La città medievale 1382: la dedizione di Trieste all Austria. di Paolo Cammarosano

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1 La città medievale 1382: la dedizione di Trieste all Austria di Paolo Cammarosano

2 Mi è stato chiesto di parlare della dedizione della città al duca d Austria, e questo nel quadro di un ciclo di lezioni intitolato ai giorni di Trieste. Però per la dedizione di Trieste a Leopoldo duca d Austria non si può parlare di un giorno preciso. Non è come l incoronazione imperiale di Carlo Magno, 25 dicembre dell anno 800, o come l attentato di Sarajevo, 28 giugno Questo perché nella bellissima serie di documenti d archivio che ci ha lasciato il Comune di Trieste dal Trecento mancano purtroppo, per quel secolo, i registri delle delibere consiliari, e la dedizione fu senza dubbio deliberata in quell organo di governo più importante di tutti che era il Consiglio. Ma se questo dato puntuale è incerto, non fa però dubbio che la dedizione del 1382 rappresenta uno spartiacque fondamentale nella storia cittadina. Essa segnò, ovviamente, il futuro di Trieste, ma rappresenta anche un fatto cruciale per comprendere il passato di Trieste: nel senso che in quella scelta politica si manifestò la profonda pulsione per una autonomia cittadina, una autonomia che, non potendo essere sostenuta dal Comune con le proprie forze, troppo inferiori a quelle delle altre potenze, si cercò di tutelare scegliendo quella potenza esterna che sembrava meno lesiva della libertas triestina. Questa è una valutazione non solo mia ma comunque interpretativa, ipotetica, e dunque nel dichiarare la mia convinta adesione a tale interpretazione mi sento anche in dovere di motivarla, e magari con elementi non ancora messi a punto dalla ricerca storica. Per fare questo, e per comprendere la dinamica che condusse all opzione austriaca, occorre fare una luce chiara su cosa fosse la città di Trieste nell anno di Grazia 1382, ed occorre anche ripercorrere della vicenda triestina alcune fasi magari molto lontane nel tempo, ma necessarie a sdipanare il filo della storia cittadina. Non comincerò, si capisce, dalle palafitte. E taglierò anche corto sulla costituzione di Trieste in entità cittadina, nella forma di una colonia romana, cosa di cui avete sentito dire nella prima lezione di questo ciclo. Ma devo dire del passaggio successivo. Il fatto che Trieste fosse una colonia, dunque una sede urbana, la candidò, dato l adeguamento dell organizzazione territoriale delle chiese cristiane all urbanocentrismo romano, ad essere una sede vescovile: una sede intitolata al santo che si celebra oggi, san Giusto, un martire delle persecuzioni dell epoca di Diocleziano. Lo stesso adeguamento all ordinamento antico fece di questa sede diocesana una suffraganea della Chiesa posta a capo della provincia ecclesiastica, la chiesa arcivescovile o metropoli, che venne necessariamente individuata in quella che era stata la città più importante nell ordinamento augusteo dell area, Aquileia. Ambedue queste circostanze, la fisionomia episcopale di Trieste e il suo inseri- 2

