Con sentenza del 26 febbraio 2003 il Giudice per l'udienza preliminare

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1 TEMI ROMANA RENATO BORZONE * UNA MINACCIA PER LA LIBERTÀ DEL DIFENSORE l. PREMESSA Con sentenza del 26 febbraio 2003 il Giudice per l'udienza preliminare di Torino ha condannato un avvocato per il reato di falso ideologico e favoreggiamento personale in relazione a dichiarazioni da questi assunte nell'ambito di un'attività di investigazione difensiva. Non è ovviamente questa la sede per discutere dei profili di responsabilità del legale né dei dettagli delle attività da lui poste in essere, che certamente saranno sottoposti al giudice d'appello. Basterà qui ricordare che l'avvocato in questione (la circostanza è pacifica) ha riconosciuto di aver omesso di verbalizzare alcune dichiarazioni sfavorevoli al proprio assistito, rese da una persona informata sui fatti ex art. 391 bis C.p.p., assumendo che rientri tra i poteri-doveri del difensore solo quello di verbalizzare circostanze favorevoli. Oggetto di critica e discussione è la valutazione del giudice di merito circa la realizzazione, in tali ipotesi, del delitto di cui all'art. 479 c.p., e dunque circa la natura di "atto pubblico" del verbale delle dichiarazioni raccolte dal difensore nel corso delle indagini difensive. Strettamente connesso a tale punto è quello della sussistenza o meno della qualifica di pubblico ufficiale in capo all'avvocato, almeno nel momento in cui dà corso alla verbalizzazione delle dichiarazioni disciplinate dal1'art 391 ter c.p.p. Prima di entrare nel merito dei principali punti controversi della questione, è bene ricordare - salvo tornarvi più avanti - che le Camere Penali italiane, fin dalla vigenza dell' originario articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice di rito penale, provvidero a predispone direttive deontologiche poi rielaborate dopo 1'entrata in vigore della legge del 2000 sulle investigazioni difensive. Dal complesso di tali disposizioni l si ricava che non vi dell'unione è alcun dubbio circa la sussistenza di un obbligo, da Penali italiane 1996 e delle parte dell'avvocato che proceda all'assunzione di informazioni ex art. 391 bis c.p.p., di uerbalizzare integral- del mente (eventualmente in forma riassuntiva) quanto a sono lui venga riferito. nella motivazione Invero, la facoltà di scelta circa l'utilizzazione o meno del GUP di di tali dichiarazioni (conelata al diritto-dovere del legale di produrre soltanto elementi a favore del proprio assistito) dovrà avvenire in relazione, per così dire, ad una valutazione complessiva dell'atto, senza che sia possibile l Si tratta delle Direttive deontologiche delle Camere del 30 marzo Regole di comportamento penali sta nelle investigazioni difensive del 19 aprile Tali disposizioni riportate della sentenza Torino.

