Heidegger: la cura, l empatia e la morte dell altro. 1

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1 Heidegger: la cura, l empatia e la morte dell altro. 1 di Danilo Semprini Heidegger è la figura più rappresentativa dell esistenzialismo tedesco. Il termine esistenzialismo, da cui esistenziale, è utilizzato dal filosofo per definire quel complesso di strutture che costituiscono l esistenza. L insieme di quest ultime viene dallo stesso chiamato esistenzialità. In estrema sintesi tracciamo la filosofia di Heidegger al fine di inquadrare la forma generale del suo pensiero prima di soffermarci su ciò che riteniamo essere la riflessione più vicina alla tematica della relazione d aiuto in oncologia medica. Con Essere e Tempo, suo fondamentale lavoro del 1927, Heidegger si prefigge di tracciare un ontologia che possa stabilire in maniera conforme il senso dell Essere. Per conseguire questo scopo, Heidegger afferma la necessità di conoscere chi sia colui che pone la domanda sul senso dell Essere. Essere e Tempo indaga quindi quell ente che pone tale domanda. Quest impostazione sarà modificata negli scritti dal 30 in poi in cui Heidegger dirige la sua speculazione all Essere stesso e alla sua rivelazione. L uomo, quindi, che si pone questa domanda è già in una situazione di gettatezza. Con i termini coniati dal filosofo tedesco questa condizione è detta deiezione e l ente stesso che è l uomo, nella condizione inautentica di questa caduta, dell essere gettato, è chiamato da-sein (esser-ci). Questo è esistenza, poter-essere: è progetto che trasforma le cose in utensili. L essere delle cose equivale perciò al loro essere utilizzate dall uomo. Il primo carattere fondamentale dell uomo è quindi l essere-nel-mondo in cui l uomo vive la sua condizione di affaccendamento nell inautenticità dell esistenza. Se l essere-nel-mondo è un tratto tipico dell uomo, anche l essere-con-gli-altri si presenta come sua struttura costituente perché se è vero che non esiste un soggetto senza mondo non può esistere nemmeno un soggetto isolato dagli altri. 1 Saranno di seguito evidenziati in corsivo i termini creati da Heidegger quando compaiono la prima volta. Dove lo riterremo opportuno, per motivi di chiarezza, sarà ripetuto il carattere in corsivo.

2 Ora, l essere-nel-mondo si estrinseca nel prendersi cura delle cose, l essere-con-gli-altri si manifesta nell aver cura degli altri. Quest ultimo modo relazionale che traccia Heidegger sarà molto vicino al nostro lavoro perché l aver cura degli altri in termini heideggeriani diventa autentico coesistere se gli altri sono aiutati a conseguire la libertà di assumersi le loro cure. Dopo l essere-nel-mondo e l essere-con-gli-altri, detti anche esistenziali, si presenta il successivo essere-per-la-morte. È possibile la caduta dell uomo sul piano delle cose del mondo. Lo stesso può rimanere in questa condizione di gettatezza, ma ha la libertà di ascoltare la voce della coscienza che lo richiama all esistenza autentica. La voce della coscienza fa comprendere, attraverso l angoscia, che la morte è una possibilità permanente dell esistenza: è la possibilità che tutte le altre divengano impossibili. La coscienza della morte ci svela la consapevolezza della nullità del coinvolgerci tra gli oggetti o nelle situazioni del mondo, ci mostra la vanità di ogni progetto. Soltanto la comprensione della possibilità sostanziale del morire fa ritrovare all uomo il suo essere autentico. L angoscia pone quindi l uomo di fronte all impossibilità della sua esistenza. Heidegger conia poi un espressione che descrive quella decisione anticipatrice che costituisce il senso autentico dell esistenza: il Vivere-per-la-morte. Quest esperienza della coscienza è detta anticipatrice perché non ha nulla a che vedere con la futura morte fisica ma descrivere lo stato d angoscia che consapevolmente illumina l uomo sul non senso della sua esistenza giacché impermanente in quanto tale. Come Heidegger stesso scrive, per l esistenza autentica il futuro è un vivere-per-la-morte che non consente all uomo di identificarsi nelle possibilità del mondo. L analisi condotta fin qui in Essere e Tempo non rivela quindi il senso