Adozione del progetto obiettivo materno-infantile relativo al «Piano sanitario nazionale per il triennio ».

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Decreto ministeriale 24 aprile 2000 Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2000, n. 131 Testo aggiornato al 1 maggio 2004 Adozione del progetto obiettivo materno-infantile relativo al «Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000». IL MINISTRO DELLA SANITÀ DI CONCERTO CON IL MINISTRO DEL TESORO, DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA E IL MINISTRO PER LA SOLIDARIETÀ SOCIALE (omissis) DECRETA: 1. È adottato il progetto obiettivo materno-infantile, relativo al Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000, nel testo di cui all'intesa tra Stato e Conferenza unificata, allegato come parte integrante del presente decreto.

ALLEGATO Progetto obiettivo materno infantile (Piano sanitario nazionale 1998-2000) 1. Premessa La tutela della salute in àmbito materno infantile costituisce un impegno di valenza strategica dei sistemi socio-sanitari per il riflesso che gli interventi di promozione della salute, di cura e riabilitazione in tale àmbito hanno sulla qualità del benessere psico-fisico nella popolazione generale attuale e futura. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato, infatti, nel miglioramento della qualità della vita della madre e del bambino uno degli obiettivi sanitari prioritari a livello mondiale. Negli ultimi trenta anni nel nostro Paese la dinamica demografica ha subito notevoli cambiamenti e si sono registrati importanti progressi nell'assistenza alla madre ed al bambino rilevabili dall'andamento dei principali indicatori. La riduzione della propensione, sin dalla fine degli anni '70 a procreare (misura dell'indice di fecondità) interessa tutte le Regioni italiane, determinando non solo la nota caduta dei relativi livelli, ma modificando anche le caratteristiche strutturali del comportamento riproduttivo, quali l'ordine e la cadenza delle nascite. La riduzione della fecondità ha avuto l'effetto di portare verso i livelli medi europei le regioni del meridione, ma non quello di ridurre il divario tra il Nord ed il Mezzogiorno del Paese. Nei primi quattro anni degli anni '90 la riduzione dell'indice di fecondità (-10,3%) prosegue con maggiore rapidità nelle regioni meridionali (-14,0%) rispetto a quelle centrali (-9,9%) e ancora più rispetto a quelle settentrionali (-7,1%). L'innalzamento dell'età media al parto sia per le prime nascite che per la prosecuzione della discendenza delinea soprattutto una tendenza a posticipare l'inizio della vita riproduttiva ma, in parte, anche un recupero di fecondità in età matura. Le donne che danno alla luce il primo figlio, infatti, alla fine degli anni '80 hanno una media oltre un anno e mezzo in più rispetto al 1980 (da 25,1 a 26,7) e un anno in meno rispetto al 1994 (27,7). Anche in questo caso l'evoluzione del fenomeno tende ad ampliare, piuttosto che a ridurre, le differenze territoriali. Nel 1980, ad esempio, le madri del Mezzogiorno sono più giovani di circa un anno rispetto a quelle del Nord e del Centro. Le differenze tendono ad ampliarsi per tutti gli anni '80, fino agli inizi degli anni '90; nel 1994 il divario tra età delle madri del Mezzogiorno e quelle del Centro-Nord raddoppia. I cambiamenti dei comportamenti riproduttivi delle coppie hanno determinato una riduzione del numero di nascite, anche se con intensità diversa a seconda della vitalità. La riduzione del numero di nati vivi negli anni '80 (circa 80.000 unità in meno con un decremento del 12%) prosegue fino ai primi anni '90 e, in soli quattro anni, si rileva una riduzione di circa 36.000 unità (pari ad un decremento del 6,4%).

La mortalità materna, la mortalità neonatale, perinatale, e la nati-mortalità rappresentano indici importanti per valutare lo stato dell'assistenza socio-sanitaria nel settore materno infantile e, più in generale, il grado di civiltà raggiunto da una Nazione. La mortalità materna (morti materne su 100.000 nati vivi) si è ridotta da 53,6 per 100.000 nati vivi nel 1970 a 5,6 nel 1995. C'è da sottolineare che con dati numerici per fortuna così piccoli anche una sola morte materna può determinare variazioni importanti del rapporto di mortalità. La riduzione è continua e progressiva in tutte le ripartizioni geografiche con il trascorrere degli anni. Tutto ciò è sicuramente da mettere in relazione al fatto che ormai da molti anni in Italia le gravidanze a rischio vengono identificate precocemente e la tutela sanitaria della gravidanza permette un attento controllo della stessa. Nel nostro Paese, dall'applicazione della legge n. 194/1978, sulla base dei dati forniti delle Regioni, una sola morte si è verificata in corso di interruzione volontaria di gravidanza, cosi come trascurabili possono essere considerate le complicanze immediate all'intervento, nell'ordine del 2-3 per mille, in linea con quanto riportato da tutti i Paesi industrializzati. Per quanto concerne il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'ivg (234801 casi) si è potuto osservare, al 1997, una riduzione del 40,2% dei valori assoluti e del 43,0% del tasso di abortività (n. IVG/1000 donne in età feconda 15-49 anni), testimonianza di una crescente attenzione alla prevenzione. Il numero di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate da minorenni dal 1986 è stabile (circa 3 per 1000 minorenni). Inoltre, il fenomeno dell'aborto clandestino risulta in costante flessione. Infatti, secondo stime elaborate dall'istituto Superiore di Sanità attraverso l'utilizzo di modelli matematici gli aborti clandestini effettuati in Italia prima della legge n. 194/1978 risultavano essere 350.000; nel 1983 pari a 100.000 e nel 1997 sono stati stimati in 30.500. Dal 1981 al 1994 l'espletamento del parto naturale è passato dal 73,3% al 68,1%; il ricorso al Taglio Cesareo è passato dal 12,6% al 24,9%; i parti operativi nello stesso periodo si sono dimezzati. La mortalità perinatale (nati morti e morti a meno di una settimana di vita per 1.000 nati vivi) nel 1995 ha raggiunto l'8,1 per mille nati vivi, rispetto al 31,2 del 1970, anche se permangono ancora delle differenze in diverse aree del Paese. Negli anni si è assistito in Italia ad una notevole riduzione dei tassi di mortalità infantile (morti nel primo anno di vita per 1.000 nati vivi) nel 1995 ha raggiunto il 6,2 per mille nati vivi, rispetto al 29,6 nel 1970; tale riduzione si è però verificata prevalentemente a carico della mortalità post-neonatale ( dal 1 al 12 mese di vita), mentre quella nel 1 mese (mortalità neonatale totale) ed in particolare quella della 1 settimana di vita (mortalità neonatale precoce) ha presentato un andamento assai meno confortante soprattutto nelle regioni meridionali. Anche in termini strettamente sanitari il quadro dei bisogni è mutato: malattie respiratorie e malattie infettive non sono più cause primarie di mortalità, mentre compaiono ai primi posti, accanto alle cause perinatali, le malattie genetiche, le malformazioni, i traumi, i tumori. Il tasso di basso peso alla nascita (<2.500 gr) nel 1995 è stato del 4,7% (4,1% nei maschi e 5,3% nelle femmine) e negli ultimi cinque anni non ha mostrato significativi cambiamenti. Il numero di nascite da donne di età 15-19 anni mostrano marcate differenze geografiche: nel 1995 la più alta percentuale si e riscontrata in Sicilia (circa il 5% di nati vivi da madri di età inferiore ai 20 anni) e la più bassa in Liguria (meno dell'1%).

