EMISSIONS TRADING E MECCANISMI DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS AD EFFETTO SERRA Applicazione all impianto di incenerimento di Modena

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1 Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Ingegneria- Sede di Modena Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Per la Sostenibilità dell Ambiente EMISSIONS TRADING E MECCANISMI DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS AD EFFETTO SERRA Relatore: Ing. Adelmo Benassi Correlatori: Ing. Gianpiero Mazzoni (Unieco Soc. Coop.) Dott. Alessandro Brighetti (Unieco Soc. Coop.) Candidato: Valentina Luppi Anno Accademico 2005/2006 1

2 Indice Premessa Protezione internazionale del sistema climatico: principali tappe Il Protocollo di Kyoto Termini e condizioni Gli strumenti previsti dal Protocollo di Kyoto e precisati dalle COP Emissions Trading Nascita e finalità degli schemi di Emissions Trading Elementi di design e di funzionamento Natura del sistema Target di riduzione delle emissioni Metodo di allocazione iniziale delle quote (per lo schema cap and trade) Gas serra/inquinanti regolamentati Dimensione spaziale Settori e soggetti destinatari del sistema Modalità di adesione dei soggetti Possibilità di opt-in o opt-out Meccanismo di funzionamento e di compliance Flessibilità temporale Sistemi di monitoraggio Sanzioni Possibilità di linkage con altri strumenti La Direttiva europea sull Emissions Trading Introduzione Percorso di attuazione e fasi del sistema EU ETS Emissioni e settori interessati Metodo di allocazione e meccanismo di assegnazione delle quote Nuovi entranti, opt-in/opt-out e raggruppamenti Autorizzazioni Validità e scambio delle quote, misurazioni e registro delle emissioni Sistemi di controllo e sanzioni Flessibilità temporale Collegamento con sistemi di Emissions Trading non europei Joint Implementation Funzionamento del meccanismo di JI I soggetti coinvolti I pre-requisiti necessari per l implementazione della JI Fasi per la realizzazione di un progetto JI Vantaggi e svantaggi associati ai progetti di JI Clean Development Mechanism Funzionamento del meccanismo di CDM

3 5.2. I soggetti coinvolti I pre-requisiti necessari per l implementazione di un CDM Fasi per la realizzazione di un progetto CDM Vantaggi e svantaggi associati ai progetti di CDM La Direttiva Linking (2004/101/CE) Finalità e contenuto Condizioni e vincoli per il riconoscimento dei crediti da JI e CDM I soggetti abilitati alla conversione Tempi per l ingresso di ERU e CER nell EU-ETS Restrizioni quantitative all impiego di ERU e CER Restrizioni qualitative Vantaggi e svantaggi del linking I Piani Nazionali di Allocazione (PNA) I criteri della Comunicazione COM(2003) Il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra Il Piano Nazionale di Assegnazione italiano Fasi relative all implementazione dei piani italiani Decisione di assegnazione delle quote di CO 2 per il periodo Piano Nazionale d Assegnazione per il periodo , elaborato ai sensi dell articolo 8, comma 2 del D.lgs. 4 aprile 2006, n Il primo anno di funzionamento della Direttiva Emissions Trading in Europa e in Italia Registri nazionali e mercato delle quote Piani nazionali di allocazione europei e restituzione delle quote Andamento dei prezzi Analisi degli scambi effettuati nel 2005 in Italia Incidenza dei vari settori nelle emissioni verificate nel Strategie di scambio adottate dai gestori degli impianti Normativa Nazionale inerente ai rifiuti Brevi cenni sulla normativa nazionale inerente ai rifiuti Brevi cenni sulla Normativa Nazionale inerente alla produzione di energia da fonti rinnovabili (FER) L evoluzione della Normativa Nazionale: il CIP 6/92 e la promozione dell energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili Il D.Lgs. 79/99 e l introduzione dei Certificati Verdi I decreti ministeriali del 24 aprile 2001, per la promozione dell efficienza energetica Rifiuti ed Emissions Trading Descrizione del processo di incenerimento

4 12.1. Generalità Gestione dei rifiuti in ingresso e dei residui in uscita Conferimento stoccaggio e alimentazione rifiuti Raccolta, stoccaggio ed evacuazione dei residui Tecnologie di combustione dei rifiuti I forni a griglia I forni a tamburo rotante I combustori a letto fluido La post-combustione Trattamento dei fumi Il recupero energetico dalla combustione dei rifiuti Produzione di energia elettrica La produzione di energia termica L incenerimento dei Rifiuti urbani in Italia L impianto di incenerimento di Modena Descrizione del funzionamento dell impianto Dati di progetto Metodo di calcolo delle quote di CO 2 provenienti dall impianto di termovalorizzazione di Modena Premessa Calcolo della percentuale di CO 2 liberata dalla combustione della sola frazione non biodegradabile del rifiuto Metodo scelto per il calcolo della CO 2 emessa Verifica dell affidabilità del metodo usato per il calcolo della CO Anidride carbonica emessa dalla combustione delle singole frazioni Percentuale di CO 2 emessa dalla frazione non biodegradabile del rifiuto Discussione dei risultati ottenuti e conclusioni Confronto tra le emissioni dell impianto di Modena, le emissioni degli impianti di incenerimento italiani e le emissioni del settore energetico, registrate nell anno Impianti di incenerimento rifiuti e Piani Nazionali di Allocazione Emissioni di CO 2 evitate associate alla produzione di energia elettrica recuperata dal processo di combustione Bibliografia Acronimi Ringraziamenti

