Lo squadrismo in Emilia Romagna



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Lo squadrismo in Emilia Romagna PERCORSI DI STORIA LOCALE Lo sciopero dei braccianti e i fatti di Bologna Nell estate del 1920, un lungo e durissimo sciopero agrario paralizzò le campagne dell emilia romagna. La posta in gioco era il rinnovo dei patti agrari, tra proprietari terrieri, da una parte, braccianti e mezzadri dall altro. in emilia romagna, l organizzazione sindacale socialista Federterra, cui aderivano soprattutto i braccianti e i mezzadri più poveri, era una struttura potentissima, cosicché lo scontro con i proprietari divenne frontale. Già in aprile, a Decima di persiceto, si erano verificati duri scontri tra braccianti e contadini, con otto morti sul campo; altri tre morti si ebbero a portonovo di Medicina, in agosto, tra crumiri e scioperanti. A quell epoca, i lavoratori in sciopero stavano lasciando marcire interi raccolti nei campi, oppure raccoglievano solo la parte che spettava ai contadini, mentre abbandonavano al suo destino la parte padronale. Andarono persi un terzo della produzione di fieno, un quarto di quella dell uva e un quinto di quella del grano. Alla fine d ottobre, i proprietari cedettero e accettarono gran parte delle richieste della Federterra, in tema di mercato del lavoro (quantitativo minimo di braccianti che un proprietario terriero doveva assumere) di salario e di orario di lavoro. Fu l ultima vittoria del movimento socialista in emilia romagna; subito dopo, infatti, iniziò la dura risposta degli agrari, che si allearono allo squadrismo fascista. A Bologna, il movimento era sorto nell aprile del 1919, per opera di Leandro Arpinati, che però Riferimento storiografico 1 pag. 7 Scontro frontale tra padroni e sindacato socialista le parole Braccianti e mezzadri Con il termine bracciante si intende un operaio non specializzato, solitamente assunto per svolgere lavori agricoli occasionali o stagionali. Il mezzadro invece è il coltivatore di un fondo che appartiene a un proprietario terriero: il suo compenso è costituito dalla divisione con il padrone del fondo dei prodotti e degli utili ricavati dalla coltivazione. Leandro Arpinati fotografato alla guida di un automobile mentre trasporta Benito Mussolini (seduto dietro a lui) a Bologna, fotografia del 1923. 1

UNITÀ IV 2 IL FASCISMO IN ITALIA Risposta degli agrari Inizio dell offensiva fascista riorganizzò il Fascio bolognese su basi nuove, decisamente più aggressive, a partire dall ottobre 1920. «i fasci si diceva nello statuto della nuova organizzazione non predicano la violenza per la violenza, ma respingono ogni violenza passando al contrattacco». Al di là del tono ambiguo, indicava una chiara volontà di rivalsa e di riscossa, dopo due anni di iniziativa socialista. il primo gesto clamoroso dello squadrismo bolognese avvenne il 4 novembre 1920: la Camera del Lavoro fu assalita e incendiata, mentre il tentativo socialista di organizzare una difesa armata della sede sindacale bolognese fallì miseramente. Assai più grave, sotto ogni punto di vista, l episodio che si verificò il 21 novembre, in occasione dell insediamento a Palazzo D Accursio del nuovo sindaco socialista ennio Gnudi, vincitore delle elezioni amministrative (con 18 170 voti, contro i 7985 del Blocco nazionale, formato da liberali, destre e fascisti, e 4697 del partito popolare). tre giorni prima dell insediamento della nuova giunta, sui muri di Bologna apparve un manifesto minaccioso, dattiloscritto (poiché la questura non ne aveva autorizzato la stampa): «Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino a casa e, se vogliono espongano dalle loro finestre il tricolore italiano. per le strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi, soli, i fascisti e i bolscevichi. sarà la prova, la grande prova in nome d italia!». il giorno della cerimonia, rafforzati da 27 squadristi ferraresi, circa 300 fascisti bolognesi irruppero in piazza Maggiore. Quanto accadde a quel punto è oggetto di controversia e in gran parte confuso. pare che un gruppo di guardie rosse del servizio d ordine socialista abbia perso la testa e scagliato cinque bombe in piazza; nel caos che seguì, morirono 10 persone (tutte di sinistra): 7 furono uccise dai fascisti, 3 dalle guardie rosse, per errore. intanto, anche all interno del palazzo, il rumore delle esplosioni che proveniva dall esterno spaventò il servizio d ordine socialista, che sparò contro i consiglieri dell opposizione, uccidendo l avvocato Giulio Giordani (del partito democratico-radicale) e ferendo Cesare Colliva (dell Associazione ex combattenti). A seguito di questi fatti, Gnudi e la nuova giunta rinunciarono all insediamento: a essi subentrò un commissario prefettizio. Le ricostruzioni dei fatti del 21 novembre 1920 a Bologna divergono spesso in numerosi particolari. il senso complessivo della vicenda, invece, è fuori discussione: insieme all incendio dell Hotel Balkan, sede a trieste delle associazioni slavofile (13 luglio 1920) si tratta dell inizio dell offensiva fascista su grande scala contro il movimento operaio. Bologna 21 novembre 1920: un movimento di svolta DOCUMENTI Nel 1972, il giornalista televisivo Sergio Zavoli realizzò per la RAI il programma Nascita di una dittatura: un approfondita inchiesta sulle ragioni che permisero al fascismo di sconfiggere il sistema