Il sistema vaccinale italiano ha consentito il raggiungimento di risultati soddisfacenti, in linea con le indicazioni del Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, per le vaccinazioni dell'infanzia contro difterite, tetano, poliomielite, epatite virale B, mentre altrettanto non può dirsi per le vaccinazioni non obbligatorie contro la pertosse, il morbillo, la rosolia, Ìhaemophilus influenzale tipo B, per le quali il PSN ha posto i medesimi obiettivi indicati per le vaccinazioni obbligatorie. Secondo una indagine compiuta dall'i.s.s. nel 1998 per la valutazione della copertura vaccinale nei bambini da 12 a 24 mesi di età (studio ICONA), la copertura vaccinale per difterite, tetano, poliomielite, epatite virale B raggiunge il 95% in quasi tutte le Regioni italiane (fanno eccezione la Campania, il Molise e per la poliomielite anche la Provincia Autonoma di Bolzano); per le altre vaccinazioni invece la copertura rilevata sul territorio nazionale è insufficiente e non allineata alle indicazioni del PSN 1998-2000 e ai valori osservati negli altri Paesi europei dove la copertura è largamente superiore. Il tasso di ospedalizzazione, inteso come rapporto tra il numero dei bambini 0-14 anni ricoverati sul totale dei bambini residenti in Italia, è stato per il 1998 pari a 124 per 1000 con differenze regionali particolarmente significative: si passa infatti dal 74 per 1000 del Friuli Venezia Giulia al 161 per mille della Puglia. Nella distribuzione dell'età pediatrica in fasce d'età, risultano elevati i tassi di ospedalizzazione da 0 ad 1 anno (452 per mille) e da 1 a 4 anni (172 per 1000). La prima causa di ospedalizzazione nella fascia di età 0-14 anni sono le malattie dell'apparato respiratorio di cui sono affetti circa il 20% di tutti i bambini ricoverati. Seguono le condizioni morbose di origine perinatale (14%), i traumatismi e avvelenamenti (11,5%) e le malattie dell'apparato digerente (9%). La mortalità per tumori dell'utero è diminuita di oltre il 50% negli ultimi 40 anni, passando da 14 casi ogni 100.000 donne nel 1955 a 6 casi ogni 100.000 donne nel 1990. Dai dati forniti dall'associazione Italiana Registri Tumori in Italia (anno 1994) si stima siano diagnosticati circa 3600 nuovi casi per cervico-carcinoma e registrate circa 1700 morti, mentre per il carcinoma del corpo dell'utero si stima siano diagnosticati circa 6300 nuovi casi e registrate circa 2500 morti. Per quanto riguarda il tumore della mammella nel 1994 sono state registrate 11.343 morti e si stima che ogni anno a più di 31.000 donne venga diagnosticata questa malattia. Il Piano Sanitario Nazionale (P.S.N.) per il triennio 1998-2000, sulla base dell'attenta analisi del quadro epidemiologico del Paese, individua gli obiettivi di salute. Tra le aree privilegiate, in quanto riconosciute rappresentative di priorità si colloca l'area materno infantile. Nel P.S.N. sono messi in relazione obiettivi e risorse, princìpi ed azioni delineando le strategie di cambiamento che trovano compiuta definizione nel Decreto Legislativo di riordino del SSN del 19 giugno 1949. n. 229. Esso dà inizio ad un processo di trasformazione strutturale dei servizi e ridefinisce i livelli assistenziali filtrandoli attraverso le strutture operative che rappresentano l'impalcatura delle Aziende Sanitarie Locali (A.S.L.). Le A.S.L., infatti, garantiscono tali livelli essenziali, uniformi ed appropriati di assistenza e definiscono specifici percorsi dei pazienti e comunque delle fasce di popolazione a rischio per cui si prevedono peculiari interventi in àmbito di prevenzione primaria e secondaria, attraverso le strutture del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) che si collocano sul versante dei produttori e/o erogatori di prestazioni sanitarie.

