il suo dire sì va fino alla giustificazione, fino alla redenzione anche di tutto il passato. (EH, p. 108)
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- Adolfo Roberto
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1 L eterno ritorno. Considerazioni preliminari La dottrina dell eterno ritorno costituisce certamente la più complessa e sfuggente idea filosofica che Nietzsche abbia elaborato. Negli ultimi anni della sua riflessione, vi attribuì una grande importanza, sino a considerarla come la teoria capace di connettere tutti i concetti fondamentali della sua filosofia. In Ecce homo (p. 94), la definisce come «la concezione fondamentale» dello Zarathustra, come «la suprema formula dell affermazione che possa mai essere raggiunta». Nella stessa pagina autobiografica, Nietzsche riassume il significato di tutto lo Zarathustra nel paradosso di una negazione radicale, di un opera radicalmente distruttiva, che tuttavia non ha come esito la negatività, il rifiuto dell esistenza, ma la massima affermazione, «il sì eterno a tutte le cose». Ma questo passaggio all affermazione suprema consiste appunto nel fatto che Zarathustra, pensando «il pensiero più abissale», cioè l esistenza come eterno ritorno, non la consideri come un obiezione contro l esistenza, ma la sopporti, e anzi arrivi a considerarla come «una ragione di più per essere e- gli stesso il sì eterno a tutte le cose». Poco dopo, in Ecce homo aggiunge una notazione importante. Afferma infatti che il suo dire sì va fino alla giustificazione, fino alla redenzione anche di tutto il passato. (EH, p. 108) Questo significa che la redenzione del passato costituisce l aspetto saliente della dottrina dell eterno ritorno. Come si vede, l eterno ritorno vuole essere un concetto sintetico, nel quale si uniscono e confluiscono tutti i termini fondamentali della profezia di Zarathustra: la riflessione sulla morale, sul nichilismo, sulla volontà di potenza, sul tempo. È in questo concetto che s incentra una visione dell esistenza, dell esserci, e, al tempo stesso, un etica. L esistenza è un e- terno ritorno, ma il fatto essenziale è che l esistenza, proprio così come è, venga accettata, sopportata. Che l uomo arrivi a dire sì alla forma dell esistenza. L uomo nuovo, il superuomo, è appunto colui che dice sì all esistenza così come è: all eterno ritorno. Perciò possiamo dire che la dottrina dell eterno ritorno è, al tempo stesso, un ontologia e un etica. Proprio per questa natura sintetica, questo pensiero manifesta una estrema complessità. Cominciamo dagli intenti più chiari di questa dottrina. In primo luogo, l eterno ritorno ha un evidente carattere di negazione. È una concezione polemica dell esistenza. È cioè una teoria che vuole negare qualcosa di fondamentale nel modo ordinario di intendere l esistenza. Vuole negare qualcosa di essenziale della metafisica. In primo luogo, l idea dell eterno ritorno è una negazione della visione lineare del tempo. Ma bisogna intendere bene
2 cosa significa, nel pensiero di Nietzsche, che il tempo ha una struttura lineare. Dobbiamo metterne in rilievo alcuni aspetti. In primo luogo, nella visione di Nietzsche il tempo lineare è una concezione finalistica, teleologica, dell esistenza. È quella visione per cui l esistenza ha uno scopo, una meta, un fine, che sta oltre la sua attualità. È la posizione dell eschaton che costituisce e struttura la visione lineare del tempo. L esistenza si presenta come una fuga verso il telos, verso uno scopo che la attende. Questa visione del tempo è dunque legata alla morale cristiana: quando crolla la morale cristiana, accade l evento del nichilismo, cioè l esistenza è ormai concepita come priva di senso. La visione lineare del tempo è per ciò, in primo luogo, la struttura della metafisica, ossia della morale. Con il linguaggio della filosofia contemporanea, possiamo dire che il tempo lineare ha la struttura della filosofia della storia. Cioè di una concezione nella quale il tempo è strutturato a partire da un fine, da un eschaton, che ne costituisce anche il significato. Nella interpretazione classica di Löwith, questa è la visione ebraico-cristiana del tempo, contrapposta alla visione ciclica degli antichi. Nella visione ebraico-cristiana il fine coincide con il significato. E tutto il tempo si articola intorno al telos. Il significato dell accadere attuale è oltre di esso, lo trascende, è riposto in una prospettiva di salvezza: In breve, nella visione lineare del tempo, ricondotta a questa struttura, evento e significato si dividono: il significato è oltre l attualità dell evento, oltre l accadere. Ma, nella prospettiva di Nietzsche, non solo si deve dire che il significato è oltre l accadere, in un futuro di salvezza. Ma anche che il passato, nella sua ferma oggettività, trascende la presenza