SINTESI DURATA GIUDIZIO



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SINTESI Cause Apicella c/ Italia (ricorso n. 64890/01), Cocchiarella c/ Italia (ricorso n. 64886/01), Ernestina Zullo c/ Italia (ricorso n. 64897/01), Giuseppe Mostacciuolo c/ Italia (n. 1) (ricorso n. 64705/01), Giuseppe Mostacciuolo c/ Italia (n. 2) (ricorso n. 65102/01), Giuseppina e Orestina Procaccini c/ Italia (ricorso n. 65075/01), Musci c/ Italia (ricorso n. 64699/01), Riccardi Pizzati c/ Italia (ricorso n. 62361/00): Grande Chambre, Sentenze del 29 marzo 2006. (constatano la violazione dell articolo 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo e invitano l Italia ad adottare le misure necessarie affinché le decisioni giudiziarie di indennizzo per eccessiva durata dei processi siano non solo conformi alla giurisprudenza della Corte, ma anche eseguite nel termine di sei mesi dal deposito in cancelleria.) Fatto. Ricorsi proposti per la violazione dell art. 6, comma 1, CEDU (diritto ad un equo processo) sotto il profilo della ragionevole durata di procedimenti svolti nel corso di un rilevante arco di tempo, come può desumersi dalla seguente tabella: RICORRENTE GRADI DI GIUDIZIO DURATA Apicella c. Italia due oltre12 anni Cocchiarella c. Italia due otto anni e sei mesi Ernestina Zullo c. Italia due oltre 9 anni e tre mesi Italia (n o 1) uno 15 anni e 6 mesi Italia (n o 2) uno 14 anni e 8 mesi Giuseppina e Orestina Procaccini c. Italia uno 13 anni Musci c. Italia due oltre 18 anni Riccardi Pizzati c. Italia uno oltre 26 anni e 6 mesi I ricorrenti avevano presentato ricorso avanti alle competenti Corti d appello nazionali, ai sensi della legge n. 89 del 2001, cosiddetta legge Pinto, per ottenere il risarcimento del danno da essi allegato in conseguenza dell eccessiva durata dei processi nei quali erano coinvolti. Accertata la violazione del diritto alla durata ragionevole del procedimento, le suddette Corti d appello avevano concesso risarcimenti di entità variabile tra 1.000,00 e 5.000,00. Valutato insufficiente il risarcimento ottenuto, i ricorrenti avevano chiesto alla Corte europea di riprendere l esame dei propri ricorsi, già presentati avanti tale Organo, comunicando che non intendevano ricorrere in Cassazione, trattandosi di mezzo di impugnazione riservato alle sole questioni di diritto. La Camera della Corte europea, che aveva trattato le singole cause, aveva ritenuto che il risarcimento concesso in sede nazionale non costituisse una riparazione appropriata e sufficiente. Pertanto, in applicazione dell art. 41 CEDU, aveva disposto, con sentenze del 10 novembre 2004, il pagamento da parte dello Stato italiano delle seguenti somme: RICORRENTI DANNO MORALE SPESE GIUDIZIARIE