Il P.S.N., e quindi i Progetti Obiettivo (P.O.) che ne derivano, non possono non tener conto della complessità che anche sul piano organizzativo e gestionale, nel rispetto dell'autonomia che caratterizza il versante regionale ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 502 del 1992, contraddistingue gli interventi delle strutture operative del S.S.N. Tale complessità si esprime attraverso un sistema di interdipendenze fra le strutture che si estende per necessità, nell'area materno infantile, all'àmbito interistituzionale. L'individuazione degli obiettivi e delle responsabilità avviene nel rispetto delle diverse funzioni di governo tra Stato, Regioni, Aziende ed Enti Locali. Si mira all'integrazione e cooperazione tra i livelli istituzionali, cercando di individuare una effettiva responsabilità di programmazione e di gestione. Così i Comuni hanno un loro protagonismo con in primo piano il ruolo dei Sindaci nella definizione e valutazione degli obiettivi della programmazione, le Regioni devono assicurare a tutti gli stessi livelli di assistenza e lo Stato deve garantire, da parte sua, che la tutela della salute sia davvero uniforme su tutto il territorio nazionale. La necessità di attuare una forte integrazione fra interventi prettamente sanitari e sociali costituisce una previsione già espressamente richiamata in precedenti atti del Governo e del Parlamento italiano. Il Piano d'azione del Governo italiano per l'infanzia e l'adolescenza dell'aprile 1997 e la legge 23 dicembre 1997, n. 451 che ha previsto l'istituzione della Commissione parlamentare dell'infanzia e l'osservatorio nazionale per l'infanzia sono atti dove l'elemento integrazione assurge a strategia globale per lo sviluppo dell'infanzia e dell'adolescenza. In generale per servizi socio-assistenziali si intendono quelli discendenti dall'esercizio delle funzioni attribuite ai comuni singoli o associati di cui alle normative statali ex D.P.R. n. 616/1977, ex legge n. 142/1990, ex D.Lgs. n. 112/1998 e specificatamente dal D.Lgs. n. 229/1999. Quest'ultimo atto governativo ha definito in termini più precisi l'integrazione socio-sanitaria prevedendo a riguardo l'emanazione di un atto di indirizzo e coordinamento in materia, rendendo in questo modo concreta la possibilità di attuare tutte le possibili forme di collaborazione ed integrazione tra Aziende Sanitarie, Enti Locali, Autorità Giudiziaria Minorile, istituzioni scolastiche, ecc. Per garantire inoltre unità, efficienza e coerenza negli interventi dell'area materno infantile, vista l'afferenza in essa di molteplici discipline tra loro omogenee, affini e complementari, è necessario prevedere l'organizzazione di tutti i fattori produttivi utili alla migliore realizzazione di un sistema integrato di servizi alla persona secondo un modello organizzativo di tipo dipartimentale, così come sancito dall'art. 17-bis del D.Lgs. n. 229/1999. In tale ottica, all'interno di un contesto che rispetti comunque la completa attuazione del processo di aziendalizzazione, e necessario individuare modelli organizzativi dipartimentali dell'area materno-infantile capaci di sinergizzare le attività delle Aziende territoriali e ospedaliere valorizzando le interdipendenze esistenti fra le strutture operative, in particolare, a livello orizzontale, il Dipartimento della Prevenzione (D.P.) e, a livello verticale, il Distretto che diviene il bacino privilegiato per la pianificazione degli interventi in àmbito territoriale e per la realizzazione del Piano Attuativo Locale, tenuto conto anche della necessità di integrare tutti gli interventi sanitari e sociali a livello territoriale. La funzione di coordinamento, svolta dall'organizzazione dipartimentale dell'area materno infantile attiene a tutte le fasi di sviluppo del progetto e si riferisce unitariamente agli interventi di tipo preventivo, curativo e riabilitativo.

Secondo le indicazioni del P.S.N. vanno valorizzate le attività dei Consultori familiari, prevedendone l'integrazione nella rete dei servizi. Pur restando prioritario l'obiettivo di ridurre la mortalità perinatale a livelli inferiori all'otto per mille in tutte le Regioni entro il 2000, eliminando le differenze tra le varie aree geografiche, non meno importanti risultano altri obiettivi da perseguire allo scopo di salvaguardare le fasce più deboli e di garantire maggiore uniformità dei livelli essenziali di assistenza: estendere l'offerta del Pediatra (P.L.S.) a tutti i bambini, con inserimento immediato alla nascita e confluenza nei medesimi elenchi di tutti i soggetti disabili in età minorile e di quelli inclusi nelle fasce sociali più deboli (immigrati, ecc.), con garanzia di percorsi preferenziali per l'accesso e la tutela sanitaria e socio-assistenziale dei soggetti affetti da malattie ad andamento cronico e/o disabilità, da malattie rare, da malattie su base genetica, ecc. incrementare con graduale progressione l'offerta attiva e la fruizione dei servizi a favore degli adolescenti. promuovere il soddisfacimento dei bisogni socio-sanitari e assistenziali dei minori, fornendo la necessaria collaborazione agli Enti Locali, con particolare riferimento ai problemi connessi al maltrattamento e abuso, al disagio ed alla dispersione scolastica, ai problemi dell'adolescenza della marginalità, specie per i bambini immigrati, alla presenza in comunità, il sostegno degli affidamenti familiari, le attività connesse agli iter adottivi previsti dalla legge n. 184/1983 e dalla legge n. 476/1998, gli interventi psicodiagnostici in attuazione del D.P.R. n. 448/1988 in materia di provvedimenti penali relativi ai minorenni. garantire un efficace servizio di urgenza-emergenza ostetrico-ginecologica e pediatrica 24/24 ore, con integrazione tra strutture ospedaliere ad hoc e servizi territoriali; garantire la tutela della salute della donna in tutte le fasi della vita con particolare riferimento alle possibili espressioni della sessualità, alle scelte di procreazione cosciente e responsabile anche in riferimento alla prevenzione dell'interruzione volontaria della gravidanza, al sostegno del percorso nascita, all'assistenza alla gravidanza fisiologica, alla prevenzione e trattamento delle patologie materno-fetali. assicurare processi assistenziali tendenti alla sempre maggiore umanizzazione dell'evento nascita, coniugando la possibilità di far coesistere la sicurezza per la partoriente ed il nascituro ed il rispetto di quanto desiderato dalla donna in questa fase così delicata del suo ciclo vitale. attivare progetti di assistenza domiciliare puerperale, con lo scopo di sostenere le fasce socialmente più deboli, promuovere l'allattamento al seno, favorire il migliore inserimento del nuovo nato nel nucleo familiare. promuovere, d'intesa col D.P., programmi di prevenzione dei tumori della sfera genitale femminile e di interventi per l'età post-fertile. In tale modo il P.O. materno infantile diviene effettivamente un processo di implementazione degli obiettivi di salute attraverso l'individuazione di modelli organizzativi ed il perseguimento di obiettivi gestionali che, nell'ottica del mantenimento del processo di aziendalizzazione e salvaguardando quindi l'efficienza delle strutture; garantiscano l'unitarietà degli interventi secondo la logica dei percorsi che non concernono più solo il singolo ma che sono in grado di ampliare l'osservazione a unità più complesse quali ad esempio la famiglia.

