LA FUNZIONE DELLA SCRITTURA



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Newsletter ISSUE N 1 Marzo 2010 LLP-LDV/TOI/09/IT/0405 Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile. Fabrizio De Andrè Indice Editoriale: LA FUNZIONE DELLA SCRITTURA... pag 1 L intervista: PINO DI BUDUO DEL TEATRO POTLACH...pag 2 Approfondimento: ASPETTANDO GODOT di Samuel Beckett... pag 10 I PARTNER... pag 13 Mi aggrappo a questi fogli come ad alcunché di fisso tra tante cose sfuggenti Andrè Gide LA FUNZIONE DELLA SCRITTURA In questo primo editoriale dedicato ai laboratori di scrittura teatrale nell ambito del progetto Writing Theater, mi sembrava interessante parlare di scrittura. Non di scrittura teatrale in particolare, ma di scrittura in termini più ampi, considerando non tanto i contenuti, piuttosto la necessità che ne sta alla base, i meccanismi che la sottendono e la funzione riparativa che è un aspetto importante che sta alla radice della creazione artistica. La scrittura infatti in ambito letterario, comprendente le varie tipologie, dal romanzo, al diario, alla scrittura drammatica, alla poesia, è un modo per colmare l insoddisfazione e la frustrazione del desiderio. La scrittura è un bisogno fisiologico e biologico prima ancora che essere un atto di comunicazione. E l orma presente e tangibile del nostro pensiero che si materializza attraverso i segni, i grafemi che vengono lasciati fisicamente su una superficie. L atto della scrittura è quindi primariamente un gesto fisico, un prolungamento del nostro corpo all esterno, che dal braccio si trasferisce alla mano, da questa alle dita, e poi alla penna per essere, infine, compiutamente visibile sul foglio. E il piacere funzionale della scrittura, di vedere un prolungamento di noi stessi all esterno, che ha un carattere di allentamento della tensione interna come scarica motoria. Solo in un secondo momento la scrittura diviene comunicazione, assumendo la funzione narrativa, attraverso la quale vengono rappresentate le pulsioni del nostro mondo interno. Le storie e i contenuti, infatti, sono solo pretesti, dei traslati, per mettere fuori le nostre angosce e i nostri desideri insoddisfatti, le paure o la felicità che proviamo. I contenuti delle storie rappresentano la realizzazione dei nostri desideri, la esteriorizzazione delle nostre angosce e dei nostri sensi di colpa, che si materializzano proprio attraverso la scrittura, senza la quale resterebbero come una energia potente e violenta che non avrebbe la possibilità di essere circoscritta, di essere resa tangibile attraverso i segni della scrittura, e che acquistano così il loro

statuto di realtà. Per fare ciò, chi scrive, deve passare attraverso una fase di spersonalizzazione, che permette una certa distanza emotiva dagli eventi personali, sottoponendo il proprio vissuto privato ad un opera di deformazione e rielaborazione, che viene così trasformato e sublimato, prendendo la forma di una narrazione o scritto. Ma questo prodotto, questo scritto, deve essere in qualche modo, però, riconosciuto. Infatti, accanto alla funzione narrativa e comunicativa, accanto all espressione del mondo interiore, attraverso la scrittura, si cerca una conferma da parte dell autorità della tradizione, cercando di rispondere a precise regole estetiche e formali. Allora chi scrive adotta un determinato stile che collega il suo mondo privato con il mondo esterno, il dentro con il fuori, il soggetto con l oggetto. Si tratta di un confine, un limite che collega due campi separati ma interconnesi tra di loro: Al di là dello stile, si potrebbe dire, c è soltanto il confuso vociare dell inconscio e dei suoi molteplici dialetti o il silenzio estetico della fredda, piatta, sterile adeguazione alla norma. La scrittura dunque è il mezzo attraverso cui, attingendo allo stile, si arriva ad esternare e fare chiarezza dentro di sé. La scrittura è un atto liberatorio, che usa tutte le identificazioni possibili per poter vivere ogni cosa possibile. Per vivere ogni emozione anche la più terribile, persino la morte. Chi scrive può essere ogni personaggio e può assumere qualsiasi stato emotivo, senza paura, senza vergogna, senza timidezza. Si può diventare chiunque, in quel momento delimitato alla scrittura, si può essere ogni cosa possibile. L Intervista INTERVISTA A PINO DI BUDUO DEL TEATRO POTLACH 2 Il Teatro Potlach - laboratorio di ricerca e sperimentazione teatrale - è stato fondato nel 1976, scegliendo come propria sede un piccolo paese, Fara Sabina in provincia di Rieti, a 60 Km da Roma. Il fondatore, nonché regista, è stato Pino Di Buduo, che porta avanti il teatro insieme ad altri collaboratori che hanno iniziato con lui questa avventura che dura da 34 anni. Potlach è un termine che Pino Di Buduo ha mutuato dall antropologia. Un termine che ha un significato ben preciso. Letteralmente significa scambio, baratto ma anche spreco. È un termine molto antico usato dalle tribù nordoccidentali americane ed era utilizzato in relazione alle feste d inverno, caratterizzate da canti, danze, mascherate e banchetti e finivano con la distribuzione di doni a tutti i partecipanti da parte di chi organizzava la festa. Ad ogni potlach si rispondeva con un altro potlach da parte di qualcun altro. Il teatro Potlach si dedica a varie attività: dal teatro di strada, agli spettacoli teatrali, al teatro per ragazzi. L attività teatrale del Potlach è attenta anche alle esperienze all estero partecipando ai principali festivals e alle rassegne più note. Inoltre