dell Essere, ma il nulla dell esistenza. L ultimo Heidegger, che si rivolgerà all indagine dell Essere stesso, individuerà nel linguaggio poetico la porta verso lo svelamento dell Essere. In questo traccerà la distanza dalla filosofia strutturalista che vede nel linguaggio la struttura fondamentale dell uomo. Per lui infatti il linguaggio è la casa dell essere. In questo abita l uomo. In ciò non parla del linguaggio in sé, ma dell espressione poetica. Questa breve sintesi, che certo non esaurisce la comprensione del complesso pensiero del filosofo tedesco, mette in luce i punti fondamentali della sua riflessione per utilizzarne nel presente contesto alcuni concetti chiave. Alla nostra attenzione risalta la dualità autentico-inautentico, l analisi del tempo sempre nella sua dimensione di autenticità e inautenticità, il carattere della cura e la sua autentica impostazione rivolta al facilitare la cura dell altro verso se stesso. Infine riteniamo essenziale, per quanto presentiamo in questo elaborato, il problema della morte nella sua dimensione anticipatrice che dona senso all esistenza stessa al di là dell evento oggettivo del morire. Importante sarà il comprendere come il vivere-per-morire heideggeriano, in quanto senso

3 autentico dell esistenza, che svela la dimensione ontologica dell uomo, non può essere condiviso nella relazione con l altro ma è: una possibilità di essere che l esserci stesso deve sempre assumersi da sé. In Heidegger riconosciamo la grande intuizione rivolta a ciò che è testimoniato dalle grandi tradizioni sapienziali d oriente e d occidente. Questi grandi insegnamenti ci hanno tramandato l insensatezza dell esistenza dell individuo come tale e hanno testimoniato, ossia realizzato e tramandato, la possibilità di accedere a uno stato della coscienza che supera l individuo, che è insensato a causa della sua impermanenza. Le grandi scuole tradizionali descrivono un primo momento oltre la gettatezza dell individuo che possiamo definire transpersonale e universale. Poi avviene, dalla prospettiva di alcuni livelli di esse, la comprensione dello stato dell Essere che Heidegger ha intuito senza avere gli strumenti appropriati per la sua realizzazione. Il filosofo tedesco ha avuto l intuizione dell insensatezza dell uomo e ha compreso lo stato dell Essere come unica autentica dimensione. È però evidente che Heidegger non sia andato oltre la speculazione filosofica, tracciando soluzioni inefficaci frutto inevitabile del mero piano intellettuale. Da parte nostra, in ascolto delle grandi tradizioni cui ci riferiamo, reputiamo possibile il raggiungimento dell autenticità ricercata da Heidegger, ma abbandonando l intelletto e, attraverso pratiche profondamente trasformative, risolvendo l individualità prima e l universalità poi. Il passo successivo sarà il comprendere l Essere come unica vera autentica realtà, possibilità stessa dell inautenticità della gettatezza umana. Ciò detto al fine di chiarire la nostra posizione su Heidegger, torniamo al tema in oggetto per comprendere come il filosofo possa essere uno stimolo per le nostre riflessioni sulla relazione d aiuto in oncologia medica. Utilizziamo Heidegger perché riteniamo il suo pensiero un possibile emblema della riflessione occidentale sulla relazione d aiuto, anche se non il solo. Attraverso la sua visione esistenziale, specialmente la prima di Essere e Tempo, traccia un percorso essenziale che giungerà, staccandosi dalla sua persona, alla relazione d aiuto di carattere umanistico. L approccio mindfulness al counseling oltre che essere umanistico è fondato sulla necessità della consapevolezza. Riteniamo che la speculazione del filosofo tedesco sull autenticità sia un momento fondamentale che descrive un atto di consapevolezza verso ciò che realmente siamo. Riconosciamo la sua autenticità nella cura come un occasione sorprendentemente descrittiva della relazione d aiuto centrata sul cliente, approccio fondato da Rogers. Quest ultimo, come lo stesso Heidegger, è rivolto non alla cura dell altro, circostanza per il filosofo inautentica della cura, ma all intenzione che l altro assuma la responsabilità e la possibilità della propria cura.