2. Il percorso nascita. La gravidanza ed il parto sono eventi fisiologici che possono talvolta complicarsi in modo non prevedibile e con conseguenze gravi per la donna, per il nascituro e per il neonato. È necessario che ad ogni parto venga garantito un livello essenziale ed appropriato di assistenza ostetrica e pediatricalneonatologica. L'offerta dei servizi ospedalieri ostetrici e pediatrici/neonatologici non può prescindere da un'organizzazione a rete su base regionale o interregionale articolata in tre livelli, con differenti caratteristiche strutturali e competenze professionali, in modo da garantire la massima corrispondenza tra necessita assistenziali della singola persona e appropriatezza ed efficacia delle cure erogate. In tale contesto deve essere posta particolare attenzione, in sede di programmazione regionale, affinché si consegua una uniformità di livello assistenziale tra U.O. ostetriche e U.O. neonatologiche-pediatriche. Nelle rare realtà caratterizzate dall'esistenza in un'azienda di Unità Operativa di Neonatologia (U.O.N.) dotata di Unità di Terapia Intensiva Neonatale (U.T.I.N.), ma non di U.O. ostetriche o viceversa, i contratti interaziendali ex D.Lgs. n. 502/1992 e D.Lgs. n. 517/1993 garantiscono un'integrazione funzionale interaziendale che permette di superare gli effetti negativi dell'anomalia strutturale aziendale. L'assistenza alla gestante e affidata alle U.O. ostetrico-ginecologiche, del livello considerato, ed è soddisfatta da personale specializzato (ostetrico-ginecologico) dei ruoli laureati delle suddette U.O., dalle ostetriche e da personale dei ruoli infermieristici e tecnici, appartenente all'area Funzionale Omogenea (A.F.O.) ospedaliera e dal Consultorio Familiare. La tutela della salute delle donne gravide che afferiscono a strutture di I o II livello e dei feti, di fronte all'evidenziarsi di situazioni cliniche richiedenti trattamenti di livello superiore è garantita dall'obbligo dell'ostetrico-ginecologo di guardia di accertare clinicamente e strumentalmente gli elementi di rischio materni e/o fetali che indicano l'opportunità di un trasferimento e dall'efficienza di un servizio di trasporto della gravida. L'assistenza al neonato è affidata, a seconda del livello considerato, all'unità Operativa di Neonatologia e Patologia Neonatale (U.O.N. - P.N.) (con o senza U.T.I.N.) o all'unità Operativa di Pediatria e Assistenza Neonatale (U.O.P. - A.N.) ed e soddisfatta da personale specializzato (pediatra, neonatologo) dei ruoli laureati delle suddette U.O. e da personale dei ruoli infermieristici e tecnici, anch'esso con competenze specifiche pediatrico/neonatologiche, appartenente all'area Funzionale Omogenea (A.F.O.) ospedaliera. Le U.O. ostetriche, con le U.O.N. - P.N. (con o senza T.I.N.) e le U.O.P. - A.N. afferiscono all'organizzazione dipartimentale di appartenenza. È importante che in àmbito dipartimentale si attui una stretta collaborazione interdisciplinare tra il personale non medico con adeguate qualifiche in àmbito ostetrico e pediatrico/neonatologico. Per ognuno dei tre livelli assistenziali ospedalieri sopra richiamati, per funzioni e standard di organizzazione strumentale e di personale, si rimanda all'allegato 1 al presente documento, fermo restando che l'individuazione degli stessi rappresenta per le Regioni un indirizzo orientativo da adattare alle proprie esigenze di programmazione sanitaria. Nell'organizzazione dipartimentale dell'area materno - infantile., nella definizione del livelli funzionali, di norma, le U.O. di ostetricia e le U.O.N. - P.N. e/o U.O.P. - A.N. operano a livello corrispondente.

Un livello superiore deve erogare oltre alle prestazioni che lo caratterizzano, anche quelle indicate per i livelli inferiori, perciò, ove non indicati, si intendono sempre richiesti per il livello superiore i requisiti previsti nel livello inferiore. In condizioni territoriali caratterizzate, per esempio, da Regioni piccole e con pochi punti nascita, da condizioni orogeografiche particolari, ecc. può essere ragionevole programmare, sia per l'assistenza ostetrica che pediatrico/neonatologica, soltanto due livelli: per esempio il I e il II, se il bacino di utenza è territorialmente limitato ed è possibile fare afferire le gravide e i neonati ad alto rischio ad una Azienda o Regione limitrofa dotata di III livello ostetrico e U.O.N. - P.N. - U.T.I.N.; oppure attivare solo il I e il III livello, per limitare i costi di strutture di II livello sottooccupate. Al fine di salvaguardare le esigenze assistenziali nei territori montani, le Regioni si impegnano a garantire, nell'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica, una organizzazione atta a rispondere ai bisogni specifici della popolazione. Nella programmazione regionale, particolare attenzione va posta al coordinamento tra le strutture operative di I, II, e III livello onde garantire adeguati livelli assistenziali nei territori montani, ferma restando la necessità di assicurare livelli di attività tali da garantire la qualità delle prestazioni. Nessuna azione è ovviamente realizzabile se non ne esistono i presupposti organizzativi. Si deve tuttavia rilevare che per quanto concerne l'organizzazione dei punti nascita esistono tutt'ora notevoli difformità, in termini di ambienti, attrezzature disponibili e personale dedicato. Appropriatezza ed efficacia, qualità e sicurezza unitamente alla promozione e tutela della salute sono alla base del Piano Sanitario Nazionale. Adeguare le strutture sanitarie a standard strutturali, tecnologici ed organizzativi adeguati rispetto alle specifiche esigenze di salute ed alle modalità di erogazione delle prestazioni significa affermare la cultura della qualità e della sicurezza, secondo gli standard tendenziali di cui all'allegato. Uno degli obiettivi del PSN è proprio quello della uniformità dell'assistenza alla nascita nelle varie aree del Paese. Le Regioni, nell'àmbito dei servizi afferenti all'area della Emergenza (D.E.A., servizio 118 ecc.) devono formalizzare il Servizio di Trasporto Assistito Materno (S.T.A M.) ed il Servizio di Trasporto di Emergenza Neonatale (S.T.E.N.). Infine, particolare attenzione va posta, in tutto il percorso assistenziale alla sempre più frequente presenza di cittadini non italiani, in particolare extracomunitari. A queste donne deve essere garantita la comunicazione interculturale e la garanzia di assistenza specialistica nei casi di portatrici di mutilazioni genitali.

PERCORSO NASCITA OBIETTIVI AZIONI INDICATORI - Umanizzazione - Corsi pre-parto - N. corsi attivati - Qualificazione del personale - Percentuale di donne in gravidanza che - Presenza di una persona scelta dalla partecipano ai corsi donna durante il travaglio ed il parto - N. corsi qualificazione attivati - Sperimentazione di percorsi di Percentuale di strutture che hanno attivato demedicalizzazione del parto percorsi di demedicalizzazione del parto e - Attivazione di percorsi facilitanti il facilitanti il contatto madre-bambino contatto madre-bambino - Percentuale di parti con presenza di - Rooming-in persona indicata dalla donna - Assistenza al puerperio - Percentuale di strutture dipartimentali che permettono rooming-in - Salvaguardia della gravida e del neonato: - Almeno 80% delle gravide e dei neonati ad alto rischio assistiti al III livello - Riduzione dei Tagli Cesarei in particolare nelle strutture di I e II livello - Afferenza al punto nascita competente per bisogni di salute - Percentuale di gravide e neonati ad alto rischio assistiti al III livello - Percentuale di T.C. per livello - Percentuale di clienti soddisfatti Promozione allattamento al seno: - Corsi pre-parto e di assistenza post- - N. corsi attivati - Incremento, nel corso del triennio, nascita - Percentuale di donne in gravidanza ai corsi della percentuale di allattamento - Qualificazione del personale - Percentuali di donne assistite nel postprecoce al seno (entro le 24 ore) - Attivazione di percorsi facilitati il nascita - Verifica iniziative di promozione contatto madre-bambino - N. corsi qualificazione attivati della pratica dell'allattamento al seno oltre il 3 mese - Percentuali di strutture che hanno attivato percorsi - Percentuale di allattamento al seno sul totale dei nati, alla dimissione - Percentuale delle donne che allattano dopo