3 mento nella provincia ecclesiastica aquileiese, sarebbero state determinanti nella storia della nostra città, soprattutto in ragione del ruolo politico che fu attribuito alle due sedi ecclesiastiche nel quadro dell impero d occidente rinnovato da Carlo Magno. Nell anno 948, nel quadro della dura contesa per il regno d Italia, uno dei concorrenti per quella corona, Lotario, concesse al vescovo di Trieste e ai suoi successori l esercizio pieno ed esclusivo delle funzioni pubbliche sulla città, con le sue mura e con tre porte e postierle e su un circuito di tre miglia (circa quattro chilometri e mezzo) all intorno. Una più importante concessione fu ottenuta dal metropolitano della provincia in cui la diocesi di Trieste era inquadrata, cioè dal metropolitano di Aquileia, da secoli insignito del titolo di patriarca. Al patriarca di Aquileia e ai suoi successori l imperatore Enrico IV conferì nel 1077 la sovranità temporale sulla contea del Friuli, sull Istria e sulla Carniola, dunque anche su Trieste, che si trovò politicamente inserita nel principato ecclesiastico aquileiese. Ma nella stessa fase storica, la seconda metà del secolo XI, nella quale si avevano questi potenziamenti episcopali, Trieste partecipò del generale movimento di organizzazione collettiva che investiva ogni società cittadina dell Italia del tempo. Nel 1139 una parte della cittadinanza triestina si era costituita in Comune per la gestione dei beni pubblici e la conseguente rivendicazione di un territorio comunale tra Longera, Sistiana e il mare. In questi decenni centrali del secolo XII però altre potenze si erano sviluppate in quest area nord-orientale d Italia: una importante dinastia nobiliare, i conti di Gorizia, ed una che era subordinata sia al patriarca che ai conti ma era nondimeno potente, i signori di Duino. Ma soprattutto aveva avuto nuovo ed immenso slancio la potenza di Venezia. Nel 1202 il doge Enrico Dandolo, attraversando la nostra regione nel corso dei preparativi per quella che si sarebbe detta la Quarta Crociata, impose ai Triestini il giuramento di un patto di fidelitas a Venezia. Possediamo il documento, e dunque i nominativi dei circa 350 capifamiglia che giurarono questa fedeltà: troviamo adesso molti nomi di quella che sarà una nobiltà ancora informale, un notabilato cittadino: Leo, de Genano, Ranfo, Ziuleti, Mesalti, Ade, Teffanio, Niblo. Il documento ci consente di calcolare la popolazione triestina agli inizi del Duecento nell ordine dei duemila abitanti. Quanto alla fidelitas, essa non era incompatibile né con una dipendenza alta, sovrana, nei confronti del patriarca e dell impero da cui ogni potere formalmente derivava, eventualmente per la mediazione del vescovo, né con la forte autonomia cittadina. Come altre città italiane, Trieste entrava nel Duecento in un sistema al tempo stesso di autonomia municipale e di una pluralità di 3

4 relazioni e dipendenze, senza che vi fossero ben definite gerarchie dei diversi livelli dipendenza. Il Duecento che si era aperto con il giuramento di fedeltà al doge di Venezia vide poi per il Comune di Trieste una serie di acquisizioni dei diritti giurisdizionali dei vescovi (giustizia criminale e prerogative fiscali), talora pagate a caro prezzo, e culminate nel maggio del 1253 quando fu anche attribuita al Comune la potestà legislativa. Nel corso di questo Duecento il Comune di Trieste elaborò in effetti una serie di statuti, dei quali rimane solo una traccia frammentaria e indiretta. Ma nel 1318 venne promulgato infine un corpo statutario organico e corposo, affidato ad un codice in pergamena che ancor oggi si possiede. Questa iniziativa di legislazione era stata preceduta, cinque anni prima, da un episodio violento e di grande importanza. Nel 1313 vi era stata una sollevazione nobiliare, condotta da un clan che faceva capo a tale Marco Ranfo. Su questa congiura dei Ranfi sono state sviluppate dilatazioni storiografiche e anche fantasie letterarie e teatrali, come spesso accade per le cose della quali poco di sicuro si conosce. Nel nostro grigio mestiere di storici, noi dobbiamo attenerci ad un minimo di certezza e ad un minimo di interpretazione. Le prime decadi del Trecento videro in tutta Italia esperimenti di signoria familiare, anzi personale, di diversa fisionomia, livello e durata. Quello che è certo è che il tentativo dei Ranfi venne stroncato nel sangue, che il Comune triestino mantenne a lungo un atteggiamento persecutorio nei confronti dei discendenti di Marco Ranfo, e che insomma il Comune triestino regolò velocemente e una volta per sempre i suoi conti con ogni prospettiva di governo familiare e signorile e si andò assestando in una modalità di governo comunale, collegiale, e anche occorre chiarire e lo chiariremo - in senso crescentemente oligarchico. Come ogni città comunale italiana, Trieste era retta da una sorta di diarchia: un vertice di governo, il Podestà di durata semestrale, e un Consiglio. Gli statuti del 1318 sono molto incentrati sulla figura del podestà, ed attenti a limitarne i poteri, certo in seguito all esperienza negativa di una signoria personale. Da sùbito, per l esattezza dall anno seguente, 1319, gli statuti vennero integrati da addizioni, scritte sui margini dei fogli di pergamena in corrispondenza delle rubriche che venivano a mano a mano modificate o integrate. Una delle prime e più importanti iniziative fu l istituzione, nel 1322, dell ufficio dei Vicedomini, presso il quale era obbligatoria la registrazione degli atti privati: un tratto, questo della pubblica registrazione dei documenti notarili, molto tipico di Trieste anche se non esclusivo, e che ha dato luogo ad una meravigliosa serie di archivio, che si affianca alle altre serie che dal 4