parlamentare. In larga misura, il programma era basato su interviste rilasciate dai protagonisti, molti dei quali, a quel tempo, erano ancora in vita. Nella memoria di tutti gli intervistati, i cosiddetti fatti di Bologna segnano una svolta: l inizio dell offensiva del fascismo agrario contro il movimento operaio. Alla fine del 1920, soprattutto in Emilia, gli agrari scoprono nel fascismo una nuova tutela politica: lo squadrismo sarà l arma di cui, in molti, si serviranno per fermare il movimento contadino e riconquistare le posizioni perdute. I fatti del 21 novembre del 1920, a Bologna, segnano la svolta del fascismo. I socialisti, che hanno vinto ancora una volta le elezioni comunali, festeggiano l insediamento del nuovo consiglio e del nuovo sindaco, il socialista Ennio Gnudi. La cerimonia si svolge a Palazzo D Accursio. Sotto, la piazza è gremita. ARTURO COLOMBI, capolega socialista di Vergato, presso Bologna: Io ero presente. Quel giorno vi era l inaugurazione, l inizio del funzionamento del consiglio comunale, con la nomina del sindaco. I fascisti avevano minacciato di dare l assalto al palazzo comunale mentre si teneva la seduta inaugurale. Era presente anche Giorgio Pini, direttore del giornale fascista L Assalto : Una folla immensa riempiva la piazza. Era una giornata di novembre, umida e grigia, e i fascisti si erano

DOCUMENTI riuniti nella loro sede di via Marsala 30, con l impegno, che avevano preso col questore venuto apposta in sede per raccomandare che non succedesse la fine del mondo, di non uscire se non ci fossero state provocazioni. Fu detto allora che avrebbero messo in cima alla torre Asinelli una bandiera rossa; allora i fascisti dichiararono che l avrebbero considerata una provocazione: se fosse comparsa la bandiera, sarebbero usciti. Quindi, mentre si svolgevano le cerimonie nella sala consiliare, con i discorsi, i controdiscorsi, le assunzioni di potere, un fascista si precipita in via Marsala, nella sede del Fascio a dire: «C è la bandiera rossa sulla torre Asinelli». ARTURO COLOMBI: Mettere la bandiera rossa sulla torre Asinelli era una consuetudine, quando si insediava l amministrazione comunale; e un gruppo di giovani socialisti innalzò questa bandiera: fin dal mattino si era trovata sulla torre. GIORGIO PINI: I fascisti uscirono e arrivarono alla torre; uno, un atleta, andò in un battibaleno non so come facesse in cima alla torre, che è alta e ci vuole un po di tempo a salirla, e tolse la bandiera; poi, naturalmente, non pensarono di tornare in sede: andarono in piazza. ARTURO COLOMBI: Separati da un forte contingente di guardie regie [la polizia di Pubblica Sicurezza, n.d.r.], vi erano alcune centinaia di fascisti; non di più, alcune centinaia, diretti da Leandro Arpinati e da altri che diverranno poi famosi per la loro azione contro le masse lavoratrici. A un determinato momento, sul balcone si affacciava il sindaco con due bandiere rosse e alcuni assessori; vennero lanciate delle colombe e il sindaco si apprestava a prendere la parola quando cominciarono gli spari; venivano dalla parte dove c erano i fascisti e da altre parti della piazza. GIORGIO PINI: Quelli della maggioranza che erano su, nella sala, sentendo questi spari pensarono che i fascisti fossero già arrivati sotto il palazzo comunale, mentre i fascisti erano ancora ammassati vicino a palazzo Re Enzo; erano cioè ancora distanti duecento, trecento metri. In mezzo, c era la folla. Allora lanciarono delle bombe a mano giù dai finestroni della sala consiliare che danno sulla piazza Maggiore. Conseguenza: otto dei loro sfracellati. ARTURO COLOMBI: Ci fu un esplosione di bombe, di non ben identificata provenienza; la sparatoria aveva provocato un panico generale. Le guardie regie caricarono furiosamente le masse, lasciando i fascisti, dopo averli difesi, fino allora, padroni della piazza. Sul selciato rimasero dieci morti e cinquantotto feriti. GIORGIO PINI: I carabinieri, di fronte a questa specie di caos in cui le parti opposte si erano ormai in un certo senso fuse, si misero ginocchia a terra, allo sbocco di via Indipendenza, e cominciarono a sparare verso la piazza. Chi piglia, piglia. Ma sparavano in aria, evidentemente. Però, chi era presente non sapeva se sparavano in aria o in basso, e quindi tutti corsero dietro i portici e le colonne. Fu una scena strana, di cui non ci si rende conto perché, va bene, ci sono molte vie che sboccano in piazza Maggiore, ma in un battibaleno, in un ciak, la piazza era completamente vuota. Era già freddo, c era un clima autunnale, quasi invernale; allora usavano le capparelle, ma anche pastrani, cappelli, ombrelli, furono abbandonati, per fuggire più sciolti e senza impacci sulla piazza. La quale era nera, pareva che fosse piena di cadaveri stesi un po dappertutto. Cosa assurda, impossibile. Quella scena veramente aveva qualcosa di apocalittico. ARTURO COLOMBI: È difficile descrivere che cosa avvenne. Certo è che il resoconto de Il Resto del Carlino indica i fascisti aggressori, indica le circostanze in cui l aggressione venne portata avanti e si richiama al parere della questura, delle autorità di polizia, le quali avevano avallato quella versione. I fascisti intervennero con la forza presso la redazione de Il Resto del Carlino, fecero distruggere quell edizione, ne fecero pubblicare un altra che capovolgeva i fatti. Nel momento del panico, viene ucciso, in aula, un membro della minoranza, Giulio Giordani. L episodio rimarrà oscuro. I fascisti accusano i socialisti dell assassinio. È in nome di questo morto che giustificheranno la reazione. s. ZAvoLi, Nascita di una dittatura, Mondadori, Milano 1983, pp. 85-89 Nel momento in cui promisero al questore di non creare disordini, i fascisti bolognesi erano sinceri? Si può parlare di un assalto premeditato? Anche i socialisti mostrarono in quella occasione di essere dotati di armi. Che differenza noti tra l azione degli squadristi e quella dei militanti di sinistra? 3