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6 Premessa L'effetto serra è provocato della presenza in atmosfera di particolari molecole che assorbono parte dei raggi infrarossi riflessi dal suolo, ricevuti dal Sole. In tale situazione, la radiazione riflessa dal suolo viene in parte assorbita dall'atmosfera e in parte riemessa in tutte le direzioni, quindi di nuovo anche verso il suolo. Ciò comporta che l'equilibrio radiattivo del pianeta si fissi ad una temperatura maggiore di quella che si stabilirebbe in assenza dell'atmosfera (+15 C anziché -21 C). L'effetto serra permette quindi alla Terra di avere una temperatura media superiore al punto di congelamento dell acqua, quindi consente la vita. Le sostanze che determinano l'effetto serra sul nostro pianeta, chiamati gas ad effetto serra, sono principalmente vapore acqueo, anidride carbonica (CO 2 ), metano, protossido di azoto (N 2 O) e ozono. Questo fenomeno, normalmente naturale e benefico, si sta accentuando a causa dell' aumento di concentrazione di questi gas. Secondo l IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo istituito dalle Nazioni Unite nel 1988 per monitorare il clima del pianeta, la causa principale sono le emissioni da combustibili fossili iniziate con la Rivoluzione Industriale, quindi le responsabilità sono antropiche. Il surriscaldamento globale ed i cambiamenti climatici sono problemi le cui cause ed i cui effetti riguardano l intero pianeta. Nel quarto rapporto IPCC Climate Change 2007, presentato il 2 febbraio 2007 a Parigi, gli stessi climatologi affermano che le temperature globali aumenteranno tra i 2 e i 4,5 C e che si potrebbe arrivare anche ad un incremento di 6 C. Per porre un freno all innalzamento delle temperature e alle conseguenze che esso comporta, occorre dunque coinvolgere la maggior parte dei responsabili, ossia dei Paesi che generano i maggiori quantitativi di gas-serra. Il Protocollo di Kyoto rappresenta lo strumento dal quale partire per condividere gli obiettivi di riduzione dei gas ad effetto serra che la comunità scientifica indica. Sulla base di queste considerazioni, obiettivo del presente elaborato è illustrare i principali meccanismi di riduzione dei gas ad effetto serra, ponendo particolare attenzione agli innovativi meccanismi di mercato previsti dal Protocollo di Kyoto, in grado di consentire una riduzione di emissioni, anche economicamente sostenibile. 6

7 Vengono analizzati nel dettaglio gli elementi di funzionamento degli schemi di Emissions Trading introdotti dal Protocollo di Kyoto e del sistema per lo scambio di quote di emissione istituito dall Unione Europea, con la Direttiva 2003/87/CE (il cosiddetto schema EU-ETS). Sulla base di questi presupposti è stata eseguita un analisi dell impianto di incenerimento di Modena al fine di poter dare una possibile risposta alla riduzione di CO 2 valutando la produzione di energia elettrica. Inoltre si è voluta fare un analisi dei PNA con lo scopo di confrontare i valori assegnati con l incidenza degli impianti di termovalorizzazione. I termovalorizzatori, infatti, sono al momento esclusi dalla direttiva 2003/87/CE, ma possono essere un possibile aiuto per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. 7

8 1. Protezione internazionale del sistema climatico: principali tappe La preservazione delle condizioni ambientali del pianeta terra è un tema che ha assunto una progressiva importanza nella comunità internazionale sotto il profilo giuridico, politico ed economico, soltanto a partire dai primi anni 70. Ripercorriamo di seguito le principali tappe relative alla protezione internazionale del sistema climatico. Conferenza di Stoccolma (1972) E nel quadro dei lavori della Conferenza di Stoccolma sull ambiente umano, organizzata nell ambito delle Nazioni Unite dal 5 al 16 giugno 1972, che sono emerse evidenti preoccupazioni sul deterioramento dell ambiente, dovuto a fattori inquinanti i cui effetti non hanno più alcun limite spaziale e che vanno necessariamente contrastati attraverso un ampio e costoso utilizzo delle così dette tecnologie pulite. Conferenza di Rio de Janeiro (1992) Le argomentazioni sviluppate nella Dichiarazione di Stoccolma, sono state riprese nel 1992, anno in cui ha avuto luogo a Rio de Janeiro, dal 3 al 14 giugno, il Vertice della Terra: una Conferenza dedicata all Ambiente e allo Sviluppo alla quale hanno partecipato 183 Stati, che ha portato all adozione di alcuni importanti strumenti giuridici: la Dichiarazione di principi su ambiente e sviluppo; l Agenda per lo sviluppo (più nota come Agenda 21), un programma nel quale sono indicati i principali obiettivi della tutela ambientale che gli Stati sono chiamati a realizzare attraverso l attuazione di appropriate misure e politiche nazionali; la Dichiarazione autorevole di principi per un consenso globale sulla gestione, conservazione e sviluppo sostenibile delle foreste; la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), entrata in vigore nel 1993, priva di valore giuridicamente vincolante; la Convenzione sulla diversità biologica, entrata in vigore nel

9 Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) è un trattato ambientale internazionale prodotto dalla Conferenza sull'ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development). Il trattato punta alla riduzione delle emissioni dei gas serra, sulla base dell'ipotesi di riscaldamento globale. E nella UNFCCC che sono stati formulati per la prima volta precisi impegni in materia di sostenibilità ambientale sotto l aspetto climatico a carico degli Stati parti contraenti. Il trattato UNFCCC fu aperto alle ratifiche il 9 maggio 1992 ed entrò in vigore il 21 marzo La Convenzione è stata firmata da più di 150 paesi e ratificata da più di 185 Stati, inclusa l Italia. Il suo obiettivo dichiarato è "raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico". Il trattato, come stipulato originariamente, non poneva limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle nazioni individuali; era quindi legalmente non vincolante. Esso, però, includeva previsioni di aggiornamenti (denominati "protocolli") che avrebbero posto i limiti obbligatori di emissioni. Il principale di questi è il protocollo di Kyoto. Gli stati firmatari dell'unfccc sono suddivisi in tre gruppi: Paesi dell'annesso I (Paesi industrializzati + Paesi con economie in transizione) Paesi dell'annesso II (Paesi industrializzati) Paesi in via di sviluppo. I Paesi dell'annesso I concordano nel ridurre le loro emissioni (in particolare di biossido di carbonio) a livelli obiettivo inferiori alle loro emissioni del Se non possono farlo, devono acquistare crediti di emissione o investire nella conservazione. I Paesi in via di sviluppo possono volontariamente diventare Paesi dell'annesso I quando sono sufficientemente sviluppati, ma sino a quel momento, non sono tenuti a implementare i loro obblighi rispetto alla Convenzione. 9

