Cass., sez. I, 17 ottobre 2008 n. 25369



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Cass., sez. I, 17 ottobre 2008 n. 25369 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO R. e T.M. convenivano avanti al Tribunale di Termini Imerese il Comune di Cefalù per sentirlo condannare alla restituzione di un terreno, sito in contrada (omissis) e distinto al locale catasto al foglio (omissis) particella n. (omissis) occupato temporaneamente dall'amministrazione comunale, in data 4.3.1981, in vista della costruzione sul terreno stesso di n. 86 alloggi economici e popolari, occupazione poi non seguita dalla pronunzia del decreto di esproprio. Aggiungevano le ricorrenti che il Comune convenuto, dopo essersi immesso nel terreno aveva divelto numerosi alberi sullo stesso esistenti provocando danni sicchè chiedevano il relativo risarcimento, esteso anche al mancato godimento dell'immobile per il periodo di occupazione legittima. Con separato atto le sorelle T. convenivano sempre avanti al Tribunale di Termini Imerese il comune di Cefalù e l'i.a.c.p. per sentirli condannare in solido o in via alternativa al risarcimento del danno conseguente alla perdita del terreno a seguito dell'irreversibile destinazione del fondo all'opera pubblica. Resistevano alla domanda sia il Comune che l'i.a.c.p. che eccepivano la propria rispettiva carenza di legittimazione passiva; in particolare l'amministrazione comunale rilevava che, in caso di condanna, fosse onere dell'i.a.c.p. di rivalerlo di quanto dovuto alle proprietarie dell'area occupata irreversibilmente mentre l'istituto a sua volta assumeva che il programma per la realizzazione di n. 86 appartamenti di edilizia economica e popolare non aveva avuto seguito a causa della perenzione del relativo finanziamento, addebitabile al comune. Aggiungeva che successivamente era stato approvato un nuovo piano di edilizia economica e popolare, comprendente l'area in questione che gli era stata assegnata dall'amministrazione comunale con Delib. 16 novembre 1985, n. 1545, e materialmente consegnata 13.5.1988 sicchè nessuna responsabilità poteva essergli addossata. Riuniti i due procedimenti il Tribunale accertava che l'occupazione legittima era cessata il 10.4.1989 e condannava il Comune, ritenuto unico responsabile per non avere tempestivamente definito la procedura espropriativa, a corrispondere alle ex proprietarie la somma di L. 87.949,940 a titolo di danno per la perdita delle aree, determinata ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, somma di rivalutarsi sulla base degli indici istat e sulla quale dovevano essere calcolati gli interessi legali, previa rivalutazione annuale, nonchè l'ulteriore somma di L. 2.398.620 a titolo di indennità di occupazione legittima per ogni anno di occupazione, rivalutata ed aumentata degli interessi legali. Escludeva il diritto di rivalsa del comune di Cefalù essendo stato l'onere dell'i.a.c.p. limitato al pagamento dell'indennità di espropriazione e non del maggior danno causato dalla negligenza dell'ente. Avverso tale sentenza proponeva appello il comune di Cefalù, fondato su cinque motivi, con i quali lamentava che: 1

a) l'occupazione legittima era scaduta il 16.4.1987 e non già, come ritenuto dal primo giudice, il 10.4.1989 sicchè unico responsabile dell'illecito doveva ritenersi l'i.a.c.p. per avere eseguito l'opera pubblica in situazione di occupazione sine titulo; b) il diritto di rivalsa era dovuto in relazione alle somme sborsate per il costo di acquisizione delle aree che all'epoca dell'acquisizione corrispondeva al valore di mercato, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 39; c) che il valore dell'area era stato determinato con metodo diverso da quello sintetico comparativo sempre applicato dal Tribunale di Termini Imerese; d) l'indennità di occupazione doveva essere limitata al periodo 9.4.1981-15.4.1987; e) le spese di giudizio avrebbero dovuto essere poste a carico dell'i.a.c.p. Resistevano l'i.a.c.p. e le sorelle T. le quali spiegavano appello incidentale, fondato su due motivi. Le T. assumevano che: a) il calcolo della durata dell'occupazione legittima doveva essere limitata nei sensi indicati dal comune e quindi in relazione periodo successivo al 14.10.1987 dovevano essere calcolati gli interessi legali sulla somma di L. 87.949.940, debitamente rivalutata; b) le spese di giudizio erano state liquidate in misura insufficiente. La Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accertava che l'occupazione legittima era scaduta il 14.4.1987 prima quindi dell'emanazione del D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, che aveva prorogato la durata dell'occupazione legittima, e che tuttavia l'intera responsabilità dell'illecito andava addebitata al comune di Cefalù posto che questo alla scadenza del periodo di occupazione legittima non aveva restituito l'area della quale era in possesso, consentendo all'i.a.c.p. di iniziare e terminare il programma di costruzione degli alloggi economici e popolari previsti. Circa l'ammontare della somma dovuta alle ex proprietarie la Corte d'appello, stimato in L. 61.500 al mq. il valore dell'area, liquidava a titolo di danno per accessione invertita la somma di L. 87.198.112, già rivalutata, oltre agli interessi legali a decorrere dal dicembre 1988 da calcolarsi sul credito originario mediamente rivalutato fino alla pronunzia mentre a decorrere dalla pronunzia riteneva dovuti gli interessi legali sulla somma interamente rivalutata. L'indennità di occupazione legittima infine veniva dalla Corte territoriale ricalcolata sulla base dell'indennità di espropriazione virtuale determinata ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, e non sul risarcimento del danno da occupazione acquisitiva come fatto dal primo giudice; la Corte d'appello inoltre riteneva fondata la domanda di rivalsa avanzata dal Comune limitata, però all'ammontare dell'indennità virtuale, calcolata sulla base della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis. Avverso la sentenza della Corte d'appello propone ricorso, fondato su due motivi, il comune di Cefalù. Resiste con controricorso l'i.a.c.p.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso il Comune di Cefalù lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., e dei principi in materia di responsabiltà nonchè 2

omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia; violazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Osserva l'amministrazione ricorrente che l'irreversibile destinazione del fondo alla costruzione dell'opera pubblica si è verificata allorchè il terreno era oggetto di occupazione illegittima, perfettamente nota all'i.a.c.p. sicchè, rilevando ai fini del risarcimento solo l'irreversibilità, unico responsabile doveva ritenersi l'i.a.c.p.. Rileva altresì il Comune ricorrente che la Corte d'appello non ha tenuto conto che ciò che conta non è tanto l'occupazione del suolo quanto la sua trasformazione, con irreversibile destinazione alla costruzione dell'opera pubblica, eseguita, nella specie, dall'i.a.c.p. allorchè l'occupazione era divenuta illegittima. D'altra parte erroneamente il giudice di merito ha ritenuto che l'i.a.c.p. andasse esente da ogni responsabilità anche sulla base della statuizione emessa sul punto dal giudice di primo grado, non impugnata dalle attrici, posto che il comune di Corfù aveva sottoposto a gravame tale statuizione proprio in relazione all'esclusione della responsabilità dell'istituto, ciò che imponeva l'esame della questione, quanto meno sotto il profilo della responsabilità solidale. Sul punto il giudice di merito nulla ha precisato. Il motivo si articola su tre censure : a) l'illecito nella specie è stato determinato solo dalla realizzazione dell'opera; b) inesistenza del giudicato in ordine all'assenza di ogni responsabilità dell'i.a.c.p., per non essere stata la relativa statuizione impugnata dalle attrici; c) omessa valutazione della possibilità di considerare quanto meno una responsabilità solidale delle parti in causa, ed è fondato nei termini in prosieguo precisati. In ordine logico va per prima esaminata l'eccezione attinente alla mancanza di giudicato sulla questione relativa all'assenza di responsabilità dell'i.a.c.p. (lett. b). L'eccezione è fondata posto che sul punto la sentenza del Tribunale di Termini Imerese è stata impugnata dal Comune di Cefalù, interessato a censurare la statuizione che lo danneggiava, avendolo ritenuto unico responsabile dell'illecito, sicchè non è sufficiente a determinare il giudicato l'omessa impugnazione da parte delle attrici essendo stata la questione relativa alla responsabilità dell'i.a.c.p. rimessa in discussione dal Comune di Cefalù. Ciò premesso va considerato, in riferimento alle censure sub a) e c), che la Corte d'appello ha accertato che l'i.a.c.p. si è immesso sul terreno, detenuto dall'amministrazione comunale, allorchè il termine di occupazione legittima era spirato, ragione per cui la costruzione degli alloggi economici e popolari è certamente avvenuta in situazione di illegittimità. Da ciò discende che entrambi gli enti devono ritenersi concorrenti nella determinazione dell'illecito: il Comune di Cefalù per non avere tempestivamente portato a termine la procedura espropriativa, non delegata all'i.a.c.p., e per non avere restituito il fondo alla scadenza dell'occupazione legittima e l'i.a.c.p. per avere eseguito l'opera pubblica, nonostante fosse cessata l'occupazione legittima. Sul punto pertanto la decisione impugnata è carente avendo il giudice di merito attribuito esclusiva rilevanza all'occupazione dell'area eseguita dal Comune di Cefalù, omettendo completamente di valutare, ai fini della determinazione dell'illecito, la 3