UNITÀ IV 4 IL FASCISMO IN ITALIA Riferimento 2 storiografico pag. 9 La sede delle cooperative di Ravenna devastata dall incendio appiccato dai fascisti. Conquista fascista delle città Riferimento 3 storiografico pag. 10 La riscossa degli agrari in emilia romagna, un mese dopo i fatti di Bologna si verificò un altro grave episodio a Ferrara, ove i socialisti, alle elezioni municipali del 31 ottobre e 7 novembre 1920, avevano conquistato tutti i 21 comuni della provincia e il capoluogo. All interno della città, il clima politico aveva iniziato a surriscaldarsi il 9 novembre, allorché i socialisti avevano cercato di ostacolare il corteo delle bandiere militari, di ritorno da roma, ove era stato solennemente celebrato l anniversario della vittoria. La situazione precipitò il 20 dicembre 1920, allorché, per protestare contro gli avvenimenti bolognesi, vennero indetti dai socialisti uno sciopero e una manifestazione; davanti al Castello estense, un migliaio di fascisti (molti dei quali affluiti da altre località) cercò deliberatamente lo scontro coi dimostranti, dichiarando di voler strappare le bandiere rosse che sventolavano sul castello stesso, sede dell amministrazione provinciale socialista. restarono uccisi tre fascisti e due socialisti. A partire da questo primo scontro, guidati da Italo Balbo, olao Gaggioli e Alberto Montanari, i fascisti ferraresi si lanciarono in una serie di spedizioni, che portarono alla rapida destituzione di ben 17 consigli municipali (sui 21 insediati alle elezioni dell autunno 1920). sicuramente, l azione delle squadre nel Ferrarese fu facilitata ampiamente dall ambiguo atteggiamento del prefetto, samuele pugliese, che nel periodo gennaio-maggio 1921 arrestò 22 fascisti e 110 socialisti; le denunce toccarono invece 26 squadristi, e 79 rossi. sotto questo profilo, i fascisti ebbero vita decisamente più dura a Bologna, ove il prefetto Cesare Mori ordinò l arresto di 84 fascisti (e 52 socialisti) e la denuncia di 40 squadristi (contro 24 sovversivi). Nel 1921, l azione dello squadrismo fu durissima in tutta l emilia. Nel piacentino, ad esempio, furono obbligate con la forza alle dimissioni 22 su 25 delle giunte socialiste elette nell autunno 1920, mentre il fascismo trionfante vide aumentare senza sosta i propri iscritti: i 2626 iscritti (organizzati in 12 fasci) del 1921, divennero 7890 al 31 maggio dell anno seguente e 9650 (distribuiti in 38 fasci) al 31 dicembre dello stesso 1922. Nella primavera del 1922, Balbo lanciò un ulteriore sfida, quella dell occupazione dei centri urbani. il 12-13 maggio, i fascisti guidarono a Ferrara un imponente massa di migliaia di lavoratori disoccupati; conquistati tutti i punti nevralgici della città, gli squadristi ordinarono al prefetto di stanziare due milioni e mezzo di lire per lavori pubblici da effettuare in provincia, al fine di limitare la disoccupazione. il governo di roma accettò completamente le richieste dei fascisti e rimosse il prefetto Gennaro Bladier, che aveva chiesto l intervento dell esercito, sostituendolo con Cesare Di Giovara, favorevole ai fascisti. Due settimane dopo, la stessa situazione si ricreò a Bologna. il pretesto dell azione fu la morte del caposquadrista Celestino Cavedoni, durante l assalto notturno a una cooperativa (25-26 maggio 1922). per i fascisti bolognesi, quell episodio fu un eccellente pretesto per chiedere al governo la rimozione del prefetto Mori, criticato per la sua intransigenza anche da molti liberali e dal Corriere della sera. Questi esponenti della tradizionale classe dirigente, infatti, ritenevano che il fascismo fosse solo una salutare reazione agli eccessi dei socialisti; quasi tutti a cominciare da Giolitti pensavano di poter controllare il fascismo, di addomesticarlo e di imbrigliarlo, una volta che avesse

svolto fino in fondo la sua funzione anti-sovversiva. solo così si spiega che anche a Bologna (occupata in forze dai fascisti il 26 maggio 1922) il governo guidato allora dal debole giolittiano Luigi Facta abbia ceduto e accettato la rimozione di Mori, sostituito dal ben più arrendevole rossi, già viceprefetto di Genova. Nel luglio 1922, fu devastata la sede delle cooperative di ravenna, situata in un prestigioso palazzo appartenuto in passato al conte Cesare rasponi. si trattava di una sede maestosa, per un associazione di massa (20 000 aderenti) che gestiva 7000 ettari di terreni e 76 cooperative di lavoro o di consumo. La sua distruzione ebbe un fortissimo valore simbolico: era il segno della disfatta del movimento dei lavoratori in emilia romagna, di fronte all offensiva del fascismo agrario. Disfatta completa dei socialisti Contrasti interni al movimento fascista Nell agosto 1923, venne ucciso don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, nel