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G-d) Delocalizzazione A cura di L. Molteni (Team Insubria, Varese 2020) 06/06/2011 Descrizione (affermazioni/riflessioni/dubbi) Dati (eventuali)/ Note Cosa si vuole capire! Quale il valore della delocalizzazione a medio termine: prosecuzione fondata su differenziali di costo, di competenza, di propensione al lavoro o riequilibrio per riduzione delle differenze economiche? Lo stato dell'arte La delocalizzazione è il fenomeno che consiste nella cessazione totale o parziale di un attività nel paese di origine per trasferirla parzialmente o totalmente all estero. La delocalizzazione può essere internaseavvieneverso paesiue, esternaseavvieneverso paesiextra UE. Esisteunnuovo tipodi delocalizzazione determinata da un fenomeno chiamato delocalizzazione inversa che si verifica nel momento in cui l imprenditore spinge i propri dipendenti ad accettare condizioni di lavoro meno favorevoli a fronte della minaccia di una delocalizzazione. (Biblio 8) I fattori che determinano la delocalizzazione sono gli approvvigionamenti più economici, i vantaggi fiscali, la possibilitàdiaccessoai nuovimercatieanuove tecnologie,i costidel lavoro più bassi,la vicinanza operativa al cliente a fini di ottimizzazione di processo. La scelta di delocalizzare è una questione strategica per le imprese che devono prendere in considerazione aspetti di diversa natura, basando le loro decisioni in funzione di un livello di formazione elevato, buoni servizi pubblici, un moderato livello del costo del lavoro, una stabilità economica e la prossimità a nuovi mercati ed infine la presenza di risorse produttive. (Biblio 8) Le imprese più piccole si internazionalizzano per contenere il costo del lavoro o per entrare in nuovi mercati, mentre per le grandi imprese esiste anche la necessità di avere una vicinanza rispetto ai mercati di sbocco.(biblio 2) Secondo l Ocse il 36% delle imprese al modo nel settore manifatturiero, che delocalizzano la loro attività produttiva, sono alla ricerca di minori costi di produzione, mentre il 17% vogliono essere più prossimi ai loro clienti. I motivi che spingono le imprese italiane a delocalizzare dipendono dalla loro dimensione, per il 70% delle imprese industriali medio-grandi viene ritenuta molto importante la possibilità di ridurre il costo del lavoro, mentre per il 58,3% delle piccole imprese la delocalizzzione è motivazione principale per presidiare i mercati strategici. (Biblio 11) Scelte possibili delle imprese vs l estero: esportare ad intermediari commerciali esteri, concedere licenze di fabbricazione a terze imprese estere, IDE commerciali (Investimento Diretto all'estero, attività di distribuzione commerciale all estero), IDE produttivi per il solo mercato locale, per più mercati o di global sourcing, joint venture, outsourcing estero. (Biblio 1)

La delocalizzazione come elemento fondamentale per aumentare le proprie competenze, con il conseguimento di migliori risultati economici. Lo scambio di relazioni con imprese di altri paesi con i quali si hanno accordi economici, permette un maggior miglioramento della produzione. Le imprese che esportano o intrattengono relazioni con altre aziende estere sono generalmente piùgrandidiquellechenonlo fanno, sono piùproduttive epiù profittevoli, più innovative e conil più alto tasso di intensità di capitale per l effetto della self-selection in quanto è più difficile vendere all estero che nel paese madre. (Biblio 2) Le imprese più grandi delocalizzano anche nei paesi più lontani per produrre e crescere nei mercati di sbocco, mentre quelle di dimensioni più ridotte tendono a delocalizzare la produzione in zone di destinazione come la Romania (recente passato) e l Europa Centro-Orientale, con lo scopo di abbassare i costi di produzione(infatti, sono paesi a basso reddito) e non quello di presidiare nuovi mercati di sbocco (che tradizionalmente si riflette in flussi diretti verso i paesi più ricchi). (Biblio 7) Le tendenze più recenti evidenziano la riduzione anche a livello del turnover tra le imprese manifatturiere italiane che delocalizzano (turnover= differenza tra imprese di nuova delocalizzazione ed imprese uscenti), evidenziando una diminuzione in misura rilevante anche per le grandi imprese che vedono ridursi il numero di nuove delocalizzazioni ed un aumento dei rientri. Nel caso delle piccole imprese nel 2009 e nel 2010 oltre la metà delle aziende che delocalizzavano non possiede più impianti all estero, confermando che la delocalizzazione richiede un aumento dimensionale delle imprese. Tenendo conto della contrazione generale nel 2010 è possibile rilevare come il flusso delocalizzativo in Cina tenda a stabilizzarsi su livelli più bassi. (Biblio 7) Il fenomeno del backshoring, il rientro nei confini