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Alle ditte Clienti Loro sedi Collecchio, 01/10/2014 Oggetto: Informativa n. 9. Novità legislative d immediato interesse ed applicazione. La presente per informarvi in merito a: Policy aziendali rigorose per gestire l era di Internet; Internet: solo il regolamento interno fissa limiti certi; Tipologie di licenziamento e relativa tutela. Certi di garantire un sempre puntuale servizio, restiamo a disposizione per ogni eventuale chiarimento e cogliamo l occasione per porgere distinti saluti. MAINI & Associati 1

POLICY AZIENDALI RIGOROSE PER GESTIRE L ERA DI INTERNET Il potere di controllo è uno dei poteri attribuiti al datore di lavoro, insieme a quello direttivo e disciplinare, mediante il quale lo stesso può verificare che il lavoratore svolga correttamente la prestazione lavorativa richiesta, usi la diligenza dovuta (articolo 2104, comma 1, del Codice civile), osservi le disposizioni impartitegli (articolo 2104, comma 2, del Codice civile), rispetti gli obblighi di fedeltà sullo stesso gravanti (articolo 2105 del Codice civile), anche al fine di esercitare eventuale azione disciplinare in caso di inosservanza di tali obblighi (articolo 2106 del Codice civile, articolo 7 dello Statuto dei lavoratori). Il potere di controllo è insito nella definizione di subordinazione, ma nello stesso si contrappongono: da un lato l'esigenza e il potere di esercitare un controllo in capo al creditore della prestazione e, dall'altro, il diritto del lavoratore di vedere tutelati la propria riservatezza e la propria dignità. La storia Già nel 1970 lo Statuto dei lavoratori si era preoccupato di porre dei limiti a tale potere datoriale, al fine di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore, individuando i soggetti abilitati al controllo e distinguendo due forme mediante le quali esercitarlo: il controllo diretto (articolo 2 «Guardie giurate»; articolo 3 «Personale di vigilanza»; articolo 5 «Accertamenti sanitari»; articolo 6 «Visite personali di controllo») ed il controllo a distanza (articolo 4 «Impianti audiovisivi»). Infine l'articolo 7 stabilisce le modalità di esercizio del potere disciplinare. Per il legislatore statutario, l'esercizio del potere di controllo doveva essere privata di tutti gli aspetti polizieschi, o di controllo occulto: così le guardie giurate possono essere utilizzate solo per la protezione dell'azienda ed è vietato al datore di lavoro adibirle al controllo dell'attività lavorativa. L'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori si preoccupava principalmente degli strumenti attraverso cui operare un controllo remoto(telecamere) ma, facendo riferimento anche ad «altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori», generalmente si ritiene che possa trovare applicazione anche ad ogni altro strumento, compresi quelli informatici. All'articolo 4 si fa menzione all'uso di apparecchiature finalizzate al mero controllo dell'attività lavorativa; nel secondo comma viene descritta la diversa fattispecie dell'installazione di impianti ed apparecchiature che siano finalizzate a soddisfare esigenze organizzative e produttive e solo indirettamente al controllo dei lavoratori: mentre la fattispecie di cui al 1 comma è vietata in modo assoluto ed inderogabile, la seconda consente espressamente l'uso di apparecchiature quando a richiederlo siano esigenze organizzative, produttive, ovvero di sicurezza sul lavoro, purché la loro presenza sia autorizzata dalle rappresentanze sindacali interne all'azienda o, in mancanza, dall'ispettorato del Lavoro. A tutto ciò si aggiunga la possibilità di utilizzare investigazioni, seppure all'interno di specifici limiti giurisprudenziali così stringenti da rendere talvolta impossibile il loro utilizzo. 2

I problemi dell'era digitale Di fatto, oggi, esercitare un reale controllo per evitare evidenti inadempimenti (malattie fasulle, non svolgimento della prestazione lavorativa, ma anche reati) è alquanto complesso. Inoltre, l'evoluzione tecnologica ha introdotto nei luoghi di lavoro un numero crescente di strumenti imprescindibili per l'esercizio di qualsiasi attività, in grado comunque di registrare dati relativi all'attività svolta dai lavoratori, ma il cui utilizzo, pone continui problemi applicativi, speciale a fini disciplinari. Si tratta insomma di un'altra serie di norme che pongono difficoltà enormi alle imprese e che necessitano, senza dubbio, di una completa riscrittura. Un'altra parte della disciplina del rapporto di lavoro