Università privata: l'idea piace a 2/3 degli studenti Carenza di fondi e immobilismo penalizzano gli atenei pubblici

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1 Politica > News > Italia - venerdì 26 luglio 2013, 17:15 Inversione di tendenza Università privata: l'idea piace a 2/3 degli studenti Carenza di fondi e immobilismo penalizzano gli atenei pubblici Alessio Pappagallo Privato è bello. L'idea di studiare in una università privata piace e sembra attirare un gran numero di studenti. Almeno, è quanto emerge da uno studio realizzato dall Osservatorio Giornalistico Mediawatch per l Istituto Privato Universitario Svizzero IPUS, il 78% dei neodiplomati, se potesse, si vorrebbe iscrivere presso un ateneo privato e di questi il 65% lo farebbe per le maggiori probabilità di sbocchi professionali immediati, che gli istituti privati garantirebbero, il 21% per la maggiore qualità degli insegnamenti. La ricerca, su un campione di ragazzi, appena usciti dalle scuole superiori, ha riscontrato una scarsa fiducia nella capacità delle università statali di preparare al mondo del lavoro. Soltanto il 32% degli intervistati è risultato fiducioso in merito. Le università pubbliche, grande tradizione del nostro Paese, subiscono quindi un forte attacco che parrebbe spostare le preferenze dell'istruzione accademica a favore delle realtà private. Carlo Vittorio Giovannelli, Presidente di Mediawatch, delinea i tratti salienti di questo sondaggio: Il 78% dei neodiplomati, sul campione di intervistati, ha effettivamente affermato che, se potesse (cioè se avesse le possibilità economiche per farlo ndr), sceglierebbe di proseguire i propri studi presso un ateneo Page 1/5

2 privato. A mio parere, questo dato è frutto di molteplici fattori, primo fra tutti la paura della burocrazia delle strutture statali, che viene vista come un sintomo di scarsa qualità. E pensiero comune che nelle università statali i cosiddetti 'figli d arte' abbiano possibilità maggiori degli altri. Una delle critiche più diffuse riguarda l'alto livello di assenteismo dei docenti, che troppo spesso vengono sostituiti nelle lezioni dagli assistenti, mentre nelle strutture private questo non accade. Università private come la Bocconi e la Cattolica - continua Giovannelli - hanno sdoganato e creato uno spirito manageriale dell università e per gli studenti questo è un grande valore aggiunto, mentre le università pubbliche vengono considerate strutture molto accademiche e poco concrete. E un dato di fatto che le università private abbiano, molto spesso, maggiori collegamenti con l estero e che quindi offrano ai propri studenti importanti opportunità internazionali, fattore molto considerato dai nostri giovani che guardano sempre più al mondo del lavoro oltralpe come ad un isola felice. Si può quindi sostenere che i giovani italiani vedano nelle università private una 'porta' verso l estero e nelle università statali delle realtà profondamente legate al territorio nazionale. Di tutt altro avviso la professoressa Loredana Garlati, Prorettore all'orientamento dell'università di Milano-Bicocca: Uno studio statistico dello 'European Journal of Education' dimostra che a fronte di un incremento delle università private, in Italia, non corrisponde un aumento degli occupati. Ovvero, le possibilità di trovare un impiego dopo la laurea sono molto simili sia che uno esca da un università pubblica, sia che abbia frequentato una privata. Una fuorviante credenza popolare sembra sostenere che pagando più tasse ci si assicuri un posto di lavoro. Gli studi dimostrano che non è così: le private hanno una percentuale di iscritti minore, anche per motivi legati alle rette, spesso alte, quindi non è possibile fare un paragone corretto. Ma vediamo come è strutturato il sistema universitario italiano. Nel nostro Paese esistono sessantasette università pubbliche, ventinove non statali legalmente riconosciute, nove istituti superiori a ordinamento speciale e undici università telematiche. Un panorama vasto e esteso su tutto il territorio nazionale, specchio del profondo connubio storico che il nostro Paese ha sempre vissuto con l istituzione universitaria e con la cultura. Infatti, gli atenei italiani sono stati tra i primi al mondo, l Università di Bologna, la più antica, fu fondata nel lontano Negli ultimi decenni l'assetto e il percorso formativo delle università italiane sono cambiati radicalmente, in seguito a riforme come il Processo Bologna (intrapreso nel 1999) e la Riforma Gelmini, entrata in vigore nel La riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore dell'unione Europea, chiamata Processo Bologna, ha rimodellato i corsi di studio, introducendo la formula dei tre anni di laurea breve più due di magistrale, basata sul modello anglosassone. Successivamente Mariastella Gelmini Ministro dell'istruzione, dell'università e della Ricerca, ha introdotto una serie di atti normativi che hanno ridotto i fondi per l'istruzione. Tagli giustificati, secondo Giorgio Napolitano dalla necessità di ridurre il deficit pubblico italiano. Lo stesso Presidente però, ha poi sostenuto che sarebbe necessario rivedere alcune di queste misure risultate discriminanti. Di fatto c è stata una perdita importante in termini di investimenti - afferma ancora Giovannelli - ma io sono convinto che l opera la facciano le persone e non le idee. Ci sono Università che fanno più 30% di iscritti l anno, come l Università degli Studi di Cassino (Lazio meridionale ndr) dove il Professor Ciro Attaianese, Magnifico Rettore, ha sfidato i ragazzi ad una maratona che ha avuto un grande successo e dopo questo episodio c'è stato un incremento notevole delle adesioni. E sempre Cassino è una delle poche università italiane in cui è possibile frequentare la palestra di ateneo fino alle Facendo attività Page 2/5