nazionali o lo spostamento delle attività produttive in altri paesi da parte delle imprese che hanno già delocalizzato, comincia ad essere consistente, causato dall aumento del costo del lavoro, dei trasporti e dal venir meno di alcune agevolazioni. Alcuni dati: tra il 1995 ed il 2006 il costo del lavoro per un dipendente di una industria a parità di potere di acquisto è aumentato dell 84,5% in Slovacchia, del 93% nella Repubblica Ceca ed il 72% in Polonia, mentre nello stesso periodo in Francia del 45,7%, in Germania del 38,8% ed in Italia del 26,4%. Per Cina ed India non esistono dati precisi ma le evidenze empiriche indicano una tendenza alla diminuzione del divario con le retribuzioni dei lavoratori occidentali, soprattutto per le mansioni più qualificate. (Biblio 11)

Anche in Italia esiste oggi una tendenza piuttosto diffusa al backshoring, soprattutto per quelle imprese che hanno delocalizzato col fine di ridurre i costi di produzione. Un motivo per il quale alcune imprese stanno ritornando in Italia è dato dalla sovrastima dei risparmi di costo, causata da costi non previsti di stoccaggio e legati alla necessità di ritrasportare merce difettata, ma soprattutto a causa delle stime troppo ottimistiche del basso costo della manodopera, che col tempo ha avuto continui aumenti. (Biblio 11) Per 15 anni le imprese tedesche hanno delocalizzato verso est, dall est Europa fina all Asia, ma ora la tendenza è quella di inshoring, rientrare il patria con la produzione. Lo fanno soprattutto le piccole e medie imprese, le grandi resistono perché le loro economie di scala lo consentono. In Germania, come in Italia le PMI sono la struttura potante dell economia, quindi un ritorno significa un aumento della produzione interna e un relativo aumento occupazionale, conseguentemente un aumento di benessere in termini pro-capite. Dal 2004 i salari dei paesi dell est Europa sono in costante aumento, mentre la produttività dei lavoratori rimane molto al di sotto di quella dei lavoratori tedeschi. In Germania è stata fondamentale la compressione dei salari degli ultimi anni e del contemporaneo aumento della produttività dei lavoratori, consentendo così una riduzione del costo unitario di prodotto. Secondo l ufficio federale di statistiche la produttività media dei lavoratori tedeschi tra il 1991 ed il 2006 è aumentata complessivamente del 22,5%. (Biblio 12) Il ritorno in patria delle aziende ha fatto aumentare l occupazione, permettendo alla Germania un piccolo boom, riducendo negli ultimi due anni il numero dei disoccupati fino a raggiungere l 8,4% che è il risultato più basso degli ultimi dodici anni. L errore che molte aziende hanno commesso è stato quello di non considerare i costi per il ritardo nello sviluppo delle infrastrutture e nella formazione delle maestranze all estero. Il centro per la razionalizzazione dell economia tedesca (CRI) ha stimato un guadagno medio lordo per le imprese che delocalizzavano pari al 14%, ma considerando altri fattori e la razionalizzazione delle spese negli impianti tedeschi il guadagno medio scende al 2,5%, troppo poco come remunerazione del rischio paese. (Biblio 12) La Cina diventa off-limits per un certo tipo di produzione italiana a causa di rincari dei prodotti fino al 20% rispetto a soli pochi mesi fa, dovuto ad una serie di fattori tra cui la corsa dei prezzidelle materie prime, la progressiva rivalutazione dello yuan(dal 10% al 20% rispetto al dollaro) ed ad un aumento del costo del lavoro. La paura nascedal fatto chepur dopoquestiaumentidi salari, pari anchela 30%, ci potrebberoessereaumentiancheneiprossimi anni.alla lucedi questidati sipuò analizzare un cambiamento del mercato cinese che si trasformerà da produttore low cost a produttore di qualità, ma questo in tempi assai più rapidi rispetto a quanto è avvento nella storia delle economie occidentali. (Biblio 16)

Il fenomeno del backshoring è più evidente in America perché hanno iniziato concretamente i processi di delocalizzazione già nel 1990. Società come la General Eletric Company ha recentemente annunciato la costruzione di due nuovi impianti negli stati Uniti per la produzione di articoli elettrici ibridi e batterie ad alta densità attualmente prodotti in Cina. Il backshoring è soprattutto un fenomeno americano anche perché i produttori statunitensi sono stati molto più aggressivi rispetto agli asiatici ed agli europei, anche se alcuni critici associano il fenomeno alla necessità di guadagnarsi il favore dell amministrazione Obama, che vuole stimolare il mercato interno. (Biblio 23) Lalogicachesta dietroil backshoringèinteressanteenonpuòesseredefinitaabrevetermine,ma sicuramente è condizionata dall aumento dei costi di trasporto, dei salari e delle materie prime cinesi, inoltre l effetto decisivo è dato dal