GABRIELLA D HENRY EDITORIALE. Una storia italiana. di Gabriella d Henry* Isernia. Muso del Paleolitico.Veduta generale del plastico.

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1 GABRIELLA D HENRY EDITORIALE Una storia italiana di Gabriella d Henry* Èuna storia che ho vissuto personalmente e che mi ha coinvolta. Mi scuso pertanto, preventivamente, se questa storia ci lascerà con l amaro in bocca. Quando mi recai nel Molise, nel gennaio del 1981, per prendere servizio come soprintendente, era già in corso ad Isernia, in località La Pineta, uno scavo preistorico di particolare rilevanza: l esplorazione di un paleosuolo risalente al paleolitico inferiore, e consistente in un area abitata dall Homo Erectus in un periodo valutabile all incirca a anni fa. Questa casuale scoperta avvenne nel 1978, grazie ad un turista di Ferrara, ma di origine molisana, ed appassionato di preistoria, che, esaminando un profondo taglio di terreno dovuto alla costruzione di una strada a scorrimento veloce tra Napoli e Vasto, si rese conto della presenza massiccia di numerose ossa di grandi animali. Comunicò la notizia a suoi conoscenti, che insegnavano paleontologia all Università di Ferrara, i quali, presentendo l importanza del rinvenimento, fecero immediatamente un sopralluogo e si misero subito in contatto con i funzionari della Soprintendenza Archeologica di Campobasso. Quando io mi recai sullo scavo, già da due anni Isernia. Muso del Paleolitico.Veduta generale del plastico. Isernia. Museo del Paleolitico.Veduta del muro esterno in pietra. l attività degli studiosi era in pieno svolgimento; e notai la presenza, oltre che di numerosi giovani allievi, di svariate competenze scientifiche organizzate al fine di approfondire l indagine del paleosuolo. Naturalmente mi entusiasmai all osservazione della sconvolgente scoperta; e, con l aiuto dei miei collaboratori, cercai di dare un nuovo impulso al lavoro, mediante un coordinamento trasversale tra Soprintendenza, Università ed Enti locali. Una prima mostra temporanea si inaugurò nel 1983 (ma la mostra è visitabile tuttora); parte del paleosuolo venne esposto dapprima a Roma, al Museo Preistorico L. Pigorini (1984), poi a Venezia, al Palazzo Ducale (1985). Nel frattempo, in seguito ad un terremoto che colpì il Molise nel 1984, un attento ed appassionato parlamentare molisano fece approvare alla Camera dei Deputati, nell ambito di una legge che prevedeva contributi finanziari per il recupero di beni storico-artistici lesionati dal sisma, un articolo che contemplava il finanziamento per l istituzione di un museo ad Isernia incentrato proprio sullo scavo preistorico. Ciò, allo scopo di creare un circuito di comunicazione culturale, che avrebbe potuto anche promuove

2 SALTERNUM re, di riflesso, uno sviluppo economico in una regione dimenticata, ed allora duramente provata. Il finanziamento prevedeva una cifra abbastanza importante, se non altro per mettere le basi ad un intervento di grosse proporzioni. La progettazione del museo venne affidata ad uno studio tecnico di Brescia, i cui architetti progettisti avevano già studiato con profitto delle soluzioni relative alla sistemazione dell area archeologica di Roma. Il progetto venne subito iniziato e, dopo un tempo relativamente breve, gli architetti lo presentarono alla Soprintendenza, accompagnato da un plastico. L area interessata alla costruzione era divisa in quattro parti: il laboratorio, l esposizione in vetrine e pannelli della storia del luogo, la ricostruzione in museo del paleosuolo, ed un capannone soprastante l area in parte esplorata, e dove si continuerà ad indagare sotto gli occhi degli eventuali visitatori, che potranno seguire così tutto il lavoro dall alto di una piattaforma. Gli architetti interpretarono così correttamente le esigenze scientifiche degli archeologi, e diedero alla struttura una dignità architettonica di alto respiro, tanto che meritarono il Primo Premio del Concorso Internazionale di architettura Andrea Palladio per la progettazione architettonica del Museo 1. L iniziativa dell istituzione del Museo Preistorico sembrava andare rapidamente verso la sua migliore conclusione. Ma non si era tenuto conto dei tempi ministeriali. Una prima riunione del Comitato di settore architettonico, che doveva essere consultato per l approvazione del progetto, dette dapprima un parere negativo: a quanto mi venne riferito, si disse che non era opportuno promuovere un museo di importanza internazionale in una regione sperduta come il Molise. Ma noi ripresentammo il progetto, portandolo direttamente al Comitato di settore, unito al suo plastico (ricordo un afosa mattinata di luglio): finalmente, il parere al progetto fu positivo, ed i membri del comitato si complimentarono con noi. Però, a questo punto, al Ministero non si trovavano più i fondi stanziati per l inizio dei lavori. Dopo ricerche affannose, e ripetute rimostranze da parte della Soprintendenza, essi vennero infine reperiti, diminuiti di una parte, per fortuna irrisoria: erano stati dirottati verso altri progetti, e neppure molisani. Così, si cominciò finalmente a lavorare, dopo i necessari adempimenti burocratici, tra cui l esproprio dei terreni, di cui la Amministrazione provinciale, con particolare sensibilità, si fece carico, e la gara d appalto. Tutti i fondi a disposizione vennero spesi con attenzione, ed ora si trattava nelle more erano passati diversi anni, ed i costi erano notevolmente cresciuti di reperire ulteriori finanziamenti per la realizzazione totale del progetto. Io lasciai la Soprintendenza molisana nella primavera del 1993, e per i primi tempi dopo la mia partenza le cose continuarono a camminare per il verso giusto. Poi, il silenzio: fino al 1998, quando, grazie alla Legge Veltroni che istituiva una nuova estrazione del Lotto per il mercoledì, con l obbligo di destinare l intero ricavato ai Beni culturali, il Museo di Isernia ebbe un congruo finanziamento, che servì a completare l ultima delle quattro parti del progetto. Così, nell aprile del 1999 si inaugurò il capannone di copertura dell area archeologica. Da allora, tutto è fermo: una mia recente visita al sito mi ha permesso di ammirare, nell area del nucleo espositivo del Museo, una ringhiera in ferro, di dubbio gusto, non prevista dal progetto; ed un anonimo edificio adibito a foresteria dell Università, ad occupare lo spazio dove si era previsto un parcheggio per i futuri visitatori del Museo. Si legge nella cronaca di grandi opere architettoniche progettate all estero, la cui realizzazione, tra progetto ed esecuzione, viene conclusa nello spazio di due-tre anni. Perché in Italia un museo, ben progettato e la cui istituzione è stata correttamente impostata, non è agibile neppure dopo 20 anni dalla sua ideazione? *Ispettore Centrale Ministero per i beni e le attività culturali 1 Premio Internazionale di Architettura Andrea Palladio, ed. Electa, Milano 1988, pp.80-85; L. BENEVOLO, Nuova Generazione in D Architettura, anno II, N. 4, maggio 1991, pp

3 PIETRO CRIVELLI Il Cristianesino tra Paganesimo ed Ebraismo di Pietro Crivelli* Il Cristianesimo fa la sua comparsa fra gli eventi storici di maggiore portata, destinati a cambiare il mondo, nel momento di maggior fulgore della storia di Roma, quando l impero giunge molto vicino alla sua massima estensione e la Pax Augusta garantisce, pressoché a tutti, sicurezza e tranquillità. Gli Dèi di Roma avevano fatto il miracolo di rendere solo un brutto ricordo, da dimenticare al più presto, le stragi e le violenze delle lotte di potere e delle guerre civili che si erano susseguite insanguinando quasi un intero secolo. Certo, in vari punti dell impero c erano ancora delle condizioni di fermento e d instabilità, ma erano fatti che accadevano lontano da Roma. Complessivamente la situazione politica poteva dirsi abbastanza buona. Le malversazioni e le angherie di Seiano o le pazzie di Caligola toccavano coloro che appartenevano alla ristretta cerchia di quanti erano più vicini ai centri nevralgici dello Stato o che, in ogni caso essendo tra i più ricchi, destavano maggiormente le cupidigie di quei detestabili personaggi. Il popolo, nella sua generalità, poteva dirsi discretamente soddisfatto. I commerci fiorivano, il grano non mancava e neppure i divertimenti; si viveva bene come non accadeva da epoca immemorabile. Tutto ciò, nella convinzione del cittadino romano, soprattutto di chi apparteneva alle classi sociali non molto elevate, era il frutto della pietas verso gli dèi patri che proprio per questa loro manifesta benevolenza dovevano essere ringraziati ed onorati, così come da epoca nel tempo lontanissima avevano sempre fatto gli avi. Chi si discostava da queste pie consuetudini non poteva essere ritenuto un buon romano, ma piuttosto un traditore della patria, colpevole Palestrina (Roma). Museo Archeologico Prenestino. Triade capitolina. di perduellio, un nemico da combattere con ogni mezzo. Già in età repubblicana, i Romani avevano tranquillamente accettato altre divinità d origine esotica fra quelle che erano abitualmente venerate a Roma, ma era fuori di dubbio che le nuove non potevano e, soprattutto, non dovevano sostituire in alcun modo quelle tradizionali che avevano fatto la grandezza della città. Il culto delle divinità di recente introduzione era ammesso ed anche rispettato, ma sempre in una posizione subalterna a quello ufficiale dello Stato. In tutte le città dell impero il tempio della Triade Capitolina, Giove, Giunone e Minerva, era stato eretto nel luogo di maggiore prestigio, proprio per significare la preminenza di quelle divinità su tutte le altre. Tra le funzioni dell imperatore c era quella di Pontifex Maximus, di colui che, per il senso della religiosità romana, era il più importante artefice del ponte ideale che avvicinava gli uomini agli dèi. Pontifex Maximus. L efficace immagine, anche poetica, dell espressione ci dice quanto fosse inizialmente sentito e diretto il rapporto - 3 -

