di Massimiliano Di Pace
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1 GLI OBBLIGHI DELLE IMPRESE IN CONSEGUENZA DEL CODICE DELLE PARI OPPORTUNITA di Massimiliano Di Pace Risorse Umane >> Gestione ed organizzazione del personale
2 Sommario Premessa...3 La finalità della disciplina delle pari opportunità...4 La definizione di discriminazione...4 La definizione di molestie (incluse quelle sessuali)...4 Il divieto di discriminazione nell'accesso al lavoro...4 Il divieto di discriminazione nella retribuzione e nelle prestazioni previdenziali...5 Il divieto di discriminazione nella carriera...5 Il divieto di licenziamento conseguente a discriminazioni...6 La tutela giudiziaria contro le discriminazioni...7 L'obbligo di presentazione del rapporto sulla situazione del personale...8 Le azioni di promozione delle pari opportunità...8 Glossario...9 Pagina 2 di 10
3 PREMESSA Il Codice riprende, riformulandole, le disposizioni contenute in numerosi provvedimenti precedenti, quali: 1) le leggi n.7/63, n.66/63, n.903/77, n.32/85, n.874/86, n.223/90, n.125/91, n.215/92, n.90/2004; 2) i D.Lgs. n.303/99, n.24/2000, n.196/2000, n.151/2001, n.226/2003. Quasi tutte queste leggi sono poi totalmente, o almeno in parte, abrogate dal Codice, come chiarito dall art. 57 del D.Lgs. n.198/2006. In questo dossier si provvede a richiamare le finalità della disciplina delle pari opportunità tra uomo e donna, nonché la definizione di discriminazione, per passare poi a rammentare, sebbene sinteticamente, i numerosi divieti che scaturiscono dal Codice, e che hanno per oggetto i rapporti di lavoro. Si rammenta infine che il Codice contiene anche norme relative alle istituzioni e alle figure chiamate ad assicurare il reale rispetto del principio della pari opportunità, ed agli istituti di carattere familiare. Pagina 3 di 10
4 LA FINALITÀ DELLA DISCIPLINA DELLE PARI OPPORTUNITÀ L obiettivo della disciplina delle pari opportunità è l eliminazione di ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo. LA DEFINIZIONE DI DISCRIMINAZIONE Il concetto di discriminazione è definito dall art. 25 del Codice. Esso può assumere due accezioni: 1) discriminazione diretta: ha luogo quando qualsiasi atto, patto o comportamento produce un effetto pregiudizievole, discriminando le lavoratrici (o i lavoratori) in ragione del loro sesso, in termini di trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice (o di un altro lavoratore) in situazione analoga; 2) discriminazione indiretta: ha luogo quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri, mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo, ed i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. LA DEFINIZIONE DELLE MOLESTIE (INCLUSE QUELLE SESSUALI) Particolarmente importante è poi la definizione di molestie, visto che nella realtà sono spesso citate per denunce, anche in campo lavoristico. A questo proposito il Codice definisce, con l art. 26, le molestie come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, con lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice (o di un lavoratore), e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, o offensivo. Sono considerate invece molestie di natura sessuale quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice (o di un lavoratore), e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, o offensivo. Infine, sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro, che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad un azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne. IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE NELL ACCESSO AL LAVORO Uno dei principi più importanti contenuti nel Codice è il divieto di qualsiasi discriminazione per l'accesso al lavoro fondata sul sesso. Questo divieto, sancito dall art. 27, vale per qualsiasi livello della gerarchia professionale, ed indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro. Pagina 4 di 10
5 Inoltre, la discriminazione è vietata anche se attuata: a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, o di famiglia, o di gravidanza; b) attraverso meccanismi di preselezione, ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria, che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Eventuali deroghe sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti, individuate attraverso la contrattazione collettiva. Ovviamente, si specifica che non costituisce discriminazione la richiesta di appartenenza ad un determinato sesso in alcune attività dove la differenza di genere può risultare necessaria, come è il caso della moda, dell'arte, e dello spettacolo, a condizione però che l appartenenza ad un sesso sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione. Salvo queste eccezioni, il Codice stabilisce che nei concorsi pubblici e nelle selezioni, effettuate anche attraverso soggetti esterni, sia per datori di lavoro privati che per pubbliche amministrazioni, la prestazione richiesta deve essere accompagnata dalle parole «dell'uno o dell'altro sesso», fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione. IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE NELLA RETRIBUZIONE E NELLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Un altro principio importante affermato dal Codice è la parità di salario. In altre parole l art. 28 dichiara che la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore, ovviamente quando le prestazioni richieste sono uguali o di pari valore. L art. 30 del Codice afferma poi che le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini, previa comunicazione al datore di lavoro, inviata almeno 3 mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia. Va detto però che questo principio si scontra con le norme previdenziali per cui la sua applicazione può essere effettivamente complicata. Infine il Codice ricorda che gli assegni familiari, e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico, possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata, alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o il pensionato. Per quanto riguarda le prestazioni ai superstiti, esse sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata. IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE NELLA CARRIERA Il Codice asserisce il divieto di qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e la progressione nella carriera. Certamente tale divieto, contenuto nell art. 29 del Codice, deve contemperarsi con il diritto del datore di lavoro di esercitare il suo potere direttivo, ossia di scegliere a chi affidare i vari compiti nell ambito dell azienda. Pagina 5 di 10