fatto che alcune società americane sono state obbligate ad effettuare backshoring perchè molti dei loro principali clienti avevano già spostato le produzioni negli Stati Uniti, quindi il tutto va visto come un effetto contaminante, legato alla necessità di gestire clienti e fornitori in una dimensione territoriale limitata. (Biblio 23) L Indonesia è oggi un nuovo orizzonte per le aziende che hanno fino ad ora delocalizzato in Cina, questo perché si stanno alzando i costi di mano d opera e della logistica. Oltre al mercato indonesiano le imprese stanno valutando, di insediarsi in India, Vietnam e nell Asia sudoccidentale. Importante sviluppo delocalizzativo in Cina sono le zone sud-occidentali e centrali come Chongquing, Wuhan e Zhengzhou, che consentono ancora bassi costi ed incentivi cinesi specifici per questo tipo di investimenti. Particolari accordi tra Cina ed Indonesia porteranno maggiori investimenti verso quest ultima, sfruttando il basso costo del lavoro e della mancanza di dazi in uscita verso la Cina, soprattutto in riferimento alle materie prime. (Biblio 13) L aumento del salario dei lavoratori cinesi rappresenta un rischio per le imprese che hanno delocalizzato, anche perché per ora l aumento è stato del 30% rispetto al salario minimo, ma si temono ripercussioni continue dei lavoratori verso le imprese. I lavoratori cinesi hanno uno stipendio massimo pari a 400 dollari e risultano tre volte più costosi rispetto ai loro omologhi indonesiani e cinque volte più costosi rispetto ai vietnamiti, rimanendo comunque meno cari rispetto a Taiwan e Malesia. Un aumento di questisalari haripercussionidiversein baseal tipodi produzione delocalizzato, infatti l aumento del 30% dei salari consiste in un taglio dei margini dall 1% al 5% in base alla quantità di manodopera utilizzata, e che comunque può essere compensata da una maggiore produttività. Questo spiegherebbe perché gli IDE in Cina continuano a salire. (Biblio 15)

Il governo cinese spinge il consumo interno per continuare crescere come ha fatto negli anni passati, considerando una crescita della domanda interna stabile al 7-8%, la crescita del PIL sarà prossima al 5%, distante dall obiettivo cinese del 10%, proprio per questa ragione la Cina ha bisogno di creare una domanda interna molto sostenuta, che inizi a consumare una parte crescente della propria produzione. (Biblio 17) Il commercio bilaterale tra Cina ed India cresce del 32% l anno, ma risulta fortemente sbilanciato, perché le capacità industriali dell India sono talmente scarse da costringerla ad importare dalla Cina beni secondari ricavati dalla lavorazione delle materie prime da lei stessa esportate. L India ha deciso di accettare la costruzione di piccole Chinatown nelle quali vengono delocalizzate non solo le strutte industriali ma i lavoratori cinesi, costituendosi così vere e proprie invasioni orientali. (Biblio 18) La Repubblica Popolare Cinese si sta espandendo a livello internazionale nei nuovi paesi emergenti e inizia a regolare l accesso delle imprese straniere ne proprio mercato, infatti il 5 Marzo 2011 è stata introdotta una nuova norma che regola l acquisizione di imprese cinesi da parte di grandi gruppi e multinazionali straniere. La legge prevede la preventiva richiesta di un autorizzazione per le operazioni che verranno ritenute minacciose per la stabilità del Paese o che prevederanno la cessione di tecnologie strategiche. I settori che risultano coinvolti sono: l industria, l energia, le telecomunicazioni, i trasporti, l agricoltura e i macchinari. (Biblio 22) La Cina delocalizzerà in Africa il business dell innovazione tecnologica e sta programmando una cooperazione scientifica per quanto riguarda le energie rinnovabili, l agricoltura sostenibile e la formazione di tecnici. (Biblio 19) Fin dagli anni 90 la Cina è arrivata in Africa, ed oggi si è convinta che possa offrire strumenti e risorse necessarie per risolvere parte dei suoi problemi. L Africa non sarà più solo fonte di materie prime e risorse energetiche da esportare ma anche opportunità di investimenti industriali ed infrastrutture. La Repubblica Popolare Cinese costituirà cinque zone economiche esclusive(zes) ad uso e consumo di imprenditori e capitali cinesi così suddivise: in Zambia una ZES mineraria realizzata con 450 milioni di dollari, nella Repubblica di Mauritius una ZES per la produzione di tessuti, prodotti elettronici e farmaceutici con un investimento di 450 milioni di dollari, in Nigeria una ZES manifatturiera ed estrattiva con un investimento di 500 milioni di dollari, in Etiopia una ZES specializzata nella lavorazione del ferro con un investimento di 100 milioni di dollari ed in Egitto una ZES situata a sud del Canale di Suez che sarà utile ai cinesi per raggiungere i mercati dell Europa e del Mediterraneo con un investimento pari a 700 milioni di dollari. (Biblio 20)