4 La stessa speculazione sul tempo che Heidegger fa, senza in questa sede seguirne le sfumature elaborate nel corso della sua vita filosofica, si evidenzia per l importante efficacia nel nostro lavoro. Le tre determinazioni del tempo: futuro, passato e presente, mutano in base al fatto che si tratti di tempo autentico o inautentico. Il tempo autentico è quello dell esistere autenticamente e quello inautentico descrive l affanno per il successo, per l attenzione alla riuscita. Già da questa prima affermazione comprendiamo come, nella comparazione con Heidegger, sia evidente la necessità di essere autentici in una relazione d aiuto. Qui in particolare, nel senso heideggeriano del termine, non attenti alla riuscita del nostro intervento, non afferrati alla nostra inautentica individualità legata al successo, all ottenere un risultato per noi gratificante di cura dell altro. Si è rivolti autenticamente a facilitare le risorse altrui o alleviarne la sofferenza, avendo la pazienza di stare ai tempi necessari dell altro, forti della prudenza e del coraggio che permettono di accettare la non visibilità, a volte, del nostro lavoro, che darà poi i suoi frutti, oppure no. L esistenza autentica, quindi, tornando a Heidegger, assume la morte come possibilità che qualifica l esistenza stessa. Il futuro è quindi un vivere-per-la-morte che consente all uomo di non essere travolto nelle faccende umane, nel senso inautentico della gettatezza del da-sein. In questo significato il futuro è il momento temporale più importante perché in esso l uomo ha la possibilità, attraverso l esperienza della decisione anticipatrice dell essere-per-la-morte, di comprendere come il vero suo senso non può essere l inautentica caduta nel mondo, ma l autentica consapevolezza di ciò che realmente è. Se il passato autentico è la non accettazione passiva della tradizione, ma l affidarsi alle possibilità che la stessa offre, il presente autentico è l istante in cui l uomo decide il suo destino. Se quindi l istante del presente autentico è il momento in cui l uomo decide ciò che è, nella sua possibilità di essere autentico o vivere nella gettatezza dell affaccendamento mondano, questo, in ultima analisi, è il momento essenziale del tempo autentico dove il futuro e il passato non sono più ciò che inautenticamente consideriamo la misura quantitativa della realtà temporale, ma si uniscono autenticamente in questo istante. In questo passo di Tempo ed Essere, scritto del secondo periodo, il filosofo ha ormai trasformato la riflessione che proponeva in Essere e Tempo e lo vediamo rivolto all Essere stesso. Qui rintracciamo un chiaro suggerimento che definisce la dimensione temporale. questo non-più-presente è [a noi] presente immediatamente nella sua assenza: nella maniera del passato come essente-stato che come tale riviene a noi e ci riguarda. Questo non scompare come ciò che è passato nel senso del semplice trascorrere, fuori dell ora precedente. Piuttosto

5 l essente-stato permane nella presenza, sebbene nella sua propria maniera. Nell essente-stato è ancora un dispiegarsi d essere nella presenza che è offerto. Ma l assenza viene a noi e ci riguarda anche nel senso del non ancora presente alla maniera del dispiegarsi della presenza inteso come venire-a-noi-dell avvenire. Noi troviamo nell assenza, sia quella dell essere-stato, sia quella dell avvenire, una maniera di esser presente e di adire a noi dell essere, che in nessun modo coincide con l esser presente nel senso dell immediata presenza. Conformemente a questo val la pena osservare che non ogni presenza è necessariamente presente. 2 Nel senso che Heidegger assegna al tempo, ossia il suo essere offerto nella presenza attuale di là da ciò che è stato realmente nel passato che non c è più e di quello che avverrà nel futuro che deve ancora avvenire, troviamo un importante spunto di riflessione sul vissuto del paziente oncologico. Egli vive nella necessità di riformulare il suo passato, spesso affollato di colpe e di errori, che a volte giustificano la stessa presenza attuale del cancro, e di definire l idea di futuro che vede ostacolata dalla gravità della malattia. Tutto questo è presente al paziente nel modo in cui Heidegger termina la citazione appena riportata, ossia: val la pena osservare che non ogni presenza è necessariamente presente. La presenza attuale del passato e del futuro, per quello che abbiamo evidenziato, legittima l importanza di un lavoro di counseling, impostato sul qui e ora, al posto di una più impegnativa, sconveniente ed eventuale regressione nel passato del paziente oncologico possibile, anche se non obbligata, ad una psicoterapia. Il discorso sul tempo apre quindi l importante dimensione dell anticipazione