SVALUTAZIONE MONETARIA E RISARCIMENTO DEL DANNO DA RITARDO



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SVALUTAZIONE MONETARIA E RISARCIMENTO DEL DANNO DA RITARDO NELL ADEMPIMENTO DI OBBLIGAZIONI PECUNIARIE Sommario: 1. L evoluzione giurisprudenziale 2. Il danno risarcibile in caso di ritardo nell adempimento di obbligazioni pecuniarie 3. La svalutazione monetaria e il danno risarcibile 4. La prova. 1. L EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE Con la sentenza n. 19400 del 5 ottobre 2005 la Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi in tema di ritardo nell adempimento delle obbligazioni pecuniarie e del conseguente diritto al risarcimento del danno connesso alla svalutazione monetaria. Con tale pronunciamento la Corte ribadisce un recente filone interpretativo 1 che, pur allineandosi sostanzialmente all'indirizzo prevalente in materia, ne specifica taluni aspetti rafforzando l onere probatorio a carico del creditore di obbligazioni pecuniarie per il risarcimento, in applicazione dell art. 1224, comma 2, c.c., oltre degli interessi, anche del maggior danno che sia derivato dall'impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora. In ordine alla travagliata questione della prova del maggior danno da svalutazione monetaria, nel corso del tempo, si è riscontrata una profonda evoluzione giurisprudenziale. L orientamento tradizionale richiedeva una puntuale e rigorosa applicazione del principio generale dell onere probatorio a carico del creditore, essendo questi tenuto a fornire la specifica prova in ordine ad un puntuale impiego del danaro che, in caso di tempestivo adempimento dell obbligazione, ne avrebbe salvaguardato il potere d acquisto 2. Tale orientamento rigoroso è stato in seguito abbandonato (anche dietro le critiche mosse dalla dottrina ed in coincidenza con la crisi degli anni '70 caratterizzati da una forte spinta inflazionistica e da una notevole svalutazione monetaria) e sostituito da un filone giurisprudenziale di stampo permissivo che ha drasticamente affermato il principio secondo cui la perdita del valore d acquisto della moneta realizza un danno concreto e reale del quale il creditore non deve fornire alcuna prova, rilevando la svalutazione monetaria quale fatto notorio la cui entità può desumersi da appositi indici ufficiali di rilevazione 3. La tesi oggi prevalente, risultante quale soluzione intermedia tra i suddetti due estremi orientamenti giurisprudenziali 4, è quella introdotta dalle fondamentali sentenze Cassazione Sezioni Unite, 4 luglio 1979, n. 3776 5, Cassazione Sezioni Unite, 25 ottobre 1979, n. 5572 6, e confermata con alcuni correttivi da Cassazione Sezioni Unite, 5 aprile 1986, n. 2368 7. 1 Vedi Cass. n. 2878/1999, Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2003, n. 3158, Cass. civ., sez. I, 1 aprile 2003, n. 4919 e Cass. Civ. Sez. II, 28 luglio 2004, n. 14193. 2 si veda: Cass., 11 gennaio 1951, n. 47, in Foro it., 1951, I, 163; Cass., 6 ottobre 1962, n. 2853, in Rep.Foro it., voce "Danni per inadempimento di contratto", n.12; Cass., 17 febbario 1961, n. 343, in Giust.civ., 1961, I, 808; Cass., 12 dicembre 1978, n. 5895, in Riv.not., 1979, 568; Cass., 5 agosto 1969, n. 2950, in Rep.Foro it., 1969, voce "Danni per inadempimento di contratto", n. 40; Cass., 13 luglio 1951, n. 1942, in Foro it., 1951, I, 1329; Cass., 14 ottobre 1960, n. 2744, in Rep.Foro it., 1960, voce "Danni per inadempimento di contratto", n.8; Cass., 19 settembre 1963, n. 2565, in Giust.civ., 1964, I, 135; Cass., 14 ottobre 1971, n.2889, in Rep. Foro it., 1971, voce "Danni civili", n. 20-21; Cass., 13 novembre 1970, n. 2381, in Giust.civ., 1971, I, 258. 3 si veda: Cass., 11 gennaio 1988, n. 24, in Rep Foro it., 1988, voce "Danni civili", n. 220; Cass., 21 maggio 1988, n. 3556, ibid., voce cit., n. 210; Cass., 5 giugno 1985, n. 3356, in Foro it., 1985, I, 2239; Cass., 27 gennaio 1984, n. 651, in Arch.civ., 1984, 868; Cass., 7 gennaio 1983, n. 123, in Giust.civ., 1983, I, 766; Cass., 30 novembre 1978, n. 5670, in Giur.it., 1979, I, 1, 972. 4 Vedi, infra, par. 3 e 4. 5 in Giur.it., 1979, I, 1, 1410, in Foro it., 1979, I, 1168. 6 in Giur.it., 1980, I, 1, 452. 7 in Giur.it., 1986, I, 1, 1160, in Foro it., 1986, I, 1265. 1