Dati ICE-Istat 2006: imprese esportatrici erano pari al 4,2% delle imprese attive occupando il 20% degli occupati totali. L 80% degli esportatori avevano meno di 20 addetti contando solo il 16% delle esportazioni totali: invece il 60% delle esportazioni erano effettuate da imprese con oltre 100 addetti. La dimensione dell impresa pone un limite all esportazione nello specifico e alla possibilità di insediarsi all estero, così come riuscire ad intraprendere relazioni con imprese nei paesi extra- UE, ed in diversi paesi contemporaneamente, risulta molto più facile per le imprese di notevoli Si fatica a trovare dati più recenti: in genere si dimensioni rispetto a quelle di più piccole dimensioni. (Biblio 2) rimanda a quelli del 2006 Nel caso specifico dell Italia le imprese che hanno cominciato ad esportare sono riuscite in seguito a migliorare ulteriormente la propria produttività ed a crescere dimensionalmente per effetto del learning-by-exporting. (Biblio 2) Tendenza alla delocalizzazione della produzione anche delle imprese italiane, nonostante la loro dimensione ridotta, spostando all estero strutture operative a maggior intensità di lavoro non qualificato, agevolando l evoluzione interna dei comparti di attività a più alto valore aggiunto. (Biblio 2) In riferimento all'economia italiana, le imprese intermedie si differenziano dalle imprese finali per alcune caratteristiche peggiorative, sono infatti di minori dimensioni, hanno meno produttività ed hanno minore quota di esportazione. Tra quelle intermedie evolute e quelle immobili le differenze che si notano sono di una notevole differenza in termini di dimensione, efficienza, capitale umano e competitività internazionale. La crisi del 2008-2009 ha affermato una maggiora difficoltà delle imprese marginali, e soprattutto in quelle che avevano instaurato maggiori rapporti internazionali di rete rispetto a quelle che hanno preferito percorrere la strada di una maggiora funzionalità. (Biblio 3) Le prospettive del sistema produttivo in Italia vanno analizzate in un contesto più ampio, tenendo presente che nel mondo il modo di produrre e la divisione del lavoro stanno cambiando, andando a creare la nuova globalizzazione nella quale i processi produttivi si frammentano (unbulding) in sequenze o catene (value chains) di compiti, molti dei quali vengono delocalizzato all estero (offshoring), trasformando le catene in catene globali (global value chains), e modificando così il commercio internazionale da trade-in-goods in trade-in-tasks. Questo tipo di contesto penalizza le imprese finali, sostanzialmente quelle di piccole e medie dimensione, trasformandole in imprese intermedie nella global chain. (Biblio 3) In Italia la delocalizzazione coinvolge in misura sempre maggiore le imprese più grandi, dato dall aumento della dimensione media delle imprese delocalizzate a fronte di un generale restringimento del fenomeno tra le imprese più piccole. (Biblio 6)

Nell ultimo decennio il livello di internazionalizzazione è cresciuto in misura significativa: tra il 2001 ed il 2006 il 13,4% delle imprese con meno di 50 addetti ha avviato processi di internazionalizzazione, l incidenza sale al 20,1% tra le imprese manifatturiere (al 48,1% tra le imprese con più di 250 addetti). (Biblio 2) In base ai dati Eurostat 2007, lo stock di IDE dell Italia era pari al 23% del PIL, a fronte del 35% della Germania, del 38,1% della Spagna e del 52,5% della Francia. (Biblio 2) Prerequisiti delle determinanti degli IDE: ownership (vantaggi proprietari tecnico-organizzativi), internalisation (sfruttamento delle transazioni interne all impresa e non sul mercato) e locational advanges (fattori di vantaggio localizzativi). (Biblio 1) IDE orizzontali: Alcune attività sono replicate nei mercati di destinazione, motivati dall'accesso al mercato. Benefici: Accesso al mercato, risparmio di costi Gli IDE orizzontali sono sostituti all esportazione quando si è in presenza di rigide barriere di trasporto, adattamento di prodotto ed effetto all importazione nel paese di destinazione, risultano essere complementi alle esportazioni quando strategico. Costi: Economie di scala a livello di mirano a cogliere al meglio le opportunità di accesso e vicinanza al mercato. (Biblio 1) impianto non fruttate. Gli IDE commerciali sono complementari all esportazione, perché mirano a migliorare il rapporto con il territorio di destinazione, rendendo più aggressive le imprese all estero, consentendo un aumento di produzione nel paese di origine. (Biblio 1) Il settore di appartenenza influenza la scelta di internazionalizzare la produzione; gli IDE orizzontali tendono ad essere più frequenti nei settori con maggiori economie di scala