4 SALTERNUM Roma. Pantheon. Roma. Basilica di San Pietro, baldacchino del Bernini che i Romani avevano con gli dèi. Un termine talmente suggestivo che il Cristianesimo non esiterà a farlo proprio. Attraverso i riti che costituivano questo ponte immaginario si otteneva la pax deorum, il rapporto corretto con il mondo divino. Le cerimonie religiose però dovevano essere compiute con estrema precisione altrimenti sarebbero state inefficaci o addirittura controproducenti. Il minimo errore nella celebrazione del rito ne comportava la nullità e l esigenza di ripetere daccapo tutta la cerimonia. Questo dimostra quanto negli atti liturgici la forma fosse importante e, in parte, spiega anche perché ad un certo punto essa finisse per prevalere sulla sostanza. Lo scrupolo religioso del popolo romano era tale che, per principio, mai si sarebbe negata la divinità di altri dèi. Anzi, nel timore di poterne involontariamente trascurare qualcuno, nel 27 a.c. M. Vipsanio Agrippa, collaboratore ed amico prima e poi genero di Augusto, fece costruire il Pantheon. Un tempio dedicato collettivamente a tutti gli dèi nel quale è possibile vedere anche l impegno unificatore della politica augustea. È importante notare che, unico fra tutti i templi pagani di Roma, è giunto fino ai nostri tempi in ottime condizioni, anche se ha dovuto subire alcuni restauri, il più importante dei quali fu quello del 125 d.c. voluto da Adriano per ovviare ai danni prodotti dall incendio avvenuto nell anno 80 e a quelli dovuti ad un fulmine che lo colpì nel 110. Da allora rimase sostanzialmente intatto. Un solo ulteriore deterioramento gli fu arrecato nel 1623, quando il papa Urbano VIII, poco dopo l ascesa al soglio pontificio, ordinò l asportazione del rivestimento bronzeo dall interno del portico allo scopo di fornire al Bernini il metallo per la costruzione del meraviglioso baldacchino che ammiriamo nella basilica di San Pietro. Un capolavoro che, purtroppo, è stato creato a detrimento di un altro! La religiosità dei Romani era così profonda che, quando si accingevano a combattere contro una città, facevano sacrifici alle divinità del nemico assicurandole che le avrebbero onorate ancora di più e che pertanto era nel loro stesso interesse non opporsi alla vittoria delle armi romane. Così accadde a Veio nel 405 a.c. e così anche in altre circostanze Un corpo sacerdotale speciale, quello dei Fetiales, celebrava i riti per la dichiarazione di guerra, questi culminavano con il lancio di un giavellotto nel territorio nemico. Quando l allargamento dei confini rese più complicato lo svolgimento della cerimonia, si ricorse ad un espediente utile a superare la difficoltà. Si obbligò un - 4 -

5 PIETRO CRIVELLI prigioniero all acquisto simbolico di un appezzamento di terra e in tal modo si stabilì nella città uno spazio, cui era riconosciuta una specie di extraterritorialità e che di volta in volta era indicato come territorio appartenente al nemico di turno, sul quale si celebrava la cerimonia del lancio del giavellotto. E risaputo che anche i Greci avevano analoghe meticolosità religiose e veneravano il Dio ignoto. Sembra anzi che Paolo di Tarso, durante le sue predicazioni, prendesse spunto proprio da questa circostanza per sostenere che gli Ateniesi già veneravano il vero Dio pur senza conoscerlo. Per quanto riguarda Roma bisogna riconoscere che la religione tradizionale, anche se sempre diligentemente rispettata nelle sue forme esteriori, aveva perduto forza sul piano intimo della fede, almeno per quanto riguarda le classi più elevate. L introduzione delle religioni estranee al costume romano, la diffusione del pensiero filosofico, con in più l ateismo e lo scetticismo, occulti ma sempre più invadenti, unitamente alla progressiva perdita dell orgoglio e della consapevolezza d essere Romani, dovuta all immissione d altre molteplici e differenti nazionalità all interno della compagine statale, avevano portato colpi violenti a quella religiosità profonda e autentica che, in tempi oramai lontani, aveva fatto la grandezza della res publica. Era rimasta solamente una formalità da osservare con attenzione perché così voleva la tradizione. Altre religioni di origine orientale, greca, siriaca, egizia, si erano diffuse soprattutto fra gli strati medio-alti della popolazione. Il culto di Iside, già nel primo secolo d.c. doveva rivestire un importanza notevole se a Pompei il tempio di quella divinità, danneggiato dal terremoto del 62 d.c., fu restaurato con lo scopo dichiarato di guadagnare al committente del lavoro la pubblica riconoscenza. Sembra, in sintesi, che si possa affermare che la religione dei padri, nella tarda repubblica e nel periodo imperiale, tendeva progressivamente a trasformarsi in una scatola, bella quanto si vuole, ma del tutto vuota. Forse proprio perché coscienti di questo, coloro che avevano il compito di occuparsi degli affari religiosi si sentivano animati da una maggiore responsabilità nel difendere i culti tradizionali, nei quali probabilmente essi stessi non credevano più, ma che erano convinti di dover salvaguardare ad ogni costo perché, custodendo quelli, proteggevano Roma. Non tanto per l intervento divino, ma perché la religione comune rappresentava il collante spirituale dell impero. L unica possibilità di unione tra popoli di diversa cultura e con alle spalle storie profondamente differenti sia dal punto di vista politico, sia da quello intellettuale. Una conferma la possiamo trovare nel fatto che, da Augusto in poi, fino a Costantino incluso, tutti gli imperatori ebbero, tra gli altri, il titolo di Pontifex Maximus, anche se questa funzione religiosa non evitò a molti di loro di perdere la vita per mano di congiurati. L Ebraismo rientrava fra le religioni che avevano trovato spazio a Roma, anche se la sua pretesa d assolutezza di fede, che non ammetteva altra divinità diversa da quella del Dio ebraico, spingeva le Autorità ad un atteggiamento non proprio benevolo, ma solo tollerante. Da alcuni indizi sembra che i Giudei fossero guardati dal popolo con un misto d ironia e di sufficienza. La festività del sabato, a cadenza settimanale, era incomprensibile per i Romani, che pure avevano un numero enorme di giorni festivi, ma non ritmati in quel modo. L imperatore Tiberio (14-37 d.c.) aveva già espulso gli Ebrei dalla città, non sappiamo con precisione per quali motivi e, soprattutto, con quali risultati visto che la comunità ebraica, anche se esigua, fu sempre presente nella capitale dell impero. Un provvedimento analogo nel 49 fu preso da Claudio (41-54 d.c.), ma è importante osservare che il primo decreto imperiale fu emanato in un momento in cui il Cristianesimo non era ancora comparso a Roma o, tutt al più, doveva esserlo in modo assolutamente trascurabile. Non sembra che l atto di Claudio fosse rivolto espressamente contro gli Ebrei, ma piuttosto che questi fossero stati coinvolti erroneamente in un ordinanza che prendeva di mira altri che non fossero loro. Le fonti sono in proposito molto avare d informazioni. Lo storico giudeo Flavio Giuseppe, mentre ricorda l espulsione ordinata da Tiberio, non parla affatto di quella di Claudio, che anzi ritiene amico del giu

