Indice. 1 La filiazione legittima

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1 INSEGNAMENTO DI DIRITTO DI FAMIGLIA LEZIONE VI LA FILIAZIONE PROF.SSA TIZIANA TOMEO

2 Indice 1 La filiazione legittima La filiazione naturale Il riconoscimento del figlio naturale La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale La legittimazione del figlio naturale Potestà dei genitori e rapporti con i figli Bibliografia di 18

3 1 La filiazione legittima La presente lezione sarà interamente dedicata all esame delle disposizioni normative che hanno modificato negli ultimi anni la materia della filiazione; spazieremo dall analisi della filiazione legittima a quella naturale fino a ricomprendere anche il vaglio delle azioni che la tutelano. La L.151/1975 come ho avuto modo di riferire più volte, è quella che ha rappresentato e rappresenta la pietra miliare nel campo delle riforme del diritto di famiglia, innovando radicalmente determinati istituti e lasciandone invece altri pressoché immodificati. Soprattutto l istituto della filiazione legittima, che non era mai stata interessata da pronunce d incostituzionalità da parte della Corte, rimane per tanto tempo insensibile alle mutate condizioni sociali nonché ai principi contenuti nella Carta Costituzionale. Principio cardine scolpito nella Magna Carta è quello di parità di cui all art.30 che, ispiratore della riforma evocata, parifica i diritti dei figli naturali a quelli legittimi, attenuando considerevolmente l ingiusta ed anacronistica divaricazione tra i due differenti status. Abbandonato l inspiegabile ed immotivato privilegio per la condizione del figlio legittimo, trova accoglimento il differente fondamento della corrispondenza tra verità giuridica e verità naturale. Un altro principio espresso dal legislatore è che la condizione di figlio naturale non si acquista ope legis ma a seguito dell atto di riconoscimento ex art. 254 c.c. o in virtù del provvedimento giudiziale che dichiari la paternità o maternità naturali. Esaminando l art. 30 della Costituzione si può osservare che gli artt. 2,3,29,30 e 31 scolpiscono un inderogabile dovere di solidarietà economica e sociale anche nei confronti della prole nata fuori dal matrimonio alla quale pertanto va riconosciuta <ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima>. La filiazione legittima rispetto a quella naturale si differenzia in quanto la prima ha un riconoscimento automatico poiché è figlio legittimo colui il quale nasce (vivo) da genitori coniugati, purché il concepimento avvenga in costanza di matrimonio o a maggior tutela della prole, a condizione che la nascita avvenga prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e purché nel rispetto della condizione di cui all art. 233 c.c. Circa la presunzione del concepimento in costanza di matrimonio e sulla sua dubbia possibilità di considerarlo valido in maniera assoluta, si deve tener presente che essa si basa sulla presunta durata minima e massima della gravidanza, desunta dall esperienza scientifica. Dato che è possibile provare il concepimento in costanza di matrimonio anche in favore di chi nasce dopo i trecento giorni dal suo scioglimento o 3 di 18

4 dai fatti che ad esso si equiparano, considerato che è legittimo anche il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e che non è previsto un limite che possa far superare la presunzione di cui all art. 232 c.c., allora è agevole concludere che anche la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio non è juris et de jure. Ad ogni modo la filiazione legittima deve essere provata con atto di nascita ex art.236 c.c.1 comma o in sua mancanza con possesso di stato ex art co e 237 c.c. o con la prova testimoniale ammessa soltanto in determinate ipotesi; L atto di nascita o il possesso di stato si ritiene che abbia una funzione probatoria costitutiva e che consta di un documento in originale e contestualmente iscritto nei registri dello stato civile provando l identità dei genitori, la data, il luogo di nascita, il sesso, il nome ed il cognome del neonato a fronte della quale può essere sempre esperita l azione di contestazione di legittimità. Il possesso di stato rileva quando il suo accertamento sia subordinato all inesistenza oggettiva ed all incertezza soggettiva circa l esistenza dell atto di nascita, da ciò si può dedurre che rappresenta un mezzo di prova sicuramente più complesso rispetto a quello fornito dai registri dello stato civile in quanto devono essere accertati fatti di cui all art co. Il favor legitimitatis rispetto a quello veritatis emergerebbe dall art. 253 c.c. solo apparentemente precludono un riconoscimento in contrasto con lo stato di legittimo o legittimato in cui si trovi il figlio. Ciò che sembra doversi notare però è che la norma evocata non può essere tenuta in debito conto isolatamente dal resto del sistema in quanto l interpretazione è per definizione logico-sistematica e teleologico - assiologica ovvero diretta a realizzare gli interessi costituzionali. Garante del principio della non contestazione della legittimità del figlio di due persone che abbiano vissuto pubblicamente come marito e moglie e poi siano morte è l art. 240 c.c. che prevede la possibilità di tutelare lo status legitimitatis anche in mancanza della prova della celebrazione del matrimonio, qualora essa sia manifestata in un possesso di stato non in opposizione con l atto di nascita. E evidente che il fine della norma sia quello di non creare situazioni di contestazione nel caso in cui entrambi i genitori dovessero venire a mancare; in tal modo nulla è compromesso dalla mancanza della rituale attestazione dell avvenuta celebrazione del matrimonio. Le azioni di stato di filiazione legittima si possono distinguere in azioni di reclamo e di contestazione lato sensu; quest ultima, secondo la contestazione si riferisce all uno o all altro dei presupposti di legittimità distinguendosi in azioni di contestazione in senso proprio o di disconoscimento di paternità. Corre l obbligo di evidenziare che la filiazione legittima ha il suo 4 di 18