La massima che si è venuta così consolidando, mentre da un lato esclude che la svalutazione monetaria costituisca un danno ex se risarcibile in via automatica, potendo invece rilevare solo quale causa efficiente di effetti pregiudizievoli che il singolo creditore ha l'onere di allegare, sul piano probatorio ammette l utilizzo da parte del giudice di presunzioni relative fondate su condizioni e qualità personali dei creditori atti ad evidenziarne le propensioni economiche e le coerenti modalità di impiego del denaro, sempre che questi forniscano concreti elementi che permettano di individuare le suddette situazioni e non si limitino a dedurre il maggior danno 8. Con la sentenza in epigrafe, la Corte, ricalcando l orientamento citato ed accentuandone a mio avviso- il rigore probatorio, afferma che l inflazione non consente un automatico adeguamento dell ammontare del debito, né costituisce di per sé danno risarcibile, ma può implicare ex art. 1224, comma 2, c.c., il riconoscimento, in favore del creditore, oltre che degli interessi, del maggior danno che sia derivato dall'impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, a condizione che, e nei limiti in cui, il creditore deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o di ridurre gli effetti economici depauperativi dell'inflazione a carico di tutti i possessori di denaro. Tale prova può essere anche presuntiva, ma dev'essere correlata a criteri personalizzati, cioè ad una classificazione dei creditori in categorie economiche, come gli imprenditori, i modesti consumatori e i creditori occasionali, e deve essere idonea a facilitare la dimostrazione delle maggiori utilità che nei singoli casi la somma non pagata avrebbe potuto procurare al creditore 9. 2. IL DANNO RISARCIBILE IN CASO DI RITARDO NELL ADEMPIMENTO DI OBBLIGAZIONI PECUNIARIE. Il problema dell individuazione del soggetto (creditore o debitore) su cui grava la diminuzione di valore della prestazione pecuniaria, non si presenta allo stesso modo per tutte le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro. In via generale, vigente nel nostro ordinamento il principio nominalistico fissato dall art. 1277 c.c., nelle obbligazioni pecuniarie costituenti debiti di valuta 10 il fenomeno della svalutazione monetaria non ha alcun rilievo, almeno nella fase fisiologica del rapporto obbligatorio, e quindi nel tempo intercorrente tra il sorgere del debito e la scadenza dello stesso. Ben altra, invece, risulta l incidenza - già in questa fase - della svalutazione monetaria sui debiti di valore nei quali la moneta rileva sin dalla nascita dell obbligazione per il suo intrinseco potere di acquisto. L irrilevanza nel primo caso (debiti di valuta) e la rilevanza nel secondo caso (debiti di valore) della svalutazione monetaria, riflettendo scelte ben precise dell ordinamento riguardo all individuazione del soggetto su cui addossare la perdita di valore della somma dovuta, finiscono per incidere anche nella fase patologica del rapporto, successiva alla scadenza dell obbligazione con riguardo agli effetti della svalutazione verificatisi durante il ritardo, consistenti nella diminuzione di valore della somma non consegnata esattamente alla scadenza dal debitore. In questa seconda fase, mentre per i debiti di valore in caso di ritardo continua pacificamente ad operare il meccanismo valoristico sino all effettivo pagamento, diversamente, per i debiti di valuta, si pongono delicati problemi circa la configurabilità giuridica del danno da svalutazione monetaria verificatasi successivamente alla scadenza. 8 In tal senso si veda anche: Cass., 28 marzo 1990, n. 2531, in Giur.it., 1991, I, 1, 1078; Cass., 27 novembre 1989, n. 5138, ivi, 1990, I, 1, 762; Cass., 29 novembre 1988, n. 6430, in Rep.Foro it., 1988, voce "Danni civili", n. 248; Cass., 26 ottobre 1988, n. 5809, ibid., voce cit., n. 216; Cass., 4 novembre 1987, n. 8087, ivi, 1987, voce cit., n. 251; Cass., 11 febbraio 1987, n. 1492, ibid., voce cit., n. 248; Cass., 5 marzo 1987, n. 2312, ibid., voce cit., n. 246; Cass., 24 aprile 1987, n. 4011, ibid., voce cit., n. 230; Cass., 16 marzo 1987, n. 2690, ibid., voce cit., n. 240; Cass., 4 novembre 1987, n. 8087, in Giur.it., 1988, I, 1, 1172; Cass., 23 gennaio 1987, n. 633, in Rass.trib., 1987, II, 527, in Fisco, 1987, 3614; Cass., 26 febbraio 1986, n. 1212, in Foro pad., 1987, I, 221. 9 Sentenza in commento Corte di Cassazione, sez. trib., 5 ottobre 2005, n. 19400, punto 8.1.2. 10 Le obbligazioni di valuta sono quelle in cui la moneta oggetto dell obbligazione non viene in considerazione per il suo valore intrinseco, cioè per il suo potere di acquisto che è insito nella stessa, ma soltanto per il suo valore nominale. Tra i debiti di valuta rientrano pacificamente anche quelli relativi alla restituzione di somme indebitamente percepite che hanno il proprio fondamento nell art. 2033 c.c. 2