il terzo mese - Prevenzione e trattamento della patologia materna e dei grandi ritardi di accrescimento intrauterino, della prematurità, delle malformazioni maggiori e delle altre patologie fetali - Individuazione di protocolli di prevenzione pre-concezionale, di diagnosi prenatale e di terapia maternofetale e neonatale - Registro regionale e nazionale dei neonati con peso estremamente basso - Incidenza di patologia materna per livello - Percentuale di servizi che hanno attivato protocolli di diagnosi prenatale e di terapia - Registro regionale e nazionale per le materno-fetale e neonatale malformazioni congenite - Percentuali di diagnosi e valutazione dei trattamenti prenatali nei casi di grandi ritardi di accrescimento - Percentuale di neonati sopravvissuti, degli esiti a distanza, dei pretermine e dei ritardi di crescita - Percentuale di patologie fetali adeguatamente assistite - Prevenzione secondaria dell'ipotiroidismo connatale e delle malattie su base genetica: Tendenza alla copertura totale dei nuovi nati e follow-up - Attivazione del registro delle malattie interessate dagli screening neonatali - Percentuali di bambini sottoposti a screening - Percentuale bambini assistiti con terapia - Dimissioni protette e dimissione precoce - Attivazione della rete sanitaria ospedaliera-territoriale e sociale per il rientro a domicilio della madre e del neonato - Percentuali di neonati con patologie assistiti a domicilio - Percentuale dei puerpei assistiti a domicilio - Favorire avvicinamento-contatto puerpera-neonato (anche patologico) - Collegamento funzionale-strutturale tra area ostetrico-ginecologica e area - Percentuale di U.O. ostetriche e neonatologiche/pediatriche integrate pediatrica-neonatologica: applicazione di - Percentuale di mamme che possono stare norme regionali di indirizzo per l'area ospedaliera materno-infantile miranti a favorire l'integrazione operativa tra U.O.O. Ostetrica e U.O.O. neonatologicapediatrica soprattutto in fase di riordinoristrutturazione dei reparti con il bambino - Percentuale di gestanti che hanno avuto accanto la persona di fiducia durante il travaglio-parto - Adeguamento strutturale al fine di facilitare il rooming-in e l'allattamento al seno - Favorire la sicurezza degli utenti e - Applicazione legge n. 626/94: piano - Percentuale di strutture adeguate al

degli operatori d'azienda rooming-in e all'allattamento al seno - Percentuale di strutture adeguate alla legge n. 626/1994 - Migliorare la sicurezza in ambiente di lavoro - Integrazione tra D.P. e area ospedaliera dell'organizzazione dipartimentale attraverso predisposizione piani regionali e aziendali per il controllo e la valutazione periodica dell'efficienza delle - Percentuali di U.O. che hanno attivato il registro delle attrezzature attrezzature e loro tournover - Percentuale di apparecchiature sottoposte a - Predisporre misure di prevenzione degli valutazione incidenti sul lavoro, particolarmente nelle aree di assistenza intensiva - Percentuale di apparecchiature obsolete o non a norma rimosse - Registro degli incidenti sul lavoro con indicazione intensiva - Rispetto dei piani di emergenza aziendali in rapporto alla normativa ed alle indicazioni regionali - Percentuale di incidenti sul lavoro specifici - Percentuali di strutture che hanno piani di emergenza adeguati alla normativa 2.1. Trasporto materno e neonatale Il trasporto della gravida e del neonato deve essere considerato una componente essenziale di un piano di regionalizzazione delle cure perinatali. Quando le condizioni che hanno richiesto il trasferimento del neonato si sono risolte, si raccomanda il suo ritorno presso l'ente trasferente, al fine di ridurre i disagi organizzativi delle famiglie ed i costi assistenziali. Il Servizio di Trasporto Assistito Materno (S.T.A.M.) deve essere realizzato sulla base di un collegamento funzionale tra strutture territoriali e strutture di ricovero collegate in rete tra loro e con le reti regionali dell'emergenza-urgenza sanitari territoriale (Servizio 118). Quando possibile il trasporto materno deve essere programmato e prevedere il collegamento continuo tra struttura inviante e ricevente. Il trasporto assistito materno può essere affidato, purché in presenza di ostetrica e se necessario di ostetrico-ginecologo, ai mezzi operativi afferenti ai Dipartimenti di Emergenza-Urgenza ed Accettazione (D.E.A.) di I e II livello secondo le linee guida per il sistema di emergenza-urgenza, elaborate dal Ministero della Sanità in applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992. Anche in presenza di una corretta organizzazione assistenziale che preveda il trasferimento della gravidanza a rischio, circa l'1% dei nati vivi può avere la necessità di essere trasferito. Anche il Servizio di Trasporto ed Emergenza Neonatale (S.T.E.N.) deve essere collegato con le reti regionali dell'emergenza-urgenza sanitaria territoriale (118). I vantaggi previsti con l'attivazione di questo servizio saranno conseguiti soltanto nelle aree in cui sarà possibile attivare tutti i posti letto di Terapia Intensiva Neonatale necessari. Le Regioni, nell'àmbito degli interventi di programmazione devono formalizzare lo S.T.E.N. attuando i modelli operativi ritenuti più rispondenti ai bisogni della propria realtà territoriale. Il trasporto neonatale rappresenta la cerniera di collegamento tra punto nascita periferico e centro di riferimento di III livello e quindi deve provvedere ad un rapido, efficace e sicuro