a livello di impresa (tecnologia, R&S, marketing, competenze manageriali) per compensare i relativi costi di duplicazioni di unità produttive. Gli IDE verticali caratterizzano invece i settori nei quali il processo produttivo è più facilmente scomponibile in fasi precise, e nei quali la concorrenza avviene in termini di costi. (Biblio 2) Le caratteristiche del settore incidono anche sulla modalità di internazionalizzazione: il processo produttivo lo si può mantenere all interno dell impresa (IDE), oppure può essere affidato a subfornitori(outsourcing). In Italia il ricorso agli IDE è più frequente nei settori a maggior intensità di capitale fisico ed umano, in linea con il resto dell Europa, ma l internazionalizzazione delle imprese italiane avviene più spesso attraverso il ricorso a subfornitori e non agli IDE. (Biblio 2) Nella seconda metà degli anni duemila la delocalizzazione ha riguardato una percentuale modesta e tendenzialmente stabile nel settore manifatturiero al 4%, e nel 2010 ha fatto registrare un sensibile ridimensionamento del fenomeno. (Biblio 7) IDE verticali: La produzione è frammentata lungo la filiera produttiva, motivati dall'accesso ai fattori produttivi. Benefici: Risparmio sui costi di produzione. Costi: Economie di integrazione non sfruttate. L incidenza delle province distrettuali in termini di IDE risulta inferiore rispetto ad aree con presenza di grandi imprese. Gli IDE distrettuali sono più presenti in quei territori in cui è maggiore il valore aggiunto pro capite e più elevata la dotazione di infrastrutture. (Biblio 4)

La delocalizzazione comporta un aumento dei costi fissi delle imprese, motivo per cui le imprese che vogliono delocalizzarsi devono trovare nel breve-medio periodo riscontri economici tali da poter superare il break even point, e comunque riuscire a reperire capitali sufficienti per realizzare tale progetto. Questa situazione penalizza le PMI rispetto alle grandi imprese. (Biblio 2) La minore importanza, per i distretti industriali, dell internazionalizzazione produttiva rispetto a quella di tipo commerciale può essere interpretata in due modi: in primis organizzare la produzione in un paese straniero è più oneroso rispetto alla semplice vendita (per molte imprese distrettuali di piccole o medie dimensioni i costi fissi costituiscono un ostacolo), secondo motivo è che in mancanza di uno spostamento dell intera filiera produttiva, che può rilevarsi difficile da realizzare, l incentivo a recarsi all estero risulta limitato per un impresa distrettuale perché è tipicamente legata al territorio. (Biblio 4) Effetti di sostituzione tra IDE e le altre forme di delocalizzazione tenderanno a verificarsi nel mediolungo periodo a causa dei mutamenti delle configurazioni produttive delle imprese (che siano o non sia già delocalizzate) come risposta ai processi di riconversione secondo la logica dei vantaggi comparati dinamici. Nel caso specifico degli IDE verticali, questi restituiscono risultati positivi se effettuati in paesi a basso tasso di industrializzazione, ma nel momento in cui questo tasso diventa poco rappresentativo, l impresa incomincia a non avere più un interesse cosi alto nel produrre in quel paese. (Biblio 1) L analisi settoriale conferma un trend negativo del fenomeno della delocalizzazione, evidenziandosi in particolare nei settori tradizionali del made in Italy, nello specifico in quello del Tessile e abbigliamento e del Cuoio e pelli. Tale contrazione riguarda in maniera più ridotta i settori a più alto contenuto tecnologico quali: comunicazione, apparecchi medicali e di precisione. (Biblio 7) Elemento da considerare è l abbandono dell internazionalizzazione produttiva che appare più significativo in riferimento alla distanza dell area nella quale si delocalizza, permettendo alle aree tradizionalmente privilegiate della delocalizzazione, Romania ed Europa del centro, di mantenere risultati sufficientemente costanti. (Biblio 7) Nell ambito del comparto manufatturiero italiano la tendenza a delocalizzare, già modesta e di lenta progressione, nel tempo tenderà a subire un significativo rallentamento. Questo potrebbe essere uno svantaggio perché si perderanno posizionamenti sui mercati internazionali, elemento strategico per la crescita dimensionale a livello internazionale. (Biblio 7)