10 Tabella 1: Paesi inclusi negli allegati 1 e 2 della UNFCCC Paesi inclusi nell Allegato 1 della UNFCCC (Paesi industrializzati + Paesi con economie in transizione) Australia, Austria, Belgio, Bielorussia (*), Bulgaria (*), Canada, Croazia (*), Danimarca, Estonia (*), Federazione Russa (*), Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Giappone, Lettonia (*), Liechtestein, Lituania (*), Lussemburgo, Monaco, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia (*), Portogallo, Repubblica Ceca (*), Romania (*), Slovacchia, Slovenia (*), Spagna, Stati Uniti d America, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina (*), Ungheria (*), Comunità Europea. (*) Paesi che si trovano in un processo di transizione verso un economia di mercato. Paesi inclusi nell Allegato 2 della UNFCCC (solo Paesi industrializzati) Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Giappone, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Stati Uniti d America, Comunità Europea, Turchia, Svezia. Fonte: Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici Le Conferenze delle parti (COP) Al fine di verificare il rispetto degli impegni stabiliti nella Convenzione quadro è stata predisposta l istituzione della Conferenza delle Parti (Conference of Parties COP), organo convocato annualmente, incaricato di monitorare l applicazione della Convenzione da parte degli Stati contraenti. COP-1, il Mandato di Berlino (1995) La Conferenza delle Parti dell'unfccc si incontrò per la prima volta a Berlino (Germania) nella primavera del 1995, ed espresse timori sull'adeguatezza delle azioni degli Stati ad adempiere gli 10

11 obblighi della Convenzione. Questi furono espressi in una dichiarazione ministeriale delle Nazioni Unite conosciuta come il "Mandato di Berlino". Il Mandato di Berlino esentò i Paesi non- Annesso I da obblighi vincolanti addizionali, sebbene si ipotizzasse che le grandi nazioni di nuova indistrializzazione sarebbero diventate i più grandi emettitori di gas serra nei 15 anni a venire. COP-2, Ginevra, Svizzera (1996) La Seconda Conferenza delle Parti dell'unfccc (COP-2) avvenne in Luglio 1996 a Ginevra (Svizzera). COP- 3, il Protocollo di Kyoto sul Cambiamento Climatico, Giappone (1997) Nel 1997 nasce il Protocollo di Kyoto, il primo esempio di accordo vincolante finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra dei Paesi industrializzati. COP- 4, Buenos Aires (1998) La COP- 4 ebbe luogo a Buenos Aires (Argentina) nel novembre Si pensava che le problematiche rimaste irrisolte a Kyoto sarebbero state completate in questo incontro, ma la complessità e la difficoltà a raggiungere accordi si dimostrò insormontabile, per cui le parti adottarono un "Piano di azioni" biennale per avanzare le azioni e trovare meccanismi per l'implementazione del Protocollo di Kyoto, che doveva essere completato entro il COP- 5, Bonn, Germania (1999) La quinta Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici avvenne a Bonn (Germania), fra il 25 ottobre e il 4 novembre Fu principalmente una riunione tecnica, che non raggiunse conclusioni rilevanti. COP- 6, L'aia, Olanda (2000) Quando si riunì la COP-6, fra il 13 e il 25 novembre 2000, a The Hague (Olanda), le discussioni evolsero rapidamente verso una negoziazione ad alto livello sui maggiori temi politici. Questi inclusero la controversia sulla proposta degli Stati Uniti di permettere di ottenere crediti dai "sink" di carbonio (boschi e terre agricole), che avrebbero soddisfatto buona parte della riduzione delle emissioni statunitensi; discordie riguardo le conseguenze correlate al mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzioni; e difficoltà nel risolvere i problemi riguardo a come i PVS potessero 11

12 ottenere assistenza finanziaria per contrastare gli effetti dei mutamenti climatici e raggiungere i loro obiettivi di raccolta dei dati di emissione e di possibile riduzione delle stesse. Nelle ore finali della COP-6, nonostante alcuni accordi preliminari tra gli USA e alcuni Stati europei, in particolare il Regno Unito, l'unione Europea, guidata da Danimarca e Germania, rifiutò le posizioni di compromesso e le discussioni in corso collassarono. Jan Pronk, il Presidente della COP-6, sospese i lavori senza giungere ad accordi, aspettando che le negoziazioni potessero ricominciare. Fu quindi annunziato che gli incontri della COP-6, con la denominazione di "COP-6 bis, sarebbero ricominciati a Bonn, nella seconda metà di luglio. Il successivo incontro delle parti dell'unfccc - COP-7 - fu quindi fissato a Marrakech, in Marocco, in ottobre-novembre del COP- 6 "bis," Bonn, Germania (2001) I negoziati del COP-6 ripresero a Bonn (16-27 luglio 2001). Questo incontro si svolse dopo che George W. Bush era diventato presidente degli Stati Uniti e che aveva rigettato il protocollo di Kyoto (marzo 2001). Come risultato, la delegazione statunitense a questo meeting declinò la sua partecipazione ai negoziati relativi al Protocollo, e scelse di agire come osservatrice all'incontro. Mentre le altre parti negoziavano le questioni chiave, venne raggiunto l'accordo su gran parte delle principali questioni politiche. COP- 7, Marrakesh, Marocco (2001) All'incontro della COP-7 di Marrakesh (Marocco) del 29 ottobre -10 novembre 2001, i negoziatori completarono il lavoro del Piano d'azione di Buenos Aires, finalizzando gran parte dei dettagli operativi e creando le condizioni per cui le nazioni ratificassero il Protocollo. La delegazione statunitense continuò ad agire come osservatrice, declinando la partecipazione a negoziati attivi. Altre parti continuarono ad esprimere la speranza che gli USA rientrassero nel processo. Le principali decisioni del COP-7 comprendevano: Regole operative per il commercio internazionale delle emissioni tra le parti del Protocollo, per il CDM e per la JI; Un regime di conformità che delinei le conseguenze del mancato rispetto degli obiettivi, ma demandi alle parti del Protocollo, una volta entrato in vigore, di decidere se queste conseguenze sono vincolanti dal punto di vista legale; Procedure di contabilizzazione per i meccanismi di flessibilità; 12