5 titolo non già nell atto di nascita bensì in una fattispecie complessa e di cui fanno parte quattro presupposti di legittimità, se ne desume che al concorrere di tutti i requisiti, la legittimità della filiazione deve per forza preesistere all atto di nascita. Dunque l azione di stato in questione ha natura dichiarativa o ricognitiva perché sarebbe assolutamente impossibile sostenerne la natura costitutiva invece, atteso che il nato o già possedeva lo stato di figlio legittimo alla nascita o non lo avrebbe mai avuto. Le azioni di reclamo tra le ricomprese in quelle accertative delle azioni di stato, hanno natura positiva mentre quelle di disconoscimento e di contestazione natura negativa essendo dirette a contestare nonché negare l esistenza di uno status diverso, in quanto particolarmente tipiche, non sono liberamente disponibili dalle parti le quali non possono rinunciarvi né trasmetterle. Ciò vale anche se l art. 246 c.c. è rubricato trasmissibilità dell azione che poi altro non fa che confermarne l intrasmissibilità dato che l azione è concessa non agli eredi legittimati attivamente bensì ai discendenti ed ascendenti del presunto padre e madre, al coniuge ed ai discendenti del figlio i quali sono gli unici a poter proseguire l azione iniziata dal primo titolare. Il legislatore ha voluto in tal modo garantire il rispetto del favor veritatis limitando l esercizio di tale azione solo a determinate categorie familiari in grado di realizzare l interesse di ordine pubblico. La qualifica dell intrasmissibilità comporta che esso non possa essere oggetto di compromesso né di transazione ed inoltre le azioni alla base degli atti posti a tutela di tali statu sono imprescrittibili. L azione che invece è funzionalizzata ad ottenere l accertamento dello stato di figlio legittimo è il reclamo e sarebbe proprio l art. 241 c.c. il riferimento normativo che, fissando i presupposti per l ammissibilità della prova testimoniale disciplina l evocata azione. Quando può essere proposta l azione di reclamo? Quando manca l atto di nascita o il possesso di stato, se esiste un atto di nascita che documenti una filiazione legittima diversa da quella che il figlio pretende ed anche se dovesse esistere un possesso di stato conforme all atto di nascita (come accade nel caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato). Nelle prime due ipotesi, in mancanza di documento o di una prova che attesti lo stato di legittimo vantato, il figlio deve fare ricorso all azione di reclamo per farlo valere mentre nelle altre due ipotesi il reclamante ha un atto di nascita, quello di figlio legittimo delle persone indicate come genitori nell atto stesso, ed è pertanto necessaria la rimozione attraverso l azione di contestazione della legittimità del titolo, quindi, se esiste il titolo e da esso non è dato dedursi una filiazione che il figlio non contesta, l azione di reclamo non sarà possibile. La dottrina sostiene che non debbano necessariamente essere separati i giudizi che sono diretti uno all eliminazione del titolo contestato e l altro all affermazione dello 5 di 18

