità amministrativa della società, così incentivando la realizzazione da parte delle imprese di una gestione virtuosa della sicurezza sul lavoro. 7. Tutto quanto detto fino ad ora, riguarda il profilo della prevenzione. Veniamo, ora, al profilo della riparazione del danno, prendendo le mosse dal danno alla capacità lavorativa. A questo proposito, è necessario premettere che il decreto del presidente della repubblica n del 1965 fissa una regola generale: l esonero della responsabilità civile del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro, a meno che non vi sia una condanna penale del datore di lavoro o dei suoi collaboratori. La condanna deve essere passata in giudicato. In caso di condanna penale, il danno alla capacità lavorativa sarà comunque risarcito in prima battuta dall Istituto Nazionale per l Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, ma poi l istituto proporrà azione di regresso nei confronti del datore di lavoro. 8. L INAIL, a partire dal 2000, procede inoltre alla risarcibilità del danno biologico, vale a dire del danno conseguente alla lesione dell integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico-legale, indipendentemente dai riflessi che ne derivano sul piano della capacità di quel lavoratore di produrre reddito. A questo proposito, va sottolineato che in passato il risarcimento del danno non patrimoniale era ritenuto ammesso soltanto a patto che a monte vi fosse stata la commissione di un reato. Oggi, invece, alla luce di un interpretazione giurisprudenziale affermatasi nel 2003, è ammesso il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalle lesione di valori inerenti alla persona costituzionalmente tutelati, come appunto, il diritto alla salute, consacrato nell art. 32 della Costituzione italiana. 6
7 9. Veniamo al danno morale ed al danno esistenziale. A questo riguardo, la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, nel 2008, ha rielaborato la nozione di danno non patrimoniale. Oggi tale nozione pur nella sua ampiezza non consente più di individuare delle sottocategorie di danno. Di conseguenza, in caso di lesioni alla persona, se viene liquidato come danno non patrimoniale il danno biologico, non sarà possibile risarcire separatamente anche le sottocategorie del danno morale e del danno esistenziale. Il giudice è tenuto a stabilire un unica liquidazione onnicomprensiva, potendo limitarsi a maggiorare l ammontare del danno biologico, in relazione alla sussistenza anche di sofferenze morali o relative alla vita di relazione (e, quindi, esistenziali). Va inoltre tenuto conto che la giurisprudenza italiana ha ritenuto che il danno non patrimoniale sia risarcibile soltanto sussistono i due elementi della gravità della lesione e della serietà del danno, non ritenendosi risarcibili i semplici disagi o fastidi. 10. Concludo sottolineando come il danno conseguente al mobbing, vale a dire di quell atteggiamento reiteramente persecutorio del datore di lavoro che ingeneri una patologia di tipo psichico, non possa essere considerata un autonoma tipologia di danno, sotto il profilo civilistico. I danni subiti dalla vittima debbono, quindi, essere ricondotti alle categorie di danno di cui si è detto sopra. Grazie. 7
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