13 Una decisione per considerare alla COP-8 come ottenere una revisione dell'adeguatezza degli impegni che possa spingere verso una discussione sugli impegni dei futuri paesi in via di sviluppo. COP- 8, Nuova Delhi, India (2002) 23 ottobre - 1 novembre 2002 COP- 9, Milano, Italia (2003) Fra il 1 dicembre e il 12 dicembre La Conferenza ha stabilito interessanti novità legate in particolar modo ai progetti di riduzione delle emissioni legate alle attività di Afforestazione/Riforestazione (A/R projects). COP-10, Buenos Aires, Argentina (2004) Fra il 6 dicembre e il 17 dicembre COP-11, Montreal, Canada (2005) La conferenza di Montreal, COP-11, si è tenuta a Montreal (Canada), fra il 28 novembre e il 9 dicembre 2005, in concomitanza con la prima riunione delle parti (MOP) del Protocollo di Kyoto. COP-12, Nairobi, Kenia (2006) Dal 6 al 17 Novembre 2006, si è tenuta la COP 12 - MOP 2 di Nairobi, in Kenya. La Conferenza è stata incentrata sul maggiore coinvolgimento degli stati africani nei progetti di Clean Development Mechanism (CDM) e sulla possibilità di rendere eleggibili come progetti CDM i progetti di stoccaggio e sequestrazione della CO 2 (CCS- Carbon Capture and Storage). La Conferenza è stata un passo in avanti anche verso la definizione di nuovi obiettivi di riduzione per il periodo post Tuttavia le parti coinvolte non hanno stabilito obiettivi di riduzione specifici per il periodo , come da alcuni auspicato. 13

14 2. Il Protocollo di Kyoto 2.1. Termini e condizioni Il Protocollo di Kyoto [1] è un trattato internazionale in materia di ambiente sottoscritto nella città giapponese l'11 dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Conferenza COP-3 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Secondo quanto enunciato nell art. 25, paragrafo 1, del Protocollo, sono necessari due criteri affinché l accordo entri in vigore. Primo, almeno 55 partecipanti alla Convenzione sul Clima devono ratificare, accettare, approvare o accedere al Protocollo. Secondo, tra questi vi devono essere dei partecipanti inclusi nella lista dell Allegato 1, che complessivamente siano responsabili del 55% circa delle emissioni totali di CO 2 emessa nel Il Protocollo entra in vigore 90 giorni dopo che questi criteri sono stati soddisfatti: il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Gli Stati Uniti confermano la non adesione al Protocollo e anche l Australia. Restano esclusi non solo paesi industrializzati, ma anche Paesi di forte industrializzazione come Cina, India e Sud Africa. L accordo prevede, per gli Stati parti contraenti, una riduzione o limitazione delle emissioni di gas ad effetto serra del 5,2 % rispetto ai livelli del 1990, nell arco temporale E anche previsto lo scambio (acquisto e vendita) di quote di emissione di questi gas. Sono stati quindi stabiliti obblighi di riduzione delle emissioni a carico degli Stati firmatari (Allegato B del Protocollo, che rinvia all Allegato1 della UNFCCC). In particolare, l'unione Europea ha un obiettivo di riduzione dell 8%, nell'ambito del quale l'italia si è impegnata a ridurre le emissioni del 6,5% rispetto ai livelli del 1990, entro il Per alcuni Paesi dell'allegato I non è, invece, prevista alcuna riduzione delle emissioni, ma solo una stabilizzazione; ciò vale per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l'ucraina. Addirittura, rispetto al 1990, alcuni paesi possono aumentare le loro emissioni: fino all'1% la Norvegia, fino all'8% l'australia e fino al 10% l'islanda. Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas-serra è prevista per i Paesi in via di sviluppo, al fine di non ostacolare la loro crescita economica; ad essi è richiesto soltanto il rispetto degli impegni, già assunti in qualità di Parti contraenti, della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici. 14

15 2.2. Gli strumenti previsti dal Protocollo di Kyoto e precisati dalle Conferenze delle parti successive I tipi di strumenti attuativi per conseguire le riduzioni proposte dal Protocollo di Kyoto si distinguono in: 1. Politiche e misure nazionali, che sono quegli interventi previsti dallo Stato attraverso programmi attuativi specifici realizzati all'interno del territorio nazionale. Rientrano tra questi interventi: sviluppo di fonti rinnovabili per la produzione di energia e sviluppo di tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni; limitazione e riduzione delle emissioni di metano dalle discariche di rifiuti e da altri settori energetici; applicazione di misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra. 2. Meccanismi flessibili Per ridurre i costi dell implementazione delle politiche definite nel Protocollo di Kyoto, sono stati introdotti tre meccanismi flessibili e con essi il mercato del carbonio. Questo è permesso considerando il fatto che i cambiamenti climatici sono un fenomeno globale ed ogni riduzione delle emissioni di gas serra è efficace indipendentemente dal luogo del pianeta nel quale viene realizzata. Rientrano tra i meccanismi flessibili: Emissions Trading (ET): comprare e vendere quote di emissione all estero; Joint Implementation (JI): progetti nei Paesi con economie in transizione; Clean Development Mechanism (CDM): progetti nei Paesi in via di sviluppo. L utilizzo di questi meccanismi flessibili è sì rilevante ma complementare rispetto agli interventi che i singoli Stati sono chiamati ad attuare a livello nazionale per limitare le proprie emissioni di gas ad effetto serra. In sostanza si è voluto affermare con chiarezza che, al di là del ricorso ai meccanismi flessibili, gli Stati debbono adoperarsi per 15

16 realizzare veri e propri interventi strutturali sui propri sistemi produttivi ed energetici, coinvolgendo gli attori sia pubblici che privati operanti in tali sistemi. 3. interventi per l assorbimento del carbonio ottenuti mediante le attività forestali e di cambiamento d uso del suolo (Land Use, Land Use Change and Forestry, LULUCF), previsti dagli accordi di Marrakech del 2001; sono questi i cosiddetti pozzi di assorbimento o carbon sinks. 16