6 stato reclamato ma tutta la materia del contendere può rappresentare l oggetto di un unico giudizio, con la chiamata in causa sia dei genitori risultanti dal titolo contestato che di quelli nei confronti dei quali lo stato è reclamato. Con l azione di contestazione della legittimità invece si tende ad ottenere una pronuncia costitutiva dell inesistenza di uno stato per cui la funzione è simile a quella del disconoscimento della paternità ma diverse sono le causae petendi sulle quali si basano le azioni come pure le norme che le regolano. Innanzi tutto bisogna provare la mancanza dei presupposti della filiazione legittima (maternità, matrimonio o concepimento in costanza di matrimonio); sia per le azioni di contestazione che per quelle dirette a reclamare lo stato vige il principio di cui all art. 238 c.c. dell inattaccabilità dello stato risultante dalla conformità dell atto di nascita e dal possesso di stato. L azione con la quale è possibile privare il figlio dello stato di legittimo è quella del disconoscimento della paternità in base alle presunzioni di cui agli artt. 231,232,233 c.c. che, nell intento di chi agisce, devono palesarsi false. Esse sono due, una è quella prevista dall art.233 c.c. e che consente il disconoscimento del figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio mentre l altra ex art. 235 c.c. è quella esercitata nell ipotesi di figlio concepito in forza della presunzione ex art. 232 c.c. durante il matrimonio. Ovviamente si addiviene a differenti conclusioni, per quanto attiene la proponibilità dell azione a seconda se l atto di nascita sia titolo dello stato legittimo o invece lo status sorga ipso jure, allorquando venuto al mondo l infante si realizzano gli elementi costitutivi della filiazione legittima. I termini di cui all art. 244 c.c. dopo la riforma sono stati ampliati e sono termini di decadenza e non di prescrizione ciò significa che garantiscono maggiore certezza perché non soggetti né a sospensione né ad interruzione ma anche che però, scaduto il termine l azione di disconoscimento della paternità non potrà essere più promossa. L art.235 c.c. disciplina il caso del figlio concepito in costanza di matrimonio, per il quale vige il principio della presunzione juris et de jure ex art co c.c. pertanto il legislatore per tutelare lo status del figlio legittimo, pur ammettendo l azione del disconoscimento, la subordina a determinate condizioni processuali specificamente previste ai nn.1,2 e 3 dell art.235 c.c. come la mancata coabitazione dei coniugi tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita, l impotenza, l adulterio della moglie o il celamento della gravidanza e della nascita del figlio. 6 di 18

7 L ipotesi che tra le elencate risulta essere più innovata è quella di cui al n.3dell art. 235 c.c. in quanto il testo originario della norma prevedeva che le condizioni dell adulterio e del celamento della gravidanza e della nascita dovessero essere entrambe provate, invece oggi, ai fini della procedibilità dell azione è richiesta la prova dell una o dell altra circostanza e sono pertanto condizioni alternative e non cumulative. L originaria previsione del dettato dell art. 235 c.c. era improntata nel senso di permettere al marito di provare ogni altro fatto che potesse escludere la paternità; con la pronuncia recente della Corte Costituzionale invece, superata la necessità della pregiudiziale prova dell adulterio, si concede la possibilità all attore di poter dimostrare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto che escluda la paternità. Legittimati passivi alla proposizione dell azione sono ex art. 247 c.c. il presunto padre, la madre ed il figlio che sono qualificati litisconsorti necessari e la giurisprudenza, al fine di evitare la decadenza dall azione per decorrenza dei termini prescritti all art. 244 c.c., sottolinea che sia sufficiente notificare tempestivamente l atto di citazione ad almeno uno dei contraddittori necessari e poi successivamente si potrà integrare la domanda. Prima della riforma del diritto di famiglia, a detenere il monopolio dell azione era solo il presunto padre, mettendosi in risalto l assoluta discrezionalità accordatagli dalla legge circa l opportunità di valutare l esperibilità oppure no dell azione; proprio per tale motivazione la legge ha esteso la titolarità anche alla madre ed al figlio maggiorenne. Con l entrata in vigore della legge 184/83 anche il curatore speciale nominato sempre dal giudice, può esperire l azione e quando si tratta di minore d età inferiore ai 16 anni dal pm. 7 di 18

8 2 La filiazione naturale Sia che essa venga accertata con riconoscimento che con dichiarazione giudiziale, il rapporto che s instaura tra genitori e figli è uguale senza distinzione tra figli nati da genitori coniugati o non coniugati, poiché il riconoscimento comporta da parte dei genitori l assunzione di tutti i doveri e diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi (art.261 c.c.). La previsione del codice del 1942 che predisponeva un trattamento differenziato per i figli naturali, era dovuto all esigenza di non sminuire l istituto del matrimonio e quello della famiglia penalizzando in tal modo le unioni non coniugali e pertanto i figli nati da tali unioni. Nella legislazione europea, in particolare nella Convenzione di Roma del 1950 non vi è un espressa menzione del principio di parità tra figli naturali e legittimi mentre è pacifico che la Corte di Strasburgo, proprio in quanto intenda garantire piena tutela a tutti i figli, sia rispetto al rapporto con i genitori che nei riguardi dei parenti mentre la Corte di Nizza ad esempio, indica la nascita tra le circostanze che non consentono un trattamento giuridico differenziato In Italia la riforma del diritto di famiglia ha dato attuazione ai principi costituzionali ampliando casi in cui il riconoscimento è ammesso ed attuando un eguaglianza nella condizione dei figli legittimi e naturali. Nei confronti di ciascun genitore il rapporto di filiazione si caratterizza in quanto è individuale, proprio perché non c è matrimonio, invece in presenza di quest ultimo è rapporto del figlio con i genitori. Pertanto in assenza dell unione sacralizzata, l accertamento della filiazione avviene con atti distinti per ciascun genitore. Ovviamente anche per quanto riguarda il cognome del figlio naturale esistono problematiche assenti in caso di matrimonio. Tant è che quando il riconoscimento è congiunto allora si applicano le stesse regole previste per il figlio legittimo, quando l accertamento invece non è contestuale l art. 262 c.c. dispone che i figli assumono il cognome del genitore che per primo ha compiuto il riconoscimento; se sopravviene il secondo riconoscimento successivamente alla nascita, la materia del cognome concilia due esigenze, una in virtù della quale con esso si tenda ad indicare l appartenenza di una persona ad un gruppo familiare e l altra per la quale esso costituisce elemento di riconoscimento. Tutelare il nome significa tutelare se stessi, infatti per tale ragione ed in caso di secondo riconoscimento paterno, il figlio maggiorenne può decidere di assumere il cognome del padre anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Nei confronti dei genitori che hanno riconosciuto il figlio o di ciascuno di essi, il rapporto di filiazione naturale ha lo stesso contenuto di quello di filiazione legittima e nei confronti di tutti i 8 di 18