della morte attraverso l angoscia; ma l angoscia non è paura del pericolo, e neanche della morte stessa, che in questo senso non viene assunta come momento oggettivo del morire fisico. Essa, l angoscia, permette piuttosto la comprensione dell impossibilità di un senso nell esistenza inautentica dell individuo. Il concetto che riteniamo fondamentale per il nostro lavoro non è, di certo, il poter trasmettere all altro, in una relazione d aiuto in oncologia medica, il non senso della sua esistenza, ma questo stato è, a nostro parere, la condizione essenziale del counselor, o dello psicoterapeuta, che deve comprendere la non realtà significativa della propria individualità. Ciò produce il riuscire a stare su un piano di coscienza empatico che permetta la reale facilitazione dell altro, avendo acquisito la possibilità di alimentare un campo relazionale in cui questo possa avvenire. La comprensione autentica, stando ai termini heideggeriani, e il risolvere quindi in noi il significato di morte ci permette di stare nella relazione d aiuto a contatto con la paura che l altro ha del 2 Tempo ed Essere, Heidegger, introduzione, traduzione e note dall originale tedesco Zur sache des denkens, Max Niemeyer Verlag, Tubingen 1969, nella quarta edizione italiana, Guida Editori, 1991, Napoli, pagg. 116/117.

6 decesso, avendo compreso che l evento del terminare l esistenza, il morire per l individuo nella sua gettatezza, non è la mera evidenza di una fine ma, per noi, la comprensione autentica del poter essere qualcosa di più della dimensione individuale. Quest atteggiamento del counselor è quindi il fattore fondamentale che permette una reale empatia, dove possiamo stare con l altro senza barriere e timori che metterebbero in gioco il senso stesso del nostro esistere, avendo trasformato la paura nell angoscia anticipatrice che permette lo svelamento dell Essere che noi stessi siamo. Ora, c è un punto essenziale che, dopo aver messo in luce i principi comuni tra il pensiero di Heidegger e il lavoro del mindfulness counselor in oncologia medica, traccia i confini tra gli stessi. Ci riferiamo alla necessità di chiarire l impossibilità per il filosofo tedesco che ci sia una reale empatia con l altro nell evento autentico della sua morte. Comprendere, quindi, come questo tema possa essere proposto in una reale relazione d aiuto. Approfittiamo di questo confronto con l idea heideggeriana della morte dell altro per esprimere la nostra opinione anche in merito all empatia in generale. Riteniamo che questa, presa nella sua espressione più estrema, cioè nell occasione della morte dell altro, possa essere analizzata nella totalità della sua esperienza/significato. Prima di tracciare una nostra riflessione in merito, citiamo alcuni passi rappresentativi di Essere e Tempo in cui si evidenzia quanto accennato. Quanto più adeguatamente si considera il fenomeno del non-esserci-più del defunto, tanto più si fa chiaro che l essere-con i morti non esperisce affatto l autentico esser-pervenuti-alla-fine da parte dei defunti. La morte si rivela certamente come una perdita, ma è qualcosa di più di quanto coloro che rimangono possono esperire. Nei patimenti per la perdita del defunto non si accede alla perdita dell essere patita da chi muore. Noi non sperimentiamo mai veramente il morire degli altri; in realtà non facciamo altro che l essere loro vicini.e anche se fosse possibile e attuabile chiarire psicologicamente a noi stessi il morire degli altri stando loro vicini, sarebbe comunque impossibile comprendere la maniera di essere di cui si tratta, cioè il giungere alla fine. Il problema è quello del senso ontologico del morire del morente in quanto possibilità d essere del suo essere Ogni Esserci deve assumersi in proprio la morte. Nella misura in cui la morte è, essa è sempre essenzialmente la mia morte. Essa esprime una possibilità di essere caratteristica, in cui ne va dell essere puro e semplice di un Esserci sempre di qualcuno. Nel morire si fa chiaro che la

7 morte è costituita ontologicamente dal carattere dell esser-sempre-mio e dall esistenza. Il morire non è un semplice accadimento, ma un fenomeno da comprendersi esistenzialmente 3 Da quanto citato è molto chiara l affermazione dell impossibilità di essere in piena empatia col morente: Noi non sperimentiamo mai veramente il morire degli altri; in realtà non facciamo altro che l esser loro vicini. Questa frase apre in un contesto di counseling in oncologia medica già due importanti riflessioni. Quale potrebbe essere una relazione d aiuto fondata su una non comprensione, sull impossibilità di sperimentare l esperienza dell altro? In questo caso, cosa significa essere vicini? E, in ultima analisi, domanda alla quale