trasporto dei neonati che hanno bisogno di un livello assistenziale superiore a quello offerto dall'ospedale di nascita. L'attività di trasporto deve essere espletata da personale con provata esperienza di Terapia Intensiva Neonatale e non dovrebbe, di norma, essere effettuata a cura del punto nascita che generalmente dispone di minori risorse quantitative e qualitative di personale e di attrezzature. L'attività professionale del personale addetto al trasporto neonatale non si esaurisce unicamente nell'assistenza durante le fasi di trasporto, ma comprende anche forme di consulenza, per situazioni di rischio perinatale, e di aggiornamento professionale, che devono essere oggetto di specifici accordi tra Enti, anche ai fini delle remunerazioni accessorie. Ogni servizio può essere costituito, a seconda delle esigenze e dei bacini di utenza, da una o più Unità Operative. Considerate le differenti situazioni locali, le singole Regioni nell'àmbito delle norme applicative dei P.S.R. devono predisporre direttive sui criteri essenziali e sulle indicazioni relative al trasferimento delle gravidanze a rischio e del neonato patologico per facilitare l'accesso della gravida e del neonato alle strutture di livello corrispondente ai bisogni dl salute materno - fetali e neonatali. Si riportano in Allegato 2 i requisiti e gli standard di fabbisogno indicativi per il trasporto materno e neonatale rappresentanti indirizzo orientativi alle esigenze di programmazione regionale. TRASPORTO MATERNO E NEONATALE OBIETTIVI AZIONI INDICATORI - Accesso per il parto alla sede più sicura nel rispetto delle scelte dell'utente e dell'offerta di servizi ai tre livelli - Istituzione di linee di indirizzo regionali per il trasporto della gravida e del neonato con particolare riferimento a: *criteri indicatori per il trasferimento; - Percentuale dei parti a rischio elevato in U.O. di livello non adeguato - Percentuale di rispetto delle linee - Riduzione del trasporto neonatale con *modalità di trasferimento (con o senza di indirizzo con particolare riguardo corrispondente incremento di quello assistenza attiva specialistica) ai criteri fissati per il trasferimento prenatale - Predisposizione nell'àmbito del sistema 118 di percorsi dedicati al trasporto della gravida ad della gravida o del neonato (registro dei trasferimenti) alto rischio e istituzione dello STEN a livello regionale per il neonato - Percentuale di percorsi dedicati al trasporto della gravida ad alto rischio attivati sui previsti - Percentuale di STEN attivati sui previsti - Percentuale del trasporto neonatale e Percentuale del trasporto prenatale - Accettazione da parte dell'utenza dei - Verifica dell'accettazione - Percentuale di accettazione trasferimenti - Attivazione del Servizio di Trasporto - Valutazione dell'adeguatezza e

- Servizio di Trasporto Assistito materno (S.T.A.M.) Assistito materno dell'efficienza: n. delle strutture che hanno attivato il servizio di trasporto assistito materno; gravidanze a rischio trasferite sul totale delle gravidanze a rischio - Percentuale di S.T.A.M. attivati sui previsti - Servizio di Trasporto d'emergenza neonatale (S.T.E.N.) - Attivazione del Servizio di Trasporto d'emergenza neonatale (S.T.E.N.) ------------------------ - Valutazione dell'adeguatezza e dell'efficienza: n. delle strutture che hanno attivato lo S.T.E.N. - Percentuale neonati trasferiti - Percentuale di S.T.E.R.N. attivati sui previsti. 3. Pediatria di libera scelta. L'Italia per prima ha ritenuto di affidare la tutela della salute dei bambini, per quanto attiene alle cure primarie ed a parte della prevenzione allo specialista pediatra, il Pediatra di Libera Scelta (P.L.S.), attraverso un'organizzazione a rete diffusa su tutto il territorio nazionale. Il P.L.S. ha rappresentato un progresso nella qualità e nella uniformità delle cure al bambino, tuttavia esistono ancora punti critici nell'attività di promozione e tutela della salute nell'età pediatrica quali ad esempio: - L'età di interesse e di competenza del P.L.S. non comprende l'intera età adolescenziale; - L'azione preventiva e curativa (I livello) del P.L.S. non è adeguatamente coordinata e integrata con le attività di altri servizi (guardia medica, consultorio familiare, pronto soccorso ospedaliero, medicina dello sport, ecc.); - La copertura oraria offerta dal P.L.S. non garantisce, con l'attuale organizzazione, tutti i bisogni di cura primari, distribuiti nell'arco delle 24 ore. Molte componenti dell'attività di prevenzione (vaccinazioni, prevenzione degli infortuni, ecc.) devono prevedere un ruolo valutabile di promozione dell'accettazione (attività di educazione sanitaria) ed, eventualmente, un ruolo di erogazione, assicurando la qualità delle prestazioni. Nel caso della profilassi vaccinale, in base a richieste ed accordi regionali ed aziendali, il P.L.S. può eseguire vaccinazioni per i suoi assistiti, nell'àmbito dei programmi del Distretto, in modo tale che sia garantita globalmente l'assistenza specifica, l'offerta attiva delle vaccinazioni, la segnalazione degli eventi avversi, la corretta conservazione dei vaccini, la registrazione e la notifica delle vaccinazioni, la ricerca dei «difficili da raggiungere», il recupero dei ritardi vaccinali. Inoltre, la difficoltà di raccordo tra la P.L.S. e la rete di P.C., tuttora carente, fa si che, sino ad oggi, le fasce più deboli e con bisogni molto differenziati (bambini disabili o con gravi bisogni di natura sociale o socio assistenziale o con problemi scolastici, bambini immigrati, ecc.) possono sfuggire ad una appropriata assistenza. Ne consegue che la grande frammentazione delle cure e la incoerente allocazione delle risorse destinate all'infanzia pesano in modo preoccupante sull'area delle cure primarie e che nella