della volontà. L attimo della creazione è quello in cui accade quell apertura che è il futuro e in cui, soprattutto, il «così fu» del passato è convertito nel «così volli che fosse» della volontà (p. 233). In questo attimo, il tempo non si presenta più come una successione di istanti estranei, ma come il continuo prospettarsi della volontà verso il futuro e verso il passato. Abbiamo detto che la creazione è creazione del mondo. Ma la creazione del mondo è, in primo luogo, creazione del tempo, della struttura temporale del mondo. Ora, il tempo del superuomo è una redenzione dell esistenza dal tempo lineare, dall idea della successione degli stati del mondo secondo l ordine del tempo. Il tempo lineare è un tempo che non si possiede. Ogni momento, ogni i- stante, ogni attimo, è solo il confine astratto tra gli istanti precedenti (il passato) e gli istanti seguenti (il futuro). Questi istanti (il passato e il futuro) trascendono l attimo, costituiscono il vero significato, e dunque svuotano l attimo dell esistenza di ogni senso. L ora dell attimo, cioè l esserci stesso, è nulla. Inoltre, la visione lineare del tempo è quella struttura che giustifica il progresso e la volontà libera. La visione lineare del tempo trova un senso nella dottrina del libero arbitrio. Questo è un punto fondamentale. Per questa concezione, ogni attimo, benché astratto e inafferrabile, costituisce una novità, cioè una differenza: incrementa la realtà del mondo. Il fine, posto nell eschaton, ordina alla volontà il distacco dalla necessità del passato, cioè
3 la differenza, nell orizzonte di un piano provvidenziale: che va verso il fine razionale (la ragione, l eguaglianza, ecc.). L esistenza non è qualcosa che si conserva nella sua struttura, ma qualcosa che si accresce in modo indefinito, che aggiunge sempre qualità e quantità al passato. Questo significa che la concezione del tempo lineare è legata all illusione metafisica della libertà del volere. La libertà, intesa come spontaneità, rappresenta il principio del progresso. Se la realtà fenomenica è segnata dalla regola della necessità, la spontaneità del volere può evaderla nella forma di una libera causalità, costituendo eventi irriducibili alla struttura della necessità. Ma questa evasione dalla struttura della necessità può accadere soltanto nell ordine del tempo lineare: in quel tempo, cioè, dove l istante della volontà si separa dall istante passato della necessità, costituendo qualcosa di irriducibile a esso. In questo senso, la critica della libertà del volere è un aspetto essenziale per intendere l eterno ritorno di Nietzsche. Nietzsche intende negare questa visione del tempo: perché questa visione del tempo è una visione dell esistenza, dell esserci, nella quale il valore è sempre oltre, l essenza non coincide mai con l esistenza, il significato con l essere. Per cui è l origine della morale cristiana, ha un legame molto stretto con essa. Questo rapporto tra tempo lineare e morale cristiana emerge sinteticamente nel frammento di Lanzerheide del Qui la morale cristiana viene interpretata in termini di protezione. Questa interpretazione si articola in due direzioni. In primo luogo, la morale cristiana protegge l uomo dal nulla, dal «nichilismo teorico e pratico» ( 1). Perché dà un senso alla sua esistenza, anche se questo senso le è estraneo. Infatti, conferisce all uomo un valore assoluto, fa del male uno strumento del bene e consente all uomo di sapere il valore. In secondo luogo, la morale protegge dal nulla gli oppressi, i servi, perché li porta a odiare la volontà di potenza del signore, nell illusione che questo odio non sia, a sua volta, volontà di potenza. Il servo si illude, attraverso la morale, di sfuggire al senso fondamentale della vita: di essere il buono, l altruista, verso e contro l egoismo del signore ( 11). Ma a un certo punto il nichilismo emerge, e prevale sulla morale. Il nichilismo emerge perché la morale ha dentro di sé il principio del suo superamento. Questo principio è la verità, che infine si scopre come menzogna, cioè come volontà di verità: la verità, che dovrebbe mantenersi al di sopra della vita, si scopre come volontà di potenza, come prospettiva elaborata dalla vita per il dominio ( 2). Quando la morale va in crisi, l esistenza perde il suo senso ( 4-5). L espressione senso va intesa qui in senso letterale. Senso significa scopo. Ciò che viene meno con la morale è l idea che l esistenza abbia uno scopo, cioè la sua struttura teleologica ( 6). Questo significa che il nichilismo implica la crisi di un concetto di tempo: del tempo lineare, legato alla visione escatologica cristiana. Perciò, quando la morale cristiana crolla, crolla con essa questa visione del tempo. Il nichilismo è, a rigore, un esperienza di fine del mondo; e, quindi, un esperienza di fine del tempo. Questo passaggio ha un intensità particolare. Quando l esistenza non ha più uno scopo, crolla la visione lineare del tempo, ed emerge l idea dell eterno ritorno. Se non si va verso il telos, tutto torna, cioè tutto è egua-