6 SALTERNUM daismo; come si sa quell imperatore era legato d amicizia con Erode Agrippa. Prima dell impero di Claudio, sotto Caligola (37-41 d.c.), gli Ebrei avevano dovuto subire l umiliazione di vedersi imporre la divinità del monarca, di un uomo! Per la loro mentalità religiosa era una cosa inaudita, un offesa gravissima che non aveva avuto grosse conseguenze immediate solo perché, presumibilmente, la sorpresa ed il disorientamento erano stati più forti dell indignazione. Il culto del genius dell Imperatore, formatosi al tempo d Augusto (nato il 63 a.c. e imperatore dal 31 a.c. al 14 d.c.), era stato attenuato e quasi soppresso da Tiberio - imperatore contro voglia e repubblicano per convinzione - e ciò forse era stato sufficiente a calmare l agitazione sempre serpeggiante in Palestina. Morto Tiberio, ne prese il posto Caligola e, poco dopo, ad Alessandria scoppiarono violenti disordini in conseguenza della richiesta, pretestuosamente avanzata dai Greci di quella città, di vedere esposta la statua del dio imperatore anche nelle sinagoghe così come avveniva in tutti i templi dedicati alle altre divinità. L iniziativa delle intemperanze si deve dunque attribuire ai pagani, Greci, che non si erano lasciati sfuggire l occasione per mettere in difficoltà gli odiati Giudei. Lo stato di disagio degli Ebrei alessandrini fu solo attutito, ma non sopito del tutto, allorché lo stesso Caligola, in un momento d insolita saggezza, richiamò e punì Aulo Avillio Flacco, prefetto della provincia, il quale, allo scopo di adulare il suo principe, aveva causato lo scontro. La lucidità dell imperatore durò ben poco perché, non molto dopo, pretese che la sua statua fosse posta addirittura nel Tempio di Gerusalemme, nel centro più sacro della religiosità giudaica. Publio Petronio, proconsole in Bitinia, inorridì al pensiero di quanto sarebbe accaduto e tardò alquanto ad obbedire. Per fortuna, poco dopo, nel gennaio 41, il tribuno dei pretoriani Cassio Cherea uccise l imperatore pazzo, il peggio fu evitato e Petronio probabilmente evitò la morte. Alcuni ritengono che il proconsole sia lo stesso Petronio, scrittore, costretto al suicidio da Nerone (che però sembra che si chiamasse Gaio o Tito). Se così fosse, l atto di Cherea gli avrebbe assicurato altri venticinque anni di vita. Flavio Giuseppe, che scrive verso la fine del I secolo d.c., afferma: Quid enim sapiant omnes imperatores de Iudaeis in Alexandria commorantibus, palam est. (E conosciuto il favorevole comportamento di tutti gli imperatori verso gli Ebrei che abitano ad Alessandria). 1 E possibile che il suo giudizio sia stato influenzato dal ricordo della rimozione di Flacco. Come si vede la religiosità ebraica non ammetteva tentennamenti ed era perciò naturale che gli Ebrei ortodossi avversassero ferocemente i Cristiani che, ai loro occhi, apparivano degli eretici da odiare. Le minacce contro la loro religione, sia venissero dal mondo pagano e sia fossero un portato del Cristianesimo, avevano inasprito gli animi oltre ogni limite, quindi era naturale che non appena sembrava essersi allontanato il pericolo pagano essi tentassero di abbattere l altro. Avvenne così che gli Ebrei divennero accusatori dei Cristiani e fomentatori delle persecuzioni contro di loro. L ipotesi che Nerone (54-69 d.c.) abbia fatto incendiare Roma di proposito per liberare la Suburra e costruire la Domus Aurea oggi è respinta da tutti gli studiosi, il grande incendio del 64 non fu altro che uno dei tanti ricorrenti nella storia della città, fu però più esteso degli altri e provocò danni maggiori. L imperatore ne attribuì la responsabilità ai Cristiani, ma questo fu chiaramente solo un modo per distogliere da se stesso dei sospetti che qualcuno aveva tentato di alimentare. Chi aveva interesse in quelle circostanze ad indirizzare il risentimento delle masse contro gli adepti della nuova religione? Uno evidentemente era Nerone, ma non sapremo mai con certezza se fu una sua idea o se questa gli fu suggerita da qualcuno. In ogni modo è certo che i Cristiani si sono trovati per lungo tempo stretti e avversati da una parte dai Pagani e dall altra dagli Ebrei. Si può osservare che, prima dell avvento del Cristianesimo, i territori soggetti a Roma erano divisi, dal punto di vista religioso, fra Pagani ed Ebrei. I primi rappresentati per importanza dai Romani e dai Greci, gli altri dal popolo d Israele. Le rimanenti religioni, pure presenti, erano minoritarie e non avevano rilevanza politica, in - 6 -

7 PIETRO CRIVELLI ogni caso erano quasi tutte riconducibili al paganesimo, sia pure in forme diverse, con il quale, soprattutto, non entravano in contrasto. La diffusione della nuova religione, iniziata come si sa in Palestina, trovava i suoi adepti in entrambi i campi, ma quello che soffriva maggiormente per la defezione di coloro che si convertivano era l ambito giudaico in quanto già enormemente minoritario fra i popoli dell impero. Se si riflette poi sul fatto che il Cristianesimo era uscito dal fianco dell Ebraismo, si può anche comprendere quanto risentimento provassero i Giudei verso coloro che essi consideravano eretici e traditori e non solamente dal punto di vista religioso, ma anche da quello politico, perché in Palestina era rimasta sempre viva la tensione contro la dominazione romana. Il fatto poi che autorevoli rappresentanti di fede cristiana, a partire dallo stesso Gesù con la famosa raccomandazione Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio e Paolo di Tarso (Vedi la Lettera ai Romani) esortassero i fedeli ad obbedire alle autorità imperiali, tenendo ben separate la politica e la religione, era, agli occhi dei più ortodossi, la dimostrazione evidente che i seguaci di Cristo avevano abbandonato la fede dei padri e tradivano le giuste aspirazioni alla libertà del popolo d Israele. Paolo si dichiarava Israelita del seme di Abramo, della tribù di Beniamino e quest affermazione di appartenenza alla stirpe ebraica aveva senza dubbio accresciuto ancora di più contro di lui il rancore e l odio che si possono provare nei confronti di un traditore. Sappiamo che al suo arresto non furono estranei i Farisei che lo consideravano quanto meno un apostata. Dobbiamo anche tenere nel debito conto che Paolo, prima della conversione, secondo la tradizione che ci è giunta, da lui stesso confermata 2, era impegnato nell attività di repressione del Cristianesimo. Questa circostanza infiammava maggiormente l odio dei Giudei ortodossi per colui che appariva doppiamente traditore. A conferma del risentimento, o addirittura dell odio, nutrito dagli Ebrei nei confronti dei Cristiani si deve ricordare che il Talmud contiene parecchi passi che si riferiscono a Gesù, ma è dubbio che si possa attribuire loro un qualsiasi valore storico indipendente, in quanto sono nel complesso un interpretazione tendenziosa della tradizione cristiana, rivolta a screditarla; vi si dichiara, per esempio, che Gesù praticò la magia, che sviò il popolo dalla retta strada e che fu impiccato alla vigilia della Pasqua. 3 La condanna di Gesù era stata voluta fortemente dal Sinedrio che l aveva pretesa a gran voce da Ponzio Pilato, il quale si era visto costretto ad aderire a quella richiesta per evitare il pericolo di agitazioni popolari. Dopo la persecuzione di Nerone, i Cristiani fruirono di una certa tranquillità. Con Vespasiano (69-79 d.c.) furono invece gli Ebrei, soprattutto quelli di Palestina, a doversi lamentare, ma in fondo, essendosi ribellati, sapevano anche a quali rischi andavano incontro. Si può pensare che la repressione di Vespasiano sarebbe stata meno violenta se fra gli Ebrei non fosse prevalso il movimento degli Zeloti, una setta che oggi definiremmo oltranzista e integralista, certamente coraggiosa fino all eroismo, ma anche assolutamente insensibile ai danni e ai dolori che con la sua attività poteva arrecare al popolo d Israele. Il breve impero di Tito (79-81 d.c.), il generale che aveva conquistato Gerusalemme e che aveva causato la distruzione del Tempio, fu tuttavia caratterizzato da una sostanziale tolleranza verso i Giudei ed anche nei confronti dei Cristiani. Si ritiene che questa liberalità sia stata in gran parte dovuta all influenza esercitata su di lui da Berenice, l amante. Questa era figlia di Giulio Agrippa I e sorella di Agrippa II, ebrea ortodossa, ma anche, stranamente, non ostile al Cristianesimo, che forse lei considerava parte della cultura ebraica; inoltre ci è stato tramandato che, verso la fine del periodo neroniano, avrebbe incontrato a Roma l apostolo Paolo e che questi avrebbe avuto un forte ascendente su di lei e perciò, in un momento successivo e di riflesso, sull imperatore. Domiziano (81-96 d.c.), fratello e successore di Tito, era imbevuto d ellenismo ed era devoto a Minerva sotto l aspetto isiaco. Non si curò gran che degli Ebrei né dei Cristiani: per quanto riguarda i primi, ma al solo fine di risanare il bilancio statale, inasprì il fiscus iudaicus, l im