2 12 TEMI ROMANA 2002 "scegliere" quali dichiarazioni verbalizzare tra quelle effettivamente rese dalla persona informata sui fatti alla presenza del difensore. Èovvio che, peraltro, la realtà potrà presentare delle sfumature: sicché non sarà censurabile il comportamento del difensore che, prevedendo (o paventando) il pericolo di determinate risposte, ometta di rivolgere alcune domande alla persona informata sui fatti (con il rischio peraltro che tali domande, in seguito, siano rivolte dal pubblico ministero o dal giudice). Ove tuttavia la persona informata sui fatti riferisca, in ipotesi, circostanze sfavorevoli (o perché la domanda era generica o per qualsiasi altra ragione), non v'è dubbio che il difensore sia deontologicamente tenuto all'integrale verbalizzazione anche degli elementi sfavorevoli. Altro problema è tuttavia se il verbale delle dichiarazioni assunte dal difensore sia da considerare un atto pubblico (con sussistenza del delitto di cui all'art. 479 c.p. in caso di falsità dello stesso) e se l'avvocato-verbalizzante sia da ritenere, in tale veste, un pubblico ufficiale, così come ritenuto dal giudice subalpino. Secondo chi scrive le conclusioni della citata sentenza non sono condìvisibili e, oltre ad essere "pericolose" per la libertà dell'avvocatura, sembrano far emergere i primi tentativi della magistratura di "liquidare" in qualche modo la rivoluzionaria disciplina in tema di indagini difensive. Ciò non significa, ovviamente, che debba esser consentito ai legali di "manipolare" fraudolentemente il contenuto delle dichiarazioni che assumono, ma solo constatare come, allo stato, l'unica sanzione applicabile potrebbe e dovrebbe essere quella di natura disciplinare. È peraltro probabilmente auspicabile che sia introdotta una specifica norma incriminatrice che preveda, con tutte le particolarità del caso e colmando la lacuna dell'ordinamento, la punizione del difensore che si renda responsabile di siffatti non commendevoli comportamenti. Ma questo, come si dice, è un discorso de iure condendo. Certamente le Camere Penali sono ( e sono state) le prime a pretendere la massima severità per eventuali comportamenti "manipolativì" delle dichiarazioni assunte dal difensore, nella consapevolezza che ai nuovi delicatissimi poteri conferiti debbano corrispondere doveri altrettanto cogenti. 2. LE SENTENZA DEL GUP DI TOillNO E I PUNTI CONTROVERSI Secondo il Giudice torinese esiste (e come si è visto tale premessa è condivisibile) un obbligo di verbalizzazione integrale delle dichiarazioni rese al difensore. Da tanto discende che la verbalizzazione debba essere neèessariamente completa e fedele anche in considerazione dell'utilizzo processuale che di essa è previsto, anche "con valore di prova".. Ne consegue, secondo il GUP, che "il verbale delle informazioni documentate è un atto pubblico al pari degli altri atti del processo e che, limitatamente al momento in cui egli riceve le informazioni e le verbalizza, il difensore è pubblico ufficiale". La nozione di pubblico ufficiale conseguirebbe ex art. 357 c.p. dalla

3 TEMI ROI"tANA 2002 IL CASO 13 nozione oggettiva introdotta dalla legge 86/1990: l'attività di assunzione di informazioni avrebbe la caratteristica della pubblica funzione giudiziaria, sia perché concernente un atto avente valore processuale, sia perché sarebbe pubblica coinvolgendo un terzo (il dichiarante), sia perché l'atto può essere posto dal giudice a fondamento della propria sentenza. 3. SFERA DI ATTIVITÀ DEL DIFENSORE NELL' AMBITO DELLE INDAGINI DIFENSIVE E NATURA DELL' ATTO IN CUI VENGONO RACCOLTE LE DICHIARAZIONI EX ART. 391 BIS c.p.p. Le conclusioni cui è pervenuto il Giudice per l'udienza preliminare torinese sono quantomeno opinabili. Deve anzitutto ritenersi che la particolare disciplina dell'attività del difensore che dà corso alle indagini previste dall'art. 327 bis (compreso il momento in cui raccoglie dichiarazioni ex art. 391 bis) non sia tale da consentire l'inquadramento della stessa nel parametro di cui all'art. 357 c.p., continuando a sembrare più corretto il tradizionale inserimento del difensore nell'ambito dei soggetti che svolgono un servizio di pubblica necessità. La disciplina della nuova legge prefigura infatti un'attività che continua a svolgersi nell'ambito del servizio di pubblica necessità e che consente di scongiurare l'impostazione di un avvocato "in divisa'" che contrasterebbe con i principii irrinunciabili della libertà ed indipendenza del difensore nell' espletamento del suo mandato professionale. di un in Si consideri anzitutto che l'art. 327 bis individua l'attività d'indagine difensiva come diretta esclusiva- non mente a ricercare elementi favorevoli al proprio assi- 2 L'espressione è di Massimo abili (Diritto e Processo; n. 1/2001, p. 14), che denuncia il rischio del" delinearsi difensore pubblicizzato, divisa, con memorie fauste a ciò collegahili". stito (a differenza del Pubblico Ministero, pubblico ufficiale, che ricerca sia gli elementi contrari che quelli favorevoli). Tali investigazioni devono svolgersi nelle forme e per lefinalità stabilite nel titolo VI del libro V del codice di rito. Come già accennato, le dichiarazioni che il difensore assume, infatti, sono finalizzate al perseguimento di ben specifici e mirati risultati processuali. Nel raccogliere le informazioni il difensore non è tenuto, ad esempio, a chiedere all'interrogato quanto a sua conoscenza, in generale, sui fatti oggetto di indagine, ma ben può rivolgere solo specifiche domande, disinteressandosi di altri aspetti che possano condurre a risultati sfavorevoli. In proposito si è rilevato' come non sia casuale la circostanza per cui il legislatore, nella nuova norma 3 Renato Brichetti- Ettore Randazzo, Le indagini della difesa, Giuffrè, 200 l incriminatrice di cui all'art. 371 ter c.p. (false dichiarazioni al difensore), non preveda - differentemente da quanto accade per l'art. 371 bis (false dichiarazioni al p.m) - la punibilità della reticenza (l'articolo 371 ter non riproduce infatti la formula del 371 bis "tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito"). Tale scelta legislativa va collegata al fatto che, dovendo il difensore svolgere attività d'indagine solo a favore del proprio assistito, si è ipotizzata