Apicella c. Italia 7.300 1.500 Cocchiarella c. Italia 4.600 2.000 Ernestina Zullo c. Italia 5.164,57 1.500 Italia (n o 1) Italia (n o 2) Giuseppina e Orestina Procaccini c. Italia 10.900 200 13.400 1.300 5.875 750 Musci c. Italia 8.400 2.000 Riccardi Pizzati c. Italia 20.200 - Successivamente, ai sensi dell art. 43 CEDU, il Governo italiano ha chiesto il rinvio delle cause in oggetto alla Grande Camera che si è pronunciata il 29 marzo 2006. Decisione. Dopo aver ricordato le norme contenute nella legge c.d. Pinto nonché alcuni estratti di importanti sentenze della Cassazione concernenti l interpretazione di detta legge (su cui v. infra), la Grande Camera ha evidenziato come l Italia sia da sempre sotto osservazione per ciò che attiene alla questione dell eccessiva durata dei processi. In proposito, i giudici europei hanno sottolineato che: a) i rapporti annuali sull eccessiva durata dei processi concernenti l Italia hanno in ogni occasione stigmatizzato il fatto che il rimedio c.d. Pinto costituisce una misura puramente indennitaria, ma non provvede affatto a rimuovere il problema di fondo della lentezza dei procedimenti giudiziari ed anzi rischia di intasare ulteriormente gli uffici giudiziari e segnatamente le Corti d appello; b) l interim resolution n. 114 del 2005, adottata dal Comitato dei Ministri in relazione a 2183 casi di denuncia dell Italia per l eccessiva durata dei processi, ha rimarcato ulteriormente il fatto che la legge Pinto non introduce alcuna misura acceleratoria dei procedimenti e non garantisce neppure un efficace ristoro alle vittime delle violazioni. Essa ha inoltre espresso l avviso che l Italia sia ben lontana dal risolvere il problema in esame nel prossimo futuro e che ciò determini evidenti rischi di violazione continua del principio di legalità; c) la Commissione europea per l efficienza della giustizia (CEPEJ) ha più volte segnalato che i meccanismi puramente indennitari sono troppo deboli e non stimolano adeguatamente gli Stati a risolvere in modo strutturale i problemi dei ritardi dei processi. La Grande Camera ha inoltre definitivamente rigettato l eccezione sollevata dal Governo italiano circa il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne; eccezione presentata per il fatto che nessuna delle parti in causa aveva depositato ricorso in Cassazione avverso le decisioni delle Corti d appello adite ai sensi della legge Pinto. Al riguardo, i giudici europei confermano l oramai consolidato orientamento per cui l impugnazione presso la Corte di Cassazione delle sentenze delle Corti d appello concernenti l eccessiva durata dei processi non ha costituito, almeno fino alla data del 26 luglio 2006, ricorso effettivo da esperirsi necessariamente prima dell attivazione della giurisdizione europea. Ciò nonostante che, a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 26 gennaio 2004, la Corte di Cassazione abbia statuito che la giurisprudenza della Corte europea debba ritenersi vincolante per i giudici italiani quanto alla determinazione dei danni non patrimoniali sofferti a seguito dell eccessiva durata dei processi e, dunque, che l irragionevole discostarsi dai parametri fissati dai giudici di Strasburgo costituisca violazione di legge censurabile in Cassazione. Fino all emanazione di tali sentenze, invece, la Suprema Corte italiana di legittimità aveva sempre ritenuto di non poter contestare la quantificazione degli indennizzi liquidati dalle Corti d appello, trattandosi di questioni attinenti al fatto e non alla legittimità.