9 figli è identico l insieme dei doveri, poteri ed obblighi ed è proprio ciò che recita l art. 261 c.c. quando sancisce:< il riconoscimento comporta da parte del genitore l assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi>. L obbligo del mantenimento, in uno a quello d istruzione ed educazione ha la sua fonte nel fatto della procreazione e decorre dal momento della nascita e non del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale. Pertanto il genitore che fin dalla nascita ha provveduto al mantenimento del figlio, ha diritto al rimborso della quota a carico dell altro, diritto che viene esercitato jure proprio e non già in rappresentanza del figlio. Tale particolare obbligo-dovere non viene meno al compimento della maggiore età ma continua fino a quando non sia compiuto il processo educativo ed il figlio non abbia raggiunto la propria autonomia economica. L art.148 c.c. prevede che nel caso i genitori non abbiano mezzi sufficienti, siano tenuti gli altri ascendenti legittimi e naturali in ordine di prossimità, di fornire loro i mezzi necessari affinché possano loro offrire mezzi necessari, prescindendo dall esistenza del matrimonio tra i genitori. Molto dibattuta ma recentemente risolta è la questione della competenza, ovvero a quale giudice competa la conoscenza di cause che abbiano ad oggetto attribuzioni del mantenimento. Nel corso delle nostre lezioni avremo modo di approfondire le diverse competenze dei giudici minorili e non, pertanto in questa sede basti sapere che quando la domanda di mantenimento non è accessoria a quella di dichiarazione giudiziale, ed è dunque proposta autonomamente, è opinione prevalente che la competenza spetti al tribunale ordinario; ciò non tanto sulla base di una lettura orientata dell art.38 disp. att. c.c. quanto considerato che trattandosi di normale processo di rapporti patrimoniali tra soggetti adulti, non può che spettare al tribunale ordinario. L esercizio della potestà è regolato dall art.317 bis ed esso prevede che quando il riconoscimento è fatto da un solo genitore è a quest ultimo che spetta la potestà, se invece è fatto da entrambi la legge distingue a seconda che siano o non conviventi. In casi di separazione dei conviventi la potestà spetta al genitore con cui il figlio convive o se non convive con alcuno, a quello che per primo lo ha riconosciuto. Quello dei genitori che non esercita la potestà conserva il potere di vigilare sull istruzione e sull educazione e condizioni di vita del figlio, potendo ricorrere al giudice per le decisioni pregiudiziali. Prima che la legge sull affidamento condiviso fosse approvata, mancava una previsione normativa che disciplinasse i casi di crisi della coppia non sposata e convivente con i propri figli. Innanzi tutto in assenza di un accordo tra i genitori, l affidamento dei figli viene disposto dal giudice, se invece i genitori dovessero trovare un accordo, esso sarà efficace a prescindere dal preventivo controllo giudiziale anche se quello successivo è sempre necessario per verificare la 9 di 18