4 14 TEMI ROMANA 2002 IL CASO come frequente l'ipotesi che la persona informata sui fatti taccia almeno in parte ciò che sa non essendole state scientemente rivolte dal legale domande che potrebbero far emergere circostanze sfavorevoli per il suo cliente. È dunque confermato che l'avvocato non persegue superiori ed ulteriori interessi diversi da quelli del proprio assistito e che l'attività di indagine di difensore e pubblico ministero si svolge all'interno di "binari" che corrono in direzioni opposte., Cfr. Corte Costituzionale. semenza 145/1991. Sotto altro profilo, il pubblico accusatore ha l'obbligo 4 di trasmettere al giudice indistintamente tutto il materiale documentale raccolto nel corso del procedimento penale. Il difensore, viceversa, non ha alcun obbligo di depositare elementi (ivi comprese le dichiarazioni raccolte ex mi. 391 bis c.p.p.) che si pongano in contrasto con l'interesse processuale del suo assistito, e dunque ha una mera facoltà di produrre al Giudice tali elementi (art. 391 octies c.p.p.). Secondo taluni tale facoltà di "non produzione" comporterebbe finanche un potere di distruzione dell'atto non prodotto. Ancora, il difensore, proprio in ragione della peculiarità della posizione "privatistica" riconosciutagli, non ha l'obbligo di denuncia riguardo ad eventuali reati di cui sia venuto a conoscenza nel corso della sua attività investigativa (art. 334 bis c.p.p.). Da tali indici si deduce che la finalità delle disposizioni di legge sulle indagini difensive non è quella di tutelare la genuinità della prova ma di assicurare il diritto di difesa ed il contraddittorio in un contesto che tiene ben presenti le differenti finalità che si propongono, rispettivamente, l'organo dell'accusa e quello deputato alla difesa. Finalità che non possono non rilevare nella qualificazione soggettiva del difensore ex arto 357 c.p. Quanto si è sin qui detto in ordine all'attività del difensore in sede d'investigazione trova speculare riscontro nell'esame del problema relativo alla natura pubblica dell' atto nel quale sono raccolte le dichiarazioni previste dall'art. 391 bis e la cui disciplina è contenuta nell'art. 391 ter c.p.p. Se è vero infatti che quest'ultima norma, al terzo comma, prevede l'osservanza delle disposizioni (sui verbali) previste dal titolo III del libro secondo del codice, non si può non rilevare che ciò è imposto soltanto in quanto tali disposizioni siano applicabili. Tale espressa riserva dà conferma della peculiarità dell'attività del difen- s Domenico Battista. "Quando indaga ex art. 327 bis l'awocato è un pubblico ufficiale" (il titolo non rispecchia l'opinione dell'autore, n.d.e.), su Diritto e Giustizia, n. 24/2003, pago 74. sore e soprattutto di quelle specifiche finalità cui la stessa è diretta e che sono espressamente richiamate dall'art. 327 bis c.p.p.. In altre parole, il rinvio dell'art. 391 bis agli articoli da 134 a 142 del codice non è automatico ma "paramètrato" alla concreta possibilità di applicazione di tali disposizioni alla peculiare attività del difensore. Come è stato osservato,' se non vi è dubbio che il verbale documentato nelle forme previste dal titolo II del libro secondo del codice, redatto alla presenza di un