Ferrarese. Questo grave episodio mostra che le violenze delle squadre fasciste non si arrestarono neppure dopo la marcia su roma e l ascesa di Mussolini al governo (29 ottobre 1922). I vari capi locali (i cosiddetti ras, come Balbo a Ferrara, Farinacci a Cremona e Barbiellini Amidei a piacenza) non accettavano ordini da Mussolini: certo, lo chiamavano «Duce» e ne avevano accettato la leadership, così come erano consapevoli che solo lui aveva saputo dare alle sparse iniziative dello squadrismo un preciso orientamento politico, sfociato addirittura nella conquista del potere. eppure, non si sentivano inferiori a lui. Questo fortissimo desiderio di autonomia d azione dei capi locali del fascismo ebbe importanti risvolti anche a livello sociale. Molti leader dello squadrismo, infatti, pur avendo accettato l alleanza con gli agrari, in funzione antisocialista, non avevano intenzione di essere semplicemente gli strumenti (la guardia bianca, si diceva allora) della reazione padronale. in alternativa al modello socialista che avevano distrutto, essi non volevano il semplice ritorno al dominio incontrastato dei proprietari terrieri, ma un nuovo assetto sociale (una specie di terza via) basato sulla collaborazione delle diverse classi, in nome del superiore interesse nazionale. La composizione dei contrasti, però, non significava automaticamente nelle loro intenzioni il sistematico trionfo degli interessi padronali; il sindacato fascista, che aveva spazzato via le leghe socialiste, pretendeva di essere interprete dei bisogni popolari, a costo di entrare in contrasto con i proprietari terrieri e altri gruppi borghesi. A volte, questa scelta nasceva dal fatto che alcuni leader del nuovo movimento provenivano dal sindacalismo rivoluzionario; in altri casi, la motivazione era di carattere politico, cioè nasceva dalla volontà di dimostrare che la rivoluzione fascista non era stata fatta per riconsegnare il potere ai vecchi dirigenti, bensì per crearne uno nuovo, emergente, perché legato all esperienza della guerra mondiale e/o dello squadrismo. A livello nazionale, incontriamo contrasti fra fascisti e borghesia a Carrara (ove gli squadristi locali si schierarono dalla parte degli operai delle cave di marmo, impegnati in una durissima vertenza), a Brescia e in altre province lombarde, dove gli industriali che non volevano cedere alle richieste del sindacato fascista furono minacciati. Questo fenomeno della «corsa al più rosso» (l espressione è dello storico salvatore Lupo) preoccupò molto gli imprenditori, e di conse- Autonomia dei ras fascisti Italo Balbo, ras di Ferrara, in una fotografia del 1921. 5

UNITÀ IV 6 IL FASCISMO IN ITALIA Dino Grandi durante un comizio nel 1922. Di umili origini, fece una brillante carriera politica riuscendo a diventare prima deputato, poi ministro e ambasciatore a Londra. guenza anche Mussolini, il quale temendo di perdere il sostegno dei moderati si sforzò con vari mezzi di normalizzare lo squadrismo. A Ferrara, Balbo fu tra i primi a comprendere che l estremismo aveva fatto il suo tempo; pertanto, affidò la guida della città a renzo ravenna, che avrebbe ricoperto il ruolo di podestà dal 1926 al 1938. Amico personale e fedelissimo di Balbo, ravenna si era però tenuto lontano dalle violenze squadriste e si era iscritto al pnf solo nel 1924; politicamente affidabile, ma anche competente come amministratore, era l uomo adatto a rassicurare i moderati sul nuovo corso che il fascismo stava assumendo. tuttavia, essendo ebreo, dovrà dimettersi nel 1938, a seguito delle leggi razziali. A Bologna, invece, si registrò un durissimo scontro. Qui troviamo il gruppo fascista guidato da Gino Baroncini, che nel 1922 diede vita a un sindacato e con gli agrari stipulò un accordo, che per i lavoratori era assai meno vantaggioso di quello ottenuto dopo il lungo sciopero del 1920. Molti proprietari terrieri, tuttavia, giudicarono il nuovo contratto un gesto puramente formale, e ritennero che, nella pratica, essi non erano tenuti a rispettarlo. Dopo l esperienza dello squadrismo agrario e, ancor più, dopo la marcia su roma, si consideravano di nuovo padroni della situazione e, liberi di assumere o licenziare a piacimento, sciolti da ogni impegno relativo al salario da corrispondere ai braccianti. Baroncini e i suoi sindacalisti, al contrario, volevano che il nuovo accordo avesse valore vincolante anche per gli agrari; oltre tutto, questi fascisti erano consapevoli della fragilità della loro posizione, minacciata dalla presenza di isole rosse che non volevano piegarsi al nuovo assetto politico sociale: basti pensare all ostinazione dei contadini di Molinella, disposti a patire la fame, pur di non entrare nei sindacati fascisti, che essi accusavano di essere fasulli e incapaci di difendere gli interessi dei lavoratori. i contadini di Molinella furono sconfitti solo nel 1926, allorché circa 200 famiglie di irriducibili furono allontanate a forza e sostituite con coloni provenienti dal Ferrarese e dal veneto. A Bologna, Baroncini fu infine messo in minoranza da un offensiva congiunta di altri due capi del fascismo locale, Leandro Arpinati e Dino Grandi, che godevano del sostegno del governo centrale. Mussolini, infatti, stava compiendo ogni sforzo per concentrare tutto il potere nelle sue mani, privando il partito e i capi locali di ogni autonomia e capacità di iniziativa.