intendiamo dare una risposta, è possibile sperimentare, in disaccordo con Heidegger, una diversa relazione in cui sia reale la possibilità di una totale empatia? È evidente, da parte nostra, che qui nasca una concezione dell empatia che tende alla totale comprensione delle emozioni dell altro sfumando la coscienza della propria identità come identità separata. Il rinunciare ad una concezione forte d identità separata può portare a una deriva verso la follia di chi osasse e riuscisse ad agire in tale modo, a meno che non abbia riformulato in sé il significato stesso d identità. Intendiamo giustificare quest affermazione partendo dal senso dell asserzione sull impossibilità empatica con la morte dell altro che propone Heidegger, per differenziarci da esso attraverso la comprensione dei motivi che stanno alla base della sua idea. Heidegger sostiene l impossibilità di comprendere la morte dell altro perché pone questa come momento esistenziale che, attraverso l angoscia, apre l occasione di afferrare la propria essenza autentica: l Essere. Per questo la morte, per Heidegger, è la possibilità dell impossibilità di esser-ci. Non sta parlando dell angoscia come tonalità emotiva, psicologica, ma la considera uno strappo nella coscienza dell esser-ci che accede alla comprensione dell Essere stesso che l uomo è in sé. La morte è per l Esserci la possibilità di non poter più esserci. Nella sua qualità di poter-essere, l Esserci non può superare la possibilità della morte. La morte è la possibilità della pura e semplice impossibilità dell Esserci. Così la morte si rivela come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile. Come tale è un imminenza sovrastante specifica. L essere-per-la-fine si rivela fenomenicamente come l essere per la possibilità dell esserci più caratteristica e specifica. L esser-gettato nella morte gli si rivela nel modo più originario e penetrante nella situazione 3 Heidegger, Essere e Tempo, traduzione dall originale tedesco Sein und Zeit di Piero chiodi, Longanesi & C., Milano 1998, par. 47, pagg

8 emotiva dell angoscia. L angoscia davanti alla morte è angoscia davanti al poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile. L angoscia non dev essere confusa con la paura davanti al decesso. Essa non è affatto un atonalità emotiva di depressione, contingente, casuale, alla mercé dell individuo; in quanto situazione emotiva fondamentale dell Esserci, essa costituisce l apertura dell Esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa così chiaro il concetto esistenziale del morire come esser-gettato nel poter-essere più proprio, incondizionato e insuperabile, e si approfondisce la differenza rispetto al semplice scomparire, al puro cessare di vivere e all esperienza vissuta del decesso. 4 La morte quindi non può essere condivisa nella cura dell altro in un momento empatico perché Heidegger si riferisce a essa come evento autentico della comprensione ontologica di un individuo. Non sta parlando del semplice venir meno da una presenza. L angoscia, come momento autentico e svelante non può essere: confusa con la paura davanti al decesso. Qual è il rapporto, quindi, tra il momento autentico e soggettivo cui si riferisce Heidegger e una relazione d aiuto rivolta a chi sente forse per la prima volta la reale possibilità dell inautentico decesso? Quale modalità possiamo sperimentare per vivere una relazione empatica col paziente, ad esempio, in oncologia medica? Per confrontare gli stimoli che offre il pensiero di Heidegger col contesto reale della relazione d aiuto, dobbiamo allargare l ambito della sua riflessione in cui si evidenzia la differenza tra il vivere-per-la-morte autentico e il morire inautentico. Nelle citazioni precedenti si pone l evidenza sulla necessità di comprendere, attraverso l angoscia, il morire come decisione anticipatrice che apre la comprensione all Essere che noi stessi siamo, alla nostra autentica essenza. Questa comprensione inevitabilmente porta allo svelamento del non senso degli affaccendamenti umani. Il filosofo descrive, in Essere e Tempo, come la morte sia vissuta inautenticamente nel quotidiano e come essa, quindi, non si presenti come momento autentico di comprensione ontologica. Se, inoltre, il vivere-per-la-morte autentico si manifesta non come decesso effettivo, ma come decisione-anticipatrice che apre la comprensione alla possibilità dell impossibilità dell esistenza dell esserci, di contro, la morte, il decesso, il venir meno quotidiano nel suo vissuto inautentico prende la forma di una evasione coprente di fronte alla morte. 5 Il vissuto inautentico della morte si esprime col Si : è l esistenza cioè del si dice e del si fa. 4 Op. cit. par. 50, pagg Op. cit. par.52, pag. 311.