5 TEMI ROMANA magistrato, assume il valore di atto pubblico, tale "valore" è determinato dalla presenza di essenziali ed inderogabili condizioni. TIGiudice è assistito exart. 135 dall'ausiliario, che redige il verbale; quest'ultimo è sottoscritto anche "dal pubblico ufficiale che lo ha redatto" (art. 137 c.p.p.). La riproduzione fonografica od audiovisiva non è effettuata né dal giudice né dall'ausiliario ma da altro "personale tecnico" (art. 139 c.p.p.). Sono perciò evidenti le diversità in punto di modalità di redazione dei verbali ex artt. 134 ss. c.p.p. ed ex artt. 391 bis e ter c.p.p. Il difensore, tra l'altro, può avvalersi per la redazione del verbale di "persona di sua fiducia" (non pubblico ufficiale) e può anche procedere senza alcun ausilio di personale tecnico alla riproduzione fonografica o audiovisiva. Non a caso l'analogo rinvio al titolo III del libro secondo contenuto nell'articolo 373 c.p.p. (documentazione degli atti del Pubblico Ministero) è effettuato in modo assoluto, senza incisi o riserve quale quella menzionata nel citato terzo comma dell'art. 391 ter. Non sembra perciò condivisibile l'argomento del GUP di Torino che desume la natura di atto pubblico del verbale de qua dal richiamo al titolo III del libro secondo del c.p.p. In proposito è stata ancora rilevata 6 la singolarità della circostanza per cui tale atto pubblico, non ncessariamente destinato ad essere utilizzato (art. 391 octies c.p.p.) potrebbe essere legittimamente occultato e distrutto, fatto che il GUP di Torino non ritiene "intrinsecamente contraddittorio" con la natura pubblica dell'atto stesso. s Domenico Battista; cfr. supra, nota 5. È opinabile, infatti, ritenere che un atto pubblico possa rimanere nella disponibilità di chi lo ha redatto, essere occultato e persino distrutto, ammettendo si dunque la possibilità che il difensore, dopo avere in ipotesi commesso il reato di cui all'art. 479 c.p. sia legittimato a distruggere il corpo del reato. Conclusivamente, non può dunque convenirsi con la decisione in commento riguardo al fatto che la redazione del verbale di informazioni ex art. 391 bis trasformi "automaticamente" il difensore (ed il suo sostituto) in pubblici ufficiali magari, come è stato di lezitti, h 23/2003, p. 73. a giunspru enza l egìttìmìta a sempre nega- osservato.r'u cagione di una ineluttabile, rigida qualità ontologica del verbale quale atto pubblico". 4. Co L.. CLUSIO I d to la natura pubblicistica della funzione del difensore sul presupposto 7 Giuseppe Frigo, "Invariata la qualità della funzione dell'avvocato, che non può essere considerato pubblico ufficiale", in Guida al Diritto de "Il Sole-24 Ore", n. per cui lo stesso "allorché esercita il proprio ministero nel processo penale, non riveste la qualifica di pubblico ufficiale né quella di incaricato di pubblico servizio bensì quella di esercente un servizio di pubblica necessità atteso che il suo ruolo nel procedimento nonostante i rilevanti aspetti pubblicistici che lo circondano, attiene essenzialmente alla cura e alla tutela degli interessi processuali dell'imputato o di altra parte privata." (Cass. VI, 7 ottobre 1972, Zanzarri).

6 16 TEMI ROMANA 2002 Tale impostazione è ancora condivisa da buona parte della dottrina, ed anche dopo la introduzione della nuova disciplina delle indagini difensive. Così, ad esempio, nel Compendio di Procedura Penale di Giovanni Conso e Vittorio Grevi si afferma che "il difensore, nel momento in cui svolge l'indagine difensiva e ne documenta i risultati, conserva la sua ordinaria qualità di esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.) e non assume quella di pubblico ufficiale, che sarebbe incompatibile con la libertà che deve caratterizzare tutta la sua attività". In conclusione, sulla questione esaminata sarebbe possibile svolgere ulteriori considerazioni circa, ad esempio, la non decisività degli argomenti del Giudice torinese circa l'autenticazione della firma della persona informata sui fatti da parte del difensore, che darebbe conferma della natura di atto pubblico del verbale de quo (la Cassazione ha infatti chiarito che l'avvocato non assume la qualifica di pubblico ufficiale sol perché la legge lo autorizza a certificare come autografa la firma su un mandato). Tuttavia, al di là di quanto sin qui sommariamente esposto, quel che maggiormente interessa è la considerazione di carattere generale per cui la valutazione pubblicistica del difensore (sia pure limitatamente ad alcune sue attività), porrebbe in pericolo la tradizionale configurazione dell' avvocato quale libero ed indipendente prestatore d'opera intellettuale' non sottoposto a doveri e condizioni diverse da quello di assicurare - nel rispetto della legge e delle disposizioni deontologiche- l'interesse del proprio assistito. * Presidente della Camera Penale di Roma

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