Riferimenti storiografici 1 Lo scontro sociale nelle campagne emiliane All inizio del Novecento, nelle campagne dell Emilia il quadro complessivo è notevolmente migliorato rispetto al secolo precedente. Le tensioni sociali, però, erano altissime tra braccianti e proprietari terrieri, mentre i mezzadri erano schierati su posizioni diversificate. In tutte le aree rurali, la lega socialista occupava un ruolo importantissimo. Nel 1919, Mussolini pensava che i Fasci non avrebbero potuto sorgere che nelle città; verso la fine del 1920 gli agrari scoprono il fascismo, lo adottano, lo improntano del loro spirito. Tutti i loro rancori e i loro furori vi sono immessi: «Nell anima dell agrario e del contadino arricchito si è notato [da parte di Pietro Nenni, n.d.r.] l odio, questo sentimento atavico di diffidenza verso chiunque aspiri a una nuova ripartizione della terra, si risveglia. Il nemico è oggi il salariato organizzato, come ieri era il vagabondo. Contro di lui tutto diviene legittimo». Già in talune località gli agrari avevano costituito dei gruppi di combattimento, le cui tradizioni e l esempio non sono senza influenza sui Fasci nascenti. Il conflitto raggiunge ben presto un asprezza estrema. È come un ordalia barbara, che conclude vent anni di lotte; dopo un tal giudizio di Dio, il vincitore si annette il vinto, corpo e beni. La pianura del Po, dove si produsse l urto, è una regione a coltura intensiva e ad altissimo rendimento. Da secoli, le terre vi sono strappate alle acque stagnanti, ai canneti, alla malaria. Questo sforzo ammirevole si intensifica, verso la fine del XIX secolo, grazie ai nuovi processi tecnici, ai capitali accumulati dai singoli, al credito dello stato, alle nuove condizioni del mercato interno. Si drenano le acque, terre grasse e fertili emergono; sorgono le strade, le case, le piantagioni. La produzione per ettaro è molto elevata: 17 quintali di grano contro i 10 di media del regno, e, nelle terre ricostrutte, si arriva fino ai 25 e 30, a volte anche più. Altre colture si diffondono largamente: la canapa e soprattutto la barbabietola, a cui sono garantiti alti profitti grazie alla protezione doganale sullo zucchero. L economia rurale e l attività industriale che da queste dipendono danno così un reddito considerevole: i proprietari da un lato e i lavoratori dall altro cercano di accaparrarne il più possibile. Ma mentre per quelli non Donne di un paese emiliano in posa davanti a una bandiera socialista. All inizio degli anni Venti del Novecento, la forza del movimento socialista in Emilia era notevole. 7

UNITÀ IV 8 IL FASCISMO IN ITALIA si tratta che di profitti, per questi è una questione di vita o di morte. La popolazione è sovrabbondante e non vuole emigrare; dopo la guerra non lo potrà. Bisogna dunque trovare del lavoro sul posto e, poiché nessuno riesce ad impiegarsi in media che per 120 o 130 giorni l anno, bisogna che i salari siano assai elevati per permettere di non morire di fame il resto dell anno. Attraverso lotte memorabili, che si rinnovano frequentemente alla vigilia del raccolto, e che durano a volte dei mesi, le organizzazioni operaie hanno ottenuto che l assunzione della manodopera passi per l ufficio sindacale di collocamento. Altre clausole sul numero degli operai agricoli da impiegare per ettaro, sulla gestione delle trebbiatrici, sullo scambio diretto dei servizi fra fattorie, rispondono alle stesse preoccupazioni. [ ] Da parte degli operai [i braccianti agricoli, n.d.r.], il sistema non si regge che grazie ad una grandissima disciplina, cioè al monopolio della mano d opera. Questa integrazione di regole molto precise, minuziosamente stabilite e controllare, che ricordano quelle delle antiche corporazioni, e di una cultura altamente progressiva non è la minore singolarità di questa vasta regione. Chi non passa attraverso la lega contadina e, accettando un salario più basso, lavora tutto l anno, riduce la porzione vitale degli altri, che lo vessano senza pietà. Il giallo [dispregiativo per indicare il lavoratore che non sottostà alle indicazioni imperative del sindacato rosso, n.d.r.] è boicottato; il fornaio gli deve rifiutare il pane; egli è trattato come un lebbroso, come pure sua moglie e i suoi bambini: intorno a lui si fa il vuoto, sicché egli deve piegarsi o abbandonare il paese. Multe e taglie sono imposte ai proprietari che l hanno impiegato e che hanno violato il contratto di lavoro. Il sistema, per funzionare, deve essere totalitario, perché ogni breccia che si apre può ridurre gli altri lavoratori alla fame. Si diffida allo stesso tempo della piccola proprietà, e ci si sforza di impedirne lo sviluppo. Non si tratta punto [affatto, n.d.r.] di un pregiudizio teorico: la piccola proprietà si sottrae in parte all imponibile della mano d opera, poiché il piccolo contadino o il fittavolo, e le loro famiglie non seguono la giornata legale e non lasciano che poco margine ai turni di lavoro per i salariati. Il grande sviluppo dell economia e della tecnica rurale in questa pianura la fanno più adatta, del resto, alla grande impresa, in cui il contratto di lavoro si applica in pieno, e meglio può controllarsi. Dopo la guerra, [ ] la Federazione dei lavoratori della terra indice lunghi scioperi e forza fittavoli e mezzadri a parteciparvi: questi sono autorizzati a falciare la metà del raccolto, quella che spetta loro, ma devono lasciare nei campi l altra metà, la parte del proprietario. Quale che possa essere la necessità e la validità di una tale tattica, lo spettacolo di ricchezze considerevoli abbandonate e a volte perdute ferisce nel fondo dell anima il contadino nel suo amore per la terra, che fa esitare a volte anche il semplice salariato. L opinione pubblica accetta male queste forme di lotta, di cui non vede lo scopo, e che gli interessati stessi seguono sì con disciplina, ma non senza una certa cattiva coscienza. [ ] Sui 280 Comuni dell Emilia, 223 sono in mano dei socialisti. Gli agrari che vivono in città o in campagna, i loro figli, i loro amici, i