8 SALTERNUM posta che i Giudei dovevano pagare allo Stato per praticare liberamente i loro culti, mentre contro i Cristiani solo nell ultimo anno del suo potere scatenò una persecuzione, non molto violenta, forse perché poco convinta, nella speranza di riguadagnare le simpatie della parte più tradizionalista del Senato che si sentiva offesa a causa del divorzio dell imperatore dalla moglie Domizia, la quale era, per nascita, una rappresentante, in un certo senso, di quel consesso nella casa imperiale. Forse non aveva capito la causa dell avversione dei senatori, oppure si era illuso di aggirarla con la persecuzione religiosa, fatto sta che, invece di recuperare le simpatie del Senato, riuscì ad attirarsi l odio anche dei Cristiani e dei Giudei e l anno successivo cadde vittima di una congiura. Un punto da avere sempre presente è che tra le accuse rivolte ai Cristiani non c era quella di seguire una nuova religione, in fondo fra le tante esistenti non ci sarebbe stato niente di strano. L imputazione principale era quella di ateismo. Questa era, agli occhi dei Romani, una pecca da non sottovalutare perché metteva in discussione la pietas verso la divinità, qualunque fosse. Il concetto di ateismo era, almeno in modo ufficiale, assolutamente estraneo alla mentalità romana, ne è prova che l epicureismo, che pure sfiora solamente lo scetticismo religioso, non ebbe mai molti seguaci a Roma. L opera che, nell intendimento dell Autore, doveva diffondere quella filosofia è il poema di T. Lucrezio Caro (circa a.c.), De Rerum Natura, che inizia con un inno a Venere, definita hominum divumque voluptas (piacere degli uomini e dei numi). Chiaramente Venere è da intendersi non tanto come divinità ma piuttosto come umano sentimento. Poi, cento versi dopo, si legge: tantum religio potuit suadere malorum (la superstizione può spingere a tali nefandezze). In ogni caso Lucrezio scriveva quasi un secolo prima della comparsa del Cristianesimo, in un momento in cui gli odii religiosi erano di là da venire ed i Romani avevano altro per la mente. Forse non siamo lontani dal vero se pensiamo che l accusa di ateismo sia partita proprio dall ambito giudaico. In fondo agli occhi del Sinedrio ogni allontanamento dalla religiosità ufficiale che era passata indenne attraverso le esperienze più difficili, compresa la cattività babilonese, non poteva essere altro che la negazione della sola religione ammissibile e quindi di Dio. Con la morte di Domiziano (96 d.c.) e l impero di Cocceio Nerva (96-98 d.c.), un aristocratico appartenente al ceto senatorio, inizia un periodo di sostanziale tranquillità per i non pagani. Tra i primi provvedimenti, per così dire distensivi, del nuovo imperatore vi fu l abolizione del fiscus iudaicus, la tassa già ricordata che colpiva gli Ebrei, ma a cui, presumibilmente, erano soggetti anche molti Cristiani, poiché in quei tempi, fra i Pagani, non era molto chiara la differenza fra le due religioni ed anche perché molti Cristiani erano stati in precedenza di fede ebraica. Successore di Nerva fu Marco Ulpio Traiano ( d.c.), uno dei più grandi ed equilibrati imperatori romani, ottimo generale, ma dotato anche di notevole sensibilità politica: a lui si debbono alcuni importanti provvedimenti a favore del popolo come gli alimenta, un fondo destinato a fornire i mezzi di sussistenza ai fanciulli poveri. Il suo atteggiamento nei confronti dei Cristiani fu ispirato a tolleranza. Il rescritto a Plinio il Giovane, legato imperiale in Bitinia, dispone che i Cristiani non debbono essere ricercati d ufficio (conquirendi non sunt), ma indagati solo se vi siano state denunce non anonime e in tal caso, se trovati colpevoli, condannati unicamente qualora persistessero nell atteggiamento illegale. Va da sé tuttavia che quando gli accusati erano riconosciuti estranei all imputazione potevano essere puniti gli accusatori. In base a tale disposizione la delazione era suicida, perchè rendeva impossibile o quantomeno difficile ogni attività persecutoria. Di siffatto atteggiamento tollerante la tradizione cristiana tenne conto successivamente in quanto s immaginò che l anima dell imperatore, per intercessione di San Gregorio Magno, ottenesse la salvezza eterna. Questa convinzione si diffuse e persistette a tal punto che Dante vi fa riferimento due volte: nel Purgatorio (canto X vv ) e nel Paradiso (canto XX vv ). Non si deve pensare che fossero state abolite le persecuzioni in senso assoluto, si ricordano - 8 -

9 PIETRO CRIVELLI la crocifissione di Simeone, vescovo di Gerusalemme e membro della famiglia cui era appartenuto Gesù, ed il martirio di Ignazio, vescovo di Antiochia. Tuttavia la repressione del Cristianesimo fu notevolmente meno violenta del passato. I successori di Traiano, Elio Adriano ( d.c.) ed Aurelio Antonino, detto il Pio, ( d.c.) furono ancora più moderati durante l impero del primo quelli che ebbero motivo di dolersi furono i Giudei che, ribellatisi nuovamente, dovettero subire delle dure sanzioni e soprattutto perdere molti dei privilegi di cui godevano. Sorprende invece dover notare come Marco Aurelio ( d.c.), l imperatore filosofo, tornasse alle vecchie abitudini. Durante il suo principato i Pagani di Lugudunum (Lione) pretesero a gran voce ed ottennero una massiccia strage degli elementi cristiani della zona. Viceversa suo figlio Commodo ( d.c.) attenuò fortemente ogni azione contro i Cristiani. Stranamente si dovette assistere al fatto che questi ebbero motivo di rammaricarsi di un imperatore passato alla storia come uno dei migliori in senso assoluto, mentre poterono rallegrarsi del comportamento di uno dei peggiori. Sembra che alla tolleranza imperiale non sia stata estranea Marcia, concubina di Commodo, che nutriva simpatie per la nuova religione, ma questo atteggiamento nei confronti del Cristianesimo non le impedì poi di fare parte della congiura che uccise l amante. Sarebbe qui tedioso, oltre che troppo lungo, esaminare singolarmente il comportamento dei vari imperatori; basterà dire che, con l eccezione di Massimino il Trace ( d.c.), generalmente furono tutti più o meno liberali o, in ogni modo, non molto violenti anche quando tornarono a perseguitare i Cristiani. Addirittura, a dimostrazione di quanto fossero ancora confuse le idee sull argomento religioso, siamo nel III secolo, Alessandro Severo ( d.c.) collocò una statua di Gesù nel Pantheon che aveva fatto erigere, insieme con quelle di Abramo, di Orfeo e di altri personaggi riuniti in modo accuratamente disordinato e confuso. 4 Ve ne fu uno, Filippo l Arabo ( d.c.), del quale, anche se erroneamente, si pensò che fosse lui stesso cristiano. In ogni caso non si registrarono le grandi stragi del passato, anche perché furono concesse molte scappatoie per evitare i rigori persecutori, sebbene ancora qualche altro nome dovesse essere aggiunto all elenco dei martiri. Le cose cambiarono con l avvento all impero di Diocleziano ( d.c). Di umilissime origini, aveva fatto una brillante carriera militare che lo aveva portato fino all impero. Era sinceramente deciso a risollevare le sorti dello stato di cui gli appariva evidente la decadenza. Per contrastarla si adoperò in ogni modo, elaborò provvedimenti nel campo militare, amministrativo, economico, monetario. Difensore della grande tradizione di Roma, credette di individuare una delle cause della disgregazione dello Stato nella diffusione delle religioni orientali, per cui non esitò a farsi restauratore dei culti antichi. Nel 297 comminò pene severissime contro i Manichei, si volse poi contro i Cristiani con l editto di Nicomedia (303) che tuttavia ordinava solamente la distruzione delle chiese e dei libri sacri. Per i fedeli aveva previsto solo l allontanamento dagli uffici pubblici eventualmente occupati, ciò perché a loro non si potevano imputare i gravi disordini che invece avevano contraddistinto nel 297 i provvedimenti riguardanti i Manichei. Sembra che in principio l intendimento di Diocleziano fosse quello di contrastare i Cristiani in modo incruento o addirittura di non interessarsi affatto a loro, ma che poi sia stato indotto alla persecuzione dalle insistenze di Galerio, suo genero e Cesare secondo il nuovo sistema tetrarchico, che li odiava oltre ogni limite. Fu così che la persecuzione dioclezianea gradatamente, con editti imperiali successivi, assunse un carattere sempre più feroce 5. Le stragi si estesero in tutto l impero e si ebbero un gran numero di martiri. Poi, dopo trent anni di potere, come già aveva fatto Lucio Cornelio Silla quasi quattro secoli prima, decise improvvisamente di abdicare e ritirarsi a vita privata. Paradossalmente fu proprio Galerio ( d.c), divenuto imperatore dopo l abdicazione di Diocleziano, ad emanare pochi giorni prima di morire l editto di Serdica che concedeva libertà di culto ai Cristiani, spinto a ciò, a quanto pare, dal terrore della morte imminente. Aveva infatti - 9 -