9 L esplicazione dell essere quotidiano per la morte si è attenuata alle chiacchiere del Si: un giorno o l altro si finirà per morire, ma, per ora, ancora no. La quotidianità riconosce una specie di certezza della morte. Nessuno dubita che si muoia. Ma questo nessuno dubita non porta con sé l esser-certo quale si addice alla morte nel senso di possibilità caratteristica e specifica dell Esserci. La quotidianità si ferma a questo riconoscimento equivoco della certezza della morte, per dissimulare, coprendolo ancora di più, il morire, e rendersi così più leggero l essergettato nella morte. L evasione coprente davanti alla morte non può essere autenticamente certa della morte, ma ne è tuttavia certa. Che ne è dunque della certezza della morte? 6 Si sa della certezza della morte, ma non si è autenticamente certi della propria. 7 Il Si nasconde ciò che la certezza della morte ha di più caratteristico e cioè che essa è possibile a ogni attimo. La certezza della morte si accompagna all indeterminazione del suo quando. L essere-quotidiano-per-la-morte cerca di nasconderlo, attribuendo alla morte il carattere della determinatezza. Non certo nel senso di un calcolo possibile del momento in cui avrà luogo il decesso, giacché l Esserci preferisce fuggire dinanzi a questa determinazione. Il prendersi cura quotidiano determina l indeterminatezza della morte certa col sospingere innanzi ad essa le urgenze immediate e le possibilità prossime del vivere quotidiano. Il coprimento dell indeterminatezza inquina anche la certezza. Viene così velato il carattere più proprio della possibilità della morte: quello di essere possibile ad ogni attimo, il suo esser certa e indeterminata. 8 Il vissuto quotidiano della morte, quindi, così come si manifesta nell esperienza degli individui, è un continuo rinunciare alla certezza che ognuno di noi deve morire e alla sua indeterminatezza. Il passo di Essere e Tempo che citiamo di seguito chiarisce ancora come la morte, vissuta autenticamente, sia la possibilità più propria dell uomo e quali caratteristiche deve aver per essere tale. La morte, come fine dell Esserci, è la possibilità dell Esserci più propria, incondizionata, certa e come tale indeterminata e insuperabile. La morte, come fine dell Esserci, è nell essere di questo ente, in quanto esso è-per-la-fine. 9 6 Ibid. 7 Op. cit. pag Ibid. 9 Op. cit. pag. 315.

