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1 Federazione Confsal-Unsa Coordinamento Nazionale Giustizia Via della Trinità dei Pellegrini, Roma Sommario: L editoriale: (di M. Battaglia) (di Red.) 1. Una volta annullato il licenziamento, non può essere inflitta una seconda sanzione dopo l'esito del processo penale. 2. Licenziamento per giusta causa al dipendente che ruba sul posto di lavoro. 3. Giustificato il rifiuto della prestazione da parte del lavoratore se c'è il rischio ambientale di esposizione all'amianto.

2 Pagina2 L Editoriale di Massimo Battaglia Serietà nella politica sindacale In questi giorni di campagna elettorale, è sconfortante come si debbano ascoltare e/o leggere le dichiarazioni d intenti, i programmi, i propositi di riforma di questa o quella legge, di questa o quella Istituzione, e addirittura della Costituzione, che quasi tutti i personaggi del mondo politico, in cerca di un seggio alla Camera o al Senato, si affannano a farci conoscere per cercare di convincerci che questa volta, se li votiamo, le cose cambieranno veramente. Il problema più grande, lo sappiamo, è quello delle condizioni economicofinanziarie del Paese, quindi tutti si affannano a proporre soluzioni da premi Nobel per l economia. Mai nessuno, però, che proponga ricette semplici, e soprattutto realizzabili in tempi brevi! Secondo autorevoli studi, i cui risultati sono apparsi il 22 gennaio sulla stampa nazionale, i redditi degli italiani sono destinati a diminuire e a tornare ai livelli del 1986, quando ancora regnava la lira. Stando a un'analisi di Rete Imprese Italia, il dato è sceso a meno di 17mila euro: ovvero euro contro i euro dello scorso anno. Nel 2007, anno d inizio della crisi, il dato era a euro. E scivolerà ancora fino ad arrivare appunto a euro, il livello di 27 anni fa (!). Come diretta conseguenza, anche i consumi registrano, inevitabilmente, un segno negativo. *** Riteniamo sia stato utile fare questa breve premessa, basata non sulla demagogia e sul populismo (cosa a cui sono abituati altri soggetti), ma sulla crudezza dei numeri, che non sono interpretabili, e ci dicono che i cittadini italiani e in particolare i lavoratori dipendenti (e i pensionati) se la stanno passando veramente male, molto male! Infatti, più della metà del c.d. ceto medio è ormai ridotto allo stremo delle forze, e il 14% della popolazione è entrato addirittura a far parte di quella

3 Pagina3 fascia sociale ormai caduta nella povertà; e questo è un dato davvero impressionante! Ma che Paese è questo? A fronte di tutto ciò cosa può fare il Sindacato affinché i lavoratori dipendenti possano evitare questa incredibile umiliazione. La prima cosa a cui dovrebbe attenersi è quella di non illudere (propagandisticamente) i lavoratori, con promesse roboanti che dovrebbero (nelle loro intenzioni) farli apparire come i soli paladini dei lavoratori medesimi. La seconda cosa sarebbe quella di essere più realisti, più pragmatici. Ogni volta che ci si siede a un tavolo di trattativa bisogna fare anche l impossibile per portare a casa un risultato concreto, che dia un po di respiro all economia familiare di ciascun lavoratore. Invece, come in occasione di alcuni recenti accordi (l ultimo è stato sul FUA 2011 e 2012), i sindacati firmatari debbono sistematicamente subire le aggressioni verbali di quei sindacati dissenzienti che, per farsi belli, chiedono ogni volta la luna nel pozzo, pur essendo perfettamente consapevoli della drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. A volte sembra proprio di sbattere contro un muro di gomma: non riescono a guardare oltre la punta del loro naso! *** Ma, tornando al bla bla bla che si sente in questo periodo pre-elettorale, la cosa più impressionante è che NESSUNO, fino ad ora, ha reso noto il suo programma in materia di GIUSTIZIA! Nessuno ha spiegato ai cittadini cosa intende fare per migliorare la condizione lavorativa dei dipendenti del Ministero della Giustizia, dei Tribunali e degli Istituti di pena. Nessuno, poi (figurarsi), ha parlato di risorse da destinare al finanziamento del salario accessorio, degli straordinari; al finanziamento delle spese vive indispensabili al funzionamento delle strutture giudiziarie (dai vari uffici, centrali e periferici, agli Istituti di pena) e garantire, quindi, l adeguato funzionamento della macchina-giustizia. Per Confsal-Unsa, sono proprio questi gli argomenti da portare al tavolo delle trattative e da risolvere in fretta, e non (come ci tocca leggere in certi comunicati) argomenti futili e inconcludenti (data la situazione del Paese), infarciti di populismo e demagogia a un tot al chilo!