5 Trecento illuminano bene la società triestina: oltre agli statuti che ho ricordato e agli atti insinuati nella Vicedomineria, rimangono piuttosto continui ed integri i registri dei Camerari, cioè delle entrate e delel spese pubbliche, e gli atti della giustizia corrente civile e criminale questa, del Banchus maleficiorum, una serie bellissima e non frequente negli archivi italiani. Nel 1350 fu redatto un secondo corpo statutario, un magnifico codice di trecentotrentotto carte riccamente illustrato, e che massimamente ci indica l evoluzione in senso oligarchico del Comune cittadino. Il Podestà era oramai l indiscussa forma di vertice di governo, come era indiscussa la durata semestrale della carica. Egli reggeva il Comune insieme a tre giudici: dunque un organo di fisionomia esclusivamente aristocratica. Aristocratica era anche la composizione del Consiglio, composto di 180 consiglieri di durata vitalizia: dunque si poteva rinnovare un consigliere solo per morte di un consigliere in carica. Inoltre, fatto più importante, la nomina era limitata a chi fosse figlio o nipote di un consigliere. Essendo che alla metà del Trecento Trieste doveva contare oramai circa cinquemila anime, possiamo dire che in Consiglio era presente grosso modo un decimo, forse un po di meno, della popolazione. Con minore incertezza quantitativa, possiamo affermare che nell arco di circa un secolo e mezzo si era verificato più che un raddoppio della popolazione urbana, dunque una espansione notevole. I residenti urbani occupavano alla metà del Trecento uno spazio racchiuso grosso modo fra il colle di San Giusto ed il mare, la direttrice dell attuale Corso Italia e quella della via San Michele. Le attività che offrivano le maggiori prospettive di profitto erano il commercio del vino, dell olio e del sale. La finanza pubblica si reggeva essenzialmente su un sistema di imposte indirette con i relativi appalti, con poco sviluppo del debito pubblico data l assenza di una politica espansionistica e dunque di un grosso sforzo militare della città, la cui difesa era imperniata su una milizia urbana. Nel 1350 venne anche affiancato al Consiglio Maggiore un consiglio ristretto, dei quaranta sapienti o rogati, scelti dai giudici fra i consiglieri di oltre 30 anni (per essere nel consiglio era sufficiente la maggiore età, 15 anni). Ora, riflettiamo: un Consiglio a numero chiuso e ristretto su base ereditaria, al suo interno un organismo più ristretto. Questa è Venezia. L influenza veneziana su Trieste era stata sempre grande, e bisogna guardarsi dal leggerla in esclusivi termini di dominazione politica, peggio ancora di sopraffazione. Da Venezia il ceto egemone triestino aveva mutuato forme istituzionali e cultura artistica, ed erano stati spesso veneziani i suoi Podestà. Veneziano era anche Giovanni Foscari, che nel suo terzo mandato, 5