10 Ora che abbiamo messo in luce con le parole di Heidegger stesso quale sia il vissuto autentico e inautentico della morte, per non lasciare dubbi circa il significato del progetto esistenziale (decisione anticipatrice) di un essere-per-la-morte autentico, citiamo un ultimo passo del testo. L essere-per-la-morte non concerne la realizzazione della morte; tuttavia non consiste neppure nel sostare dinanzi ad essa come semplice possibilità. Un tale atteggiamento si risolverebbe nel pensare alla morte. Esso consisterebbe nel pensare a questa possibilità, calcolando il come e il quando della sua realizzazione. Questo scervellarsi sulla morte non la priva certamente del suo carattere di possibilità, poiché la morte è pensata come qualcosa che verrà, ma la svuota, tentando di controllarla per mezzo di calcoli. La morte, come possibile, deve allora palesarsi il meno possibile nella sua possibilità. Al contrario, nell essere-per-la-morte, quand esso, comprendendo, abbia posto in chiaro questa possibilità come tale, la possibilità deve essere compresa proprio come possibilità, deve essere posta in atto come possibilità e in ogni comportamento verso di essa deve essere sopportata come possibilità. Un modo con cui l Esserci si rapporta al possibile nella sua possibilità è l attesa. L essere per la possibilità, in quanto essere-per-la-morte, deve rapportarsi alla morte in modo che essa, in questo essere e per esso, si scopra come possibilità. A questo modo di essere per la possibilità noi diamo il nome di anticipazione della possibilità. L anticiparsi si rivela come la possibilità della comprensione del poter-essere più proprio ed estremo, cioè come la possibilità dell esistenza autentica. 10 Heidegger ci descrive, quindi, continuamente i due piani: quello della vita autentica, di chi ha il coraggio di comprendere la finitezza umana anticipandone sul piano della possibilità la comprensione, e della vita inautentica che, al contrario, ne fugge il vero significato. Dopo il necessario approfondimento del pensiero heideggeriano riprendiamo le domande fondamentali. In prima proposta è necessario proiettare i concetti di autentico e inautentico sulla relazione reale. Qual è il piano che realmente viviamo quando ci troviamo di fronte ad un paziente oncologico nelle varie fasi della sua malattia, che va dalla possibilità della guarigione alla realizzazione della stessa, oppure al definitivo decesso? Teniamo presente che l affacciarsi del cancro, di colpo, nella vita di un individuo crea quella frattura nel quotidiano che spinge il paziente, a volte, verso quel confine tra autentico/inautentico della domanda esistenziale sulla morte. Stando ai significati proposti da Heidegger, possiamo costatare che un vissuto autentico della morte nella sua accezione di possibilità anticipatrice descrive quello stato di coscienza di chi si 10 op. cit. pagg

11 ponga anticipatamente di fronte alla domanda sul senso dell esistenza. Ricordando anche che questa è una domanda ontologica che non descrive l evento oggettivo del morire, del decesso di un corpo nella sua fisicità. Ci troviamo quindi su un piano filosofico, non nel senso di elucubrazione che non si stacca dal piano mentale, ma nell accezione elevata del termine che individua chi vive filosoficamente come un amante della conoscenza che, come tale, investe e fonda filosoficamente la sua struttura esistenziale. Questo piano, quello autentico, ricordiamo, non può per Heidegger essere vissuto con empatia in una relazione d aiuto perché non descrive la paura del morire, ma quell angoscia che apre la comprensione autentica, ontologica del senso dell Essere che noi stessi siamo. In una relazione d aiuto in oncologia medica l empatia che ci troviamo ad agire è rivolta, stando ai termini heideggeriani, alla paura inautentica del morire, del non più essere individuo con una storia particolare, contingente alle proprie esperienze del prendersi cura degli affari del mondo. Questa empatia è possibile e descrive un po quello che Heidegger chiama: Esser vicini al morente. Potremmo anche accontentarci di stare vicini al paziente e cercare di dargli la nostra comprensione, facendo in modo di colmare in parte la sua solitaria paura di morire. In questo agire non sarebbe in discussione il fatto che il paziente voglia o possa comprendere la sua autentica esperienza esistenziale ponendo uno iato irreversibile sulla nostra empatia. Quello che in ultima analisi vogliamo sostenere è ciò che consideriamo condizione necessaria per realizzare una relazione d aiuto di counseling che abbiamo definito mindfulness espressa nelle sue piene possibilità. Riteniamo sia una condizione fondamentale che il mindfulness counselor, ossia quel counselor che fondi sulla consapevolezza il suo lavoro in una relazione d aiuto, in quanto tale viva in una condizione di svelamento della propria coscienza. In termini heideggeriani potremmo dire che non esiste un approccio mindfulness alla relazione d aiuto se non vi è una condizione di autenticità. In questo contesto utilizziamo il termine autentico o autenticità così come sono espressi nel pensiero heideggeriano. È necessaria questa specificazione anche e soprattutto per distinguere il termine autentico qui inteso da quello espresso da Rogers. Con questo chiarimento non intendiamo rifiutare uno dei sei cardini che fondano la terapia centrata-sul-cliente di Rogers, ossia la congruenza che offre il significato di autenticità, in cui il counselor o il terapeuta è cioè, nella relazione, liberamente e profondamente se