loro fornitori e i loro clienti serrano i pugni di fronte alla onnipotenza dei sindacati operai. Le carriere onorifiche pubbliche sono chiuse quasi completamente a tutta la borghesia rurale ed anche alla piccola borghesia, se non sono inquadrate nelle organizzazioni socialiste. Il proprietario agrario era stato per lunghi anni il padrone assoluto del paese, il capo del Comune, il dirigente di tutte le istituzioni pubbliche locali e provinciali. È eliminato dappertutto. In campagna deve fare i conti con la lega e con l ufficio di collocamento; sul mercato, con la cooperativa socialista che fissa i prezzi; nel Comune, con la lista rossa, che passa con maggioranza schiacciante. Non più profitti, onori, potere, né per lui né pei suoi figli. Un odio profondo si accumula, aspettando il momento di sfogarsi. Certe Camere del lavoro, come quelle di Bologna, di Reggio Emilia, di Ravenna, controllano quasi tutta la vita economica della loro provincia. [ ] È per questo che il loro odio è diretto soprattutto contro le realizzazioni ammirevoli che l organizzazione operaia crea e fa progredire in tutti i campi. «Vedi diceva un grande proprietario terriero della provincia di Ravenna non abbiamo mica paura di Bombacci [dirigente socialista massimalista, che prometteva di fare la rivoluzione, n.d.r.]; è Baldini che ci fa paura, perché colla sua Federazione delle cooperative, ci fa sostituire dappertutto». Ecco perché la violenza fascista si è esercitata soprattutto contro le istituzioni create dal socialismo riformista. Queste istituzioni, sviluppandosi, e collegandosi fra loro, assorbono a poco a poco nel loro ambito tutta la vita politica ed economica della regione. Le vecchie caste, davanti a questa crescita della nuova struttura sociale, si sentono minacciate di asfissia. A. tasca, Nascita e avvento del fascismo, Laterza, Bari 1965, pp. 152-157 Per quale motivo, per i braccianti, il controllo del mercato del lavoro era una questione di vitale importanza? Spiega l espressione «il sistema, per funzionare, deve essere totalitario», riferita all organizzazione sindacale socialista. Per quale motivo i borghesi odiavano più i socialisti riformisti degli estremisti rivoluzionari?

2 Lo squadrismo a Ferrara A Ferrara, il fascismo squadrista fu guidato e dominato dalla figura di Italo Balbo. I contemporanei furono colpiti soprattutto dall efficienza militare delle squadre ferraresi e dal numero elevato dei suoi militanti. Molti di essi, probabilmente, provenivano dalle file di coloro che, prima della guerra, avevano militato nel sindacalismo rivoluzionario. I primi giorni del 1921 videro le organizzazioni fasciste diffondersi a macchia d olio in tutta la provincia; entro il gennaio di quell anno videro la luce i fasci di Masi Torello, Bondeno, Cento, Marrara, Baura, Jolanda di Savoia ed entro la primavera successiva si ebbe la totale copertura del territorio estense. Nacque anche il giornale del fascismo ferrarese, Il Balilla, che già vedeva Balbo tra i propri redattori. [ ] Di seguito ci fu l avvento dello squadrismo militare in tutta la provincia: a febbraio i fascisti iniziavano la distruzione metodica delle sedi socialiste del comune di Ferrara. A marzo le colonne motorizzate delle camicie nere iniziarono ad operare anche nei comuni più lontani, fino a Cento da un lato e a Ostellato e Comacchio dall altro; anche il Polesine entrò, nelle stesse settimane, nella sfera d azione dei ferraresi, così come la Bassa Bolognese. Il salto di qualità nell uso della violenza fu talmente improvviso e repentino da lasciare senza immediate contromisure la controparte socialista e la neonata federazione comunista ferrarese. Persino i popolari, che comunque avevano stigmatizzato a più riprese la violenza dei capilega, si trovarono interdetti di fronte a questo innalzamento nel livello dello scontro politico, come ben si vede in vari articoli de La Domenica dell Operaio [il settimanale della diocesi ferrarese, n.d.r.]. Balbo introdusse un modello di uso della forza, che sino ad allora non aveva avuto precedenti nella storia politica del paese, e che non può prescindere dalle conoscenze tattiche e strategiche sperimentate come assaltatore alpino: azioni brevi e fulminee, ma nello stesso tempo organizzate alla perfezione; disciplina militare nell organizzazione delle squadre, composte da uomini avvezzi all uso delle armi e capaci di insegnarne, quanto meno i rudimenti, ai nuovi adepti; uso dei mezzi di trasporto (i camion 18BL) come elemento determinante per spostare le squadre in punti diversi della provincia. [ ] Se da un lato l azione squadrista era possibile grazie ai munifici finanziamenti dell agraria ferrarese, dall altro poteva avere sviluppo solo grazie alle doti organizzative e alla spregiudicatezza di Balbo, il quale alla fine del 1921 aveva fatto piazza pulita degli oppositori interni, forse ancora illusi dalle velleità rivoluzionarie del movimento di Benito Mussolini. Chiarito il ruolo decisivo del ras di Quartesana [frazione di Ferrara, in cui Balbo nacque nel 1896, n.d.r.], resta da affrontare un altra zona rimasta fuori dall indagine storica, ossia la composizione sociale degli squadristi ed il loro numero complessivo nel biennio 1921-22. Degli squadristi veri e propri, si badi bene, ossia non dei simpatizzanti e militanti del movimento fascista, ma di coloro che agirono manu militari contro le organizzazioni dei contadini e dei lavoratori e successivamente contro le amministrazioni locali in mano alle forze socialiste e comuniste. Purtroppo anche questo argomento appare trascurato; se per la Toscana, così come per la Lombardia e il Piemonte, in diversi momenti sono stati effettuati approfondimenti sul tema (ben raccolti ed evidenziati nella recente opera di insieme di Mimmo Franzinelli), di Ferrara, a parte gli inquadramenti di massima (sottoproletariato contadino ed esponenti della borghesia cittadina) poco è stato detto; quantomeno per giustificare il numero degli squadristi attivi, che, secondo le testimonianze e le narrazioni dell epoca, erano diverse centinaia, capaci di operare con metodica ferocia in Romagna (nel 1922) così come nel Modenese o nella Bassa Bolognese. Ferrara, insomma, aveva una massa squadrista di manovra, disciplinata, organizzata e soprattutto numerosa quando altrove il movimento fascista tardava ad imporre le sue regole. [ ] Oggi occorre guardare con occhio più disincantato la vicenda dello squadrismo estense: la particolare consistenza numerica della più radi- Una squadra d azione fascista emiliana, fotografia del 1920. 9