6 nell anno 1365, promulgò una nuova redazione degli statuti di Trieste. Tre ani dopo, nel 1368, si aperse una grave ostilità, una ostilità armata, tra il Comune triestino e Venezia. Perché? Preché, a soli tre anni di distanza dal podestariato del Foscari e dalla nuova redazione di stauti, vi fu questa svolta? Cosa era accaduto nel frattempo? Due cose erano accadute. In quello stesso anno 1365 era salito sul soglio patriarchino aquileiese un forte prelato e principe tedesco, Marquardo di Randeck, promotore di una grande redazione legislativa, le Constitutiones Patriae Foriiulii, e di un forte tentativo di restaurazione del potere patriarchino nei confronti della feudalità. Era cresciuto contemporaneamente il potere di una dinastia, ambiziosa della corona imperiale che aveva già posseduta e poi perduta, la casa degli Asburgo, che andava organizzando un forte principato territoriale fra Carinzia, Stiria, Tirolo, Carniola, e che ricevette nel febbraio del 1366 un formale atto di subordinazione dei signori di Duino. Di fronte a questa crescita di potere di due entità, il Patriarcato di Aquileia e gli Asburgo, le quali erano certamente orientate, anche per la reciproca concorrenza, ad ottenere il controllo diretto su Trieste, la Repubblica di Venezia giocò di anticipo. Nel 1368 iniziò una guerra, che si sarebbe conclusa con la vittoria militare veneziana e con nuovi patti di subordinazione triestina a Venezia nel novembre del Certamente l atteggiamento dei Triestini non era compatto. Una interessantissima lettera del capitano veneziano Domenico Michiel al doge Andrea Contarini dell aprile 1369 sosteneva che i possidenti erano propensi alla concordia con Venezia mentre la volontà di una difesa fino all ultimo era cosa di coloro che possedevano poco o niente. Fu nel corso di questa guerra, e dell assedio veneziano di Trieste, che il Comune triestino tentò di salvare la propria autonomia cercando l appoggio dei duchi d Austria. Venne elaborato un atto di dedizione nel quale i Triestini riconoscevano i duchi come loro domini naturales et hereditarii. Ma l aiuto austriaco in quell autunno del 1369 non fu così efficace e tempestivo, e soprattutto i duchi cercarono la via di un mercanteggiamento con i Veneziani in cambio del ritiro del proprio appoggio a Trieste: mercato che si sarebbe concluso nel 1370, alcuni mesi dopo che Trieste aveva dovuto capitolare al doge. La capitolazione di Trieste suscitò grande emozione e suggerì un nuovo coordinamento delle forze ostili all egemonia veneziana: il fatto decisivo fu l iniziativa militare della Repubblica di Genova, la cui flotta sconfisse clamorosamente la veneziana nelle acque di Pola nel maggio del Le alterne vicende di questa che si sarebbe detta la guerra di Chioggia si 6

7 conclusero nell agosto del 1381 con la pace di Torino. Nel frattempo, grazie all intervento genovese e alle sconfitte veneziane, Trieste aveva recuperato brevemente la propria autonomia, ma rimaneva in cerca di un alleanza che la garantisse con forza contro quella che appariva adesso la minaccia più temibile, cioè l espansionismo veneziano. Vi era stata senza dubbio una delusione per i comportamenti dei duchi d Austria, e certo il Comune di Trieste cercò a lungo l altro e più naturale alleato, che era il Patriarcato aquileiese, nella persona del grande Marquardo di Randeck. A lui la città fece un atto di dedizione, di dichiarato contenuto antiveneziano, nel luglio del Il 2 gennaio del 1381 il Comune di Trieste inviò al Comune di Udine una ambasciata intesa a chiedere aiuto contro quanti minacciavano la comunità triestina, segnatamente il signore di Padova (Francesco I da Carrara), i conti di Veglia e i signori di Zara, e denunziavano una incombente minaccia veneziana: i Veneziani erano pronti ad un attacco dal mare, erano forti di avere come ostaggio circa quarantotto notabili triestini, e un partito interno a Trieste nutriva sentimenti filoveneziani se non altro per recuperare alla libertà quei concittadini. La risposta udinese nell immediato fu debole, con esplicita asserzione che mancavano i mezzi adeguati ( deficit posse in tanto facto ) e con un rinvio di delibera. Ma sulla intrinseca fragilità politica e militare udinese intervenne negli stessi giorni un improvviso e tremendo motivo di indebolimento, che fu la morte del patriarca Marquardo, il 3 gennaio del Si aperse una crisi, con il formarsi di coalizioni avverse all avvento del nuovo patriarca di nomina papale, Filippo d Alençon, e si innescò una guerra civile friulana. Fu in questo quadro di crescente e motivata diffidenza verso un possibile sostegno patriarchino e udinese che maturò in una parte della compagine politica triestina la propensione ad una nuova dedizione al duca Leopoldo d Austria: un atto che questa volta avrebbe avuto successo ed esito stabile. Un primo giuramento fu stipulato nell agosto del 1382, l accettazione da parte del duca Leopoldo fu sancita nel settembre. Molteplici sono i parametri in base ai quali va interpretata la dedizione triestina alla casa d Austria, in uno sforzo sereno di depurazione dell evento dagli elementi di passione politica che ne hanno spesso deformata la lettura in passato. Un primo, generico ma nondimeno importante elemento interpretativo è l inserimento di quella dedizione in un processo di semplificazione del mosaico dei poteri regionali che interessava tutta l Italia delle città. Resta ovviamente da chiarire come nella semplificazione del mosaico e nell ineluttabile aggregazione a una delle sue tessere maggiori la scelta trie- 7