che richiederebbe un preciso intervento normativo di riforma nell'ambito del progetto attualmente in discussione in Parlamento. Come uscire dall'impasse Oggi, con l'avvento di Internet, una possibile strada per risolvere il conflitto controlli/difesa della privacy, potrebbe essere quella di prevedere policy aziendali molto stringenti, in cui riportare la chiara indicazione del divieto dell'uso degli strumenti informatici a scopi personali. Di altrettanta importanza la redazione di un preciso codice disciplinare, che regoli comportamenti e sanzioni. Sarebbe altresì altamente consigliabile non attribuire, laddove possibile, caselle postali nominative, ma caselle di gruppo alla quale possano avere accesso più dipendenti. Una soluzione semplice, che potrebbe migliorare enormemente l'efficienza aziendale ed evitare complesse controversie giudiziali. INTERNET: SOLO IL REGOLAMENTO INTERNO FISSA LIMITI CERTI È ormai difficile immaginare lo svolgimento di mansioni d'ufficio senza l'accesso a Internet e alla posta elettronica: il loro uso ha cambiato radicalmente non solo il modo di svolgere la prestazione lavorativa, ma anche il controllo sulla stessa. La posta elettronica aziendale e la connessione Internet sono strumenti di lavoro messi a disposizione dal datore di lavoro e come tali devono essere utilizzati evitandone l'abuso e generalmente l'uso privato, specie durante l'orario di lavoro. Con riferimento ai controlli effettuati sull'utilizzo dell'e-mail e sugli accessi alla rete Internet aziendale da parte del dipendente, si pone innanzitutto un problema di applicabilità del divieto di controllo a distanza posto dall'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Dopo molte discussioni e diversi contraddittori orientamenti, quello prevalente è nel senso di ritenere che tali strumenti rientrino nel campo di applicazione del comma 2 dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e che, pertanto, i controlli effettuati attraverso gli stessi possano essere considerati legittimi solo ove sia rispettata la procedura prevista dalla norma statutaria, ovverosia solo ove sia stato stipulato un accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, solo ove il datore abbia ottenuto apposita autorizzazione dell'ispettorato del Lavoro all'utilizzo di detti strumenti. Inutile dire che gli accordi con le rappresentanze sindacali sono spesso impossibili da raggiungere. 3

La questione è assai rilevante, anche perché l'articolo 4 è espressamente richiamato anche dalla normativa sulla privacy. Il risultato è che qualunque violazione della norma determina l'inutilizzabilità dei dati raccolti. Recentemente sul punto, si è pronunciata la Cassazione penale con la sentenza 22611 dell'11 giugno 2012, nella quale la Corte, segnando una netta inversione di rotta rispetto alle pronunce precedenti, ha affermato che il datore di lavoro non può reputarsi responsabile della violazione dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, se l'installazione dello strumento di controllo è intervenuta a seguito di un apposito documento autorizzativo sottoscritto da tutti i dipendenti, anche in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali. In un'altra sentenza recente (26397/2013), relativa al licenziamento disciplinare di un dipendente, per aver installato sul computer aziendale un software non autorizzato dall'azienda e per averlo utilizzato in violazione della policy aziendale e del Codice di comportamento, la Cassazione ha ritenuto invalido il licenziamento, poiché la sanzione era troppo grave rispetto al fatto commesso. Dello stesso avviso è la recente sentenza 6222 del 18 marzo 2014, circa il licenziamento per giusta causa di un dipendente che aveva scaricato sul suo computer aziendale programmi non autorizzati coperti da copyright non forniti dall'azienda e non necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa, e che aveva utilizzato a fini personali la casella di posta elettronica aziendale. La Suprema Corte ha infatti confermato la sentenza della Corte d'appello, che aveva ritenuto non proporzionato il licenziamento rispetto agli addebiti, in quanto l'inadempimento consistente nell'«uso improprio degli strumenti di lavoro» era sanzionato dal contratto collettivo con una sanzione meno grave. Al contrario, la sentenza di Cassazione 17859 dell'11 agosto 2014, ha considerato legittimo il licenziamento di un dipendente che, in violazione del regolamento interno e del codice disciplinare interno, aveva utilizzato il computer aziendale e la