La ricostruzione generalmente seguita in dottrina e in giurisprudenza, sostiene che in forza del principio nominalistico, l obbligazione di valuta permane in vita anche durante il ritardo nell adempimento, estinguendosi solo con il pagamento della somma dovuta. La sussistenza dell obbligazione principale fino all effettivo pagamento tuttavia non esclude che, in caso di ritardo, nasca un obbligazione risarcitoria accessoria ex art. 1224 c.c. nella quale viene fatto rientrare, in modo diretto o indiretto, anche il danno conseguente alla svalutazione monetaria. Non sono mancate ipotesi ricostruttive di segno diverso. Secondo una prima tesi l obbligazione pecuniaria di valuta, a far tempo dalla scadenza senza che si sia provveduto al suo pagamento, si trasforma da obbligazione di valuta in obbligazione di valore. Secondo una variante della precedente tesi, si ritiene che, con l inadempimento, l obbligazione pecuniaria originaria si estingua e nasca in sua vece una nuova obbligazione risarcitoria avente per oggetto il danno quantificabile nella somma di denaro non consegnata rivalutata 11. Tuttavia, a contrasto delle suddette tesi, deve rilevarsi come la peculiare natura del denaro quale bene generico faccia sì che non sia configurabile un inadempimento ma solo un ritardo come unica forma di possibile inadempimento. L obbligazione pecuniaria originaria persiste, dunque fino al pagamento e conseguentemente non possono aversi la sua trasformazione o estinzione/sostituzione con un obbligazione risarcitoria avente ad oggetto la somma originaria. Le suddette tesi, vertenti sulla trasformazione oggettiva dell obbligazione pecuniaria da debito di valuta a debito di valore, non possono essere accolte per l ostacolo insuperabile dell art. 1224 c.c. la cui lettera e la cui ratio, ben lungi dal volere la sostanziale parificazione dei debiti di valuta con quelli di valore, finirebbe per accordare un favor creditoris normativamente non giustificato e concedendo alla svalutazione monetaria una rilevanza autonoma al di fuori del rimedio giuridico di cui alla norma suddetta. Del resto, a fugare ogni dubbio sulla piena accoglibilità della ricostruzione prevalente, basta osservare che nelle obbligazioni pecuniarie, in caso di ritardo del debitore, un obbligazione accessoria di risarcimento (quella degli interessi) sorge necessariamente in base al disposto dell art. 1224, comma 1, c.c. Quest ultimo infatti, a decorrere dalla costituzione in mora, in caso di colpevole inadempimento (ritardo), deve corrispondere al creditore, gli interessi legali moratori, anche se non dovuti precedentemente e senza bisogno che il creditore dimostri di avere sofferto un danno 12. Gli interessi moratori, in sostanza costituiscono la liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie, fondata su una presunzione legale tipica circa l an ed il quantum di danno conseguente al colpevole ritardo del debitore, suscettibile di essere vinta dal creditore attraverso la prova del maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. 