8 stina sia caduta sul ducato d Austria. La scelta austriaca era stata compiuta in precedenza, nel 1369, con l esito allora infelice che abbiano ricordato poco sopra. È un dato fondamentale da tenere presente, come è fondamentale ricordare la funzione antiveneziana di quella prima dedizione. Che nel il comportamento degli Asburgo si fosse rivelato deludente, con la trattativa condotta separatamente con Venezia, rende tanto più significativo il fatto che nel 1382 il Comune di Trieste, dopo l incertezza di cui abbiamo detto quanto alla prospettiva patriarchina, abbia comunque ripetuto la scelta austriaca, con un intento fondamentalmente antiveneziano sul quale a mio giudizio non è giusto nutrire dei dubbi. L autorità asburgica apparve probabilmente come una autorità di tipo diverso rispetto a quella esercitata da Venezia, apparve una autorità di tipo imperiale, un autorità che, per definizione, esercitava una sovranità alta sopra una serie di entità politiche, stati cittadini o regionali, alle quali era garantita una autonomia di consuetudini e leggi e di forme di governo locale. Perché il Comune di Trieste non si diede direttamente all imperatore? Perché l impero attraversava in questi anni una situazione di grande difficoltà, anche di incertezza sul suo stesso vertice lussemburghese-boemo. La potenza europea il cui connotato istituzionale contemperava la forza di un principato territoriale importante e il prestigio di una possibile, tendenziale corona imperiale erano gli Asburgo duchi d Austria. Che la scelta non fosse insensata sarebbe stato confermato nell immediato, e poi piuttosto a lungo, dal fondamentale rispetto della legislazione statutaria municipale da parte austriaca, ma anche e soprattutto da una ripresa di attività legislativa autonoma, sin dal 1384, dopo la stasi che aveva caratterizzato gli anni del domino veneziano. In effetti negli anni immediatamente seguenti alla promulgazione satutaria del 1365 e poi negli anni del breve dominio veneziano si constata la pressoché totale assenza di addizioni, di interventi legislativi nuovi. Il periodo di dominanza veneziana aveva insomma veduto una nuova copiosa redazione statutaria a non molti anni di distanza dalla precedente, ma poi una totale atonìa di innovazione legislativa. Nel 1384, come ho detto, cioè due anni dopo la dedizione al duca d Austria, l attività legislativa riprese nella consueta forma delle addizioni statutarie. Nella nuova fase di dipendenza dall Austria l attività di aggiunte e correzioni degli statuti riprese con grande intensità, soprattutto dagli inizi del Quattrocento: fra il 1401 e il 1420 se ne contano circa seicentocinquanta. Non è questo il luogo per un analisi. Ricordo solamente il divieto, sancito nel 1397, di copertura degli uffici pubblici da parte degli amministratori di beni episcopali. Nel 1406 si ebbe un importante intervento ducale a solleci- 8

9 tare la necessità di una speciale licenza del duca per la nomina del vescovo. Ma deve essere soprattutto ricordata la ricezione statutaria di una delibera del Consiglio del 31 gennaio 1412 che istituiva un collegio di sei sapientes, i quali insieme ai giudici avrebbero dovuto fare ordinamenti, deliberandoli a maggioranza, per il buono stato della città e del distretto di Trieste: ordinamenti che avrebbero avuto vigore come se fossero stati deliberati dal Consiglio. Era questo un passo importante verso la costituzione formale di un patriziato. La difesa dell autonomia cittadina aveva come rovescio della medaglia l ulteriore rafforzamento oligarchico e la restrizione e la cristallizzazione del vecchio notabilato, la costituzione di un vero e proprio patriziato. Ma anche questo era un processo che accomunava Trieste alle altre realtà comunali d Italia: una storia italiana, insomma, nella quale Trieste rientra a pieno titolo. 9

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