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18 3. Emissions Trading 3.1. Nascita e finalità degli schemi di Emissions Trading L utilizzo di mercati delle emissioni (Emissions Trading - ET) per la realizzazione di obiettivi di politica ambientale è stato proposto inizialmente da alcuni economisti intorno alla metà degli anni 60 ed ha ricevuto sistemazione teorica nei primi anni 70. Le prime esperienze, relative agli inquinanti atmosferici, sono state attuate negli Stati Uniti dalla metà degli anni 70. Dopo le esperienze statunitensi, il Protocollo di Kyoto del 1997, nell ambito delle politiche per il cambiamento climatico, ha introdotto per la prima volta su scala globale la possibilità di schemi di Emissions Trading. Tali strumenti rappresentano la possibilità di un mercato internazionale in cui vengono scambiate quote di emissioni per raggiungere i target nazionali di abbattimento adottati dai paesi dell Allegato I nell ambito del Protocollo stesso Elementi di design e di funzionamento Le alternative da considerare nella costruzione di un sistema di Emissions Trading [2], coinvolgono i seguenti elementi: - natura del sistema - target di riduzione delle emissioni - metodo di allocazione iniziale delle quote - gas serra/inquinanti da regolamentare - dimensione spaziale - settori e soggetti ai quali applicare il sistema - partecipazione dei soggetti (volontaria o obbligatoria, possibilità di opt-in oppure opt-out) - meccanismo di funzionamento e di compliance - flessibilità temporale - sistemi di monitoraggio - apparato sanzionatorio - possibilità di linkage con altri strumenti 18

19 Natura del sistema I sistemi di Emissions Trading possono essere distinti a seconda che siano di tipo: 1. cap and trade ; 2. baseline and credits. In un sistema cap and trade bisogna prima definire un limite complessivo delle emissioni per un gruppo di emittenti e per un dato periodo. Questo limite assegnato a priori è il cap. Il cap deve essere inferiore alle emissioni che si presenterebbero in assenza di politiche climatiche. Ciò garantisce un impatto positivo sull ambiente. Le emissioni autorizzate da questo cap vengono poi assegnate ai partecipanti ammessi al sistema di commercio delle emissioni. In uno schema di questo tipo le emissioni permesse sono dette allowances. In via di principio, tutti i permessi possono essere commerciati. In un sistema baseline and credits le aziende commerciano solo le riduzioni di emissioni. Il riferimento per la determinazione della quantità di permessi di emissione è una baseline, livello di emissioni che si verificherebbe in assenza di azioni da parte degli operatori. Le baseline devono essere determinate per ogni progetto individuale. Le riduzioni delle emissioni al di sotto di questa baseline sono soggette a certificazione e sono dette emission credits. Soltanto questi emission credits possono essere commerciati o venduti. Converrà dunque fare abbattimenti per andare sotto la baseline se il relativo costo è minore del prezzo di mercato per i crediti, mentre converrà comprare crediti per chi ha costi di abbattimento superiori al prezzo di mercato degli stessi. Il meccanismo di entrambi gli schemi consente di concentrare le riduzioni di emissioni sugli operatori che hanno minori costi di abbattimento. I due sistemi hanno quindi proprietà teoriche di minimizzazione dei costi per raggiungere un dato obiettivo ambientale. Tra le varie forme che possono assumere i cap e le baseline, bisogna anche comprendere la possibilità di costruire livelli dinamici, ovvero decrescenti nel tempo Target di riduzione delle emissioni Il target, sia esso un cap o una baseline, può essere espresso in: 19

20 termini assoluti (ammontare di emissioni in un dato periodo di tempo), in termini relativi (ammontare di emissioni per unità di output). Nei programmi con target assoluti, il totale complessivo delle emissioni in un dato periodo sarà dato dalla somma dei target dei partecipanti. In presenza di target relativi invece, le emissioni totali in un periodo di tempo potranno variare a seconda del livello di attività raggiunto Metodo di allocazione iniziale delle quote (per lo schema cap and trade) Per quanto riguarda l allocazione dei permessi e la distribuzione delle stesse tra i soggetti, in generale sono quattro i metodi di allocazione iniziale adottati: 1. lotterie; 2. metodo first-come, first-served (in cui rientrano il grandfathering, l applicazione di coefficienti di performance, le emissioni previste ed i costi marginali di abbattimento); 3. la distribuzione in base a criteri amministrativi; 4. le aste. Il criterio da utilizzare per la distribuzione fra i soggetti deve essere coerente con quello utilizzato per la definizione del cap iniziale. Si può anche prevedere una forma mista di allocazione delle quote, come per il sistema europeo, in cui per una percentuale del cap totale è ammessa l assegnazione tramite il meccanismo dell asta. Il meccanismo di grandfathering è un metodo di distribuzione gratuita di quote basato sulle emissioni storiche. L applicazione di questo criterio comporta dei costi di transazione maggiori rispetto alle aste. I costi che debbono essere sostenuti coinvolgono la raccolta delle informazioni necessarie a ricostruire i dati storici di emissione per ciascun soggetto partecipante. Per quanto riguarda le aste, la letteratura suggerisce che questo sia il metodo in grado di garantire una distribuzione efficiente dei permessi ed un migliore incentivo all innovazione tecnologica. L asta può essere unica per tutto il periodo considerato (single round), oppure si possono prevedere più aste in uno stesso periodo (multiple round). Qualora l attribuzione avvenga tramite asta, è necessario che si preveda anche come utilizzare il guadagno ottenuto dalla cessione a titolo oneroso dei permessi: diverse opzioni sono possibili a questo proposito, il 20