La delocalizzazione del rilevante made in Italy, nei settori dell abbigliamento ed accessori e dell arredo casa, ha concesso inizialmente alle imprese più dinamiche un considerevole vantaggio competitivo, che però nel tempo si è affievolito a causa delle semplificazioni e delle imitazioni anche grossolane dei prodotti. (Biblio 5) Il sistema produttivo tecnologico italiano, dopo anni di arresto, ha ripreso a collocare sui mercati mondiali prodotti di media tecnologia, con qualche punta nell alta tecnologia, grazie alla valutazione dei paesi emergenti non solo come semplici piattaforme produttive, ma anche come mercati di sbocco per i beni finali prodotti in Italia o all estero. Questo sistema produttivo è passato da una delocalizzazione difensiva ad una offensiva, fruttando a pieno le caratteristiche dei mercati esteri. (Biblio 5) Sono sempre di più le piccole e grandi imprese tedesche che sui mercati emergenti aprono centri di ricerca, questa tendenza riflette una nuova fase della globalizzazione, riconsiderandola non solamente come risparmio di costi di produzione ma come innovazione e sviluppo di prodotti. La presenza della R&S sul luogo della produzione e della vendita per alcuni prodotti è diventata una necessità per andare incontro alle esigenze dei mercati interni dei Paesi emergenti. Le imprese esportatrici tedesche stanno puntando sulla modernizzazione di Cina india Russia e Brasile che consente la nascita di una classe media sempre più ricca e benestante, riuscendo così a vendere automobili, frigoriferi, lavastoviglie, televisori e medicinali. (Biblio 14) Gli investimenti in R&S delle aziende tedesche all estero si focalizzano soprattutto nella meccanica, nell informatica e nella chimica e non solo per i motivi sopraccitati, ma per una nuova strategia, cioè assicurarsi i migliori esperti anche nei mercati emergenti. Molto però rimane in Germania, soprattutto la ricerca più sofisticata, e questo è un elemento che mette in luce che delocalizzare R&S serve per personalizzare e adattare il prodotto al mercato di sbocco e non per inventarlo ex novo. (Biblio 14) La delocalizzazione oltre ad avere conseguenze dirette nei confronti della perdita dei posti di lavoro, comporta anche problemi connessi come un incremento degli oneri sociali per lo stato, un rallentamento della crescita economica nel suo complesso causato da una riduzione globale della domanda viceversa la delocalizzazione della produzione industriale contribuisce a far sviluppare nei paesi destinatari degli investimenti a far sviluppare i diritti sociali, permette il trasferimento di know-how, contribuendo ad un allineamento rispetto ai vantaggi comparati. (Biblio 8)

Esiste un legame tra una maggiore flessibilità della forza lavoro nazionale e il ricorso alla produzione all estero, in quanto l obiettivo primario delle imprese che perseguono offshoring è il contenimento del costo del lavoro quindi le riforme del mercato del lavoro che hanno reso più facile il ricorso a contratti determinati, costi unitari più bassi possono aver reso meno necessario il ricorso alle delocalizzazione. (Biblio 9) Forme di lavoro flessibile hanno effetti diversi rispetto alla scelta di delocalizzare in base al tipo di impresa ed alla sua collocazione sul territorio. Un certo grado di flessibilità organizzativa e alcune tipologie di contratti di lavoro frenano soprattutto la delocalizzazione delle imprese innovative e di quelle non appartenenti ad un distretto industriale, al contrario sia le imprese distrettuali che quelle tradizionali non ne sono condizionate. (Biblio 10) A livello regionale la delocalizzazione può avere conseguenze soprattutto quando le regioni sono specializzate in uno specifico settore di attività. Questo è il motivo per cui una massiccia delocalizzazione di imprese di un determinato settore avrà sicuramente un forte impatto sul territorio in termini di tasso di disoccupazione, una sensibile diminuzione della domanda, una riduzione della crescita economica. Oltre a questi effetti diretti è necessario tener conto degli effetti indiretti che il rischio di delocalizzazione può avere sui salari e sulle condizioni di lavoro. (Biblio 8) Proposte/azioni di intervento attuali Esistenza dell'osservatorio provinciale sull'internazionalizzazione composto da: Camera di commercio, ACAI Associazione Cristiana Artigiani Italiani, API Associazione piccole medie indusatrie della provincia di Varese, Associazione Artigiani della Provincia di Varese, CDO Compagnia delle Opere Alto Milanese, CEAM Group International, Centro Tessile Cotoniero e Abbigliamento S.p.A., CNA Varese Confederazione Nazionale dell'artigiananto e della Piccola Impresa, Consorzio Cotone Moda, Consorzio Insubria Export, Insubria Export, Promoscambi, PROVEX Consorzio Export Import, UNIVA Uniono degli Industriali della Provincia di Varese. Opera secondo una logica di rete con il contributo di: ICE, SACE, SIMEST, Regione Lombardia, Enti locali e sistemi camerali. L'osservatorio ha il compito di favorire la realizzazione di progetti integrati e condivisi per le imprese, di coordinare attività di promozione dell'internazionalizzazione, di agevolare la diffusione delle informazioni e di promuovere i prodotti ed i servizi del territorio varesino.

