A. PARTE PRIMA. Capitolo I. I.1 Note metodologiche
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- Feliciano Davide Biagi
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1 INTRODUZIONE La presente trattazione ha come oggetto l analisi di un caso, che ho seguito durante il tirocinio, svolto durante la mia formazione in psicoterapia sistemica, in qualità di osservatrice. L idea di sviluppare il tema dell adozione è nata dal fatto che durante il tirocinio ho avuto modo di osservare le terapie familiari di due famiglie che erano ricorse all adozione. Pertanto, l argomento mi ha non solo coinvolto, ma anche interessato molto. In particolare mi interessava ampliare il tema dell adozione connesso a quello dell adolescenza. La scelta di parlare proprio di questo caso è dovuta al fatto che ho avuto modo di seguirne l intero processo terapeutico: dalla segnalazione all équipe, alle varie fasi della terapia familiare, fino alla conclusione delle sedute. Ho, inoltre, avuto anche la possibilità di rivedere assieme all équipe le videocassette delle sedute e di partecipare, talvolta, alla discussione sul caso. Ciò mi ha sicuramente permesso di ricavare una visione d insieme del lavoro terapeutico e, in particolare, di approfondire un argomento di cui non conoscevo tutte le implicazioni psicologiche. Inoltre ha giocato un ruolo fondamentale nella scelta il fatto che questa famiglia abbia riscosso fin dall inizio il mio forte interesse e la mia curiosità.. 3
2 A. PARTE PRIMA Capitolo I I.1 Note metodologiche Nella prima parte verrà descritto brevemente il contesto in cui si è svolta la terapia familiare. In seguito verranno analizzati i vari aspetti del fenomeno-adozione, tenendo conto del materiale bibliografico reperito sull argomento. L obiettivo è di delimitare un campo così vasto, ma anche, per certi versi, poco approfondito, come quello dell adozione. La scelta dei paragrafi riflette l intenzione di cercare di offrire una visione d insieme sull argomento (per una questione di spazio necessariamente non esaustiva), soffermandomi in particolare sulle problematiche psicologiche dell adozione, nazionale ed internazionale, tenendo conto sia del punto di vista dei genitori adottivi sia di quello dei figli adottati. Un paragrafo, inoltre, verrà dedicato al periodo dell adolescenza, dal momento che la paziente identificata è una ragazza che, al momento dell inizio della terapia familiare, aveva diciasette anni. Verranno privilegiati i testi inerenti un ottica sistemica, anche se, comunque, è stato visionato materiale che fa riferimento ad altri sistemi teorici, per avere una visione più ampia sul tema. Nella seconda parte descriverò le fasi in cui si è articolato l iter terapeutico: dall invio alla formulazione delle prime ipotesi, alla conclusione delle sedute terapeutiche. 4
3 Seguirà un analisi personale dell esperienza, attraverso un bilancio della stessa, esaminando gli aspetti positivi e negativi emersi, e un analisi di ciò che è emerso durante il processo terapeutico. Concluderà la presente trattazione la bibliografia. 5
4 I.2 Il contesto Prima di descrivere il contesto in cui si è svolta la terapia familiare, vorrei soffermarmi sul significato che la teoria sistemica attribuisce al termine contesto. Il contesto è, infatti, un concetto fondamentale nell ottica sistemica. Esso è inteso come il luogo fisico e sociale, definito da regole strutturali proprie ed espressione della realtà in cui gli individui intrattengono relazioni. Se si accoglie, l idea batesoniana di contesto, inteso come matrice di significati, esso si identifica con il sistema di rappresentazioni più o meno condivise in base al quale gli attori sociali costruiscono il mondo circostante. Secondo questa concezione del contesto il lavoro psicoterapico, allora, va inteso come un lavoro di rielaborazione della propria storia nel senso che, con l aiuto del terapeuta, il singolo individuo, la coppia, la sua famiglia escono dal contesto in cui sono immersi: ristrutturano i dati della loro storia passata e attuale, in quanto creano e trasformano i loro contesti relazionali attraverso nuovi processi storici di cui diventano i protagonisti. Nella presente trattazione, allora, si cercherà di tenere conto di tale impostazione, considerando che il contesto è anche contesto di apprendimento. La terapia familiare di cui andrò a parlare si è svolta presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile presso l Azienda Sanitaria Locale 3 di Torino. Tale Servizio è situato all interno di uno dei maggiori ospedali di Torino. L équipe terapeutica era costituita da una psicologa, (che era stata la mia tutor durante il tirocinio post-lauream), formatasi presso la Scuola di Psicoterapia della Famiglia (fondata da Mara Selvini Palazzoli) e da una neuropsichiatra, formatasi presso il Centro 6