10 rispondenza all interesse della prole. Evidentemente in una situazione di crisi della coppia non sposata, ogni tipo di controllo che possa essere esperito dal giudice sugli accordi raggiunti dalle parti, anche successivo, avrà l unico prevalente scopo di valutare se sussistano i requisiti di tutela per la prole e non è invece diretto al vaglio del merito degli stessi. Pur avendo sostenuto che il tipo di rapporto che s instaura tra genitore e figlio naturale è lo stesso che verrebbe a crearsi con il figlio legittimo, il puncutm individuationis tra quest ultimo ed il figlio naturale è dato dal fatto che il primo entra a far parte della famiglia del suo genitore mentre, il rapporto che s instaura per effetto del riconoscimento esaurisce la sua efficacia nella relazione tra il riconosciuto ed il riconoscente, da ciò se ne desume la nascita di un rapporto di filiazione e non invece di parentela in linea retta o collaterale. Tale disposizione sebbene non contenuta nel codice civile del 1942 in dottrina era considerata come uno di principi della filiazione naturale. Sporadiche pronunce della Corte Costituzionale avevano già minato in passato l assolutezza di tale demarcazione ed attualmente la materia è disciplinata da regole che sono innovative da questo punto di vista. Dalle osservazioni svolte si può sostenere che né dall art. 74 c.c. né dal 258 c.c. è dato desumersi un presupposto che escluda la rilevanza della parentela naturale e ciò, se ci fosse stato, non sarebbe stato armonizzabile con i principi scolpiti nella Costituzione tant è che l art. 30 L 3 co non contiene una deroga al 1 ma ribadisce invece l eguaglianza nei rapporti familiari. In maniera definitiva e per dissipare dubbi che possano dar vita a contrasti interpretativi, la Corte ha offerto da una norma come l art. 258 c.c. non vada letta nei termini in cui escluda una rilevanza nei rapporti tra figli naturali e parenti del genitore così che la successione tra fratelli naturali troverebbe il proprio fondamento nella consanguineità e non nella parentela ; inoltre da un analisi dell art. 30 della Costituzione, essa prenderebbe in considerazione non i rapporti tra figlio naturale e genitore ma in ogni altro ordine di rapporti, anche se solo nel primo caso, avrebbe un efficacia precettiva immediata mentre nel secondo il limite alla discrezionalità coinciderebbe con il limite della ragionevolezza dell art. 3 della Cost. bilanciando interessi più ampi di quelli considerati nei rapporti tra membri della famiglia coniugale. Resta il fatto comunque che aldilà di ogni riforma che interessi la materia in questione, la nostra Corte non è riuscita a dare alla legislazione italiana le stesse innovative regole che in altri ordinamenti europei hanno eliminato il divario esistente tra la parentela legittima e la filiazione naturale; nella stessa sent. 376/2000 essa resta miope di fronte a problemi rilevanti impedendo la giusta e spontanea esplicazione del principio di eguaglianza e non discriminazione che spetta nell impianto costituzionale, interno ed europeo. 10 di 18

11 3 Il riconoscimento del figlio naturale Non esiste una definizione legislativa del riconoscimento anche se la dottrina ne ha date molteplici dirette a rispecchiare la natura stessa dell istituto. Il presupposto necessario è rappresentato dall esistenza del rapporto biologico di filiazione tra chi assume di essere genitore ed il preteso figlio ma altri elementi necessari sono un atto discrezionale di accertamento del rapporto biologico oppure la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità naturale ex art. 269 c.c. Dunque è sempre possibile per il figlio ottenere lo stato di figlio naturale riconosciuto ma all interno dell ordinamento non esiste alcun obbligo per il genitore di riconoscere il proprio figlio. Il riconoscimento consiste in una dichiarazione che una persona fa dell esistenza del rapporto biologico di filiazione tra essa dichiarante e un altro soggetto, deve essere prestato spontaneamente, dunque è atto discrezionale e volontario. Oltre a tali caratteristiche esso è unilaterale ed irrevocabile ex art.256 c.c. può essere effettuato dal padre e dalla madre in atti separati o congiuntamente ed in base all art. 250 c.c. e grazie alla novella del 1975, i genitori possono riconoscere il proprio figlio anche se già uniti in matrimonio con altra persona all epoca del concepimento, introducendo pertanto una significativa modifica nella materia del riconoscimento dei figli adulterini i quali precedentemente solo in casi eccezionali potevano essere riconosciuti. Esistono però dei limiti sanciti dal comma 2 dell art.250 c.c. ovvero che il riconoscimento del figlio che abbia compiuto i 16 anni non produca effetto senza l assenso di questo e che il riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i 16 anni, non possa avvenire senza il consenso dell altro genitore che lo abbia già riconosciuto. L art. 254 c.c. scolpisce il principio della vincolatività della forma, recitando appunto che esso possa avvenire nell atto di nascita o anche con un apposita dichiarazione ricevuta dall ufficiale dello stato civile o con atto pubblico o con testamento. Oltre ai già esaminati effetti del riconoscimento, esiste quello relativo al nome che merita di essere preso ad esame. Specificamente al figlio riconosciuto congiuntamente spetta il cognome paterno, se invece quello materno è avvenuto prima, al figlio maggiorenne è attribuita la possibilità di scelta se aggiungere o sostituire quello materno al paterno mentre per il figlio minorenne è il Tribunale di Minori a decidere con decreto motivato all esito di una procedura di giurisdizione volontaria. E stabilito dalla legge che il riconoscimento possa essere impugnato per difetto di veridicità, per violenza e per interdizione giudiziale; nel primo caso esso cadrà se non rispondente al vero, mentre negli altri due per il modo difettoso in cui è venuto ad esistenza, prescindendo dall accertamento della veridicità. 11 di 18