Vengono fornite informazioni a livello di paese, valutazioni della penetrazione commerciale dei prodotti italiani sul mercato locale, valutazioni degli investimenti diretti da e verso l'italia, L'interazionalizzazione e nello specifico la promozione di IDE, viene sostenuta anche attraverso valutazioni delle potenzialità di cooperazione progetti e sportelli dedicati, promossi dai vari enti e consorzi, come ad esempio LombardiaPoint, commerciale ed industriale nei settori di alto VareseModa,MedArt (promossi dalla Camera di Commercio di Varese) contenuto tecnologico. SIMEST: è la finanziaria per lo sviluppo e la promozione delle imprese italiane all'estero, per gli IDE permette agevolazioni finanziari fino ad arrivare a sottoscrivere il 25% delle società estere partecipate da imprese italiane. Fornisce Esistono Finanziamenti e programmi comunitari dedicati che forniscono sostegno alle PMI, piani di servizi di assistenza e consulenza per tutte le fasi investimento personalizzati per l'internazionalizzazione ed il portale del Ministero dello Sviluppo di avvio e della realizzazione di investimenti Economico - Dipartimento Imprese e Internazionalizzazione. all'estero Da Gennaio2011 inizieràadoperare il nuovo centroperlepmieuropeea Pechino,sarà gestitoda un consorzio di camere di commercio europee. L iniziativa rientra nel progetto di Small Business Act dell Unione Europea con lo scopo di sostenere le imprese più piccole che internazionalizzano. Le attività saranno molteplici, dalla fornitura di informazioni tecniche per operare in Cina, alla stesura di strategie di internazionalizzazione e il sostegno alle imprese nella risoluzione di eventuali problemi derivanti dall approccio al mercato. (Biblio 21) Esiste in filone di pensiero che sostiene la necessità di policy che diano un sostegno significativo per avviare un attività di esportazione e di produzione all estero, soprattutto per la seconde specie che è gravata di maggiori costi fissi. (Biblio 2)

Linee di azione suggeribili per la provincia Nel medio periodo la delocalizzazione nei paesi nei quali attualmente risulta già in essere subirà dei cambiamenti, e sarà sempre meno vantaggiosa in termini di risparmio di costi. Come si evince dalla scheda questo vantaggio lo si può riscontrare nelle economie a basso reddito pro-capite ed a bassa industrializzazione. Come normalmente accade in tutte le economie, il processo di sviluppo comporta un aumento delle pretese sia di tipo economico legate alle imprese, sia di tipo lavorativo legate alla condizione dei lavoratori. Tale fenomeno induce, anche nelle economie nelle quali si è nel passato delocalizzato, ad un innalzamento dei costi di mano d'opera, determinati da un lato dall'entrata dei diritti dei lavoratori che savaguardano al meglio gli stessi, e dall'altro un miglioramento "culturale" riferito alle mansione degli stessi lavoratori. Dal lato delle imprese un continuo rivolgersi al loro mercato fa inevitabilmente alzare le loro competenze di specializzazione in prodotti a loro prima sconosciuti ed i prezzi richiesti per effetto dell'aumento della domanda. Si può quindi anche affermare che lo scambio di conoscenze che è avvenuto e che avviene per produrre beni diventa merce di scambio sul prezzo. Questo comporta un problema per delocalizzazioni mirate verso economie caratterizzate da mano d'opera non qualificata, ma viceversa permetterebbe una produzione più sofisticata. La propensione che si avrà nel medio periodo sarà di un riequilibrio di tali economie e la necessaria ricerca di nuove che attualmente hanno le caratteristiche necessarie e fondamentali per recepire un industrializzazione di basso costo. Il fenomeno della delocalizzazione risulta essere positivo sino al momento in cui le economie esposte a tale fenomeno riescono ad soddisfare l'esigenza del "basso costo". Questo vale per delocalizzazioni con il suddetto fine, ma se si intende espandere la propria produzione su mercati esteri "evoluti", la delocalizzazione risulterebbe positiva per le aziende perchè permetterebbe un sondaggio maggiore, migliore e più approfondito di tali mercati. Sarebbe positivo anche in termini di conoscenze, con uno scambio delle stesse tra chi delocalizza e chi lavora in quelle imprese, conoscenze che verrebbero poi inoltrate all impresa sita nel paese madre. Questo fenomeno viene già utilizzato dalle grandi imprese, multinazionali perchè permette loro di essere presente in quel determinato mercato e comprendere tutte le eventuali problematiche. Nel caso di PMI una scelta di questo genere, anche solo limitata alla divisione commerciale, permetterebbe uno sviluppo maggiore della produzione, andando a migliorare la situazione del territorio, mettendo in condizione l'indotto stesso di evolversi. Il concetto andrebbe approfondito nell'ambito dei prodotti più idonei a tale strategia, che per logica di concetto non potranno essere semplici prodotti di consumo "base", ma prodotti necessariamente con caratteristiche particolari ed intrinseche del territorio, ed ovviamente non facilmente imitabili. Quindi spetta alle imprese ed alle istituzioni creare un determinato surplus specifico di quelle caratteristiche che sono identificative dei prodotti del territorio.