Che ruolo svolse la guerra appena conclusa, nello sviluppo dello squadrismo ferrarese? Quali soggetti politici, in precedenza spostati a sinistra, passarono rapidamente al fascismo? cale e violenta espressione del movimento mussoliniano in quella che era stata la provincia più rossa dell Emilia, forse è da cercare fra i cascami del socialismo radicale e anarcosindacalista, che a piene mani era stato inculcato ai braccianti ferraresi. Qualcuno (pochi invero) fra i più accorti responsabili del socialismo italiano, si era già accorto in tempo reale di questa infausta filiazione dell estremismo politico che aveva portato alcuni capi e diversi gregari dall altra parte della barricata. Valgano per tutti le acute considerazioni di Argentina Altobelli, segretaria nazionale della Federterra, all inizio del 1922: «Io ti conosco, fascista dal berretto nero con l insegna della morte, che terrorizzi i poveri lavoratori; sei nato nell ampia pianura del Ferrarese, che confina col Polesine ove crescono i canneti e vivono le rane; anche tu, in un giorno d entusiasmo entrasti nella lega che univa tutti gli sfruttati in uno sforzo collettivo di difesa dei loro corpi e di rivendicazione delle loro anime maciullate dalla schiavitù Tu però non eri mai contento delle nostre conquiste, eri la perenne protesta, eri la voce sobillante nelle assemblee, che non sperava nella lenta e continuata assunzione dei lavoratori attraverso l organizzazione economica e politica. Reclamavi l azione diretta e la rivoluzione immediata Sei divenuto fascista perché non vuoi più lottare per i piccoli miglioramenti. La rivoluzione non ti ha dato il posto di dittatore che volevi; allora ti sei preso quello di tiranno della reazione». In questo ritratto contemporaneo dello squadrismo c è veramente qualcosa di più che un esercizio di retorica [ ]. Gli squadristi erano in buona parte questi giovani, poi intossicati dall uso delle armi e della violenza non solo verbale, ma fisica, nel corso della guerra 1915-18, e imbevuti di una caricatura del socialismo rivoluzionario (quello ben descritto dalla Altobelli) che nella provincia di Ferrara si distingueva per le prepotenze contro chi, faticosamente, aveva raggiunto posizioni sociali migliori. A. rossi, Dalla violenza politica alla politica della violenza. L avvento dello squadrismo a Ferrara (1919-1922), in AA.vv., Fascismo e antifascismo nella Valle Padana, CLueB, Bologna 2007, pp. 34-38 UNITÀ IV 10 IL FASCISMO IN ITALIA 3 L occupazione dei centri urbani La strategia di occupare in forze le città fu lanciata da Italo Balbo nel 1922, al fine di mettere il governo e le autorità centrali dello Stato di fronte a una serie di fatti compiuti. I fascisti volevano dimostrare che, in intere zone del Paese, le uniche autorità erano loro: i prefetti e le forze dell ordine dovevano obbedire alle squadre d azione e ai loro capi. Da parte dello Stato, però, ci fu una vera abdicazione di potere, una rinuncia allo scontro col fascismo, nell illusione di poter controllare Mussolini e il suo movimento, una volta che avessero svolto il loro ruolo di combattenti, capaci di riportare al loro posto socialisti e lavoratori. Pioniere della nuova fase proiettata verso i centri urbani fu Italo Balbo, promotore e duce, il 12-13 maggio, della marcia su Ferrara: straordinaria sfilata di circa quarantamila disoccupati, irreggimentati dagli squadristi e condotti all occupazione della città con un programma assistenzialista l ottenimento di stanziamenti governativi per la realizzazione di cospicue opere pubbliche agitato sino all anno precedente dai socialisti. La partecipazione totalitaria degli iscritti al PNF e ai sindacati fascisti fu ottenuta minacciando l espulsione degli assenti; le masse contadine furono mobilitate con sistemi spicci, descritti in prosa colorita nella lettera di un popolano filosocialista a un amico costretto da un bando a lasciare la città: «I fascisti agrari radunarono in tutti i loro Sindacati, con quei mezzi che li distinguono, gli operai; e li avvertirono che si tenessero pronti per partire la notte stessa [dell 11 maggio]. Chi manca, si disse, verrà escluso da ogni lavoro agricolo. Chi manca è un traditore; ed il Direttore del Fascio declina ogni responsabilità di quanto potrà accadere. Infatti tutti gli schiavisti erano stati mobilitati per organizzare la partenza che, in tutti i paesi della provincia, avvenne nella notte stessa. Alle ore 12 del giorno 12, i fascisti erano i padroni assoluti della città. L autorità sia per impotenza, sia per la sorpresa del movimento (cosa che escludo) sia per connivenza col fascismo aveva fatto dedizione di [aveva ceduto, n.d.r.] ogni suo potere. Gli operai inquadrati venivano portati a centinaia davanti al Castello e li fecero sdraiare tutti intorno. I capi dello schiavismo, con la rivoltella in pugno, gli gridavano: Chi si muove è morto. Mentre gli schiavisti inscenavano una dimostrazione in Prefettura a base di urli, di fischi, di minacce; dimostrazione che sempre più si manifestava con propositi di violenza. Per uscire dalla Città occorreva il lasciapassare dei fascisti, che alle porte avevano persino sostituito le guardie daziarie. Tutt intorno alla Città vi erano gli accampamenti degli schiavi, i quali erano divisi per gruppi ed ognuno di questi aveva il loro responsabile delle possibili diserzioni. Per consumare il rancio, che veniva loro portato dai propri paesi, gli veniva dato il cambio sostituendo l assedio al Castello con altri schiavi.