programmazione regionale e locale non è stato dato, sino ad oggi, sufficiente spazio e interesse alla valutazione obiettiva degli interventi territoriali a favore dell'infanzia. CURE PRIMARIE ALL'INFANZIA E RUOLO DEL P.L.S. Al P.L.S. compete un ruolo importante nell'assistenza primaria con compiti di prevenzione, educazione sanitaria, diagnosi e cura a livello dell'individuo-bambino. Essa è rappresentata da circa 7.500 pediatri convenzionati con il S.S.N., che riscuotono accettazione e consensi da parte delle famiglie. Purtroppo in alcune aree, o per carenza numerica, o per situazioni orogeografiche penalizzanti, i P.L.S. non riescono a coprire il fabbisogno della popolazione pediatrica; in altri ambiti territoriali sono scarsamente integrati con gli altri servizi territoriali, in primis il Distretto ed i C.F., e con quelli ospedalieri. È quindi necessario prevedere strumenti adeguati. Ogni tentativo di integrazione del P.L.S. col Distretto o con l'ambulatorio - D.H. Ospedaliero deve essere quindi incoraggiato al fine di raggiungere percorsi assistenziali efficaci. Il tentativo di rispondere in modo più soddisfacente nell'àmbito delle 24 ore attraverso l'associazione poliambulatoriale è un'iniziativa avviata da alcuni P.L.S. in poche aree e va perseguita, poiché tale associazione in gruppo dei P.L.S. può offrire queste possibilità: - Allargare la casistica di riferimento e quindi l'esperienza clinica; - Incrementare la possibilità di collegamenti con consulenze di II livello per avere un maggior ruolo nella gestione delle cure primarie; - Aumentare la possibilità dell'utilizzo dei test diagnostici di base; - Utilizzare appieno il personale infermieristico dell'ambulatorio associato; - Sperimentare modelli di continuità assistenziale nella fascia oraria coperta dalla Guardia Medica; - Essere disponibile a svolgere funzioni di tutore nella formazione dello specializzando (ruolo riconosciuto dalla Scuola di Specializzazione) Il P.L.S., in stretto collegamento col P.C. e con i servizi facenti capo al Distretto, sia sanitari, sia sociali sia socio-assistenziali, deve contribuire ad evidenziare il disagio del minorenne nell'apprendimento, nei rapporti con la famiglia e con i coetanei, nella maturazione sessuale, ecc., collaborando attivamente anche con le strutture scolastiche. ASPETTI PROPOSITIVI - Va favorita ogni iniziativa che consenta al P.L.S. di integrarsi a pieno titolo e con piena responsabilità e dignità professionale nell'àmbito dell'organizzazione dipartimentale dell'area materno - infantile, pur nel rispetto di norme contrattuali che ne salvaguardino la piena autonomia. - L'organizzazione dipartimentale dell'area materno - infantile riconosce nel Distretto l'epicentro operativo - direzionale dell'assistenza territoriale, in particolare per quanto attiene alle cure primarie. Il P.L.S., essendo il principale responsabile del soddisfacimento dei bisogni di una ben definita fascia d'età interagisce funzionalmente con l'organizzazione dipartimentale, nel rispetto delle norme contrattuali e congiuntamente nel rispetto di linee guida, di progetti obiettivo, ecc. condivisi e attuati ai vari altri livelli territoriali. - L'integrazione delle risorse di personale e delle competenze aggregate nell'organizzazione dipartimentale dell'area materno - infantile riconosce al P.L.S. un ruolo essenziale e non eludibile della nuova politica gestionale derivante dal P.S.N. 1998-2000, mirante, tra l'altro, alla prevenzione attiva, alla sensibilità verso le fasce

deboli della popolazione e alla garanzia dei livelli uniformi di assistenza su tutto il territorio. - Il P.L.S. deve perciò essere messo nelle condizioni di provvedere alle cure primarie, considerando i bisogni del bambino nel contesto di quelli della famiglia e non soltanto attraverso interventi di diagnosi e cura meramente sanitari. - Maggiore attenzione deve essere riservata ai trattamenti domiciliari dei bambini ragazzi con malattie croniche, i quali, seppure affidati al P.L.S. spesso non trovano risposte assistenziali integrate ed idonei percorsi di assistenza. - Devono essere attivati meccanismi che, nel rispetto delle regole e della partecipazione attiva all'organizzazione dipartimentale dell'area materno-infantile favoriscano l'associazione in gruppo dei P.L.S. e la più completa partecipazione alla soluzione dei bisogni dell'infanzia nell'area dell'urgenza e in quella della diagnostica ambulatoriale e di D.H.. - Per quanto riguarda il rapporto con l'ospedale esistono esperienze di collaborazione con il D.H. e gli ambulatori pediatrici specialistici, che devono essere in ogni modo incentivate. Analogamente i bambini con necessità di ricovero devono essere oggetto di contatti continui tra il P.L.S. curante ed i pediatri dell'u.o. pediatrica, in particolare nella fase di accoglimento ed al momento della dimissione. - La diffusione della pratica della dimissione precoce della puerpera dai servizi ostetrici (entro 48-72 ore dal parto) comporta per il P.L.S. la presa in carico molto precoce del nuovo nato e della famiglia e richiede un miglior collegamento con l'ospedale ed i servizi territoriali. Infatti la popolazione dei neonati precocemente dimessi, e che non necessitano di follow-up ospedaliero, deve afferire all'area delle cure primarie di competenza del P.L.S.: piccoli problemi di avvio dell'allattamento al seno (o, più in generale, dell'alimentazione); controllo dell'ittero fisiologico; monitoraggio della corretta effettuazione degli screening neonatali; aiuto alla coppia e alla famiglia nell'accudimento del nuovo nato e nell'inserimento nel nucleo allargato, soprattutto in presenza di altri figli o parenti conviventi, ecc. È compito dell'organizzazione dipartimentale dell'area materno-infantile, nelle more della presa in carico da parte del P.L.S., assicurare la continuità assistenziale nell'àmbito delle attività ambulatoriali pediatriche. Nella fase successiva, il P.L.S., per eventuali bisogni insorti dopo la dimissione (ittero patologico, necessita di accertamenti di laboratorio, di diagnostica per immagini, ecc.) deve interagire con le strutture ospedaliere di riferimento concordando il programma diagnostico - terapeutico a seconda del livello di prestazioni richieste: ambulatoriali specialistiche, D.H., regime di degenza. Inoltre il P.L.S. interagisce con il C.F. con particolare riferimento in quei casi in cui i genitori ad esso abbiano fatto riferimento in passato, oppure in cui si richiedano supporti di natura sociale, socio-assistenziale, ecc. in merito allo stato di salute del piccolo paziente (malformazioni, disabilità, malattie metaboliche o endocrine, malattie ad andamento cronico, ecc.) o alle condizioni culturali, socio-economiche, etniche o ambientali delle famiglie. Infine collabora all'opera di educazione sanitaria e di informazione sui comportamenti dei bambini e sui loro bisogni più elementari, seguendo programmi concordati con il C.F. ed il Distretto, effettuando altresì i primi bilanci di salute a conferma dello stato di normalità del nuovo nato e per evidenziare qualsiasi sospetto di patologia, compreso i disturbi della vista, dell'udito e della salute dentale, che possa richiedere accertamenti periodici, anche ai fini delle esigenze dei programmi di terapia della riabilitazione.

È fatto carico alle Regioni prevedere, nell'àmbito della programmazione, all'interno delle strutture del Distretto, azioni specifiche in merito alla prevenzione primaria quale ad esempio quella dentaria ( supplementazione con fluoro, programmi di igiene orale, ecc.) e secondaria (cura della carie, ecc.). La presa in carico precoce del bambino comporta la possibilità ed opportunità per il P.L.S. di un suo libero accesso alle strutture ospedaliere, al fine di anticipare la conoscenza del piccolo paziente e di stabilire canali preferenziali di accesso ai servizi specialistici e/o di laboratorio, in caso insorgano a domicilio nuovi problemi imprevisti e/o imprevedibili nell'immediato post-partum o nelle settimane che seguono. Il P.L.S. deve inoltre essere attivamente coinvolto nei programmi di promozione dell'allattamento al seno, rassicurando e sostenendo la madre nelle difficoltà che incontra. Ovviamente la presa in carico del nuovo assistito è ancora più delicata nei casi in cui il neonato abbia presentato patologie non del tutto risolte al momento della dimissione (anche se questa avviene a distanza di molti giorni dalla nascita) o sia portatore di esiti non soddisfacenti per i quali venga indicata una strategia assistenziale e di follow-up da parte della struttura che ha trattato la patologia neonatale o la patologia ad andamento cronicodisabilitante.