5 Milanese di Terapia della Famiglia (diretta da Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin). La maggior parte delle volte le sedute erano condotte dalla psicologa, la collega supervisionava da dietro lo specchio. In alcuni casi entrambe conducevano la seduta e da dietro lo specchio osservavano la seduta le tirocinanti (mai più di due). Durante l evolversi di questo caso la psicologa ha condotto tutte le sedute e la collega supervisionava dietro lo specchio. Alla discussione del caso che esporrò partecipava, talvolta, un altra neuropsichiatra che aveva inviato la ragazza e il Primario del Servizio, una neuropsichiatra di formazione sistemica. Le terapie familiari si svolgevano solamente un pomeriggio alla settimana (mercoledì) perchè le stanze adibite alla terapia erano condivise con altri colleghi. 7
6 I.3 Le implicazioni psicologiche del processo adottivo Numerosi sono i testi che hanno approfondito e sviluppato un tema così complesso quale quello dell adozione. Da una panoramica della letteratura italiana e straniera sul fenomeno-adozione emerge che l ipotesi su cui si sono soffermati di più i ricercatori è se l adozione costituisca di per sè un fattore di rischio per lo sviluppo psicologico del minore. In generale si può dire che a livello clinico e di ricerca è stata rilevata un incidenza più alta della norma di problematiche emotive e relazionali fra coloro che sono stati adottati: è vero infatti che le famiglie con bambini o adolescenti adottati si rivolgono a psicologi o psichiatri molto più spesso di quanto accada nelle famiglie naturali. Questo dato, pur significativo, non ci deve portare, però, a patologizzare il fenomeno dell adozione e quindi a considerarlo soltanto come un fattore di rischio. Sembra più utile, infatti, in questa sede prendere in esame le dinamiche relazionali, potenzialmente disfunzionali, che si possono innescare in tali situazioni. Secondo Prieur la richiesta da parte dei genitori adottivi di una consulenza psicologica riflette il loro bisogno di fare sempre qualcosa per i figli, come se fosse una loro missione, che, a volte, può anche non esaurirsi, neanche con il passaggio del figlio all età adulta. Tale bisogno può essere un affermazione del sentimento di onnipotenza educativa di questi genitori che, se da un lato, può soddisfare la loro identificazione narcisistica, dall altro serve a distruggere l immagine della madre naturale e a creare un bambino nuovo, che non ha una storia, un passato. Questo confronto con la madre naturale può avvenire da parte dei genitori adottivi, per esempio, aggredendo verbalmente il figlio adottivo quando questo in qualche modo li delude. 8
7 Un altro punto sottolineato dall autore è rappresentato dal fatto che in alcune famiglie adottive accade una rottura del tempo, perchè c è uno sforzo comune, sia da parte dei genitori sia da parte dell adottato, di dimenticare un passato che spesso è molto doloroso. Le famiglie riuscite, quindi, sarebbero quelle che conservano la memoria del periodo precedente l adozione e ciò darebbe loro modo di ritrovare una continuità del tempo, in quanto se non si possiede un passato può risultare difficile avere un futuro. Ma c è un altra dimenticanza che i genitori operano: la loro storia prima dell adozione che, nel caso di coppie sterili, è una storia costellata di grandi sofferenze. Spesso, infatti, nelle famiglie adottive non si parla con i figli di cosa ha motivato l adozione, del perchè si è operata questa scelta. I genitori, in genere, poi, sottolineano che il passato del figlio è molto più doloroso del loro e quindi evitano di parlarne. Ma questo loro segreto può avere delle gravi ripercussioni sul rapporto genitori-figli. E indispensabile, infatti, che i coniugi riescano ad elaborare i propri vissuti di lutto e di frustrazione biologica. Questo processo che si snoda nel tempo è molto importante per la coppia genitoriale e per la riuscita del processo adottivo. In queste famiglie l iter che porta all adozione è raramente vissuto come doloroso perchè probabilmente nelle loro premesse (inconsapevoli) c è la convinzione che per ottenere un bambino bisogna pagare un prezzo molto alto e tale prezzo è appunto il dolore. Una coppia, infatti, quando scopre di essere sterile si sottopone ad un lungo iter: prima a vari interventi medici a connotazione sessuale, in seguito, quando opta per l adozione, viene sottoposta ad una serie di colloqui con gli operatori (psicologi, assistenti sociali) per essere dichiarata idonea all adozione; poi l attesa, le pratiche burocratihce da sbrigare, e, a volte, i viaggi all estero. 9
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