4 le, tutto torna eguale. Ma qui l eterno ritorno non è presentato come un gesto di liberazione, o di creazione, bensì come l esito necessario del crollo della morale, come l esito di un nichilismo negativo. L eterno ritorno è ciò che semplicemente residua dalla morte di Dio, dalla fine della morale europea. In fondo, l eterno ritorno c è già nel nichilismo. Non è una scoperta di Zarathustra. La scoperta di Zarathustra è il superuomo: cioè colui che può sopportarlo, accettarlo, che ha la forza di dire sì, al ritorno eterno. Ma, come poi diremo, l uomo del nichilismo non può sopportarlo. Questo uomo conclude all eterno ritorno, ma lo concepisce soltanto come assenza di ogni senso, come vuoto. Non può accettarlo. Non può dire sì all esistenza come ritorno eterno. Questo è il passaggio etico della dottrina dell eterno ritorno su cui dobbiamo tornare. Il fatto che l esistenza non abbia più uno scopo, e che perciò (oltre l illusione della libertà del volere) non sia passibile d incremento, non significa però, per Nietzsche, che essa sia una forma eterna, immobile, nel senso di un fermo essere, alla maniera dell essere di Parmenide. Al contrario, secondo Nietzsche l esistenza è un perenne divenire. Ed è tale proprio perché, alla maniera del gioco eracliteo, diviene continuamente senza andare verso uno scopo, senza una ragione che la muova. L esistenza come divenire non ha una ragione, un fondamento, dietro di sé, né un fine, uno scopo, oltre di sé. Nella maniera più paradossale, il divenire a cui pensa Nietzsche è un divenire che si esaurisce nell attimo del suo accadere. Non ha una causa né un fine, un prima o un dopo: non si snoda nel corso del tempo, ma accade nell attimo. Questo è il concetto più difficile che ci si presenta. Ciò significa che l esistenza si trasforma continuamente (assume sempre una forma diversa) pur conservando la stessa struttura fondamentale. L energia si conserva, ma ha sempre una forma diversa, si dispone in maniere molteplici. È sempre la stessa energia, ma con una faccia continuamente diversa. Come Nietzsche afferma nell ultimo dei frammenti raccolti nella Volontà di potenza (n. 1067), questo è il volto autentico del dionisiaco. Questa energia che si mantiene nella sua necessità e, tuttavia, si muta continuamente, è la stessa volontà di potenza. Come sappiamo, la volontà di potenza è la libertà nel senso della creazione (è continua costruzione simbolica di mondi adeguati a sé), ma è libera solo nel senso che segue la propria necessità. L esistenza è volontà di potenza, e dunque ha questo carattere di trasformazione nella conservazione di sé. Questo rapporto tra esistenza come ritorno e volontà di potenza segna un punto di estrema complessità nel discorso di Nietzsche. Nell equivalenza che istituisce tra volontà di potenza ed eterno ritorno, Nietzsche contrae, in effetti, una serie di questioni. La prima questione riguarda la natura propria della volontà di potenza. Abbiamo detto più volte che la volontà di potenza non va concepita come un soggetto, come un esserci che, a un certo punto, passi all azione. La volontà di potenza è soltanto un energia creatrice, un movimento, un divenire. Ma nel suo movimento (la vita), la volontà di potenza non vuole mai altro da sé. Non ha fini, scopi, mete. In questo senso, non si può dire neanche che la volontà di potenza vuole se stessa: nel senso, cioè, che voglia il proprio interesse, il proprio piacere, alla maniera dell egoismo. Non è un calcolo razionale, è un energia primitiva, è lo stesso
5 della vita. Nel suo agire, la volontà di potenza si manifesta, è se stessa: il suo divenire è il suo stesso essere. È nel divenire, e diviene nell essere. Nel suo movimento, la volontà di potenza non fa altro che ripetere se stessa: la sua struttura è quella di un ritorno, di un eterno ritorno in sé stessa. È alterazione, e nello stesso atto è inalterabile. Ma la questione è evidentemente più complessa. Noi sappiamo che l alterazione della volontà di potenza è una generazione di mondi a partire da sé. Gli universi simbolici che la volontà costituisce sono la sua stessa e- spressione. La volontà non è altro che questo generare mondi. Non è una volontà introversa (come quella di Schopenhauer), è una volontà estroversa, risolta nel suo apparire. Ma questi mondi simbolici restano tuttavia mondi di illusione. Sono simboli, illusioni, rappresentazioni, menzogne, non sono sostanze. Il divenire delle illusioni ripete la medesima sostanza, si muove nello stesso spazio di essere. Non lo accresce e non lo diminuisce: cambiano le