12 4 La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale Essa è esperibile in tutti i casi nei quali sarebbe possibile il riconoscimento. Tale disposizione è stata sottoposta ad una serie di limitazioni che precedentemente la rendevano applicabile in casi ristretti, i casi più rilevanti erano quelli che riguardavano la sola dichiarabilità della paternità; infatti l art. 278 c.c. non ammetteva le indagini sulla maternità e paternità dei figli incestuosi o adulterini anche quando nei loro confronti era ammissibile il riconoscimento. Con la novella del 1975 non si determinano più casi nei quali da parte dei figli adulterini ed incestuosi non sia possibile ottenere la dichiarazione giudiziale, pur essendo possibile il riconoscimento. Competente per materia a pronunciare la sentenza di dichiarazione di paternità o maternità naturale è il tribunale ordinario ma se l azione fosse proposta per far accertare il rapporto di filiazione tra il preteso genitore ed un soggetto minore, allora sarà competente il tribunale per i minorenni ex art. 38 disp. att. c.c. La legittimazione a promuovere l azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità spetta ex art.270 c.c. al presunto figlio finché viva e dopo la morte di questi ai suoi discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti che possono proseguire l azione o promuoverla se questa non era ancora iniziata. Riguardo al figlio l azione è imprescrittibile mentre per i discendenti vige il termine di decadenza di due anni dalla morte di lui. Anche il tutore può promuovere l azione ma in tal caso il giudice può nominare un curatore speciale e tanto perché la sostituzione della tutela con la potestà genitoria che consegue all accertamento del rapporto di filiazione, può far sorgere nel tutore un interesse opposto a quello del minore. L art. 269 c.c. statuisce che la prova della paternità e maternità naturale possa essere data con ogni mezzo con la particolarità che quella della paternità può essere solo basata sulle presunzioni non essendo possibile dimostrare un fatto particolarissimo come il concepimento ad opera del preteso padre. La sentenza che conclude il giudizio produce gli effetti del riconoscimento e fra tutti basti pensare a quelli patrimoniali, ereditari e personali come il diritto al cognome. Discutendo sugli effetti di tale pronuncia, nel contrasto tra chi vuole ravvisare il carattere dichiarativo e chi invece quello costitutivo, si può affermare che essa espleta la sua efficacia fin dal momento della nascita ed i termini di prescrizione dei diritti acquisti non decorrono dalla data della dichiarazione giudiziale in quanto sarebbe impossibile giuridicamente far valere diritti in dipendenza di uno stato non ancora accertato. 12 di 18

13 5 La legittimazione del figlio naturale Con la legittimazione il figlio naturale acquista la qualità di figlio legittimo, affermazione sacrosanta ma che ancora oggi giustifica le differenze che esistono tra figli nati fuori ed in costanza di matrimonio; tant è che tutti quegli ordinamenti che non considerano più tale differenza hanno anche abolito la legittimazione, istituto che sarebbe dovuto scomparire anche da noi se si fosse raggiunta una parificazione tra le due filiazioni. Un figlio si può legittimare per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice ma in entrambi i casi è fondamentale che il figlio venga riconosciuto; successivamente alla riforma non è più elemento sufficiente essendo necessario che esso sia efficace ex art. 250 c.c. La seconda ipotesi sarebbe quella residuale e subordinata rispetto a quella per susseguente matrimonio, in quanto condizionata all esistenza di un impossibilità o gravissimo ostacolo di questa. Con la legittimazione il figlio acquista i diritti del figlio legittimo e con tale espressione s intendono non solo le posizioni attive ma anche quelle passive, pertanto il genitore avrà diritto alla quota di legittima che non compete al genitore naturale. In direzione contraria rispetto a quanto accadeva nel passato, si deve escludere che la legittimazione comporti una modifica del regime della potestà che non verrà esercitata dal genitore legittimante ma dal genitore cui il figlio è affidato o da entrambi se conviventi o se così ha disposto il giudice, in occasione della separazione dei genitori segue le stesse regole, sia se si tratti di genitori coniugati che di genitori separati. Nel caso in cui i genitori non abbiano convissuto, l esercizio della potestà sui figli legittimi è regolato dall art. 317 bis norma che attribuisce al giudice ampi poteri discrezionali nel contemperare l esercizio della potestà dei genitori. Tali effetti decorrono dalla data del passaggio in giudicato della sentenza. In caso invece di legittimazione per susseguente matrimonio decorrono dalla data del matrimonio o da quella del riconoscimento, se esso è successivo. Nel caso di legittimazione successiva alla morte del genitore, decorrono dalla morte. 13 di 18

