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Nota a sentenza n. 5775 del 23 marzo 2004: riparto di competenze tra ordinamento statale e ordinamento sportivo Ogni volta che una pluralità di soggetti associati si dà una normazione per regolamentare l'attività dei consociati e questa normazione non è di provenienza statale ma le viene riconosciuta validità dagli associati, in ragione della accettata autorità della fonte di provenienza, questa fonte costituirà un ordinamento, distinto dall ordinamento statale. L ordinamento sportivo, nato come abbiamo visto all'inizio del secolo con la creazione del CONI, ha costituito per decenni un ordinamento distinto dall'ordinamento statale a cui lo Stato si è interessato solo limitatamente e marginalmente (ad es. riconoscimento del CONI nel 1942). la stessa Costituzione non fa alcun riferimento alla attività sportiva e si è dovuto far ricorso ai richiami sulla libertà di associazione degli artt. 2 e 18 per ricomprendervi il richiamo alle associazioni sportive. La sempre maggior influenza sul tessuto sociale e la sempre maggior attenzione dei media rispetto al fenomeno sportivo ha finito con il determinare anche una mercificazione del prodotto sport e una conseguente sempre maggiore rilevanza dell'aspetto economico e patrimoniale ad esso connesso. Una rilevanza economica all'interno del tessuto sociale che ha portato a delle inevitabili invasioni di campo in altri settori con due ben precise conseguenze: l'ordinamento statale ho dovuto prendere atto della esistenza dell'ordinamento sportivo e nell'insorgere di conflitti di competenza con quest'ultimo non poteva non far valere la propria maggiore autorità. L ordinamento statale può assumere di fronte alla pluralità di ordinamenti due diversi atteggiamenti:

disinteressarsene completamente, ritenendo che la normazione che lo caratterizza non inerisca ad aspetti di alcuna rilevanza per lo Stato, oppure sottomettere tali ordinamenti alla propria superiore autorità. Come vedremo meglio in seguito, questo è quanto è puntualmente accaduto con riferimento all ordinamento sportivo. Fino alla L. 91/81, che ha definito e dato normativa al professionismo sportivo, ordinamento sportivo ed ordinamento statale non si riconoscevano e, come è normale che accada fra ordinamenti diversi, non vi era fra di essi alcun rapporto gerarchico. La L. 91/81 ha mutato definitivamente i rapporti fra i due ordinamenti giuridici, l ordinamento generale dello Stato da una parte e l ordinamento sportivo dall altra, rivendicando alla potestà legislativa statale la disciplina dei rapporti tra gli operatori dello sport, società e federazioni per quanto attiene la prestazione dell attività sportiva come attività di lavoro, salvo poi ridistribuire ambiti di intervento normativo alle federazioni stesse e alla contrattazione sindacale, affermando, comunque, una supremazia dell ordinamento statale sull ordinamento sportivo. Questa certificazione di superiorità dell ordinamento statale rispetto all ordinamento sportivo costituisce il vero ambito di novità di questa normativa. Anteriormente alla L. 91 i casi di conflitto fra ordinamenti venivano risolti dalla giurisprudenza in via suppletiva in mancanza di una normativa specifica di riferimento. Successivamente la L. 91 è rimasta per anni l unico riferimento normativo. Numerosi casi di conflitto (il primo caso Catania ma soprattutto il secondo caso Catania, che qui non è il caso di approfondire, ma che, sinteticamente hanno fatto emergere la portata

economica di decisioni provenienti da organi direttivi e disciplinari della FIGC la cui portata, in un contesto di minore prevalenza dell'aspetto economico sarebbe rimasta nell'ambito sportivo) hanno determinato l urgenza per il legislatore di fornire una disciplina organica della materia. Anche prima della legge del 2003 una classificazione era già stata fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Posto il così detto vincolo sportivo, che l ordinamento sportivo si è dato per garantirsi un ambito di autonomia, la ripartizione riconosciuta da dottrina e giurisprudenza prevedeva un settore di competenza esclusiva dell ordinamento sportivo in materia di controversie di carattere tecnico relative al regolare svolgimento delle competizioni; una competenza della giurisdizione ordinaria per le controversie a carattere economico-patrimoniale; e una giurisdizione amministrativa per le controversie, concernenti la lesione di un diritto soggettivo a seguito della limitazione o della esclusione alla partecipazione di un soggetto all ordinamento sportivo. La legge n. 280 del 2003 non ha fatto altro che fornire una codificazione a quanto già affermato da dottrina e giurisprudenza. La sentenza qui in esame ribadisce la validità di quanto stabilito dalla normativa, ribadendo la prevalenza del giudice ordinario con riferimento alle questioni economico-patrimoniali. In tale ambito, è interessante, per il suo discostarsi dall ordinamento generale, una sentenza del Tribunale di Venezia, oramai di qualche tempo fa ma rilevante nella sua peculiarità. La sentenza parte innanzitutto da un concetto di lealtà sportiva riconosciuto apertamente come di competenza esclusiva dell ordinamento sportivo, rifiutando una richiesta di CTU in merito al comportamento tenuto in