10 SALTERNUM contratto una gravissima malattia e sperava di salvarsi affidandosi al Dio dei Cristiani. Quella di Diocleziano fu l ultima persecuzione. Fin qui abbiamo esaminato succintamente la storia delle persecuzioni ed il comportamento dei vari imperatori. Cerchiamo ora di osservare e di comprendere i motivi che spinsero alla repressione anticristiana. Abbiamo già affermato che la religione dei padri rappresentava per i Romani un abito mentale particolarmente radicato nel costume. La dichiarazione orgogliosa, civis romanus sum, non poteva andare disgiunta dai comportamenti religiosi della tradizione che risaliva alla fondazione di Roma. I riti antichi avevano salvato la Res publica nei momenti più difficili della sua storia, così come era accaduto dopo il disastro di Canne allorché non si esitò a ricorrere a cerimonie sacrificali antichissime non più usate da epoca remota 6. Allontanarsi da quei riti significava mettere in pericolo la romanità. Agli occhi della maggioranza non era tanto importante la fede quanto la tradizione, elemento unificatore del tessuto sociale. Abito mentale così come la toga era il vestito del corpo. Non è un caso che, da Augusto a Marco Aurelio ed oltre, i Romani siano stati sempre reiteratamente sollecitati ad indossare la toga e forse non è neppure un caso che la categoria sociale più lenta ad aprirsi ufficialmente al Cristianesimo sia stata quella della classe senatoria che la indossava abitualmente. Era evidente tuttavia che il paganesimo non poteva più soddisfare le esigenze morali dei Romani o, quanto meno, della parte più colta del popolo. Un sintomo di quanto i tempi fossero cambiati si ritrova nel grande successo che le religioni misteriche e orientali avevano avuto, sia a Roma, sia nel resto dell impero. Gli intellettuali avevano da tempo cominciato a prendere le distanze dall antica religione, anche se in modo piuttosto riservato. Seneca parlava di un Dio unico, Creatore e Padre. Consigliava anche la bontà e la fratellanza; questo suo atteggiamento di pensiero indusse alcuni a sostenere erroneamente che il filosofo si fosse segretamente convertito. Si disse pure che ciò fosse avvenuto per merito di San Paolo. Furono molti i magistrati ed i senatori che, pur intimamente convinti al Cristianesimo, rimasero ufficialmente pagani fino agli ultimi istanti di vita. Valga per tutti il caso di Rufio Antonio Agripnio Volusiano, di famiglia aristocratica, già prefetto urbano nel e poi prefetto del pretorio nel che si convertì solo negli ultimi giorni prima della morte. Eppure erano già cristiane e la madre e la sorella. E vero però che in quei tempi era diffusa l abitudine al battesimo ritardato. La spiegazione, ufficiale, di questa pratica era che in tal modo diventava più difficile cadere successivamente in peccato, restava, infatti, meno tempo da dedicare agli affari mondani. Ma chi si sentirebbe di escludere che in realtà molti continuassero nelle pratiche religiose tradizionali con la speranza segreta di riuscire in questo modo ad allontanare il crollo di un mondo che amavano profondamente? Non si trattava di credere in un Olimpo nel quale nessuno, delle classi colte almeno, credeva più da molto tempo. Si voleva solamente restare disperatamente abbarbicati alla tradizione nella consapevolezza che quel Crepuscolo degli Dèi preludeva al disfacimento dell impero. La diffusione del Cristianesimo andava di pari passo con il crollo dell Olimpo, di qui la necessità di ostacolarla in ogni modo. Già da molto tempo gli spiriti più colti avevano avvertito l inizio del progressivo sfaldamento dell impero e si diffondeva il desiderio di ritornare all antico, di risvegliare gli antichi valori. Furono dapprima gli uomini di lettere si veda fra tutti Frontone, ma anche Aulo Gellio - a riesumare parole ed espressioni antiche cadute in desuetudine e poi, dalla fine del II sec. o dagli inizi del successivo, si registra una nuova importanza attribuita all arte aruspicina, antica ed ereditata dall Etruria. Un modo come un altro per tentare di invertire il corso del tempo. Il Cristianesimo era una religione che mal si accordava con l organizzazione politica dello Stato, a meno che questa non fosse, a sua volta, cristiana. Non solo, ma la massima di Gesù già citata, se separava nettamente le cose di Dio da quelle di Cesare, sottintendeva anche, necessariamente, che, qualora il secondo fosse andato

11 PIETRO CRIVELLI oltre i suoi limiti invadendo il campo della religione, il dovere del cristiano era quello di disobbedire. Da qui scaturiva il bisogno di porre un freno all espansione della nuova religione 7. Tuttavia, facendo salvi alcuni casi, spesso le persecuzioni furono volute meno dagli imperatori che dalla plebe. Già Adriano aveva manifestato la sua contrarietà verso coloro che con il loro odio fanatico per i Cristiani diffondevano turbamento tra il popolo. La citata vicenda di Lugudunum è un esempio abbastanza evidente di quanto fosse potente la volontà popolare. In fondo gl imperatori cercavano per quanto possibile di non alimentare lo scontento prendendo iniziative che potevano anche essere pericolose, ma per lo stesso motivo erano spesso costretti ad aderire alle richieste popolari, anche anticristiane, accontentando e calmando così le frange più facinorose. Nelle provincie il quadro differiva poco da quello che si presentava a Roma: frequentemente i governatori, procuratori, legati, prefetti od altro, disponevano di una notevole libertà di azione. Non tutti, come faceva Plinio, si consigliavano con il potere centrale; molti, per presunzione o arroganza, preferivano agire in modo autonomo, secondo la loro visione o lo stato d animo del momento. Talvolta, per timore di disordini o per il semplice gusto di mostrare la propria potenza, assecondavano con facilità le pretese degli agitatori più violenti. Verso la fine del II sec. il governatore della Cappadocia, Claudio Lucio Erminiano decise di trattare i cristiani con gran crudeltà 8 per risentimento verso la moglie che si era convertita al cristianesimo. Spinte persecutorie vennero da parte dei Giudei, particolarmente al tempo della predicazione paolina, ma anche in periodi successivi, per la minaccia all ortodossia ebraica contenuta nel Cristianesimo. Sul fronte ebraico sembra che il risentimento si attenuasse, o apparisse meno evidente, solo quando gli stessi Israeliti si trovavano nella condizione di subire le vessazioni dei Pagani. Ciò probabilmente non accadde allorché l imperatore Costanzo II ( d.c), figlio di Costantino, inaugurò un periodo di disposizioni antiebraiche comprendenti, fra l altro, il divieto di matrimonio con i Cristiani, quello di possedere schiavi cristiani, l impedimento all accesso alle cariche pubbliche, il divieto di fare proseliti ed ancora altre limitazioni. Non si trattava, per quei tempi, di una vera e propria persecuzione, nulla di cruento, ma certamente erano provvedimenti vessatori che, provenendo da un imperatore cristiano, dovevano per forza accentuare l avversione degli Ebrei nei confronti dei Cristiani, oramai il loro risentimento era un arma superata dagli avvenimenti ed incapace di ferire. Nondimeno c è un indizio che ci fa capire quanto il Cristianesimo cominciasse a penetrare a fondo nel tessuto sociale romano diffondendosi sempre di più. Fino agli inizi del terzo secolo per gli scritti e le lettere episcopali era stato usato esclusivamente il greco; ciò era da considerarsi normale in quanto l espansione del Cristianesimo era partita dal bacino orientale del Mediterraneo, ambiente di cultura essenzialmente ellenica. Dal secondo decennio del secolo, cominciando dalla provincia d Africa, ove il Cristianesimo aveva avuto un enorme e vivacissima espansione, e in un secondo tempo anche a Roma, il latino divenne progressivamente la lingua più importante per i cristiani d occidente fino a soppiantare, nei paesi bagnati dal Mediterraneo occidentale, il greco che era stato usato fino a quel momento 9. Questo uso religioso del latino, unitamente alla necessità che ebbero i nuovi dominatori barbari dell Europa di appoggiarsi alla vecchia struttura burocratica romana per amministrare il territorio conquistato, determinò la sopravvivenza di quella lingua fino in età moderna come parlata delle classi colte diffusasi ben oltre la massima estensione dell antico Impero Romano. Restano ancora da esaminare i motivi più profondi che hanno spinto alle persecuzioni religiose. A giudizio di chi scrive sono tutti da ricondurre ad uno solo. La religione per sua natura non può essere per il credente qualche cosa di opinabile, sarebbe assurdo che questi ammettesse che il suo dio esiste ma che potrebbe anche non esistere. Nel caso del paganesimo - ed è, bisogna convenirne, uno sforzo notevole si può ammettere l esistenza di altre divinità oltre le proprie, ma per quanto concerne sia

12 SALTERNUM l Ebraismo, sia il Cristianesimo, sia, più tardi, l Islamismo, la visione del divino e delle regole di vita religiosa da parte del credente non permette deroghe o distinzioni. Non si può credere a metà, di qui l avversione e l intolleranza nei confronti dei non credenti o di coloro che hanno una fede diversa. L insofferenza, tenue verso i fedeli di una religione quando sono una minoranza esigua, diviene sempre più forte e violenta a mano a mano che questi crescono di numero, infine si invertono le parti allorché essi divengono maggioranza, fino a giungere agli estremi più deprecabili di cui la storia ci fornisce una casistica di impressionante estensione. Dovranno trascorrere ancora molti secoli perché faccia la sua comparsa una mente come quella di John Locke ( ) invocante, pure tra aspre contestazioni, la tolleranza religiosa. Un invocazione che comincia ad essere presa in considerazione solo ora. *Gruppo Archeologico Salernitano NOTE 1 FLAVIO GIUSEPPE, Contra Apionem II, 63. (L opera, scritta in greco, ci è pervenuta con una parte del II libro, 52, 113, in latino). 2 PAOLO, 1 Cor. 15,12 v. 9: Io sono, infatti, il minimo degli Apostoli, neppur degno d essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. 3 J.G. DAVIES, La Chiesa delle Origini, Milano 1966, pag Historiae Augustae Scriptores - Vita Severi, XXIX, 2. 5 PASSERINI, Linee di Storia Romana in Età Imperiale, Varese-Milano 1949, pag T. LIVIO, Ab urbe condita XXII, 57 7 A. GUARINO, Storia del Diritto Romano, Napoli 1994, pag Le tensioni tra l autorità politica e quella religiosa non tarderanno a farsi sentire. La lettera che papa Gelasio I invia nel 492 all imperatore bizantino Anastasio I ne è un chiaro indizio: Esistono dice il papa due poteri che governano il mondo: uno è il potere dei re (potestas regalis), l altro la sacra autorità dei papi (sacrata auctoritas pontificum). Si noti l uso dell aggettivo sacro inteso a sottolineare la superiorità papale. 8 TERTULLIANO, Ad Scapulam, 3. 9 J.G. DAVIES, op. cit. pag BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Oltre a quelle citate nelle note, potrà essere utile consultare le seguenti opere: P. BROWN, Il Sacro e l Autorità, Roma A. GIARDINA (a cura di), Roma antica, Roma Bari S. MAZZARINO, L Impero Romano, Roma Bari E. PARATORE, La letteratura latina dell età imperiale, Milano W. SCHNEEMELCHER, Il Cristianesimo delle Origini, Bologna M. SORDI, I Cristiani e l Impero Romano, Milano