14 6 Potestà dei genitori e rapporti con i figli E di derivazione costituzionale la disciplina che regola gli obblighi gravanti sui genitori, ciò è quanto è disposto nell art. 30 della cost. e nell art.147 cc ma comunque non sono esauriti tutti i comandi che riguardano i figli. L essenza delle disposizioni evocate può riassumersi in un unica frase con la cura della prole ossia la predisposizione di tutto quanto è necessario affinché possa essere realizzato ogni interesse del figlio. Oltre ai doveri di custodire quest ultimo il figlio evitandogli ogni danno, esiste anche quello patrimoniale fungibile e coercibile che è il mantenimento, dovere che deve essere adempiuto congiuntamente da entrambi i genitori ed infatti proprio per tale ragione si è a volte parlato di gestione di affare altrui, tal altra di obbligazione solidale, altre volte ancora di concorso agli oneri ex art. 148 c.c. Tra tutti i doveri che incombono in capo ai genitori, sicuramente quello di mantenimento è il più significativo ed anche quello che ha rappresentato il contenuto di molte pronunce della giurisprudenza su come possa essere attuato, sulle condizioni dell azione e su quali conseguenze si prevedano in caso d inottemperanza. E necessario evidenziare che la misura dell obbligo è soggetta a criteri di determinazione complessi ed indipendenti dallo stato di bisogno dell avente diritto ed inoltre l obbligo del genitore inadempiente di rimborsare chi abbia provveduto al mantenimento in sua vece non si limita ai ratei maturati dopo la domanda, come l art. 445 c.c. dispone ma si estende anche agli esborsi effettuati in precedenza. Non è possibile indicare parametri rigidi ed assoluti per la sua quantificazione atteso che occorre tener conto non solo delle condizioni economiche dei genitori ma anche delle scelte soggettive relative al tenore di vita della famiglia. Inoltre, il quantum dovuto dal genitore è influenzato dal dovere personale del figlio convivente di contribuire in relazione alle proprie sostanze ed al proprio reddito al mantenimento della famiglia. Se la prole non può essere adeguatamente mantenuta per insufficienza dei mezzi a disposizione dei genitori ex art. 148 c.c. saranno tenuti gli ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità. Trattasi di un obbligazione sussidiaria che sorge a carico degli ascendenti non sul presupposto del semplice inadempimento ma su quello della mancanza di sostanze adeguate ad assicurare un esistenza conforme a quella della famiglia di appartenenza, diversamente, se il genitore dispone di mezzi ma pretende di non metterli a disposizione della prole, non potrà certo pretendere che in suo soccorso vadano gli ascendenti. 14 di 18

15 La particolare natura dell obbligo in questione ha spinto il legislatore ad introdurre una forma di tutela tipica attuabile anche a favore del figlio naturale, intendo riferirmi al procedimento a cognizione sommaria individuato ex art. 148 c.c co, in virtù del quale il presidente del tribunale ordinario, su istanza di chi vi abbia interesse, può con decreto ingiungere che una quota dei redditi del genitore inadempiente sia versata dal terzo debitore direttamente all altro genitore o a chi sopporta le spese del mantenimento, istruzione ed educazione. E ovvio che la disposizione presuppone l esistenza di un credito del genitore nei confronti di un terzo, la giurisprudenza di legittimità ha negato l utilizzabilità del procedimento in esame al fine di ottenere una condanna direttamente a carico del genitore inadempiente. La Corte Costituzionale ha stabilito che il procedimento monitorio possa essere adottato anche per ottenere la diretta condanna dell obbligato e che essa rappresenti titolo esecutivo per iscrivere ipoteca giudiziale. L ordine di pagamento è emanato in seguito ad un istruttoria limitata all assunzione di informazioni ed all audizione dell inadempiente ed ha il carattere di una condanna in futuro che è anche determinativa della quota di contribuzione dovuta; il decreto presidenziale è immediatamente esecutivo pur essendo impugnabile secondo le forme dell opposizione a decreto ingiuntivo, con possibilità per le parti di ottenere la modifica o la revoca del provvedimento instaurando un procedimento ordinario. L art co stabilisce che l esercizio della potestà spetta ad entrambi i genitori e le relative scelte sono soggette al principio dell accordo. In assenza di poteri decisionali ordinati, l accordo rappresenta l unico sistema capace di assicurare l assolvimento delle funzioni, in una logica del tutto analoga a quella da cui s ispira l art. 144 c.c. in tema di rapporti tra coniugi. Quando i genitori convivono, le deroghe alla regola dell esercizio congiunto costituiscono ipotesi eccezionali, nel caso invece in cui seguissero la separazione od il divorzio o l annullamento del matrimonio, si sottolinea che la potestà comune non cessa nemmeno a seguito dell affidamento all altro genitore ma si rinvia all art. 155 c.c. radicalmente modificata dalla legge sull affidamento condiviso. Ecco che dunque il parametro normativo muta, operandosi un passaggio dal sistema monogenitoriale a quello bigenitoriale ritenuto più adatto a realizzare l interesse del minore a non essere ostaggio del conflitto tra i coniugi. Quanto contenuto nella legge 54/2006 in verità era stato già attuato per certi versi con la legge sul divorzio nel momento in cui è stato previsto l affidamento congiunto o alternato. La centralità dell interesse del minore, con riguardo alla potestà, dovrebbe condurre a mitigare una serie di conseguenze costringendo a fermare l interpretazione della lettera 15 di 18