pista da un pilota (il conflitto concernendo un preteso danno di immagine lamentato dalla casa motociclistica a seguito del comportamento tenuto in gara dal pilota, nell'ambito di una competizione motociclistica ai massimi livelli). Si incarica poi di fornire un suo modello di ripartizione delle competenze ribadendo il concetto della tripartizione, suddivisa in un ambito di giurisdizione ordinaria, in un ambito di giurisdizione amministrativa e in un ambito di esclusiva competenza della giustizia sportiva. In ambito statale rimangono di competenza della giurisdizione ordinaria tutte le questioni che ineriscono l ordinamento statale e che ineriscono la materia sportiva indirettamente, unicamente in maniera marginale in ragione dei soggetti interessati. In materia amministrativa si conferma la competenze dell ordinamento statale, e quindi del giudice amministrativo, in tutte quelle decisioni provenienti da un organo di una federazione sportiva o dal CONI stesso, suscettibili di incidere su una situazione di interesse legittimo del destinatario appartenente all ordinamento sportivo. Quando invece la controversia inerisce l applicazione di una norma dell ordinamento sportivo che ha rilevanza giuridica unicamente all interno dell ordinamento che la ha espressa, in altri termini, le cui conseguenze si riflettono unicamente all interno dell ordinamento sportivo, questa controversia è insuscettibile di qualsivoglia valutazione da parte di organi giurisdizionali dello Stato. Sono quindi irrilevanti per l ordinamento statale, sia in contesto di giurisdizione ordinaria che in un contesto di giurisdizione amministrativa, le norme di contenuto tecnico e la loro applicazione con le eventuali conseguenti sanzioni, purché queste non incidano in maniera rilevante sullo status del

soggetto dell ordinamento sportivo ma unicamente sul risultato della attività sportiva. In altri termini spettano alla competenza esclusiva degli organi di giustizia sportiva tutte le controversie che si esauriscono all interno dello spazio giuridico dello sport, in quanto concernenti posizioni giuridiche del singolo affiliato riconosciute e tutelate solo all interno dell ordinamento sportivo. Fatta questa premessa la sentenza giunge alla conclusione che se appartengono unicamente all ordinamento sportivo le norme di natura tecnica che determinano l acquisizione dei risultati e le norme che delineano il potere disciplinare degli organi di giustizia sportiva, una decisione disciplinare non sarà contestabile da chiunque ma unicamente da chi potrà far valer un diritto soggettivo o un interesse legittimo asseritamente leso da quella decisione disciplinare. Qualunque altro interesse a far riesaminare una decisione disciplinare se non inerente ad una posizione soggettiva qualificata non può essere di competenza della giurisdizione statale e avendo nel caso di specie la decisione della corte disciplinare internazionale valutato regolare la condotta del pilota e avendo tale decisione esclusivamente natura tecnica, non appare suscettibile di revisione in ambito giurisdizionale statale. In conclusione quindi la pretesa risarcitoria da parte della casa motociclistica nei confronti del pilota per danno di immagine avrebbe una sua valenza solo nel caso di un comportamento illegittimo del pilota, illegittimità però esclusa dalla Corte Disciplinare Internazionale, organo competente di giustizia sportiva in ambito motociclistico, che ne ha valutato correttamente il comportamento. Per questo motivo non è possibile dare seguito alla richiesta di risarcimento avanzata dalla casa motociclistica nei confronti del

pilota, perché ciò implicherebbe una revisione del giudicato sportivo con una indebita ingerenza dell ordinamento statale in ambito strettamente tecnico di competenza esclusiva della giustizia sportiva. La sentenza quindi applica il c.d. principio di presupposizione riconoscendo giuridica rilevanza alla determinazione di un altro ordinamento, ritenendosi ammissibile l intervento statale solo nel caso di limitazione o esclusione del destinatario dalla competizione o dall intero campionato che sola determinerebbe la lesione di una posizione giuridica qualificata. Nella complessa ricostruzione fatta dalla sentenza appare però come un punto assolutamente discutibile la qualificazione dell interesse della casa motociclistica come un mero interesse di fatto, privo di rilevanza giuridica per l ordinamento statale, posto il rapporto giuridico di natura patrimoniale che legava contrattualmente la casa motociclistica al pilota, dovendo allora giungersi alla conclusione che, avendo la controversia natura patrimoniale non avrebbe potuto essere esclusa la competenza della giurisdizione ordinaria in base alla consolidata tripartizione, anche antecdentemente allas legge del 2003.