13 VINCENZO INTORCIA L arco del sacramento in Benevento: il restauro e la riqualificazione dell area di Vincenzo Intorcia* Ciò che mi ha sorpreso non poco è il silenzio di tutti gli scrittori patrii intorno al presente monumento; giacchè, per quanto io mi sappia, nessuno ne ha parlato o ne ha fatto cenno. Stimo che non ne abbiano compresa la destinazione e quindi la importanza, se pure non lo han giudicato un rudere informe, non meritevole di alcuna considerazione. 1 Si era alla fine dell Ottocento, quando il fiorire degli studi degli eruditi locali che andavano ad indagare le radici storiche e culturali delle proprie città, costituì un fondamentale contributo che le comunità diedero alla conoscenza e alla definizione dello sterminato patrimonio storico-artistico della nuova Italia unificata. Ma a tutt oggi, ad oltre un secolo di distanza, il saggio di Meomartini, che fu Ispettore onorario dei monumenti e degli scavi di Benevento dal 1889 per circa un trentennio, 2 resta ancora l unica fonte di approfondimento per l Arco del Sacramento. E le deficienze lamentate a suo tempo dall autore, lontane dall essere colmate nelle ricerche degli anni successivi, 3 hanno in un certo senso contribuito nel consolidare quella sorta di status di figlio di un dio minore per il monumento. Dell attenzione e delle ricerche, infatti, di cui hanno goduto giustamente altri monumenti di Benevento, come l Arco di Traiano e la chiesa di S. Sofia, che non poco hanno giovato alla loro conservazione, non ha parimenti beneficiato l Arco del Sacramento, per il quale, invece, questa sfortuna critica è stata anche una delle cause dell incuria e delle manomissioni subite. 4 E non è luogo, qui, di ricordare l importanza (peraltro ormai consolidata) di concetti quali Benevento.Veduta area della zona Sud-Ovest del centro storico, in evidenza l area dell Arco del Sacramento Benevento. Particolari dell area dell Arco del Sacramento

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15 VINCENZO INTORCIA quella strada, infatti, ai tempi del arcivescovato di Vincenzo Maria Orsini ( ), si chiamava dei Macelli Vecchi, ricavando la notizia da G. De Nicastro che scrive nel periodo contemporaneo all Arcivescovo. 7 E questo nome resta confermato da quanto si evince da una delle prime topografie attendibili della città, la Pianta della pontificia città di Benevento delineata da Liboria Pizzella e incisa dall Aloia entro il 1764, 8 nella quale il fabbricato che occupa la zona ad oriente dell Arco del Sacramento è indicato con il nome, che a noi sembrerebbe un po vernacolare, di Chiaviche Vecchie. Allo stato attuale delle ricerche, dunque, non si conosce ancora la primitiva denominazione dell Arco in questione. 9 Descrizione del monumento. L Arco del Sacramento, nel suo schema generale, è un arco ad un solo fornice poggiante su due stilobati, sui quali si innalzano le pilastrate dove si imposta l arcata. Al di sopra dell estradosso della volta, la zona dell attico è occupata da un secondo arco. Ora, sì come esporrò in seguito, la quasi totalità del rivestimento marmoreo dell Arco è andata perduta e molte sono le aggiunte e le vicissitudini che hanno alterato la primitiva forma della costruzione, per cui, attualmente, il manufatto presenta non poche discrepanze tra la facciata meridionale, quella che dà su piazza Manfredi di Svevia, e il fronte settentrionale, che guarda l ascesa verso il Duomo di via Carlo Torre. Ma diamo alcuni ragguagli sulla sua struttura. Gli stilobati sono costituiti di cinque corsi di grossi blocchi di parallelepipedi di pietra calcarea. Le commessure tra le pietre sono verticali ma non corrispondenti, secondo il genere di struttura murale romana detta da Vitruvio pseudisodoma. 10 Alla base degli stilobati c è lo zoccolo, che comprende due dei cinque filari di parallelepipedi. Sullo zoccolo, il dado è costituito invece di tre corsi di pietre, al di sopra del quali vi è la cimasa. Lo zoccolo, che in altezza misura circa un metro, e la cimasa, che è alta circa 30 cm, sono sporgenti dal dado, il quale s innalza per un metro e mezzo, di circa 15 cm. Ogni stiloba- Benevento.Arco del Sacramento, Benevento.Arco del Sacramento, inizio XX secolo

16 SALTERNUM Benevento.Arco del Sacramento, facciata settentrionale e cantone esterno occidentale, Benevento.Arco del Sacramento. te in pianta ha le dimensioni di metri 6,50 x 3, Come si può osservare attualmente, la fascia della cimasa che corre intorno il monumento, si interrompe in corrispondenza delle nicchie della facciata meridionale, forse asportata durante la demolizione delle costruzioni che si addossavano all Arco. I parallelepipedi degli stilobati, pur conservando nel loro andamento la quadratura, sono abbastanza consunti nel fronte sud, mentre le facce che presentano ancora una finitura liscia sono maggiormente quelle sotto il fornice e sul lato esterno dello stilobate occidentale. Sempre sullo stilobate ovest, nel fronte nord, alla sommità del dado, vi è da notare una pietra sicuramente non appartenente alla costruzione originaria, con un lato che presenta la raffigurazione di un vaso da cui fuoriescono dei tralci, di cui non si conosce la provenienza e la data di collocazione sull Arco. Si è già anticipato che così come l Arco ci è giunto costituisce il nocciolo, lo scheletro del monumento antico. Per quanto riguarda gli stilobati, un primo indizio che fossero rivestiti da lastre di marmo, allo stesso modo come avviene nel ben conservato Arco di Traiano, potrebbe essere fornito da alcune tracce di elementi in ferro e piombo che si vedono tra le commessure delle pietre, e che forse servivano a sostenere le lastre di marmo. Sui fronti nord e sud dell Arco, dove gli stilobati aggettano dal corpo dei pilastri determinando una decisa risega, si può ragionevolmente stimare che si innalzassero le colonne, le quali si congiungevano con la trabeazione alla sommità dell archivolto, come lascia supporre la colonna ivi rimasta sulla facciata settentrionale. Dunque: quattro colonne sulle due facciate maggiori, un intercolumnio sui fronti principali di ogni pilastro. Le colonne però, probabilmente non erano addossate alla muratura, ma di poco discoste, ed esse non giravano sul cantone esterno, come avviene per l Arco di Traiano, perché sui fronti orientale e occidentale la risega degli stilobati non lo permetteva. 12 Dagli stilobati in poi tutta la struttura dell Arco era in opus latericium. 13 E siccome questa giunge in appiombo con il dado delle basi, e doveva essere sicuramente rivestita, si può concludere altrettanto che anche gli stilobati lo fossero, di modo che gli aggetti dello zoccolo e della cimasa fossero mantenuti

17 VINCENZO INTORCIA Sempre sulle facciate principali nord e sud, le pilastrate recano al loro interno quattro nicchie, in cui probabilmente trovavano posto delle statue. Le edicole del fronte meridionale sono più profonde di quelle del fronte settentrionale, e tutte e quattro terminano ad arco. Vi è da notare che della decorazione originaria rimangono solo alcune cornici di marmo, soprattutto sotto il fornice e nei cantoni esterni, le quali corrono all altezza poco dopo la cimasa dello stilobate e all altezza dell imposta dell arco maggiore. Tali pezzi di cornice, che si ammorsano nel vivo della muratura dell Arco, hanno l aggetto maggiore di 20 cm, mentre quello minore è di 8 cm, ovvero quanto doveva essere probabilmente lo spessore delle lastre di marmo. 14 I volti delle nicchie fanno da imposta all arco del fornice, anch esso di mattoni, il quale ha la corona di un metro e il diametro di cinque. Il fornice misura da terra circa 7,50 m., una volta e mezzo, dunque, l altezza del diametro, e questa è una proporzione che si può osservare anche nell Arco di Traiano e in quello di Tito a Roma. 15 La zona dell attico è occupata da un altro arco, il quale pur avendo la corona di circa mezzo metro, ha invece il diametro di 5,30 m. 16 Seguendo le indicazioni offerte da Meomartini: spero che il lettore non stimi pedanterie queste calcolazioni e questi raffronti, i quali (mel conceda in grazia) servono a chiarir sempre più il concetto che gli architetti romani avevano le loro formule prestabilite per tali edifizi, 17 si può fare un confronto con le misure dell altro arco cittadino, quello di Traiano, che ha le dimensioni di circa tredici metri e mezzo in larghezza e quindici meri di altezza; dal che si evince che l Arco del Sacramento, pur essendo di poco più piccolo, mantiene però in proporzione gli stessi rapporti del fabbricato traianeo. 18 Da un punto di vista tipologico l Arco del Sacramento non trova però numerosi puntuali riscontri in altri esempi che ci sono pervenuti. Nell ambito campano, tuttavia, gli sono accostabili, come vedremo, i modelli dell Arco di Pompei sulla via di Mercurio e in particolar modo l Arco di S. Maria Capua Vetere. Benevento.Arco del Sacramento, facciata settentrionale e meridionale da un disegno di Almerico Meomartini, Benevento.Arco del Sacramento dopo i bombardamenti del Funzioni urbanistiche ed epoca del monumento. Tutti gli studiosi 19 che citano l Arco del Sacramento sono concordi nel ritenerlo un arco onorario o trionfale, 20 ma per avvalorare un ipotesi circa le sue funzioni urbanistiche è opportuno considerare quale aspetto presentasse il sito sul quale insisteva nella città di epoca romana. 21 L area delimitata a nord dal decumano maggiore (corrispondente oggi al Corso Garibaldi) e a sud dall altro decumano (conforme all odierna via S. Filippo), tra le contemporanee piazze Orsini e Cardinal Pacca, doveva costituire il Foro, o comunque il più importane dei fori del centro della città romana. Nella maglia ortogonale della viabilità romana, la via Carlo Torre, dunque, configurava il cardo che attraversava proprio l area del Foro, mentre poco più a occi

