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1 Intervento del Presidente dell Avvocato Generale dello Stato Luigi Mazzella al Convegno sul tema: Profili evolutivi dell obbligo di corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali e delle pubbliche amministrazioni (Roma, 25 febbraio 2005). Ho accolto con vivo piacere la richiesta di ospitalità per l organizzazione di questo convegno presso la sede dell Avvocatura Generale dello Stato. Per le peculiarità dei compiti svolti in qualità di organo di consulenza e di patrocinio delle amministrazioni pubbliche, l Avvocatura dello Stato rappresenta un punto di osservazione e di analisi privilegiato di tutte le tematiche che costituiranno oggetto di trattazione del Convegno. 1) In primo luogo, attraverso la rappresentanza del Governo della Repubblica Italiana avanti alla Corte di Giustizia, l Avvocatura dello Stato contribuisce ad assicurare costantemente la corretta attuazione ed interpretazione del diritto comunitario sia nei casi in cui ne viene contestato l erroneo recepimento nell ordinamento nazionale, sia nelle ipotesi del rinvio pregiudiziale. 2) Il ruolo dell Avvocatura è altresì decisivo nell assistenza alle pubbliche amministrazioni svolta attraverso l attività consultiva. Attività per la quale il diritto comunitario costituisce ovviamente un prioritario parametro di riferimento. 3) Altrettanto può infine dirsi per gli aspetti di difformità dal diritto comunitario delle disposizioni normative eventualmente adottate dalle regioni prospettati avanti alla Corte Costituzionale. Attraverso il ricorso principale - che si sostanzia ormai in una forma di sindacato di legittimità successivo all indomani della riforma del Titolo V della Costituzione, - il ruolo dell Avvocatura è pregnante. In tutti e tre contesti richiamati trova rilevante esplicazione la primazia del diritto comunitario, da considerarsi ormai costituzionalizzata per effetto della nuova versione del primo comma dell art.117 Cost. Tale articolo ha aggiunto, per di più in posizione sovraordinata, ai tradizionali parametri di riferimento per la valutazione della legalità dell attività legislativa e dell azione amministrativa quelli di derivazione comunitaria. Questo scrutinio viene costantemente assicurato a) per un verso dal sindacato diffuso da parte dei Giudici nazionali investiti della cognizione della compatibilità comunitaria delle norme e dei provvedimenti applicati nelle fattispecie concrete, con il solo limite dei rapporti quesiti, b) per un altro verso dall estensione dell obbligo della disapplicazione a tutti i soggetti che abbiano natura di autorità amministrativa. Secondo un consolidato insegnamento della Corte di Giustizia delle Comunità europee, poiché le norme del Trattato CE sono direttamente efficaci nell ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro ed il diritto 1

2 comunitario prevale sul diritto nazionale, queste disposizioni attribuiscono agli interessati dei diritti che le autorità nazionali devono rispettare e tutelare. Con la conseguenza che ogni disposizione contraria di diritto interno diviene inapplicabile nei loro confronti. Il principio del primato del diritto comunitario esige, inoltre, che sia disapplicata qualunque disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest ultima. Si tratta di un potere che il Giudice deve esercitare d ufficio quanto meno con riferimento alle disposizioni legislative chiaramente difformi dal diritto comunitario ed a quegli atti che, pur avendo natura formalmente amministrativa, hanno carattere normativo siccome destinati ad applicarsi ad una generalità di consociati in una serie indefinita di ipotesi. Le novità introdotte dalla legge costituzionale n.3/01 ed in particolare l espressa previsione nel novellato art.117 del vincolo comunitario come parametro per la verifica della costituzionalità delle leggi statali e regionali hanno ingenerato il dubbio di una limitazione dell area della disapplicazione. Con un ritorno al controllo accentrato della conformità delle norme nazionali al diritto comunitario. Queste perplessità dovrebbero essere però superate considerando comunque non derogato l obbligo di carattere generale del corretto adempimento del diritto comunitario di cui all art.10 del Trattato da cui consegue che il potere di disapplicazione in capo al Giudice del caso concreto continua a permanere. Può allora ritenersi che la nuova formulazione dell art.117 Cost. abbia aggiunto uno strumento più efficace di adeguamento al diritto comunitario che consente, sia pure in determinate ipotesi, la rimozione ex tunc ed erga omnes dell atto normativo viziato nei termini che precedono laddove invece la sua disapplicazione ne determinerebbe esclusivamente la quiescenza e l irrilevanza ai fini del decidere ma limitatamente alla fattispecie concreta dedotta in giudizio. Si tratta di principi ormai pacificamente ammessi da parte delle autorità giudiziarie del nostro Paese. Anche se possono ancora registrarsi differenti approcci metodologici dai quali derivano conseguenze diverse in relazione al regime delle conseguenze sulla validità e l efficacia dei provvedimenti amministrativi, privi di natura normativa, che appaiono difformi dal diritto comunitario. Il pendolo oscilla infatti ancora tra a) la concezione che vede il diritto di derivazione comunitaria integrato con quello interno e b) l altra che considera detti ordinamenti come autonomi e separati ma pur sempre coordinati. Se nel primo caso la verifica della validità provvedimento amministrativo sul versante giudiziario deve essere fatto nei termini della disapplicazione e quindi anche prescindendosi dai limiti decadenziali che ne limitano l impugnazione, nell altra ipotesi la norma comunitaria diviene parametro di legittimità dell atto amministrativo che può ridondare sulla sua validità determinandone l annullamento, ma sempre nel rispetto dei termini di impugnazione. La condivisione dell una o dell altra tesi implica anche una diversa valutazione del vizio invalidante perché 2