4 Pagina4 Intanto, l accordo di mobilità del personale degli uffici da sopprimere continua ad essere applicato, e il prossimo 31 gennaio saranno pubblicati gli altri interpelli previsti. Anche su questo argomento c è stato chi ha criticato pregiudizialmente. Per carità, le critiche, se costruttive, sono sempre bene accette. Ci appare però che la stragrande maggioranza dei lavoratori coinvolti abbia ben accettato i contenuti dell accordo. Laddove vi sono stati i ricorsi d urgenza, vedremo come andrà a finire la vicenda, il cui esito, comunque, aspettiamo con grande serenità, nella consapevolezza di aver sottoscritto un accordo i cui contenuti sono sicuramente più favorevoli per i lavoratori rispetto alle rigidità dei decreti legislativi 155 e 156 del In buona sostanza, anche se i risultati non sempre sono pieni di mirabolanti effetti speciali (a causa della difficile situazione del Paese), sono sicuramente un indice della serietà della politica sindacale di Confsal-Unsa. E i dati ufficiali sulla rappresentatività (che ci collocano come primo Sindacato nel Ministero della Giustizia) lo confermano ampiamente. Torna all indice

5 Pagina5 Cassazione. Sentenza n /2012. Una volta annullato il licenziamento, non può essere inflitta una seconda sanzione dopo l'esito del processo penale. Con sentenza numero 23481/2012, La Corte di Cassazione ha chiarito che una volta dichiarata l'illegittimità di un primo licenziamento per tardività dell'addebito disciplinare rispetto al fatto accertato, non si può procedere ad una seconda sanzione all'esito del procedimento penale riferito agli stessi fatti contestati. Ciò infatti violerebbe il principio del ne bis in idem, comune a tutti i rami del diritto. Secondo la corte la sentenza del giudice penale non è un fatto nuovo e per questo non legittima il datore di lavoro ad esercitare una seconda volta il potere disciplinare. L'iter giudiziario aveva inizio qualche anno fa, quando ad un uomo che lavorava alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro veniva indirizzata la notifica di un provvedimento disciplinare che lo accusava di essersi indebitamente appropriato del denaro dei clienti per un ammontare di oltre euro, in seguito alla quale veniva dapprima sospeso e infine licenziato. Il lavoratore, dopo aver impugnato il provvedimento, otteneva però soddisfazione da parte del Tribunale adito, il quale dichiarava il licenziamento illegittimo e contemporaneamente ordinava l'immediata reintegrazione dell'uomo sul posto di lavoro.

6 Pagina6 Tuttavia la Banca, nello stesso momento in cui come da richiesta reintegrava il lavoratore, gli opponeva altresì un altro provvedimento punitivo, dichiarando che nel frattempo era intervenuta nei suoi riguardi sentenza di condanna in primo grado a carcere e multa per truffa ai danni della Banca stessa, contestandogli, tra l'altro, anche l' omissione della comunicazione all'ente della motivazione della sentenza di condanna; a seguito di ciò, il lavoratore veniva quindi nuovamente licenziato. Anche stavolta tuttavia, il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento, in quanto i motivi alla base di esso erano i medesimi del precedente, per cui se era stato giudicato illegittimo il primo provvedimento lo stesso doveva valere, a maggior ragione, per quello successivo. La Banca non aveva dunque alcun diritto di esercitare un potere disciplinare ormai consumato rispetto a detta circostanza. Quanto all' obbligo di informazione cui il lavoratore non avrebbe adempiuto, la Corte stabiliva che esso era ascrivibile alla sola notizia dell' avvio del procedimento a suo carico e che non sussisteva alcun onere di comunicazione della motivazione alla base della sentenza. Torna all indice Cassazione, Sezione, lavoro, sentenza n. 802 del 15/1/2013. Licenziamento per giusta causa al dipendente che ruba sul posto di lavoro. Con sentenza del 28 marzo 2006 la Corte d Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 1 febbraio 2005, che aveva rigettato la domanda di I. G. volta ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento per giusta causa irrogatogli da T. s.p.a. in data 31 marzo La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando provato il fatto addebitato allo I. consistito nel furto di sessanta litri di carburante, sulla base delle prove testimoniali assunte; ha considerato irrilevante l'archiviazione del procedimento penale promosso a carico dello I. per i medesimi fatti, ed ha considerato anche proporzionata alla gravità del fatto, la sanzione in questione.