18 SALTERNUM dente un altro cardo era costituito forse dalla via S. Gaetano. All interno di questa zona dovevano trovarsi importanti edifici, come il tempio di Giove, il tempio di Iside ed altre strutture e impianti termali. Come avveniva a Roma e in molte altre città e colonie d Italia soprattutto nel periodo imperiale, i Romani erano soliti caratterizzare l ingresso all area del Foro con un importante episodio monumentale, per lo più un arco, che oltre la funzione di accesso espletava anche una funzione onoraria riferita spesso all esaltazione delle virtù e della memoria dei sovrani autori della sistemazione urbana della città ed in particolare del foro cittadino. 22 Come ha supposto Hassel, l Arco del Sacramento era, quindi, l ingresso dalla parte meridionale della città all area del Foro. 23 Sembra invece da escludersi che l Arco costituisse un Giano, 24 anzitutto per la constatazione che le poche cornici rimanenti suggeriscono comunque una finitura e una decorazione in tutti e quattro i lati, e le riseghe per le colonne nelle facciate principali indicano che ambedue avessero il proprio ordine, cosa al contrario da escludere se l Arco in questione fosse stato una porzione di un maggiore organismo architettonico quale un Giano. Che l Arco del Sacramento, sin dalla sua edificazione, avesse servito da porta urbica della Benevento romana è altrettanto poco probabile. Anche se non si conosce in modo certo il perimetro delle mura di epoca romana, è pur vero che tale sito in quel periodo era al centro della città e non sulla periferia, come dimostra anche l area a meridione occupata dal Teatro. In mancanza di fonti attendibili, di iscrizioni e di reperti decorativi che possano indicare una datazione precisa, proprio il vicino Teatro può suggerire qualche elemento per stabilire l età del monumento. 25 Per l affinità delle strutture murarie e delle cornici superstiti, l Arco del Sacramento è stato infatti avvicinato 26 al Teatro, che è del tempo di Adriano. 27 A corroborare l ipotesi, a mio avviso, vi è anche l analogia che abbiamo detto si può ricavare con l Arco di S. Maria Capua Vetere, detto anche Arco Felice. Sebbene questo in origine fosse una costruzione a tre fornici, la porzione centrale mostra evidenti corrispondenze per tipologia con l Arco del Sacramento. Inoltre, da una lapide ritrovata nel Settecento, si pensa che l Arco di S. Maria Capua Vetere sia stato eretto intorno al 130 d. C. dall imperatore Adriano, il quale nei pressi curò anche la sistemazione dell Anfiteatro capuano. 28 Forse, è proprio ciò che avvenne anche a Benevento, dove, in concomitanza con la costruzione del Teatro promossa da Adriano, si provvide anche ad una risistemazione del vicino Foro, in modo che, provenendo da sud dal Teatro, si accedesse al Foro per l Arco del Sacramento. *Laureato in Conservazione per i beni culturali Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa - Napoli

19 VINCENZO INTORCIA NOTE 1 A. MEOMARTINI, I monumenti e le opere d arte della città di Benevento, Benevento 1889, ristampa Benevento 1979, pp L. GUERRIERO, La tutela dei monumenti a Benevento e l attività della Commissione conservatrice provinciale: , in G. FIENGO (a cura di), Tutela e restauri dei monumenti in Campania , Napoli 1993, p. 55. Almerico Meomartini ( ), architetto, ingegnere, archeologo, letterato e pubblico amministratore, in contatto con Camillo Boito, fu uno dei maggiori esponenti della cultura beneventana tra Ottocento e Novecento; principale, se non unico, architetto del liberty e dell eclettismo. Oltre ai numerosi scavi archeologici condotti (di cui il più importante è quello che portò al rilevamento della pianta del Teatro Romano prima creduto un anfiteatro), alla costituzione del Museo del Sannio nel 1893 nei locali della Rocca dei Rettori restaurata all uopo sempre dal Meomartini, la costruzione del ciborio neoromanico nella cattedrale; tra le opere realizzate a Benevento su suoi progetti si ricordano: il villino Meomartini in piazza Castello (oggi purtroppo celata alla vista da un palazzo degli anni Cinquanta del 900), l ampliamento del palazzo del Seminario Arcivescovile al Corso Garibaldi, dove, sul lato interessato dagli interventi di trasformazione tardo-ottocenteschi, progettò anche il palazzo della propria famiglia con una facciata in stile neoromanico sul lato del Corso e un accesso in stile neoclassico da piazza Dogana. A. JELARDI, Benevento antica e moderna, architettura e urbanistica dall Unità d Italia, Benevento 2000, pp Nel periodo tra le due guerre mondiali, ad esempio, queste erano le considerazioni dedicate all Arco del Sacramento: Prima di fermare i nostri passi sulla piazza del Duomo, inoltriamoci, per pochi minuti, nella via Carlo Torre, dove, attiguo all archiepiscopio dal lato occidentale, troviamo un grande fabbricato ad arco con blocchi di pietre sporgenti alla base. Tal fabbricato fu, certo, il nucleo di un monumento onorario o trionfale; ma, spoglio delle sculture e delle decorazioni architettoniche che lo rivestivano, non si è potuto ancora individuare. S. DE LUCIA, Passeggiate beneventane, Benevento 1925, ristampa 1983, p. 15. Incerto è il complesso architettonico che va sotto il nome di Arco del Sacramento e che sembra limitare la città del periodo repubblicano. Probabilmente in origine fu un arco onorario e presenta, pertanto, caratteristiche con l arco di Traiano. Privo attualmente di rivestimenti marmorei (ve n è appena qualche traccia), non è possibile orientarsi sul periodo della sua creazione. Il nome dell Imperatore Tiberio come restauratore di pubblici edifizi fatti costruire da Augusto, potrebbe ma è pura congettura- appartenere a quell arco che in tal caso sarebbe stato eretto in onore del primo e grande imperatore, fondatore altresì della colonia. L arco in seguito, venne adattato ad altri usi, come ce ne fanno certi i residui di costruzioni antiche ad esso addossati e la muraglia in parte demolita che si congiungeva al palazzo arcivescovile di sopra e di fianco al monumento e infine, l arco di mattoni sovrastante alla serraglia del fornice. A. ZAZO, Benevento romana, in Samnium, luglio/dicembre 1985, n. 3/4, pp Subito nel secondo dopoguerra, così incontriamo il monumento nei volumi di Mario Rotili: L arco del Sacramento è un grande arco onorario sostenuto da pilastri poggianti su stilobati costituiti di zoccolo, dado e cimasa e costruiti in opera pseudisodoma a grossi conci, pilastri in opus latericium sulle cui facce principali si aprivano nicchioni evidentemente per accogliere statue- e sui quali è voltato l arco del diametri di cinque metri, sormontato da un altro di scarico, a mattoni, di diametro maggiore. Nella facciata settentrionale perfettamente liscia e pure in laterizi, sono affiorati, in seguito agli ultimi lavori di saggio fatti, i quali hanno portato alla luce anche due ordini di archi in opus latericium innestati nel pilastro sinistro, elementi del rivestimento che decorava il monumento: una colonna al margine estremo dello stesso pilastro sinistro e, in alto, frammenti di cornicione di pietra molto semplice. M. ROTILI, L arte nel Sannio, Benevento 1952, pp Alle spalle del duomo e detto del Sacramento forse proprio per tale vicinanza, è un grande arco onorario post-traianeo. Su alti zoccoli di pietra, solenni pilastri in mattoni, con grandi nicchioni per statue, sostengono l arco del diametro di cinque metri, sormontato da un altro di scarico a mattoni, di diametro maggiore. Nella facciata settentrionale affiorano elementi del rivestimento che decorava il monumento. M. ROTILI, Benevento e la provincia sannitica, Benevento 1958, pp La conservazione di un monumento e l eventuale restauro corretto sono dettati, infatti, preliminarmente, dalla considerazione che il manufatto riveste nel quadro di vita dell uomo contemporaneo. E se il restauro contribuisce alla conoscenza del passato tramite la conservazione delle testimonianze in cui esso si manifesta, è pur vero, in via pregiudiziale, che bisogna conoscere per tutelare e quindi per restaurare. Il presente appunto è mosso dalla constatazione, come vedremo più dettagliatamente in seguito, che proprio attualmente, dopo le manomissioni occorse in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e in seguito alla speculazione edilizia post-bellica, l Arco del Sacramento e l area di rilevante valore storico-archeologico sulla quale insiste, sono interessati da un intervento rispettivamente di restauro e di riqualificazione. 5 R. LONGHI, Proposte per una critica d arte, in Paragone, gennaio 1950, n. I, p A. MEOMARTINI, op. cit., p A. MEOMARTINI, op. cit., p Vedi anche A. ZAZO, La storia di Benevento narrata al popolo, Napoli 1951, p La pianta è inserita nel libro del fu governatore pontificio: S. BORGIA, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, Roma 1769, ristampa fotomeccanica, Bologna 1968, vol. II, p. 1 9 Il nome originario dell Arco del Sacramento non lo si incontra nelle più importanti fonti tra il Seicento e il Settecento, come il Thesaurus Antiquitatum Beneventanarum di Giovanni De Vita del 1754, o il Benevento Sacro di Giordano De Nicastro del 1683 che non ne fanno menzione; mentre, laddove il monumento è oggetto dell attenzione di viaggiatori e vedutisti, come vedremo meglio in seguito, lo si definisce genericamente come arco antico oppure antica porta di Benevento. Ci si può augurare, tuttavia, che prima o poi, dalle decorazioni marmoree, se non sono andate definitivamente perdute, o da un qualche documento ancora inedito, qualche notizia più precisa in proposito verrà alla luce, almeno considerando che data l importanza del monumento in questione, esso, se non proprio dedicato alla figura di qualche imperatore, doveva comunque essere legato al nome di un membro importante dell entourage romano o in alternativa ad un personaggio molto in vista dell ambiente beneventano. 10 A. MEOMARTINI, op. cit., p Ibidem, pp Le misure che ripropongo furono prese per la prima volta dall ing. Meomartini, il quale, pur non avendo l agio di girare intorno la struttura, perché ai sui tempi, come vedremo, vi si addossavano altre abitazioni, fece un preciso lavoro di rilievo. 12 A. MEOMARTINI, op. cit., p Ibidem, pp L opera di mattoni era però la crosta, il guscio che racchiudeva tra i pilastri la muratura di ciottoli e malta, del tipo di quella a getto o a cassa o a sacco, detta