3 fisica si stimola la mente, sostiene il Rettore e i numeri della sua università gli hanno dato ragione, la differenza la fanno gli uomini e non le riforme. I tagli della riforma Gelmini hanno quindi penalizzato le università pubbliche, ma i soldi che arrivano nelle tesorerie degli atenei possono essere utilizzati con cognizione. E' quanto afferma la Prof.ssa Garlati: I tagli alla cultura sono un taglio al futuro del Paese. Ciononostante, non c'è stato un impoverimento dell'offerta didattica nell'università pubblica che, ancora oggi, consente l attuazione dell articolo 34 della Costituzione (La scuola è aperta a tutti...i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi...ndr). E' vero che le università pubbliche italiane sono e sono sempre state simbolo di eccellenza nel mondo, ma è anche vero che esistono alcuni limiti con cui gli atenei, anche in seguito alle ultime riforme, devono fare i conti. Ad esempio, molte strutture pubbliche universitarie hanno standard infrastrutturali inadeguati o altri non producono particolari risultati in termini di ricerca. Questi fattori penalizzano le nostre università nelle classifiche internazionali, che, troppo spesso ci vedono ricoprire posizioni ben lontane da quelle di un tempo. Risultati scontati se si pensa che, secondo uno studio della European University Association Fua, l'italia ha investito nell'università, negli ultimi quattro anni, una media di circa 109 euro per cittadino, contro i 731 degli svedesi o i 304 della Francia e della Germania. Ma, restando in Italia, secondo il primo Rapporto di Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) per il periodo presentato di recente dall Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca Anvur, risulta che nel raggruppamento grandi atenei Padova è al primo posto e Milano-Bicocca al secondo. Due università pubbliche occupano i vertici della classifica e dimostrano che, nonostante la scarsità di investimenti, alcune realtà riescano a mantenere livelli di eccellenza. Le università pubbliche, nonostante i tagli, hanno fatto tanto - continua la Prorettore della Bicocca - sono riuscite a fare ricerca molto bene. La formazione culturale italiana è di altissimo livello, non è inferiore a nessun altro Paese; i nostri laureati sono molto apprezzati all estero. Pochi fondi sicuramente ma utilizzati bene. Dal canto loro le università private vantano infrastrutture accattivanti, realtà più piccole dove gli studenti posso essere seguiti maggiormente e in alcuni casi una specializzazione didattica maggiore. Il Professor Vito Moramarco, docente di Politica economica alla Università Cattolica di Milano e Presidente del Comitato Università Mondo del Lavoro non crede che la realtà delle università private sia in collisione con quella statale, ma ritiene che ci siano alcune differenze fondamentali. Gli studenti della Cattolica - precisa - trovano quasi sempre un riscontro lavorativo. Quindi direi che c'è del vero nel sondaggio di Mediawatch, anche se le università private in Italia sono un numero piuttosto limitato e quindi non possono certo fornire la medesima risposta del pubblico. Chi si laurea in economia, ad esempio, è agevolato, ma questo è vero sia per gli atenei pubblici che privati; la differenza sta nel fatto che anche un laureato in lettere alla Cattolica trova la stessa risposta lavorativa. Ora però le università pubbliche si stanno attivando per incrementare i rapporti con le aziende, ad esempio, il Politecnico di Milano. Il pro delle private è che sono strutture profondamente legate al mondo de lavoro straniero, le pubbliche molto meno. I tagli della Riforma Gelmini sono stati 'sciagurati' e hanno creato danni enormi anche alle realtà private, che attualmente possono contare solo sulle rette degli studenti e sulle donazioni. Da un certo punto di vista la distanza tra le tasse pagate dagli studenti nel pubblico e quelle pagate nel privato non è così consistente, si parla di uno stacco del 30%, un tempo la forbice era molto più larga. Page 3/5