parte successiva relativa alla costruzione dell'opera pubblica che pur doveva essere tenuta in considerazione, al fine di accertare una responsabilità concorrente dell'i.a.c.p. e procedere alla ripartizione delle reciproche colpe. (Cass. civ. sez. 1^, 26.5.2006 n. 12625; Cass. civ. sez. 1^ 12.07.2001 n. 9424, Cass. civ. sez. 1^ 04.02.2000 n. 1210). Il primo motivo va pertanto accolto sulla base del seguente principio di diritto: sussiste la responsabilità solidale dell'ente espropriante - appaltante e dell'appaltatore ogni quale volta entrambi abbiano concorso a determinare l'evento dannoso. Con il secondo motivo l'amministrazione comunale censura l'impugnata sentenza per violazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, artt. 35, 57 e 60, in combinato disposto con l'art. 1173 c.c., ed in relazione alla L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 72, nonchè all'art. 11 disp. gen.; violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nonchè dell'art. 1339 c.c., in connessione con l'art. 1499 c.c., in relazione alle predette disposizioni. Rileva il Comune ricorrente che nell'impugnata sentenza la propria domanda di rivalsa è stata esaminata solo sotto il profilo contrattuale mentre la Corte Territoriale non ha tenuto conto che in un contesto in cui l'acquisizione delle aree avviene su impulso del Comune questo deve comunque restare immune da ogni onere economico, posto che il corrispettivo del diritto di superficie da porre a carico dell'acquirente va determinato in misura equivalente al costo di acquisizione delle aree stesse. Costo che nella specie corrispondeva a quanto sborsato a titolo di accessione invertita. Corollario di quanto fin qui esposto è che trattandosi di obbligazione di valore il Comune avrebbe dovuto ottenere, a titolo di rivalsa, più di quanto pagato per l'accessione invertita, dovendo la relativa somma essere rivalutata. Riguardo quindi alle clausole n 3 e 5 della convenzione intercorsa fra il Comune e l'i.a.c.p. osserva l'amministrazione ricorrente che tali clausole facevano riferimento alla situazione tipica che avrebbe dovuto concludersi con il decreto di esproprio, ma nella specie essendo la proprietà del terreno già stata acquistata a seguito di accessione invertita, le clausole stesse andavano interpretate in relazione alla situazione di fatto esistente. Qualora poi si volesse ritenere che la L. n. 865 del 1971, art. 35, faccia esclusivo riferimento all'indennità di espropriazione, allora la stessa andava determinata con riferimento alla data della contrattazione, data in cui era ancora vigente la L. n. 2359 del 1865, sicchè l'indennità di espropriazione avrebbe dovuto essere determinata con riferimento al prezzo di mercato, esclusa ogni possibilità di applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis. Il motivo è fondato, nei limiti in prosieguo precisati. Al riguardo si osserva che la Corte di merito nell'interpretare la convenzione intervenuta fra il Comune di Cefalù e l'i.a.c.p. ha ritenuto che il corrispettivo dovuto all'ente territoriale, per la cessione del diritto di superficie sull'area in questione dovesse essere calcolato in riferimento all'indennità di espropriazione virtuale, interpretazione questa che non è stata censurata dal Comune ricorrente con 4

riferimento ad eventuali vizi logici interpretativi nei quali sarebbe incorsa la Corte d'appello. Da ciò consegue che l'interpretazione della convenzione, effettuata dal giudice di merito, deve mantenersi ferma, corrispondendo del resto l'indicata interpretazione al disposto della L. n. 865 del 1971, art. 35, che fa anch'esso riferimento al "costo di acquisizione", espressione che non può riferirsi all'esborso sostenuto a seguito dell'accessione invertita del terreno, considerato che l'esborso sostenuto per tale motivo è a titolo risarcimento del danno mentre il costo costituisce l'onere sostenuto per l'acquisto di un bene,sicchè trattandosi di concetti ontologicamente distinti non possono essere unificati, come prospettato dal Comune ricorrente. Circa le modalità di calcolo dell'indennità virtuale di espropriazione va rilevato che a seguito della sentenza n. 348/07 della Corte Costituzionale la L. n. 865 del 1971, art. 5 bis, è stato espunto ab origine dall'ordinamento con conseguente applicabilità, della L. n. 2359 del 1865, art. 39, unico criterio generale applicabile ai fatti per cui è causa essendo questi tutti antecedenti al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, come già ampiamente precisato da questa Corte. (Cass. sez. 1^, 14.12.2007 n 26275; Cass. civ. sez. 1^ 08.05.2008 n. 11480). L'indennità di espropriazione virtuale dovrà quindi fare riferimento al valore di mercato dell'area, con la precisazione che il diritto alla percezione del corrispettivo per la cessione del diritto di superficie non costituisce credito di valore ma di valuta sicchè la somma dovuta dall'i.a.c.p. non dovrà essere automaticamente rivalutata ma sulla stessa potrà essere calcolato il maggior danno, ex art. 1224 c.c., u.c., se già chiesto e provato. Il secondo motivo va quindi accolto limitatamente alla richiesta applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39, sulla base del seguente principio di diritto "in riferimento alle espropriazioni, in relazione alle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia stata dichiarata antecedentemente al 30.6.2003 data di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39, a seguito della pronunzia di incostituzionalità della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, trova applicazione il criterio generale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39, che fa riferimento al valore venale dell'area". Pertanto l'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Palermo, diversa sezione, che si atterrà nel decidere agli indicati principi di diritto. Il giudice di rinvio provvedere anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia alla Corte d'appello di Palermo, diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 settembre 2008. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2008. 5