posta elettronica per motivi personali. TIPOLOGIE DI LICENZIAMENTO E RELATIVA TUTELA La novità che negli ultimi anni ha stimolato il più ampio dibattito politico e dottrinale è stata la cosiddetta riforma Fornero, avendo modificato l intoccabile articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Licenziamento nullo. I primi tre commi dispongono che i recessi discriminatori o intimati in concomitanza col matrimonio o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del Dlgs 151/2001 o per motivo illecito determinante ex articolo 1345 del Codice civile sono nulli: ne consegue il diritto del lavoratore alla reintegrazione (o, in alternativa, a scelta del dipendente, un'indennità pari a 15 mensilità) nonché alle retribuzioni nel frattempo maturate tra la data del licenziamento e la sentenza. Licenziamento disciplinare. Nelle ipotesi di licenziamento intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudice ha ora la possibilità di graduare la sanzione, a seconda dei casi, tra la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la corresponsione di un'indennità risarcitoria compresa tra 12 e 24 mensilità. Precisamente il 4

comma 4 dispone che il giudice, se accerta l'inesistenza del fatto o che il fatto contestato rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei Ccnl o dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e dispone la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno retributivo e contributivo patito dal dipendente, entro il massimo di 12 mensilità di retribuzione, dedotto l'aliunde perceptum e percepiendum. In ogni caso, il dipendente ha la facoltà di optare per un'indennità pari a 15 mensilità di retribuzione in luogo della reintegrazione. Nelle "altre ipotesi" di accertata illegittimità del licenziamento disciplinare, il giudice, dichiarato comunque risolto il rapporto di lavoro, condannerà il datore di lavoro alla corresponsione di un'indennità compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità di retribuzione, sulla base di parametri quali l'anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell'attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti. Giustificato motivo oggettivo. Con riferimento al licenziamento cosiddetto "economico" (articolo 3 legge 604/1966) l'articolo 1, comma 40, introduce l'obbligo di una procedura preventiva rispetto al recesso. Il comma prosegue disponendo che il giudice "può" altresì applicare la disciplina del quarto comma (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro) nell'esclusiva ipotesi in cui accerti «la manifesta insussistenza del fatto» posto a base del licenziamento per giustificato motivo. Nelle «altre ipotesi il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma» (recesso valido ai fini degli effetti risolutivi, indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto): appare evidente che la norma, dopo aver introdotto una forte discrezionalità valutativa in un'ipotesi residuale e forse remota, di fatto ha collegato al licenziamento per giustificato motivo oggettivo la sola indennità economica. Licenziamenti collettivi. L'articolo 1, comma 45, modificando l'articolo 4, comma 12, legge 223/1991, prevede ora che gli eventuali "vizi" afferenti la comunicazione di avvio della procedura di mobilità possano essere sanati dall'accordo sindacale eventualmente raggiunto nel corso della stessa. Ciò significa che tali vizi non potranno più essere motivo d'inefficacia dei recessi intimati all'esito della procedura né motivo di impugnazione da parte dei singoli lavoratori, determinando così un quadro di maggiore stabilità e certezza nelle operazioni di ristrutturazione aziendale. La seconda rilevante novità (articolo 1, comma 44) riguarda l'introduzione del nuovo termine - di 7 giorni dalla comunicazione dei recessi - entro il quale il datore deve trasmettere all'ufficio del lavoro competente ed alle associazioni di categoria l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, i loro dati anagrafici e professionali e le modalità di applicazione dei criteri di scelta, con ciò sgombrando il campo da ogni possibile dubbio applicativo relativo al concetto di contestualità. Questa circolare contiene indicazioni generali sugli argomenti trattati, che non sono da considerare esaustive o sufficienti, al fine di adottare decisioni e, in nessun caso, potrà essere considerata consulenza. Maini e Associati risponde solo ed esclusivamente se interpellati direttamente i proprio professionisti, e si esonera da ogni responsabilità inerente. 5