4 Nel confronto tra un ateneo pubblico e uno privato bisogna tenere conto di una variabile importante, la multidisciplinarità della struttura. Non è quindi corretto fare un confronto tra un'università monodisciplinare come la Bocconi di Milano e l'università di Pavia. E' quanto afferma il Professor Gianni Danese, delegato del Rettore per il placement presso l'università di Pavia Nelle classifiche si considera il tasso di occupati a un anno dalla laurea: è un dato che va analizzato con attenzione e che qualifica le attività di placement degli atenei. Pavia registra l'87% di laureati occupati, grazie a una banca dati aggiornata in tempo reale - spiega Danesi - che propone curricula a centinaia di aziende nazionali e internazionali. Si tratta di aziende che puntano sulla qualità dell Ateneo, che si affidano a una didattica e a una ricerca consolidate, a una tradizione di studi che è garanzia di qualità. Le recenti classifiche Anvur e Censis confermano proprio questo: ai vertici troviamo atenei storici (Padova, Bologna, Pavia, che si è classificata al quinto posto in Italia) tra i più antichi d Europa, atenei pluridisciplinari, che sanno adeguare la loro offerta formativa ai mutamenti del contesto socioeconomico. Naturalmente ci sono ambiti di studio molto richiesti dal mondo del lavoro, ad esempio Medicina, con il 100% di occupati, così come gli ingegneri e gli economisti trovano un riscontro immediato ancor prima di laurearsi. Un ulteriore paramento fondamentale di valutazione, a mio parere, è il numero di studenti che riesce a laurearsi nelle tempistiche giuste. A Pavia, nelle lauree triennali, il 57% degli studenti arriva a conclusione nei tempi prestabiliti, più di uno su due; nelle lauree magistrali il 73%. Queste percentuali sono tra le più alte della media nazionale. Dovremmo prendere insegnamento da un Paese come la Germania che, anni fa, fece una manovra finanziaria con tagli molto aspri in tutti i settori, ma che paradossalmente aumentò i fondi all istruzione e alla ricerca. Molte cose sono cambiate nella politica italiana negli ultimi due anni e dalla riforma Gelmini si sono susseguiti ben due inquilini al Ministero dell'istruzione, dell'università e della Ricerca, Francesco Profumo e l'attuale Ministro Maria Chiara Carrozza, ma per ora si è solo parlato di reincrementare i fondi all'istruzione. La laurea ancora oggi ha un valore aggiunto, anche e non solo, in termini di ingresso nel mondo del lavoro. C'è differenza tra un diplomato e un laureato - polemizza la Prof.ssa Loredana Garlati - la laurea consente maggiori opportunità di ingresso nel mondo professionale e maggiori possibilità di carriera. Nei Paesi dove c'è un tasso di laureati alto, per esempio la Francia e la Germania, l'economia funziona meglio. La laurea è ancora un ascensore sociale e l'italia in questo senso è il fanalino di coda dell'europa, peggio di noi solo la Romania. L'obiettivo concordato con l'unione Europea per il 2020 è di arrivare al 20/27% di laureati, mentre per gli altri Paesi è di arrivare al 40% e attualmente sono al 30%, l'italia, ad oggi, è solo al 19%. Ma esiste anche un problema economico per i docenti, come sottolinea il Professor Moramarco: lo Stato dovrebbe fare un passo indietro rispetto alle ultime riforme. Andrebbero incrementati i finanziamenti alla ricerca ed è di fondamentale importanza restituire valore alla professione di docente universitario, riportando gli stipendi ai livelli di un tempo. Il percorso per diventare accademico è lungo e complesso e non è ammissibile, anzi è immorale che gli stipendi siano 1/5 più bassi di quelli percepiti ad esempio negli USA. E' chiaro che tutti i nostri studiosi di più alto calibro fuggono all'estero in cerca di riconoscimenti più adeguati. Pare quindi che l'università pubblica in Italia mantenga comunque gli ottimi livelli che l'hanno sempre contraddistinta e che le strutture private, siano realtà spesso imparagonabili, soprattutto per motivi di dimensione e di offerta formativa. Ma questo apparente benessere dell'istituzione universitaria italiana Page 4/5

5 Powered by TCPDF ( potrebbe essere solo un 'tirare a campare'. E' auspicabile che la politica abbia ben chiaro che puntare sull'istruzione vuol dire investire nella crescita del Paese e che la scuola pubblica è, ed è sempre stata, un caposaldo dello Stato italiano. Devi essere il meglio in quello che puoi essere in quello che stai facendo, è la frase che dice sempre ai suoi studenti la Prorettore della Bicocca, che conclude: l'università non è un parcheggio, il mondo chiede il meglio, non si può fare tanto per farla, i servizi di orientamento agli studi ci sono e funzionano, bisogna fare scelte sensate e coscienziose. Page 5/5