3. LA SVALUTAZIONE MONETARIA E IL DANNO RISARCIBILE Si è osservato che nell ambito dell obbligazione principale pecuniaria e delle sue possibili vicende in caso di ritardo nell adempimento, la diminuzione del potere d acquisto della somma di denaro non può rilevare e che l unica possibilità di far fronte in qualche modo al fenomeno della svalutazione monetaria può derivare da un adeguata considerazione della portata dell obbligazione risarcitoria accessoria nell ambito della previsione normativa dell'art. 1224, c.c. L orientamento dominante della giurisprudenza, prevalso anche a seguito degli importanti pronunciamenti della Cassazione a sezioni unite di cui in premessa, nega la rilevanza autonoma sub specie damni della svalutazione monetaria; ed anzi, nei primi pronunciamenti (Cassazione Sezioni Unite, 4 luglio 1979, n. 3776) si afferma - adottando così una soluzione senz altro favorevole al debitore - che il rischio della diminuzione di valore della somma ricade interamente, e fino all effettivo pagamento, sul 11 In questo caso la svalutazione monetaria sarebbe solo un indice di riferimento per mantenere costante in termini monetari il valore dovuto dal debitore con l effetto di trattare allo stesso modo le obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro (bene generico) rispetto a quelle avente ad oggetto ogni altro bene specifico la cui mancata consegna per fatto del debitore obbliga quest ultimo a risarcirne il valore reale. 12 In ogni caso, il debitore, dal momento in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile (senza che occorra alcuna indagine sulla colpevolezza del ritardo, nè alcun atto di messa in mora da parte del creditore) deve corrispondere, gli interessi legali corrispettivi ex art. 1282 c.c. 3

creditore (salvo la prova del maggior danno da parte di quest ultimo). Il fondamento di questa tesi viene riposto su un dato di diritto positivo, l art. 1277 c.c., in forza del quale il principio nominalistico opererebbe fino al momento del pagamento (anche se tardivo). Né, d altro canto, il diminuito potere d acquisto della moneta può costituire ex se un obbligazione risarcitoria (di valore), avente ad oggetto la somma necessaria a reintegrare il patrimonio del creditore delle perdite subite e dei mancati guadagni. L affermazione secondo cui è risarcibile la svalutazione verificatasi durante la mora, richiedendo al creditore la prova di avere risentito un particolare pregiudizio per non avere potuto, a tempo opportuno, disporre della somma dovutagli 13, va intesa senz altro nel senso di far rilevare solo la potenziale efficienza dannosa della svalutazione consistente nella differenza della quantità di unità monetarie necessarie per un determinato impiego al tempo dell effettivo pagamento (liquidazione) rispetto al momento della scadenza, negando sostanzialmente che detta svalutazione, in quanto tale, possa essere risarcita. Nei casi in cui, di fronte ad un obbligazione di valuta, non c è coincidenza tra il momento della valutazione del danno (aestimatio) ed il momento della liquidazione dello stesso (taxatio), avendosi la prima al tempo della verificazione del danno (alla scadenza) e la seconda successivamente, la somma di denaro astrattamente ritenuta idonea al tempo dell accadimento del danno, a compensare il pregiudizio subito dal patrimonio del creditore, va rivalutata sino al momento della liquidazione, in modo da consentire realmente la riparazione di tale pregiudizio. Si fa, cioè, applicazione delle normali regole valide per le obbligazioni di risarcimento dei danni che, quali obbligazioni di valore, sono soggette, appunto, a tale meccanismo. Il deprezzamento della moneta viene, quindi, in rilievo, in sede di liquidazione, come criterio per determinare l entità monetaria idonea a risarcire il creditore dei mancati guadagni e delle perdite subite per non avere potuto disporre della somma dovutagli. Si tratta, allora, di una rilevanza della svalutazione completamente distinta da quella che tale fenomeno può presentare in quanto danno; il danno, infatti si presuppone già valutato e la svalutazione viene utilizzata al solo fine di adeguare la somma corrispondente al danno già prodottosi al potere d acquisto della moneta al tempo della liquidazione. In definitiva, la svalutazione monetaria non determina un danno ex se, in via automatica, dal momento che un danno per il creditore potrebbe anche non esserci; ciò che il creditore potrà pretendere è il danno in concreto subito anche in conseguenza dell intervenuto processo inflattivo. Quindi, il primo principio statuito dalla giurisprudenza dominante in materia è che al creditore non spetta la svalutazione monetaria come danno in se, ma il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c., che sia anche conseguenza della svalutazione. Altro principio è che il danno, in ogni