Strutturare l'economia del territorio attravero un piano dinamico di aumento occupazionale, predisponendo incentivi e servizi mirati per la produzione di beni necessari di mano d'opera quaificata, ricollocando forza lavoro specializzata. Il piano dinamico deve prevedere il reinsourcing di imprese italiane, ma anche incentivare imprese estere ad investire nel territorio di Varese. Il fenomeno di delocalizzazione in Italia è già incominciato, sia da parte di imprese tedesche, dell'europa dell'est, ma anche da imprese Cinesi, che in Italia assimilano know-how. (I cinesi in patria stanno cominciando anche ad acquistare imprese estere proprio per diventare proprietari di know-how). Investire in conoscenza innovativa in riferimento ai settori delle imprese varesine, alzando il livello di competenza produttiva e professionale, consentendo un aumento dei salari che permetterà di conseguenza l'aumento dei consumi interni del territorio (commercio al minuto). Favorire la nascita e lo sviluppo di IDE commerciali, diminuendo così i problemi legati alla vendita in paesi stranieri, rivolgendosi a paesi ricchi, in modo tale da aumentare la produzione interna di beni per l'esportazione e di conseguenza migliorare il reddito pro-capite della provincia. Incentivare le imprese che hanno delocalizzato o che sono in procinto di farlo ad insediarsi maggiormente sul territorio varesino, attraverso piani pluriennali di agevolazioni con conseguente impegno da parte delle imprese di investire sul territorio non solo sull'aspetto produttivo, ma anche sull'aspetto dello sviluppo a livello culturale con investimenti mirati a favorire la formazione di personale specializzato alle esigenze delle stesse imprese. Per i settori di riferimento del territori varesino sviluppare l'aspetto tecnologico facilitando non solo collaborazioni commerciali con soggetti esteri, ma soprattutto collaborazioni a livello di Per esempio, per il settore tessile lo sviluppo di ricerca, o se possibile istituire IDE a livello di R&S, sviluppando maggiori conoscenze che potranno materiali tecnici, con caratteristiche particolari così migliorare la posizione sul mecato delle imprese. che possono rendere unico il prodotto tessile. Bibliografia 1 "Il commercio con l'estero e la collocazione internazionale dell'economia italiana", Banca d'italia 2003. "Rapporto sulle tendenze nel sistema produttivo italiano" Questioni di Economia e Finanza numero 45, Banca 2 d'italia Aprile 2009. "Imprese italiane tra crisi e nuova globalizzazione" Questioni di Economia e Finanza numero 86, Banca d'italia 3 Gennaio 2011. "L'internazionalizzazione produttiva italiana e i distretti industriali: un analisi degli investimenti diretti 4 all'estero" Banca d'italia numero 592, maggio 2006. 5 "L'esperienza italiana di delocalizzazione produttiva all'estero tra incentivi e dissuasioni" Mauro Giusti 6 "Rapporto Ice 2009-2010. L'italia nell'economia internazionale" capitolo 8 "Le imprese" 2010. 7 "Rapporto Ice 2009-2010. L'italia nell'economia internazionale" "approfondimenti" 2010.

8 "L'industria italiana e il fenomeno delle delocalizzazioni" Working Paper n. 3/2007- Fondazione METES 2007. "Offshoring e flessibiltà della forza lavoro nelle imprese italiane" A. Amighini, A. Presbitero, M. Richiardi 2010 9 (articolo). 10 "Delocalizzazione produttiva e mix occupazionale" MoFiR working paper n. 42, maggio 2010. 11 Focus settimanale BNL n. 38 del 24 ottobre 2008 12 "Germania, delocalizzare non conviene più Matteo Alviti, Liberazione del 25/11/2007 13 RI new horizon for plant relocation from China Asia News Network, 31 marzo 2010 14 La Germania delocalizza la ricerca Beda Romano, il sole 24 ore, 7 ottobre 2010 15 Rising chinese wages pose relocation risch Kevin Brown, The Financial Times, 15 febbraio 2011 16 Cina Bye Bye, la delocalizzazione non abita più qui Jacopo Dell'etica, Panbianco, 23 febbraio 2011 17 2011-2015: nuove sfide per l'economia cinese Claudia Astarita, Panorana.it, 7 marzo 2011 18 Parte in India il progetto Chinatown. e la delocalizzazione (cinese) continua C. Astarita, Panorama.it, 6 Gennaio 2010 19 Africa: anche il business dell'innovazione tecnologica sarà cinese Caludia Astarita, Panorama.it, 7 aprile 2010 20 Le mire della Cina sull'africa: pronti 2.00 milioni di dollari Claudia Astarita, Panorama.it, 9 agosto 2010 21 A Pechino nasce il centro per le PMI europee UBI Banca, 11 novembre 2010 22 La Cina limita le acquisizioni straniere UBI Banca, 8 aprile 2011 23 The case for Backshoring William J. Holstein, Strategy+Business, 25 gennaio 2010