3 nel caso della separatezza il provvedimento amministrativo che trova la propria fonte regolatrice nella norma contraria al diritto comunitario sarebbe affetto da radicale nullità, mentre accedendo alla tesi dell integrazione dei due ordinamenti il risultato sarebbe quello dell annullabilità. La recente entrata in vigore delle modifiche alla legge n.241/90 sul procedimento amministrativo ed in particolare dell art.21 septies che ha individuato un numerus clausus delle ipotesi di nullità del provvedimento, tra le quali tuttavia non figura la difformità dal diritto comunitario, sembra ora indicare una chiara presa di posizione del Legislatore nel senso di fare rientrare nell area dell annullabilità tutti i casi non espressamente contemplati. D altronde, la sottoposizione della procedibilità dell azione volta a fare valere l illegittimità del provvedimento amministrativo difforme anche in via derivata dal diritto comunitario a termini di impugnazione perentori appare compatibile con l ordinamento della UE. I termini decadenziali per la proposizione dell impugnazione, essendo espressione della potestà normativa di ciascuno Stato membro in materia di disciplina delle forme di tutela giurisdizionale, laddove riguardino posizioni giuridiche soggettive costituite dal diritto comunitario, devono essere congrui per assicurare il rispetto degli inderogabili principi di equivalenza ed effettività. Non possono essere meno quindi favorevoli di quelli che riguardano ricorsi analoghi di natura interna. Un ulteriore riflessione deve essere compiuta in relazione alla configurabilità di un vero e proprio potere di disapplicazione in capo alle pubbliche amministrazioni. Questo è stato sempre tradizionalmente escluso in considerazione dell esistenza del potere di autotutela che consente alla PA di rivedere in qualunque momento i provvedimenti adottati se del caso annullandoli ex officio laddove gli stessi risultino illegittimi. E noto però che l autoannullamento soggiace alla necessaria preventiva valutazione dell attualità dell interesse pubblico al ristabilimento della legalità ed alla ponderazione degli interessi potenzialmente coinvolti dalla caducazione dell atto. Queste categorie non sarebbero applicabili nella specifica ipotesi della contrarietà del provvedimento amministrativo al diritto comunitario dovendosene affermare in modo incondizionato il primato nell ordinamento interno. Da ciò deriverebbe quindi che in questi casi l interesse pubblico alla rimozione dell atto difforme sarebbe sempre e comunque prevalente. Questa impostazione ermeneutica non sembra però tenere conto del fatto che, anche a livello comunitario, la disciplina dell annullamento dei provvedimenti effettuato in via di autotutela ha trovato una specifica disciplina per certi versi assimilabile alla nostra. Anche sul versante comunitario viene dato, infatti, ampio rilievo al consolidamento degli effetti dell atto nel tempo in cui è rimasto efficace e conseguentemente all affidamento dei terzi. Si dovrebbe allora ritenere che la difformità del provvedimento da una norma comunitaria immediatamente 3