caso, deve essere provato sia con riferimento all an, sia con riferimento al quantum: il creditore dovrà, di volta in volta, dimostrare di avere subito un danno, quale danno e in che misura. Notevole appare il salto compiuto dalla giurisprudenza rispetto al precedente orientamento, più permissivo, che ammetteva senz'altro il diritto alla rivalutazione automatica delle somme dovute, commisurata al tasso d'inflazione, salvo prova contraria o la prova del maggior danno. Mentre per quest ultimo orientamento la svalutazione configurava un danno ex se da provare con la semplice allegazione degli indici ufficiali di svalutazione, per l orientamento poi prevalso, la svalutazione rappresenta solo il fatto causativo dell eventuale danno il quale deve essere specificamente provato con riferimento sia all an, che al quantum 14. 13 Cass. Sez. Un., n. 3776/1979 in Giur.it., 1979, I, 1, 1413. 14 Si ritiene opportuno riportare integralmente la massima della sentenza Cass. Sez. Un., 5 aprile 1986, n. 2368, la quale ha apportato alcune opportune precisazioni all indirizzo in parola: con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell'ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare, in applicazione dell'art. 1224, 2 comma, c. c., solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre gli interessi, del maggior danno che sia derivato dall'impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare e ridurre quegli effetti economici depauperativi che l'inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro; al fine dell'individuazione e quantificazione di tale danno, il ricorso ad elementi presuntivi ed a fatti di comune esperienza non può tradursi nell'applicazione, in via generale, di parametri fissi, quali quelli evincibili degli indici Istat o dal tasso corrente degli interessi bancari, né può implicare l'esonero dal suddetto onere di allegazione e prova, ma deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione con le qualità e condizioni della categoria cui appartiene il creditore, atteso che, esclusivamente alla luce di tali dati, che l'interessato deve fornire sussistono i presupposti per una valutazione, secondo criteri di probabilità e normalità, delle modalità di utilizzazione del denaro, e, quindi, degli effetti nel caso concreto della 4

4. LA PROVA Sul piano probatorio, sin da subito l orientamento prevalente ha cercato di stabilire dei criteri generali per la prova del danno e della relativa quantificazione, preferendo così distaccarsi dal rigoroso orientamento tradizionale che riconosceva il "risarcimento ulteriore" solo a chi fornisse la prova specifica che per la somma non corrisposta era già stata predisposta una forma di investimento la cui redditività ne avrebbe salvaguardato il potere di acquisto. La giurisprudenza ha cercato di seguire una via di mezzo, e quindi di contemperare, gli opposti interessi del debitore e del creditore. Fare l interesse del debitore significherebbe costringere, di volta in volta, il creditore a fornire la prova che dalla svalutazione egli ha avuto un danno e provare anche la misura dello stesso. Questo significherebbe proteggere al massimo grado l interesse del debitore. Al contrario, fare l interesse del creditore significherebbe riconoscergli un danno tutte le volte in cui si verifica la svalutazione come mero fatto potenzialmente causativo di danno. Con la sentenza n. 2368 del 1986 cit., le Sezioni unite, pur escludendo in radice qualsiasi ipotesi di rivalutazione automatica del credito pecuniario, semplificano l'onere della prova 15. La giurisprudenza ha finito per fare ricorso a presunzioni relative per la dimostrazione del danno conseguente a svalutazione; così per quanto riguarda la prova dell an ha finito per elaborare dei criteri di comune esperienza collegati alle qualità dei soggetti creditori raggruppati in categorie tipiche 16, mentre per quanto riguarda il quantum sono state elaborate presunzioni basate su criteri normali di impiego che il creditore tipizzato fa del denaro: per i risparmiatori nel rendimento dei titoli di stato, per i creditori occasionali nel rendimento medio annuo dei depositi bancari, per i modesti consumatori nella allegazione degli indici ISTAT, mentre per gli esercenti un attività