21 ricavato potrebbe essere utilizzato per coprire i costi amministrativi del sistema, oppure per correggere distorsioni derivanti dalla presenza di tasse preesistenti al sistema di ET Gas serra/inquinanti regolamentati I programmi di ET possono essere classificati a seconda che vadano a regolamentare: inquinanti atmosferici (SO 2, NO X, VOC, PM 5-10 ); gas ad effetto serra (CO 2, CH 4, N 2 O, HFC, PFC, SF 6 ). (per quanto riguarda i sei gas serra, nell ambito del protocollo di Kyoto la loro unità di conteggio è stata standardizzata in MtCO 2 ). L applicazione dello strumento di Emissions Trading sembra essere particolarmente adatto ai gas ad effetto serra, perché in quest ambito l effetto sull ambiente di una riduzione delle emissioni è lo stesso indipendentemente dal luogo in cui viene generata. Non è così invece per gli altri inquinanti atmosferici che, pur potendo interessare forme di inquinamento transfrontaliero (ad esempio le piogge acide), in alcuni casi sono responsabili di deterioramenti della qualità dell aria locali (quali l ozono troposferico), suscettibili in aggiunta di comportare i cosiddetti hot spots, ovvero la concentrazione di inquinanti in una determinata area. Questo non ha comunque impedito l applicazione dei meccanismi di ET ad inquinanti atmosferici, che sono stati anzi la prima area di diffusa applicazione soprattutto negli Stati Uniti (Acid rain trading, RECLAIM). Si può prevedere un sistema dinamico caratterizzato cioè da una fase pilota nella quale si regolamenta un solo gas o inquinante, alla quale se ne possono aggiungere altri in fasi successive Dimensione spaziale Per quanto riguarda la dimensione spaziale che un sistema di Emissions Trading può assumere, diverse sono le alternative possibili: sistemi locali, che coinvolgano un ambito territoriale molto ristretto come una città o una regione; sistemi nazionali; 21

22 sistemi che coinvolgano più stati; sistemi globali. Due sono gli aspetti che giocano a favore dei sistemi estesi : 1. dal momento che il merito principale dei meccanismi di ET è quello di incentivare gli abbattimenti delle emissioni laddove questi siano meno costosi, i sistemi più estesi geograficamente oltre che settorialmente, che comprendano un elevato numero di soggetti con costi marginali di abbattimento potenzialmente differenziati, aumentano le possibilità che gli abbattimenti vengano effettivamente realizzati. 2. la presenza sul mercato di un numero elevato di soggetti ne aumenta l efficacia oltre che la concorrenzialità Settori e soggetti destinatari del sistema Tre sono gli approcci in base ai quali definire i soggetti partecipanti ad uno schema di Emissions Trading: approccio upstream, approccio downstream, approccio misto. L approccio upstream individua come soggetti partecipanti i produttori e gli importatori di carburanti o delle altre fonti considerate responsabili delle emissioni di gas serra o di inquinanti coperti dal sistema (potential emitters). Esso coinvolge i soggetti che si trovano all origine del processo di produzione delle sostanze inquinanti o clima-alteranti. L approccio downstream individua invece principalmente come soggetti da regolamentare gli utilizzatori delle fonti stesse, cioè le industrie in generale, oppure i settori di produzione di energia elettrica, ma anche il settore civile e dei trasporti (direct emitters). Esso colpisce i soggetti direttamente responsabili delle emissioni in atmosfera, che sono di solito in numero maggiore rispetto ai primi. Un sistema ibrido o misto prevede una combinazione dei due criteri. 22

23 La maggior parte dei sistemi di Emissions Trading sono di tipo downstream, anche se diversi sono i settori regolamentati Modalità di adesione dei soggetti Per quanto riguarda la modalità di partecipazione, questa può essere: obbligatoria, se il sistema di ET è imposto dall autorità; volontaria, se fa parte di un accordo o di un altro strumento volontario. In alcuni casi l adesione a meccanismi volontari può comportare obblighi vincolanti per le imprese partecipanti Possibilità di opt-in o opt-out Qualora un sistema preveda la possibilità di opt-in, significa che sarà previsto l allargamento dello schema ad altri settori o partecipanti che soddisfino certe condizioni e che manifestino la volontà di farne parte. In questo caso, i soggetti che ne facciano richiesta potranno diventare partecipanti dello schema, in una fase successiva alla sua implementazione iniziale. L adesione volontaria da parte di nuovi soggetti, sarà presumibilmente richiesta qualora questi ultimi possano trarre vantaggio dalla partecipazione allo schema stesso. Questa condizione si verifica qualora i nuovi entrati abbiano costi di abbattimento inferiori e siano in grado di realizzare abbattimenti tali da consentirgli di diventare venditori netti sul mercato delle emissioni. È quindi lecito supporre che l opt-in garantisca l abbassamento dei costi di compliance per gli altri soggetti partecipanti al sistema di scambio dei permessi. L opt-out consente, al contrario, ai soggetti che ne facciano richiesta di uscire dallo schema di ET, in modo temporaneo o permanente. Tale possibilità di defezione tende ovviamente a generare notevoli problemi al funzionamento, al mercato e ai suoi partecipanti rimanenti. 23

24 Meccanismo di funzionamento e di compliance Nei sistemi cap and trade, una volta distribuite le quote di emissione tra i soggetti, il non superamento del tetto può essere garantito grazie alla realizzazione di sistemi di abbattimenti da parte dei partecipanti; in alternativa questi possono decidere di acquistare (o vendere) sul mercato le quote mancanti (in eccesso) rispetto al proprio vincolo soggettivo, a seconda della propria strategia di riduzione delle emissioni. Nei sistemi baseline and credit ciascun partecipante deve invece rispettare la baseline, e riceve crediti di emissione per le riduzioni realizzate al di sotto della stessa, che possono essere trasferite o vendute ad altri soggetti Flessibilità temporale Affinché un meccanismo di permessi di emissione negoziabili possa essere efficace e tale da garantire una minimizzazione dei costi, è necessario che sia garantita la piena fungibilità intertemporale dei permessi. Un sistema flessibile deve prevedere: il banking dei permessi, cioè la possibilità di utilizzare permessi ottenuti in un periodo anche in periodi successivi, esso consente alle imprese di trarre vantaggio dagli investimenti realizzati in fase precoce o di avvio del sistema. il borrowing dei permessi, consente al contrario di posticipare gli investimenti fino al momento definito più opportuno, prendendo a prestito per il periodo in corso quote di emissioni riferite agli anni successivi Sistemi di monitoraggio Un sistema di Emissions Trading può essere efficace solo se le emissioni vengono efficientemente monitorate e verificate. Affinché questo obiettivo sia garantito, tre sono le azioni essenziali da intraprendere: 1. il monitoraggio delle emissioni, 2. la compilazione di un registro delle stesse, 24