12 stesso 11. Questo modo relazionale, assieme agli altri cinque cardini 12, contribuisce a creare quel campo ideale che permette all altro di produrre le sue trasformazioni. Dal punto di vista che intendiamo esporre in questo momento diciamo che l autenticità, o la congruenza, espressa da Rogers rappresenta un momento essenziale in cui il counselor può donare se stesso nella relazione, al di là del livello di svelamento autentico della sua coscienza. Quindi parlare di autenticità nel significato assegnato da Heidegger a questo termine, e riferendo questo al counselor, significa affermare che non può esserci una relazione condotta su un piano mindfulness, portato alla sue estreme possibilità, se il counselor non abbia svelato in sé la propria autenticità. Detto in altri termini, questo, se vuole realmente aprire un campo d ascolto consapevole e empatico, deve aver risolto in sé il significato di vita e di soggetto aprendo quella decisione anticipatrice che svela inevitabilmente il non senso dell affaccendarsi-nel-mondo in quanto dimensione dell ego e dei suoi prodotti. Il risultato di tale raggiungimento nel counselor permette quell empatia autentica che favorisce la comprensione che il counselor ha del paziente e in quest ultimo la possibilità di vivere accompagnato nella sofferenza della sua inautentica individualità. A questo livello sosteniamo quindi che, se il counselor non è passato dalla paura della morte all angoscia ontologica dell impossibilità della possibilità dell esistenza individuale, non potrà comprendere neanche la paura del paziente di fronte alla sua inautentica morte fisica, il venir meno quindi di quell individuo particolare che il paziente rappresenta in sé. Volendo spingere ancora di più le conseguenze di tale autenticità del counselor, affermiamo che, qualora nel paziente l evento traumatico del cancro apra la possibilità di strappare il confine della paura di morire accedendo al più ampio spazio ontologico dell angoscia, sarebbe prontamente disponibile l ideale accoglienza a questa istanza esistenziale. In ciò individuiamo una distanza tra noi e Heidegger. Il filosofo tedesco traccia la via verso l Essere su un piano a nostro giudizio ancora mentale e non reale, rivolto, nella sua produzione filosofica finale, all espressione poetica che definisce la possibilità di essere solo i pastori dell Essere e non l Essere stesso. Riteniamo che, al contrario, quest ultima possibilità, l essere l Essere stesso, sia l unica occasione di comprendere per identità con essa tale autentica dimensione. 11 Titolo originale: On Becoming a Person A Therapist s View of Psychotharapy, Carl R. Rogers. La Terapia Centrata sul Cliente, Ed. Psycho di G. Martinelli, Firenze 2000, pag Per l approfondimento dei cardini essenziali della Terapia centrata sul cliente di Rogers fare riferimento all opera citata.

13 L impossibilità in Heidegger di trovare un metodo per realizzare l Essere realmente, il Quale di conseguenza rimane Qualcosa di cui parlare senza comprenderlo realmente, porta all affermazione di non poter realizzare una piena empatia nei confronti di un essere umano in generale e del morente qui in particolare. Per Heidegger, che, in effetti, non risolve in sé l Essere autentico che lui stesso è, si può solo esser vicini al morente sia nel suo venir meno inautentico sia nella sua comprensione ontologica rivolta al significato di esistenza autentica. Questo perché non comprende quanto possa essere svelante ed empatica in sé la dimensione autentica a cui si riferisce. Queste due ultime dimensioni, cioè il poter stare in empatia sia verso l inautentico decesso sia di fronte ad una necessità di autenticità, sono ciò che affermiamo sia possibile. Riteniamo tutto ciò possibile a patto, però, che si abbia un metodo che liberi la comprensione autentica dell Essere che noi stessi siamo dalla prigione della mente che può, di certo, intuire la necessità di questa attuazione, ma mai comprenderne e realizzarne la reale identità. Il metodo per compiere la nostra autenticità è da noi testimoniato in un percorso mindfulness, che si fonda sull insegnamento delle grandi Tradizioni sapienziali e non può di certo essere limitato alla formalità di un programma scolastico di counseling. Il percorso verso l Essere che noi stessi siamo è ciò che si avvia da un individuo, da un esserci, dasein, fino a trasformare il senso stesso della propria esistenza.

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