Gli schiavisti facevano aperta mostra delle loro armi e, forse trasgredendo alla consegna, delle guardie regie, stanche di essere derise ed insultate, ne disarmarono uno. Apriti cielo. Tutti gli furono intorno con le rivoltelle puntate, ed allora lo rilasciarono allontanandosi a suon di fischi, di urli e di minacce. Il giorno 13 mandano mezzi di trasporto in tutti i paesi della provincia ed obbligano ogni cittadino di andare a Ferrara per prendere parte alla dimostrazione, perché essi affermavano che il governo deve dare tutto ciò che vogliamo, diversamente facciamo strage. La dimostrazione ostile al Prefetto assunse carattere sempre più minaccioso. Camion di squadristi girano intorno al Castello trascinando dietro di loro delle latte vuote che producono un rumore infernale». Non si trattò affatto di una pacifica dimostrazione in favore dei diseredati: come ha rilevato uno studioso del fascismo ferrarese [P.R. Corner, n.d.r.], «l operazione fu organizzata con una precisione militare tipica del giovane ras, i cavi telefonici furono tagliati; le porte della città poste sotto controllo delle squadre specialmente designate all uopo [allo scopo, n.d.r.]; rifornimenti di cibo e bevande assicurati a tutti coloro che prendevano parte all occupazione». Presidente e vicepresidente dell Associazione agraria, il dottor Vico Mantovani e il cavalier Amedeo Baruffa, contribuirono alla riuscita dell iniziativa. [ ] Impossessatosi della città, Balbo concesse al prefetto 48 ore per l accettazione delle condizioni imposte dagli scioperanti, ovvero lo stanziamento di due milioni e mezzo di lire per lavori pubblici da eseguirsi nella provincia. Lo scoppio di due bombe al municipio e al tribunale dimostrò la gravità della situazione. [ ] Alla mobilitazione ferrarese seguì dopo un paio di settimane una nuova grandiosa adunata, culminata nell occupazione militare di Bologna. L iniziativa fu importante per almeno due ordini di motivi: il rilievo strategico del capoluogo emiliano e la lotta condotta a quel prefetto, considerato dai fascisti un nemico giurato. [ ] Cesare Mori, accusato di filosocialismo, si trovò assediato nel palazzo della prefettura e assoggettato al boicottaggio; su ordine dei fascisti nessuno più, fra gli esponenti della politica e dell economia, volle avere a che fare con lui. Dirigenti liberali e popolari, esponenti delle associazioni dei commercianti e degli industriali lo disconobbero; il quotidiano cittadino Il Resto del Carlino (diretto da Nello Quilici, iscritto al PNF e grande amico di Balbo) soffiò sul fuoco delle polemiche. L ispettore inviato dal governo per riferire sulla situazione rilevò che gli squadristi «bivaccarono per tre giorni sulla piazza prospiciente la prefettura, vociando contumelie, gettando castagnole nello stesso ufficio del prefetto e giungendo al punto oltraggioso di porsi in rango a turno per andare a spandere acqua all ingresso della prefettura». [ ] Il governo si trovò dinanzi a un bivio: sostenere il prefetto e rispondere adeguatamente alla sfida dei violenti, oppure dare soddisfazione ai contestatori e rimuovere il funzionario. Il tentennante Facta [presidente del Consiglio, n.d.r.] ricercò una via di mezzo e il 1 o luglio chiamò Mori a Roma «per consultazioni» e inviò a Bologna quale reggente il viceprefetto di Genova, Rossi, gradito ai fascisti. Mussolini, soddisfatto del provvedimento, pose fine all assedio e l indomani i diecimila squadristi si ritirarono dalla città. M. FrANZiNeLLi, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Mondadori, Milano 2004, pp. 147-151 Fascisti occupano un municipio, fotografia degli anni Venti del Novecento. 11 Perché i socialisti chiamavano i fascisti «schiavisti» e «capi dello schiavismo»? Quale atteggiamento teneva il prefetto di Bologna, verso gli squadristi? Quale atteggiamento tenne il governo, di fronte alle clamorose azioni di Italo Balbo?