6 L art. 31 del Codice ribadisce comunque tale principio anche nel settore pubblico, affermando che non possono esservi discriminazioni nell'accesso agli impieghi pubblici, per cui la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere, e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. Una importante precisazione riguarda l altezza delle persone, che non deve costituire motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni, e impieghi pubblici, ad eccezione però di quelle mansioni per le quali è necessario definire un limite di altezza, sentiti i Ministeri interessati, le organizzazioni sindacali e la Commissione per la parità tra uomo e donna. IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO CONSEGUENTE A DISCRIMINAZIONI In tema di licenziamento il Codice riafferma innanzitutto, con l art. 35, la nullità di clausole di qualsiasi genere, eventualmente contenute nei contratti individuali e collettivi, che prevedano la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio. Ovviamente sono nulli anche i licenziamenti attuati a causa di matrimonio, pur in assenza di clausole in tal senso. Per evitare raggiri del divieto il Codice presume che il licenziamento della dipendente sia stato disposto per causa di matrimonio, quando esso avviene nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo la celebrazione del matrimonio. Di conseguenza sono nulle pure le dimissioni presentate dalla lavoratrice in quel periodo, salvo che siano confermate dalla lavoratrice stessa entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro. Allo scopo di evitare soprusi da parte della lavoratrice è lasciata la facoltà al datore di lavoro di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo sopra citato, è stato effettuato non a causa di matrimonio, bensì per una delle seguenti ragioni: a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta; d) risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine. Il Codice, sempre con l art. 35, ricorda poi che con il provvedimento del giudice che dichiara la nullità del licenziamento della lavoratrice che si sposa, va disposta anche la corresponsione della retribuzione globale di fatto che la lavoratrice avrebbe dovuto ricevere fino al giorno della riammissione in servizio. In ogni caso, la lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiara di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di 10 giorni dal ricevimento dell'invito. Infine, il Codice sottolinea come il divieto di licenziamento della lavoratrice che si sposa si applica sia alle lavoratrici dipendenti di imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti di enti pubblici. Pagina 6 di 10
7 LA TUTELA GIUDIZIARIA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI La lavoratrice (ma anche il lavoratore) che intende agire per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti, negati dalla discriminazione, può scegliere tra due strade: 1) avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, promuovendo il tentativo di conciliazione tramite il consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente (artt del Codice); 2) citare in giudizio il datore di lavoro, affidandosi ad un avvocato del lavoro che avvia la causa presso un Tribunale del lavoro. Va detto che anche i consiglieri di parità hanno facoltà di ricorrere innanzi al giudice del lavoro, su delega della persona che vi ha interesse. Ma prima di farlo, devono chiedere all'autore delle discriminazioni di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, entro un termine non superiore a 120 giorni, sentite le rappresentanze sindacali aziendali. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, il consigliere di parità promuove il tentativo di conciliazione, ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del giudice del lavoro. In caso di esito negativo della procedura di conciliazione, il consigliere di parità può allora proporre ricorso davanti al giudice del lavoro. Il giudice del lavoro, che accerta nella sentenza le discriminazioni, oltre a provvedere all eventuale risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite le rappresentanze sindacali, nonché il consigliere di parità competente. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi, ai fini della definizione ed attuazione del piano. E prevista anche una procedura rapida, che consente al consigliere regionale e nazionale di parità di proporre un ricorso in via d'urgenza davanti al giudice del lavoro. In questo caso il giudice, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, laddove ritenga sussistente la violazione, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, provvede, oltre a definire il risarcimento del danno, ad ordinare all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole, e di adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, compreso un piano di rimozione delle discriminazioni. Contro il decreto è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva. L'inottemperanza alle sentenze è punita penalmente. Un aspetto delicato nelle procedure giudiziarie è la prova. In questo ambito si inserisce l art. 40 del Codice che dirime la questione dell onere della prova. Al riguardo si specifica che quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti, o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto, ossia al datore di lavoro, l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione. Pagina 7 di 10