25 3. il controllo del rispetto dei target soggettivi ed eventualmente l applicazione delle sanzioni. Per quanto concerne il monitoraggio, è necessario che le procedure siano standardizzate. Per ciascun gas/inquinante esistono differenti tecnologie di misurazione (in continuo, spot, sulla base di coefficienti), che implicano costi diversi ma anche differenti gradi di affidabilità. Il registro delle emissioni deve contenere le informazioni relative sia al monitoraggio delle emissioni, che al numero di quote o crediti posseduti da ciascun soggetto. In aggiunta, esso deve contenere traccia dei trasferimenti delle quote tra i partecipanti. Infine, deve essere protetto da falsificazioni e deve consentire al pubblico di accedere alle informazioni in esso contenute Sanzioni I partecipanti ai programmi obbligatori sono soggetti a sanzione qualora non siano in possesso dell ammontare di quote di emissione pari alle loro stesse emissioni, nel momento stabilito dalle regole dello schema. Queste sanzioni possono essere: di tipo finanziario, possono prevedere una perdita di permessi (allowances) di emissioni per i periodi successivi (ad esempio pari alle emissioni in eccesso), entrambi. I partecipanti a programmi volontari di emissione in genere non sono soggetti a sanzioni. L ammontare della sanzione, definito dall autorità competente, rappresenta anche il livello massimo oltre il quale il prezzo dei permessi/crediti non può salire, e costituisce quindi una sorta di valvola di sicurezza per il mercato dei permessi. Infatti, nessun operatore con emissioni in eccesso comprerà permessi di emissione sul mercato quando il loro prezzo sia superiore al valore della sanzione da pagare. 25

26 Possibilità di linkage con altri strumenti In linea teorica, un sistema di Emissions Trading può essere collegato ad altri strumenti di politica ambientale (ad esempio una tassa sulle emissioni) oppure può essere legato ad altri sistemi di Emissions Trading. In questo secondo caso, il collegamento avviene tramite il mutuo riconoscimento dei permessi/crediti tra i sistemi fra loro collegati. Molti sono gli aspetti di design dei sistemi di ET che possono rendere difficile la compatibilità tra sistemi di ET differenti, i problemi più rilevanti intervengono qualora i due sistemi siano di natura diversa (cap and trade e baseline and credits) La Direttiva europea sull Emissions Trading Introduzione In linea con gli impegni sanciti dalla ratifica ed entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, l Unione Europea ha istituito, a partire da 1 gennaio 2005, con la Direttiva 2003/87/CE, un sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra all interno della Comunità, denominato European Union Emissions Trading Scheme (EU-ETS). La Direttiva 2003/87/CE [3], approvata nell ottobre 2003 dal Parlamento europeo modifica la direttiva 96/61/CE. Tutte le imprese Europee rientranti nel campo di applicazione della Direttiva dovranno impegnarsi a ridurre le proprie emissioni di gas serra, secondo quanto previsto dai piani nazionali di allocazione definiti dai singoli Stati Membri e sottoposti alla approvazione della Commissione Europea. Tale sistema, per estensione (25 paesi) e numero di imprese coinvolte (più di ), si configura come il più grande mai creato finora. Le emissioni coperte rappresentano quasi il 50% delle emissioni totali dell Unione Europea. Per quanto riguarda gli obiettivi del sistema comunitario, l Unione Europea con l implementazione della Direttiva ET se ne è proposti essenzialmente due: 1. di contribuire più efficacemente alla riduzione di emissioni di gas clima-alteranti all interno dell Unione, anche in considerazione del progressivo aumento delle stesse e della crescita dell emergenza legata al surriscaldamento globale; 2. dare un forte segnale di impegno a livello internazionale, in un momento in cui l adozione del Protocollo di Kyoto si trovava in fase di impasse, e consentire agli operatori (autorità 26

27 nazionali e imprese) di acquisire dimestichezza con una serie di strumenti che entro breve saranno impiegati in buona parte del pianeta. La Direttiva 2003/87/CE, nonostante richiami esplicitamente nel preambolo (punti 10,17,19) il Protocollo di Kyoto e ne sia, di fatto, uno strumento attuativo, ne è sostanzialmente indipendente. Ciò può essere dedotto esplicitando le principali differenze tra il sistema di scambio internazionale (IET), definito dal Protocollo di Kyoto, ed il sistema europeo (EU-ETS) in termini di soggetti coinvolti, tempi di attuazione e obbligatorietà. I soggetti abilitati allo scambio di quote nel sistema internazionale (IET) sono gli Stati nazionali, ossia quelli compresi nell Allegato B del Protocollo. Nel sistema previsto dalla direttiva comunitaria, i soggetti che possono partecipare sono tutte le persone (giuridiche e fisiche) all interno della Comunità, e le persone dei Paesi Terzi che abbiano sottoscritto un accordo bilaterale. Per quanto riguarda i tempi di attuazione, l International Trading Scheme (IET), entrerà in vigore solo a partire dal 2008, mentre l Emissions Trading Scheme è entrato in vigore il 1 gennaio Con riferimento all obbligatorietà, sebbene i due sistemi siano vincolati per specifiche categorie di soggetti, il livello di obblighi previsto dal sistema europeo ETS è sicuramente più definito e strutturato del sistema internazionale (IET). Questo è desumibile dal meccanismo sanzionatorio esistente e ben disciplinato dalla direttiva europea a fronte di una punibilità dichiarata, ma scarsamente strutturata nel Protocollo di Kyoto. Il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione, istituito dalla Direttiva 2003/87/CE è caratterizzato dai seguenti elementi: la decentralizzazione, poiché la Direttiva che lo istituisce rimanda la definizione di numerosi elementi al livello nazionale attraverso lo strumento del Piano Nazionale d Assegnazione. Il sistema europeo dei permessi d emissione si configura inoltre come un sistema aperto, sia perché ammette nel suo impianto la possibilità di collegarsi ad altri sistemi 27