4 esecutiva potrebbe innescare l annullamento in via di autotutela nel rispetto dei medesimi limiti e principi valevoli per quella di carattere generale. Per quanto invece attiene al tema della responsabilità extracontrattuale delle pubbliche amministrazioni per la violazione del diritto comunitario è noto che, con le sentenze Francovich, Brasserie du pecheur e Factortame, la Corte di giustizia ha costantemente ritenuto che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato. Si tratta di una responsabilità di carattere oggettivo in quanto il principio si applica a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro qualunque sia l organo di quest ultimo la cui azione od omissione abbia dato origine alla trasgressione. Del resto, essendo fondamentale l esigenza dell uniforme applicazione del diritto comunitario, l obbligo del risarcimento dei danni causati dalle sue violazioni non può dipendere da norme interne sulla ripartizione delle competenze tra i poteri costituzionali. Lo stato viene dunque considerato nella sua unità essendo indifferente che la violazione da cui ha tratto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, esecutivo o giudiziario. Con riferimento a quest ultimo la tematica si salda strettamente con alcuni aspetti del rinvio pregiudiziale. Questo, come noto, compete all organo che possegga le caratteristiche di un giudice dello Stato membro che consistono nella sua origine legale, nell obbligatorietà della sua giurisdizione, nella presenza del contraddittorio nel procedimento, nel fatto che l organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente. Rilevando l assenza di questi presupposti la Corte di Giustizia, con una recentissima decisione, ha infatti escluso dal novero dei giudici remittenti i collegi arbitrali. Il tema della responsabilità dello Stato membro a causa di una decisione di uno dei suoi organi giurisdizionali è stato particolarmente approfondito con riferimento al III paragrafo dell art.234 del Trattato. Questo prevede l obbligatorietà del rinvio della questione interpretativa del diritto comunitario alla Corte di Giustizia quando la stessa è sollevata in un giudizio pendente davanti ad una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ulteriore ricorso giurisdizionale di diritto interno. Detto obbligo, che incombe dunque sul Giudice di ultima istanza, mira più in particolare ad evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme comunitarie. Più in particolare, secondo quanto statuito dalla sentenza Cilfit, il rinvio pregiudiziale è doveroso quando la questione interpretativa del diritto comunitario sia rilevante ai fini decisori in quanto idonea a definire il giudizio a quo ed ove sussistano dubbi effettivi sull interpretazione, sulla portata, sull ambito e sull oggetto della disciplina comunitaria medesima. Non si tratta quindi di ipotesi di rinvio automatico o, peggio ancora meccanicistico, divenendo questo inutile quando la risposta al quesito si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo o comunque la questione si presenti in termini tanto chiari da non suscitare un ragionevole 4

5 dubbio interpretativo. Come insegna la sentenza Kobler, in questi casi la violazione del diritto comunitario può considerarsi sufficientemente caratterizzata in relazione alla chiarezza della norma violata ed alla scusabilità dell errore di diritto, mentre si dovrebbe ritenere scontata se la decisione che ha provocato il danno è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia delibata. Valutato in base ai menzionati parametri anche l omesso rinvio pregiudiziale da parte del Giudice di ultima istanza può pertanto determinare la responsabilità risarcitoria dello Stato membro. Essendo questo l assetto interpretativo dell art.234 sul versante comunitario, si potrebbe ritenere che le regole sulla responsabilità dei magistrati attualmente vigenti nel nostro paese non siano pienamente conformi al diritto comunitario. L art.2 della l.n. 117/88 subordina il risarcimento dei danni derivanti dall attività giudiziaria alla dimostrazione del dolo e/o della colpa grave e comunque lo esclude per l attività di mera interpretazione delle norme di diritto. Ciò in evidente ossequio al principio costituzionalmente garantito dell autonomia della magistratura. E però evidente che l azione risarcitoria viene subordinata a limiti e condizioni estranei rispetto a quelli minuziosamente definiti dalla Corte di Giustizia con la conseguenza che tale disposizione sarebbe suscettibile di disapplicazione ove fosse opposta ad una richiesta risarcitoria fondata ad esempio sul mancato rinvio pregiudiziale da parte di un Giudice di ultima istanza allorquando lo stesso appariva in concreto doveroso. Il menzionato art.2 potrebbe tuttavia mantenere la propria compatibilità comunitaria ove invece si ritenga che il comma 3 che include tra le ipotesi di colpa grave la grave violazione di legge determinata da errore inescusabile, sia suscettibile di derogare o comunque limitare l esimente di cui al comma 2. 5

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