16 dell innovazione normativa. E necessario mantenere il collegamento tra le disposizioni poiché il rischio reale che si correrebbe è quello di legittimare interpretazioni rigide del precetto relative all attribuzione della potestà. Così, da una visione d insieme delle regole se ne desume che è da prediligere la condivisione sia dell affidamento sia dell esercizio della potestà, che richiederebbe, al fine di una diversa scelta, motivazioni basate su gravi esigenze. Non può nascondersi che anche volendo favorire l applicazione dell affidamento condiviso, spesso esistono conflitti tra i coniugi non facilmente arginabili nemmeno con l imposizione dell applicazione di regole di buona convivenza come vorrebbe fosse nell intento del legislatore, l esplicazione della bigenitorialità, pertanto, in caso di conflitti, sarà il giudice a prendere decisioni favorevoli al perseguimento dell interesse prevalente dei figli. Al verificarsi d ipotesi siffatte l art. 316 c.c. dirime il conflitto che potrebbe venirsi a creare in caso di questioni di particolari importanza e cioè non può essere utilizzato per risolvere qualunque divergenza ma solo problemi d essenziale rilievo nei rapporti con i figli, tant è che in dottrina si propone d interpretare la norma restrittivamente, in armonia con una tendenza che tenda ad evitare interferenze esterne nell autonomia della famiglia. Casi al verificarsi dei quali il ricorso indicato sia possibile possono considerarsi solo quelli che riguardino le scelte in materia d indirizzo scolastico o educativo o di cure mediche o quelle che abbiano attinenza al prenome da imporre al figlio invece un intervento diretto ad esprimere giudizi di valore sulle scelte religiose devono essere esclusi. Competente in tale ambito è il tribunale di minorenni con istanza presentata o da uno da entrambi i genitori; il figlio invece non ha legittimazione pur potendo solo essere sentito se abbia compiuto i quattordici anni d età. Le norme dettate in tema di potestà genitoriale sono state formulate avendo in mente quelle sulla famiglia fondata sul matrimonio ma l art. 317 bis ha esteso ai genitori naturali prerogative analoghe a quelle spettanti ai genitori legittimi. Se il rapporto di filiazione naturale viene accertato con riguardo ad un solo genitore nulla quaestio atteso che la potestà si concentra esclusivamente in capo a costui; se invece il rapporto di filiazione è stato accertato nei confronti di ambedue i genitori la situazione cambia, soprattutto se la si pone in parallelo con quella dell affidamento condiviso. Resta da chiedersi infatti se a seguito dell entrata in vigore di questa significativa riforma abbia subito abrogazioni il contenuto dell art.317 bis poiché vi è un estensione delle sue regole anche a situazioni di scioglimento, cessazione o nullità del matrimonio nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. In effetti pare proprio non esista tale abrogazione in quanto il legislatore ha voluto riferirsi anche ai procedimenti concernenti i figli di genitori non coniugati e 16 di 18

17 non ha voluto invece imporre l applicazione delle nuove regole alle situazioni sostanziali di filiazioni naturali. Figure importanti che con la loro attività sono preposte al conseguimento dell interesse del minore sono il tutore ed il giudice tutelare. Quest ultimo è insediato nel tribunale del luogo dove è domiciliato il minore, emana i provvedimenti concernenti l amministrazione del patrimonio concedendo anche alcune delle autorizzazioni agli atti di amministrazione straordinaria ed ha competenza esclusiva per la nomina o rimozione o sospensione del tutore o del protutore che abbia male adempiuto ai propri doveri o abusato degli stessi o divenuti indegni. Il tutore invece ricopre un ufficio di diritto privato ed ha carattere doveroso in quanto il soggetto nominato non può esimersi dallo svolgere la propria funzione; a questo è affidata la cura del minore e la sua rappresentanza, nonché l amministrazione dei suoi beni, gli sono dovuti rispetto ed obbedienza da parte del minore gli è attribuito il diritto di richiamarlo il minore nel caso in cui si allontani dalla residenza, eventualmente ricorrendo anche al giudice tutelare. 17 di 18

18 Bibliografia Trattato di diritto di famiglia vol III Bonilini Cattaneo Finocchiaro-Diritto di famiglia Milano 1984 Quaderni Aiaf Bianca La filiazione in generale in La riforma del diritto di famiglia. 18 di 18

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