28 di ET, sia perché prevede, con la proposta di Direttiva Linking, il riconoscimento di crediti d emissione realizzati da progetti di Joint Implementation e Clean Development Mechanism (JI e CDM). Entrambe queste caratteristiche sono innovative rispetto alle esperienze internazionali ma ad esse si accompagnano anche dei potenziali problemi che potrebbero indebolire il sistema stesso e limitarne l efficacia. Analizziamo gli aspetti fondamentali dello schema comunitario, come sono regolamentati dalla Direttiva stessa Percorso di attuazione e fasi del sistema EU ETS Il sistema europeo di scambio dei permessi di CO 2 è stato avviato il 1 gennaio Lo strumento normativo della Direttiva lascia agli Stati membri il compito di adattare i principi guida, in essa contenuti, all ordinamento interno, oltre che di organizzare un apparato amministrativo e tecnico necessario per il monitoraggio delle emissioni, il rilascio delle autorizzazioni ed il controllo. Gli Stati membri devono anzitutto recepire la Direttiva nel proprio ordinamento. Come scadenza iniziale era stato stabilito il 31 dicembre 2003 ma essa non è stata rispettata da diversi paesi, tra cui l Italia. L'Italia ha recepito solo parte di tale direttiva con il Decreto Legge N. 273 del 12 Novembre 2004 convertito con la Legge N. 316 del 30 dicembre 2004, tale decreto è finalizzato ad attivare le procedure necessarie per autorizzare gli impianti ad emettere gas serra e acquisire le informazioni necessarie per il rilascio delle quote di emissione. Gli Stati membri devono inoltre censire le imprese rientranti nel sistema, raccogliere le informazioni riguardo le emissioni prodotte, sulla base delle quali redigere un Piano Nazionale di Assegnazione (PNA). Per quest ultimo era stata prevista come data di scadenza il 30 marzo 2004, ma numerosi paesi non l hanno rispettata, tra cui l Italia. In luglio è stata quindi aperta una procedura di infrazione nei confronti di Italia, Francia, Belgio, Spagna e Grecia, che non avevano ancora presentato un proprio piano definitivo. 28

29 Lo schema europeo prevede due fasi successive: 1. la prima comprende il triennio e può essere considerata anche come una fase preliminare o di test preparatorio nel quale sia gli Stati membri sia gli operatori coinvolti potranno prepararsi all entrata in vigore di Kyoto, familiarizzando con un mercato regionale, acquisendo informazioni sui propri livelli di emissione ed elaborando strategie in un ottica di medio/lungo periodo. 2. la seconda fase inizierà nel 2008 e continuerà fino al 2012 in coincidenza con il primo quinquennio di applicazione del Protocollo di Kyoto, nel quale quindi il sistema comunitario potrebbe inserirsi come primo e principale blocco costitutivo di un sistema internazionale di scambio dei diritti di emissione. La Direttiva (Art. 11) fa poi espresso riferimento a quinquenni successivi al primo, anche se le prospettive post-2012 dell EU-ETS sono rimaste inizialmente indefinite, a causa dell incognita dell entrata in vigore del Protocollo. Oggi questo elemento di incertezza è superato e si può forse affermare che l entrata in vigore del Protocollo in seguito all adesione russa dipenda anche dal segnale fornito dall impegno comunitario e dall importanza attribuita alle problematiche connesse al cambiamento climatico nell agenda politica delle istituzioni europee Emissioni e settori interessati La suddivisione in due distinti periodi è rilevante anche ai fini dell individuazione delle emissioni soggette a regolamentazione e dei settori assoggettati alla Direttiva. Nel primo periodo ( ), saranno sottoposte alla Direttiva esclusivamente le emissioni di anidride carbonica (CO 2 ); A partire dal periodo successivo potranno invece essere inclusi nello schema europeo anche gli altri gas ad effetto serra, inclusi nella direttiva IPPC, vale a dire il metano (CH 4 ), il protossido di azoto (N 2 O), l esafluoruro di zolfo (SF 6 ), gli idrofluorocarburi (HFCs) e i perfluorocarburi (PFCs). 29

30 Per quanto riguarda i settori che rientrano nell ambito di applicazione della Direttiva, si è deciso per la prima fase, di limitare i settori coinvolti ai grandi produttori di energia ed ai settori ad elevata intensità energetica. Il campo di applicazione della Direttiva 2003/87/CE è definito nell Allegato 1 della Direttiva stessa, che fa riferimento all Allegato 1 della Direttiva 96/61/CE (Direttiva IPPC), ma limita l applicazione dello schema EU-ETS solo ad alcune categorie della IPPC. Inoltre per la categoria 1.1. riduce la soglia di potenza calorifica da 50 MW a 20 MW. I settori coinvolti sono: 1. attività energetiche: 1.1. impianti di combustione con potenza termica superiore a 20 MW (sono esclusi gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani), 1.2. raffinerie di petrolio e di gas, 1.3. cokerie; 2. impianti di produzione e trasformazione di metalli ferrosi 2.1. impianti di arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici compresi i minerali solforati, 2.2. impianti di produzione di ghisa o acciaio; 3. industria dei prodotti minerali 3.1. impianti destinati alla produzione di clinker (cemento) in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 500 tonnellate al giorno oppure di calce viva in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 50 tonnellate al giorno, o in altri tipi di forni aventi una capacità di produzione di oltre 50 tonnellate al giorno impianti per la fabbricazione del vetro compresi quelli destinati alla produzione di fibre di vetro, con capacità di fusione di oltre 20 tonnellate al giorno impianti per la fabbricazione di prodotti ceramici mediante cottura, in particolare tegole, mattoni, mattoni refrattari, piastrelle, gres, porcellane, con una capacità di produzione di oltre 75 tonnellate al giorno e/o con una capacità di forno superiore a 4 m 3 e con densità di colata per forno superiore a 300 kg/m industria cartaria: 4.1. impianti per la produzione di pasta di cellulosa, di carta e cartone. 30

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