PEDIATRIA DI LIBERA SCELTA OBIETTIVI AZIONI INDICATORI - Anticipazione dell'età di accesso dei neonati-bambini agli elenchi dei P.L.S. e garantire ad ogni bambinoadolescente il suo pediatra e la continuità terapeutica - Estendere l'area pediatrica all'adolescenza secondo indicazioni regionali ed aumentare l'offerta di P.L.S. con progetti regionali sino alla copertura - Percentuale di neonati, bambini, soggetti di età preadolescenziale e adolescenziale affidati al P.L.S. - Privilegiare la prevenzione alla cura - Favorire l'attività di prevenzione effettuando educazione alla salute; - Tasso di copertura vaccinale dei suoi assistiti - Erogare le misure di prevenzione, in - Percentuale di bambini vaccinati a riferimento a: tempo secondo la schedula vaccinale - Programmi di immunizzazione - Incidenza ricorso al P.S. per infortuni- - infortuni-incidenti incidenti soprattutto nei primi due anni di - rischio sociale vita - alimentazione - % di bambini in sovrappeso. Incidenza - abusi-maltrattamenti casi abuso segnalati e percentuale accertati - Qualificare il momento diagnostico - Informatizzazione - Percentuale di P.L.S. informatizzati e terapeutico delle cure primarie - Collegamenti rapidi con strutture di predisposti al collegamento telematico dell'infanzia diagnosi di II livello - Numero di iniziative di formazione sulle - Formazione ed aggiornamento teorico tematiche specifiche pratico - Facilitare l'accesso degli utenti agli ambulatori dei P.L.S. - Definire standard orari settimanali minimi - Numero dei P.L.S. che rispettano gli standard - Ridurre la sovrapposizione degli interventi sul singolo paziente e migliorarne l'appropiatezza - Ridurre la domanda impropria - Integrazione funzionale del P.L.S. attraverso il Distretto, nell'organizzazione dipartimentale dell'area materno-infantile - Collaborazione con la Pediatria Ospedaliera e la P.C. - Aggiornamento permanente del P.L.S. sul I livello di cure, in collaborazione con il C.F. e l'ospedale di territorio - Percentuale di A.S.L. che hanno attivati programmi specifici di integrazione funzionale - N. programmi specifici di aggiornamento permanente attivate - Percentuale di invio, da parte del P.L.S., inappropriati al P.S. - Percentuale di accesso diretto al P.S.

- Ridurre il ricorso all'ospedale per cure di I livello - Favorire l'associazione poliambulatoriale al fine di ridurre il ricorso all'ospedale per cure di I livello - Percentuale di ricorso al pronto soccorso pediatrico a livello ospedaliero inappropriato - Collaborazione del P.L.S. con il Distretto (nell'àmbito dell'organizzazione dipartimentale dell'area materno-infantile) e col il D.P., anche al fine dell'osservazione epidemiologica e del monitoraggio delle situazioni di rischio - Contributo quantificato del P.L.S. ai rilievi epidemiologici regionali ed ai registri - Percentuali di bilanci di salute effettuati in rapporto al numero degli assistiti - Percentuale di P.L.S. che aderiscono ai programmi di rilievi epidemiologici - Percentuale di casi segnalati attinenti al rilievo epidemiologico ed ai registri segnalati dal P.L.S. sul totale dei casi seguiti dal P.L.S. 4. Promozione della salute in età evolutiva nella comunità. È rappresentata nel territorio da quell'insieme di attività finalizzate alla valutazione, promozione e monitoraggio della salute in età evolutiva a livello di comunità (educative e residenziali). Questa funzione si articola attraverso il collegamento tra i vari servizi, sanitari (funzioni di raccordo tra P.L.S. ed il Distretto e di collegamento con il D.P.) e sociali; sviluppando gli interventi a favore dell'età evolutiva messi in atto dall'azienda U.S.L., sia a livello del singolo, sia a livello di comunità sia all'interno dell'organizzazione dipartimentale. Gli interventi sulla comunità trovano la sede operativa ideale a livello distrettuale o sovradistrettuale a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche della rete dei servizi di una data area geografica e dei protocolli operativi concordati col D.P. Le funzioni della pediatria di comunità si esplicano attraverso la realizzazione dei percorsi assistenziali e socio-sanitari dedicati ai minori con particolari problemi che per gravità, complessità, durata, ecc., non possono essere lasciati del tutto alla responsabilità del P.L.S., in particolare per i bisogni a carattere socio-assistenziale. I bambini con disabilità, con necessità di terapie riabilitanti, con malattie croniche invalidanti, con problemi scolastici, ad alto rischio sociale, ecc., oppure gli adolescenti con problemi di disagio e di comportamento deviante sono oggetto di interesse della pediatria di comunità. La pediatria di comunità svolge, inoltre, compiti di identificazione e di risoluzione dei problemi di disabilità-handicap-invalidità nelle scuole di ogni ordine e grado, nei centri residenziali, fra gruppi etnici di nuovo insediamento, in gruppi sportivi e associazioni di volontariato a favore dell'infanzia, ecc. Il suo àmbito di intervento nel breve - medio termine è molto variegato da sede a sede, a seconda della preesistenza o meno di servizi affermatisi nel tempo o di recente attivazione, quali la medicina scolastica, i centri di pediatria preventiva e sociale, i centri di accoglienza, i consultori familiari, i centri di medicina dello sport, i centri «giovani», ecc. Opera in stretta collaborazione con l'area della prevenzione delle malattie infettive e non infettive, afferente al Servizio di igiene e sanità pubblica del D.P., ed in particolare, a livello scolastico, collabora per la raccolta delle evidenze epidemiologiche emerse, per l'offerta attiva di interventi a favore delle popolazioni a rischio per malattie sociali e per l'aiuto ai minori con manifestazioni di disagio psichico e sociale dovuto a problematiche scolastiche, familiari e relazionali, anche in riferimento ad abusi e maltrattamenti. Inoltre collabora per la organizzazione ed attuazione di eventuali programmi di accertamenti di massa.