imprenditoriale nella prova dell effettivo costo del denaro praticato loro dalle banche. Una volta allegata l appartenenza ad una di queste categorie e prodotta l ulteriore prova, più rigorosa, circa le normali modalità di impiego del denaro, si può presumere in via relativa, salva la prova del contrario, che il creditore così tipizzato abbia subito un danno in conseguenza della svalutazione monetaria. Al contrario, se il creditore dell obbligazione avesse la disponibilità materiale della moneta al momento della scadenza, ma non la impiegasse in alcun modo, subirebbe ugualmente gli effetti della svalutazione e non potrebbe certo addurre nessun danno. La pronuncia in epigrafe, in linea con altre immediatamente antecedenti (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2003, n. 3158, Cass. civ., sez. I, 1 aprile 2003, n. 4919 e Cass. Civ. Sez. II, 28 luglio 2004, n. 14193), pur inserendosi appieno in quest'orientamento giurisprudenziale "intermedio" sembra volere ulteriormente specificare rafforzandolo - l onere probatorio a carico del creditore dell obbligazione pecuniaria al quale viene riconosciuto il risarcimento del maggior danno a condizione che, e nei limiti in cui, il creditore deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o di ridurre gli effetti economici depauperativi dell'inflazione a carico di tutti i possessori di denaro. Ed inoltre, nell ammettere il ricorso sua ritardata disponibilità; in particolare, e sempre nei limiti degli elementi forniti dal danneggiato, il suddetto principio può comportare, in favore del creditore esercente attività imprenditoriale, la considerazione del mancato impiego del denaro nel ciclo produttivo, ovvero della necessità di avvalersi del prestito bancario, e quindi il calcolo forfettario del danno in questione, rispettivamente, alla luce dei proventi medi dell'attività imprenditoriale e del costo del prestito bancario; in favore del risparmiatore abituale, cioè di quello che sistematicamente investe in impieghi di risparmio il residuo non assorbito dai consumi, la utilizzazione come parametro dell'investimento che è solito effettuare; in favore del creditore occasionale, cioè di chi beneficia una tantum di una somma di un certo rilievo per la quale debba escludersi la destinazione al consumo, il raffronto con gli investimenti che si presentino più probabili, ivi incluso il deposito bancario; in favore del modesto consumatore, cioè di chi abitualmente spende il denaro per bisogni personali e familiari, il ricorso al crierio degli indici inflattivi, in quanto idonei ad evidenziare il maggior esborso per quei beni di consumo che non ha potuto acquistare, per l'inadempienza del debitore, alla data di scadenza dell'obbligazione. 15 In senso conforme: Cass., 1 marzo 1991, n. 2182, in Rep Foro it., voce "Danni civili", n. 220; Cass., 23 maggio 1989, n. 2472, ivi, 1989, voce cit., n. 211; Cass., 29 novembre 1988, n. 6430, in Giur.it., 1989, I, 1, 982; Cass., 19 ottobre 1988, n. 5681, in Rep.Foro it., 1988, voce "Danni civili", n. 209; Cass., 9 maggio 1988, n. 3400, ibid., voce cit., n. 211; Cass., 5 ottobre 1988, n. 5365, ibid., voce cit., n. 212; Cass., 3 ottobre 1988, n. 5338, ibid., voce cit., n. 213; Cass., 5 marzo 1987, n. 2312, ivi, 1987, voce cit., n. 246; Cass., 4 novembre 1987, n. 8087, in Giur.it., 1988, I, 1, 1172; Cass., 23 gennaio 1987, n. 633, in Rass.trib., 1987, II, 527, in Fisco, 1987, 3614. In senso contrario: Cass., 27 luglio 1987, n. 6483, in Rep. Foro it., 1987, voce "Danni civili", n. 253; Cass., 26 febbraio 1986, n. 1212, in Foro pad., 1987, I, 221; App.Cagliari, 14 aprile 1988, in Riv.giur.sarda, 1990, 20. 16 tra le categorie tipiche individuate dalla giurisprudenza, per altro in modo non esaustivo, le piu importanti sono quelle degli esercenti un attività imprenditoriale, dei risparmiatori, dei creditori occasionali e dei modesti consumatori. 5

a presunzioni correlate a criteri personalizzati nell ambito della categoria economica soggettiva di appartenenza, richiede che tale prova deve essere idonea a facilitare la dimostrazione delle maggiori utilità che nei singoli casi la somma non pagata avrebbe potuto procurare al creditore. Carmelo Faliti Funzionario della Scuola Superiore dell economia e delle finanze 6