La Grande Camera ha, inoltre, rigettato l eccezione sollevata dal Governo italiano, secondo la quale i ricorrenti non potrebbero più essere qualificati vittime di violazioni della Convenzione, in considerazione del fatto che: a) essi hanno già percepito un indennizzo dalle autorità italiane grazie all applicazione della legge Pinto; b) in alcuni casi, i ricorsi sarebbero stati portati avanti in modo pretestuoso solo per approfittare dell intasamento degli uffici giudiziari e per poi pretendere il risarcimento. Al riguardo i giudici europei, dopo aver sottolineato che i giudizi in esame si inseriscono in un contesto di reiterazione continua da parte dell Italia della violazione del principio della ragionevole durata del processo, hanno affermato che il versamento di un indennità a seguito del riconoscimento di violazioni della Convenzione da parte degli Stati non è in sé sufficiente a far venir meno in capo al ricorrente lo status di vittima previsto dall art. 34 CEDU. È necessario, infatti, che tale misura riparatoria sia dotata di certe caratteristiche. Tale indennità, precisa dunque la Corte, deve essere innanzitutto pagata tempestivamente da parte dello Stato inadempiente e, cioè, al massimo, entro sei mesi dal momento in cui è stata definitivamente accertata la violazione. Nelle fattispecie esaminate il pagamento era invece concretamente intervenuto anche anni dopo l accertamento del diritto da parte delle Corti d appello, poiché i ricorrenti avevano dovuto avviare contro lo Stato procedure esecutive per il rimborso. Ad avviso della Corte, tali inadempienze da parte dello Stato sono inaccettabili sia perché la legge Pinto prevede che la decisione della Corte d appello sia immediatamente esecutiva, sia perché in tal modo non si fa altro che ritardare ancora di più la conclusione effettiva del processo (data la prosecuzione in sede esecutiva). D altra parte, la Corte stessa ha in più occasioni evidenziato che l eventuale mancanza di fondi non possa costituire per lo Stato una giustificazione legittima per non adempiere e che in ogni caso lo Stato italiano deve predisporre degli stanziamenti adeguati per rendere concretamente efficace il (già debole) rimedio Pinto. La stessa indennità, prosegue la Grande Camera, non deve essere erosa dal pagamento di tasse di giudizio eccessivamente alte anche in considerazione del fatto che ad essa non si accompagnano misure acceleratorie a favore del ricorrente. Nei casi di specie, invece, la Corte ha ritenuto che le (già inadeguate) somme liquidate a titolo di ristoro per l eccessiva durata dei procedimenti siano state eccessivamente ridotte dal pagamento di tasse varie pagate prima e dopo i giudizi. L indennità, infine, deve essere quantitativamente adeguata e deve comprendere tanto i danni materiali quanto quelli non patrimoniali. Nelle fattispecie, la Corte ha ritento irragionevolmente ed immotivatamente inadeguate le somme versate ai ricorrenti, poiché esse corrispondono al massimo al 15 % di quanto mediamente riconosciuto dalle Corti italiane in casi similari. Alla luce di quanto osservato, la Grande Camera ha confermato quanto già ritenuto dalla Camera che aveva emanato le sentenze del 10 novembre 2004, circa il fatto che, nei casi concretamente esaminati, sia stato superato (talvolta abbondantemente) il termine di una durata ragionevole del processo (vedi tabella supra). La Corte ha inoltre ribadito ulteriormente che, ancorché in Italia sia stato introdotto un rimedio indennitario (c.d. legge Pinto), nulla è in realtà cambiato dal punto di vista strutturale e che, dunque, la continua violazione dell art. 6, comma 1, CEDU costituisce una pratica oramai incompatibile con la Convenzione. Da tale situazione deriva la necessità che lo Stato interessato adotti le misure generali che ritenga adeguate per porre fine alle continue violazioni accertate giudizialmente. I giudici europei hanno inoltre evidenziato la necessità che, in base al principio di sussidiarietà, i magistrati nazionali applichino direttamente la giurisprudenza della Corte europea e che venga data maggiore diffusione e pubblicità alle sentenze della Corte europea e, in generale, al diritto CEDU. Conclusivamente, in applicazione dell art. 41 CEDU, la Grande Camera, accertata la violazione dell art. 6, comma 1, CEDU, ha disposto a favore dei ricorrenti il pagamento delle somme indicate nella tabella che segue.

RICORRENTI DANNO MORALE SPESE GIUDIZIARIE Apicella c. Italia 7.700 4.500 Cocchiarella c. Italia 6.300,00 5.000,00 Ernestina Zullo c. Italia 5.000,00 4.500,00 Italia (n o 1) Italia (n o 2) Giuseppina e Orestina Procaccini c. Italia 6.300,00 5.000,00 9.300,00 4.300,00 5.700,00 2.250,00 Musci c. Italia 4.100,00 5.000,00 Riccardi Pizzati c. Italia 12.800,00 3.000,00