figure, ma la sostanza del mondo rimane sempre la stessa, inalterata. E questa sostanza è la vita, cioè la stessa volontà di potenza. In questo senso, come Nietzsche si esprime, l esistenza è un ritorno a sé. Si osservi con attenzione questa espressione: ritorno. Die ewige Widerkunft: nel lessico teologico, la Widerkunft indica la seconda venuta del Signore, il tempo dello Spirito Santo, la parousia, la fine dei tempi. Il ritorno non è immobilità, è movimento. Ma questo movimento non è un andare verso, non è un provenire da, ma un restare presso di sé. In questo movimento A non va verso B, e non proviene da C, ma rimane presso di sé, dentro di sé. Il movimento accade dentro i confini di A, nell eguale, nell identico, non genera una differenza reale. La differenza che il movimento genera riguarda solo la forma, non la sostanza necessaria dell esistenza. Nelle parole che Nietzsche adopera, la medesimezza della struttura (l eguale, la necessità) tocca anche le cose: questo ragno, questa penna, ecc. (v. GS, p. 248). Nietzsche vuole dire che ogni cosa che ora è, proprio come è ora, è già stata e sarà di nuovo. Che questo ragno che ora è qui sia stato già e sarà ancora, significa che la presenza dell ente coincide con il passato e con il futuro. Ma allora bisogna chiedersi cosa siano il passato e il futuro in una concezione dell esistenza che sfugga alla visione del tempo lineare. Solo se noi assegnamo un senso al passato e al futuro possiamo intendere cosa significa che questo ragno è stato e sarà eguale a quello che è. Noi sappiamo che il passato, per Nietzsche, è redento dalla sua oggettività necessaria. Questo significa che il passato, lo è stato si converte in un così volli che fosse. Ancora, questo significa che è il presente della volontà che prospetta il passato come il suo passato proprio. Ma allora il ragno che è stato eguale e che si ripete, vuole dire che la volontà che ha presente il ragno, ora, è quella volontà che riconosce il ragno attuale come già accaduto, identico, nel suo passato. La volontà ripete il presente nel passato come l identico, perché non è un passato oggettivo e necessario, ma è il suo passato. Così accade anche per l anticipazione del futuro. Potremmo anche dire che le combinazioni della forma molteplice dell unica struttura della necessità non sono infinite. Dunque devono ripetersi, prima o poi. Ma questo prima o poi costituisce il problema. È una visione-limite, che indica che l esistenza non può operare una creazione so-
6 stanziale: il creatore crea le forme del mondo, ma all interno di una struttura necessaria, che non ammette autentica novità. Come si diceva, Nietzsche dà all eterno ritorno anche un significato etico. L eterno ritorno non è solo un ontologia, è anche un etica. Questo significato etico è segnato dal concetto della sopportazione. Il superuomo è colui che fa una cosa che l uomo cristiano non potrebbe fare: sopporta l idea dell eterno ritorno. La morale cristiana è una morale del risentimento nei confronti del signore, è una morale che considera la volontà di potenza come il male. Il debole, il malato, non vuole la volontà di potenza, ma vuole l altruismo, l eguaglianza, la compassione. Vuole che il ritmo proprio dell esistenza sia congelato. Nella sua debolezza, il debole può salvarsi dal nulla solo con la speranza di un mondo migliore. Questa speranza di un mondo migliore significa visione lineare del tempo, trascendenza del bene, progresso: significa dire no all esistenza, svuotarla del suo valore, del suo significato, e riporlo altrove. Se il debole scoprisse che non vi è questa speranza, ma che l esistenza ha valore come è, in questo attimo, degenererebbe nel nichilismo assoluto, cioè perirebbe. Il negatore della volontà di potenza può vivere solo svuotando il valore dell attimo e spostandolo nel passato e nel futuro. Non può sopportare l esistenza così come è. Dunque: fuga dall attimo, fuga nel telos. Per questo, dice Nietzsche, l eterno ritorno è un pensiero che crea una gerarchia, che divide il forte dal debole, il vero signore (che è in tutte le classi sociali) dal servo. Il forte è colui che riconosce la volontà di potenza, che accetta la vita, e dunque sopporta l eterno ritorno. L eterno ritorno insegna l unità dell essere e del significato. Nega la trascendenza, e perciò libera l esistenza. Ma l esistenza liberata è un esistenza abbandonata a se stessa, che non trova più la speranza oltre di sé. Il valore etico consiste nell accettarla come è, nell approvarla come buona e pregevole. Ma, come si è detto, colui che approva l esistenza, in questo medesimo atto la sopporta. Ossia dice sì a qualcosa che ha anche il segno della negatività: e che per questo, nella sua ferma necessità, è anche un perenne divenire.
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