7 Pagina7 Lo I. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad unico motivo articolato.resiste con controricorso T. che ha presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 2ll9 cod. civ. e 102 del CCNL di categoria, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la corte territoriale non avrebbe interpretato correttamente le prove testimoniali poste a fondamento della decisione impugnata, né avrebbe considerato la pronuncia di archiviazione per il medesimo fatto in sede penale ove, fra l'altro, T. non ha ritenuto neppure di costituirsi parte civile a conferma della assenza di danno patito per il fatto. Inoltre si lamenta che la corte d'appello non avrebbe esaminato compiutamente la proporzionalità e adeguatezza del comminato licenziamento rispetto alla condotta ascritta al lavoratore. Il ricorso è infondato. ll ricorrente propone sostanzialmente una rivisitazione del giudizio operato dai giudici di merito sia per quanto riguarda la valutazione delle prove, sia per quanto riguarda la proporzionalità della sanzione. Tali giudizi, riguardanti il merito, sono riservati ai giudici di merito e, come costantemente affermato da questa Corte, non sono sindacabili in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivati come nel caso in esame. Per quanto riguarda la dedotta mancanza di valutazione del giudizio penale subito dal lavoratore per i medesimi fatti che hanno condotto al licenziamento e conclusosi con sentenza di assoluzione, va affermato che il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, che sia stato comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto svincolate dall'esito del procedimento penale (per tutte Cass. 9 giugno 2005 n ); ed in ogni caso, poi, la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere da quel giudice operata alla stregua della "ratio" degli artt cod. civ. e della legge 15 luglio 1966 n. 604, e cioè tenendo conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali, sicché non incorre in vizio di contraddittorietà la sentenza che affermi la legittimità del recesso nonostante l'assoluzione del lavoratore in sede penale per le medesime vicende addette dal suo datore di lavoro a giustificazione dell'immediata risoluzione del rapporto (Cass. 05 agosto 2000, n ).

8 Pagina8 Al rigetto del ricorso consegue la condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in 40,00 per esborsi, oltre 3.000,00 (tremila,00) per compensi oltre accessori di legge. Così deciso in Roma il 10 ottobre Torna all indice Corte di Cassazione, sentenza n del 22 gennaio Giustificato il rifiuto della prestazione da parte del lavoratore se c'è il rischio ambientale di esposizione all'amianto. La Corte di Cassazione, con sentenza n del 22 gennaio 2013, ha affermato che il comportamento del lavoratore che rifiuta la prestazione, poiché a conoscenza di difetti negli impianti e nella organizzazione del lavoro relativi alle operazioni di bonifica dall'amianto, ritenuti pericolosi per la salute degli addetti a tali lavorazioni, è giustificato come reazione all'inadempimento da parte dei datore di lavoro agli obblighi nascenti dall'art c.c. Il Tribunale aveva precisato che"il comportamento dei lavoratori, che avevano marcato il cartellino di presenza, ma poi si erano rifiutati di lavorare nelle zone a rischio, esprimesse una giustificata reazione all'altrui inadempimento ai sensi dell'art c.c., implicitamente valutando come irrilevante il fatto che dopo la timbratura all'orologio marcatempo i lavoratori si fossero trattenuti nelle vicinanze, senza recarsi ai singoli reparti di produzione, ma neppure allontanandosi dall'officina". E tale valutazione non appare irragionevole agli occhi dei giudici di legittimità "tenuto conto dei motivi dell'iniziativa, indicate dal Tribunale nell'avvenuta conoscenza da parte dei lavoratori del contenuto del verbale di sopralluogo del medico che riportava notizie allarmanti con riguardo a detto luogo di lavoro e del fatto che alcuni dipendenti (evidentemente ritenuti diversi da quelli esposti allo specifico rischio) avevano regolarmente lavorato.

9 Pagina9 "La Suprema Corte ha altresì precisato che " la responsabilità dell'imprenditore ex art c.c., pur non configurando una ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudale, ma deve ritenersi volta a sanzionare, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico; inoltre, nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell'art c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e le condizioni di salute del prestatore di lavoro, rendendosi così inadempiente ad un obbligo contrattuale, questi, oltre al risarcimento dei danni, ha in linea di principio il diritto di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute". Torna all indice

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