8 Infine, si aggiunge con l art. 41 che ogni accertamento di atti, patti, o comportamenti discriminatori posti in essere da soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, va comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministeri dai quali sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Le amministrazioni pubbliche devono quindi adottare le opportune decisioni, compresa, se necessario, la revoca del beneficio o dell appalto. L OBBLIGO DI PREDISPOSIZIONE DEL RAPPORTO SULLA SITUAZIONE DEL PERSONALE L art. 46 del Codice obbliga le aziende con oltre 100 dipendenti a redigere un rapporto, almeno ogni 2 anni, sulla situazione del personale maschile e femminile, in ognuna delle professioni, ed in relazione a: 1) lo stato delle assunzioni; 2) l invio a corsi di formazione; 3) la crescita professionale, in termini di livelli, passaggi di categoria o di qualifica; 4) la mobilità geografica dei lavoratori; 5) il ricorso all'intervento della Cassa integrazione guadagni; 6) lo stato dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti; 7) la retribuzione effettivamente corrisposta. Il rapporto va trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali, ed al consigliere regionale di parità. Spetta al Ministero del lavoro precisare con decreto le indicazioni da seguire per la redazione del rapporto. Qualora, nei termini prescritti, le aziende non trasmettono il rapporto, la Direzione regionale del lavoro invita le aziende a provvedere entro 60 giorni. In caso di inottemperanza si applicano delle sanzioni (di cui all'art. 11 del D.P.R. n.520/55). Nei casi più gravi può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda. LE AZIONI DI PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ L art. 44 del Codice prevede che ogni anno, dal 1 ottobre al 30 novembre, i datori di lavoro (ed anche i centri di formazione professionale, le associazioni di categoria, ed i sindacati) possono richiedere al Ministero del lavoro di essere ammessi al rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive di promozione delle pari opportunità. L'attuazione dei progetti deve comunque avere inizio entro 2 mesi dal rilascio dell'autorizzazione, e in caso di mancata attuazione, il beneficio viene perduto, e scatta l obbligo di restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera invece limitatamente alla parte non attuata. Le azioni consistono in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, e devono essere dirette a favorire l'occupazione femminile e a realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro. Pagina 8 di 10
9 L art. 42 precisa poi che le azioni di promozione delle pari opportunità possono avere lo scopo di: 1) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità; 2) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne, in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione; 3) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale, e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici; 4) superare condizioni, organizzazione, e distribuzione del lavoro, che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera, ovvero nel trattamento economico e retributivo; 5) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate, ed in particolare nei settori tecnologicamente avanzati, e nei livelli di responsabilità; 6) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni, e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali, e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi. L art. 52 specifica poi che le azioni positive per l'imprenditoria femminile devono promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale, ed in particolare, a: a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa; b) promuovere la formazione imprenditoriale, e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici; c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione, o a prevalente partecipazione, femminile; d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne; e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione, o a prevalente partecipazione, femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi. Pagina 9 di 10
10 GLOSSARIO Colpa grave Si ha colpa grave quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente, e si verifica a causa di grave negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per grave inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In proposito, l'indirizzo di coordinamento 19/10/1996, n. I.C./6, della Corte dei Conti, ha precisato che per aversi colpa grave deve innanzitutto ricorrere un errore professionale non scusabile. Secondo la Corte, "l inescusabilità dell'errore si concreta quando la scelta sia frutto di una operazione arbitraria. Pensione di vecchiaia La pensione di vecchiaia, spetta al raggiungimento dell'età pensionabile, che attualmente sono di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, o per collocamento a riposo per raggiunti limiti di età e/o servizio. Un traguardo importante nella disciplina di questo trattamento previdenziale è stato senato con la legge 388/2000 (Finanziaria per il 2001). Dal 1 gennaio 2001 è infatti entrato a regime il requisito minimo contributivo dei 20 anni, per la pensione di vecchiaia "retributiva". Inoltre è stata introdotta la pensione "contributiva", per la quale può maturarsi il requisito minimo contributivo di cinque anni.. Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito Documento pubblicato su licenza di WKI - Ipsoa Editore Fonte: PMI Il mensile della piccola e media impresa, Ipsoa Editore Copyright: WKI - Ipsoa Editore Pagina 10 di 10
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