20 SALTERNUM da Vitruvio emplecton, il quale però la riprovava per la poca solidità in questa categoria di monumenti. Ad ogni modo, i secoli trascorsi e la saldezza del nostro arco hanno avuto ragione di dimostrare i buoni principi dell arte del fabbricare dei romani. Un esempio di come è la muratura interna dell Arco è possibile vederlo dallo squarcio aperto -da dove è fuoriuscito del pietrisco- nello stilobate del pilastro occidentale, facciata meridionale, dopo la liberazione del monumento dalle case che si addossavano, nel secondo dopoguerra. 14 A. MEOMARTINI, op. cit., p Ibidem, p Ibidem, p Ibidem, p Le proporzioni dell Arco del Sacramento sono grosso modo, infatti, di dieci metri e mezzo di larghezza e dodici metri circa di altezza, mantenendo perciò sempre uno scarto di tre metri rispetto l Arco di Traiano. A. MEOMARTINI, op. cit., pp Per quanto riguarda l aspetto decorativo non sembra verosimile che l Arco del Sacramento fosse in origine rivestito con fregi istoriati e bassorilievi come avveniva per l Arco di Traiano. Si può invece pensare che ad eccezione della zona dell attico, dove è probabile trovasse posso l intestazione, e delle statue votive o alludenti le virtù del committente che trovavano posto nelle nicchie, la restante parte della costruzione fosse rivestita da un semplice paramento marmoreo e da elementi decorativi architettonici quali colonne e cornici modanate. 19 M. ROTILI, L arte cit., pp.36-37; S. DE LUCIA, op. cit., p. 15; A. ZAZO, op. cit., pp ; A. MEOMARTINI, op. cit., p. 241; M. ROTILI, Benevento cit., pp ; F. ROMANO, Benevento cerniera di sviluppo interregionale, Benevento 1968, p. 204; F. J. HASSEL, Zum Arco del Sacramento in Benevent, in Jahrbuch des Romisch-Germanischen Zentralmuseums Mainz, XV, 1968, pp ; M. ROTILI, Benevento romana e longobarda, l immagine urbana, Benevento 1986, p L arco onorario romano trova le sue origini in fattori diversi che difficilmente si potrebbero ridurre ad un unica definita tipologia architettonica preesistente. Il fornice isolato, o anche inserito in un contesto edificato all interno della città, con funzioni di sostegno di gruppi scultorei e di passaggio, deve molto, naturalmente, alle porte urbiche strutturalmente simili che compaiono e presto si diffondono in area di cultura greca come in Italia, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a. C. Ma risulta chiaro che tale forma architettonica è a sua volta debitrice di elementi propri di tradizioni precedenti legate all ancestrale ritualità del passaggio. Queste molteplici valenze, votive e onorarie, celebrative e religiose, trovano il loro coagulo nel clima dominato da un profondo culto della personalità tipico della lotta politica della Roma repubblicana, anche sotto la spinta del modello delle monarchie ellenistiche. Non è un caso, infatti, che tra i primi archi con specifici connotati trionfali, troviamo il fornix sorto sul Campidoglio nel 190 a. C. dedicato alla figura di Scipione l Africano, uno dei più emblematici viri triumphales dell età repubblicana. Fino alla metà del I sec. a. C., comunque, monumenti di questo tipo sorgono, con pochissime eccezioni, esclusivamente a Roma, ed è molto probabile che sin dall inizio svolgessero una funzione urbanistica rilevante come accesso ad aree sacre o civili di particolare importanza (fornix Fabiunus, del 120 a. C. che costituiva l ingresso al Foro Romano) sul modello ad esempio della tradizione del pròpylon greco. È però soltanto con l età di Augusto che l arco assume un preciso ruolo celebrativo e onorario, strettamente legato ai temi dell ideologia del princeps, e contemporaneamente raggiungono una prima definizione le forme architettoniche sperimentate in precedenza. E l ideologia imperiale augustea è uno dei tramiti principali della diffusione dell arco anche nel resto dell Italia e delle province, dove l iniziativa è presa sia dal Senato sia dalle comunità locali che in tal modo attestano il proprio lealismo. La serie degli archi augustei in Italia assumono talvolta la funzione di porta urbica nella cinta muraria (vedi la porta orientale di Rimini del 27 a.c.), in quel clima di rinnovamento che caratterizza ampiamente l architettura pubblica delle città della penisola in questo periodo. Ma più spesso, sull esempio di Roma stessa e di altre città che già avevano realizzato una monumentalizzazione simile, gli ingressi e gli snodi stradali nei pressi dei fori cittadini sono evidenziati con le forme dell arco onorario. Con l età tardo-augustea e tiberiana si diffondono in Italia anche archi interamente privati, ossia eretti e dedicati a personaggi eminenti di municipi e colonie (Arco dei Sergi di Pola e quello dei Gavi a Verona). S. DE MARIA, voce: Arco onorario e Trionfale, in ENCICLOPEDIA DELL ARTE ANTICA, Trecani, II suppl., Roma 1994, vol. I, pp Il primo nucleo della città di Benevento dovette avere il suo sviluppo con lo stanziamento dei Sanniti in una zona compresa - come spesso accade per le città antiche - tra la confluenza dei due fiumi: il Sabato e il Calore, nelle contrade oggi denominate: S. Clementina e Cellarulo. L area si presenta pianeggiante, arricchita di un notevole patrimonio idrico, estendendosi da un lato verso il Tempio della Madonna delle Grazie e via S. Lorenzo e dall altro verso l odierna Port Arsa. La ragione fondante di questa ipotesi sta nella considerazione che quando la città passò sotto il controllo romano, e venne raggiunta dalla costruzione delle nobilissimae viarum di Strabone: la Via Appia e la Via Latina, proprio in questa zona furono gettati i ponti di accesso alla città. La prima sistemazione urbanistica di Benevento in senso moderno avvenne con la deduzione della prima colonia romana nel 268 a.c. Essa si dové subito configurare secondo il classico schema dell impianto cosiddetto del castrum, strade da oriente a occidente (decumani), e da nord a sud (cardines) che si intersecano ortogonalmente. Lo sviluppo della città partì quindi dalla confluenza dei fiumi, e si ampliò nel tempo risalendo la collina durante la deduzione della colonia dei triumviri, poi quella di Augusto, di Nerone, raggiungendo la sua massima estensione verosimilmente nel III sec. d.c. Nella zona occidentale la via Appia proveniente da Capua, dopo aver scavalcato il Ponte Leproso si biforcava: un ramo si andava a congiungere con la strada dell alto Sannio che entrava in città dal Pons Maior sul fiume Calore, proseguendo con quest ultima in direzione est, sì da costituire il decumanus maximus, secondo l andamento delle arterie cittadine che tuttora, in linea di massima, riproducono il tracciato del principale asse romano, cioè il Corso Dante e il Corso Garibaldi, i quali, prima che venissero allargati in epoche diverse, costituivano la Via Magistrale. L altro ramo dell Appia invece, piegava verso destra andando a costituire un altro decumano lungo il percorso di via S. Filippo. Nel suo periodo di massima estensione, la Benevento romana aveva un perimetro che partendo dal nucleo sannita ad occidente saliva a lambire l area del Piano di Corte longobardo, avendo sugli altri due lati come limite a nord l Arco di Traiano, dall altra, lungo la linea di un cardo che la tagliava trasversalmente, il confine era posto all altezza della medievale Porta Rufina. L area del Foro quasi certamente sorgeva tra le attuali piazze Orsini e Cardinal Pacca, servito a nord e a sud dai due decumani che si è individuato. L ubicazione è confermata dai nomi di due chiese medievali scomparse : l ecclesia S. Jacobi a Foro e l ecclesia S. Stephani de monialibus de Foro, nei pressi della seconda piazza, e dal toponimo Cortile del Foro dato ad un largo di via S. Gaetano, cancellato dall assetto urbanistico succeduto alle distruzioni belliche del settembre

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