organizza seminari, laboratori teatrali e workshops, tra i quali bisogna segnalare il festival laboratorio interculturale di pratiche teatrali. Il Potlach, attraverso i suoi lavori, ha ottenuto anche dei riconoscimenti, per esempio con lo spettacolo Giovanna degli Spiriti ha ottenuto nel 1987, il riconoscimento di miglior spettacolo all Israel Festival a Gerusalemme o, nel 1998, il progetto Città Invisibili viene indicato dalla Comunità Europea come uno degli 8 progetti culturali teatrali scelti come modelli di azione culturale. Il Teatro Potlach nasce nel 1976. La sua storia è piuttosto lunga. In questi 34 anni è stato realizzato molto: spettacoli teatrali, spettacoli di strada, danze drammatiche, concerti d attore, festival teatrali sia nazionali che internazionali. Siete riusciti a fare un teatro che fosse aperto ad esperienze internazionali e sperimentali, e nello stesso tempo a calarvi in una realtà tutta locale, con l ideazione del festival dei centri storici e il teatro ragazzi. Organizzate laboratori, seminari, workshop. La vostra attività si muove attraverso varie direzioni. Non state mai fermi. Come è nata quest idea di teatro? Quest idea di teatro è una nata da un esigenza di fare teatro, di esprimere se stessi, attraverso la forma teatrale. Io ho una formazione antropologica, ero assistente all università di antropologia culturale e tradizioni popolari. Parallelamente alla formazione universitaria, facevo teatro per passione.. e poi invece questa è diventata una professione. E nato in un momento nel quale era importante per me creare un gruppo di persone con le quali lavorare a tempo pieno e soprattutto lavorare su quella che è l arte dell attore, che penso sia, soprattutto, il corpo dell attore. Era un periodo, quando ho cominciato, in cui il teatro andava in un altra direzione. C era l Avanguardia Romana era molto concettuale. A me piaceva di più qualcosa che oggi chiameremmo il teatro danza. L incontro con tutte quelle forme espressive che hanno al centro, il lavoro dell attore. Dove l attore è in grado di recitare, di cantare, di danzare. Un po come sono ancora gli attori orientali, ma come è stato nella commedia dell arte e come a volte è nel balletto. Per cui il centro del nostro lavoro è stato sempre il training fisico, il training vocale, allenamenti che sono quelli che l attore porta avanti tutta la vita per poter acquisire tecniche, ma anche per poter mantenere un livello di qualità altissimo. Nel realizzare questo tipo di teatro, quello che è il Potlach oggi, quanto è stata importante per te l esperienza dell Odin Teatret e la vicinanza ad Eugenio Barba? Ho fatto parte di una scuola internazionale che è stata ad Otterlo in Danimarca nell Odin Teatret. Ma..io lavoravo appunto in questa direzione e nel momento in cui ho incontrato l Odin Teatret ho visto uno spettacolo e poi ho incontrato Eugenio Barba, che mi ha invitato a partecipare a questa scuola internazionale. Io avevo un esperienza molto empirica, avevo interesse sia dell uso del corpo e sia dell attore. Quando ho letto il libro Il Teatro Povero 3

e poi ho visto l Odin Teatret, ho visto che loro stavano molto più avanti. E allora quando ho incontrato Eugenio Barba e mi ha invitato io ho detto di si. Lui e l Odin Teatret sono diventati i miei maestri. Possiamo dire che l odin Teatret è stata la tua formazione. La formazione.si. Continuo ad avere un rapporto ognuno trova la propria identità, la propria strada ma continuiamo ad avere rapporti Avete fatto anche dei progetti insieme Si. Ad esempio questo festival laboratorio interculturale di pratiche teatrali infatti è fatto in collaborazione con Eugenio Barba.. Infatti tra le tante attività che organizzate e realizzate, è attivo presso la sede del Potlach un Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali. Di cosa si tratta esattamente? Il confronto tra diverse culture è il centro della nostra epoca e questo può dare dei frutti positivi anche nella creatività, partendo dalla conoscenza e dal confronto con le forme classiche teatrali orientali e occidentali: le forme classiche indiane, oppure quelle balinesi, giapponesi, oppure quelle cinesi, come l opera di Pechino. Queste sono le grandi forme di teatro orientale con le quali noi cerchiamo un confronto continuo mettendole accanto alla commedia dell arte o mettendole accanto alla danza e al balletto e mettendole in confronto con tutte le forme nostre occidentali. E cercando, in un certo senso, quelli che sono i principi che sottendono.tutti hanno al centro il corpo dell attore l uomo I principi comuni li avete trovati questi principi che accomunano tutte le forme d arte? E un lavoro continuo, però ci sono alcuni principi che sono presenti in tutte le culture teatrali, che sono quelli del bios. Sono principi basilari che permettono all attore di essere presente in scena, prima della espressione. Questo è quello che abbiamo trovato. Da un po di tempo si parla di teatro multimediale. Voi l avete anche sperimentato in qualche maniera. 4 Si, perché noi siamo un laboratorio di ricerca e sperimentazione teatrale. Al centro è sempre il lavoro dell attore, però poi noi andiamo in direzioni di ricerca per tutto quello che riguarda il campo teatrale: scenografie, costumi, musica, danza. Abbiamo sempre avuto un interesse molto forte, in particolare, per la scenografia e il canto. In tutti i nostri spettacoli c è musica, canto e c è scenografia. Sono importanti. Il rapporto, soprattutto, con Luca Ruzza che è il

nostro scenografo da più di 20 anni. Con lui abbiamo sviluppato, soprattutto in alcuni progetti, anche con Le città invisibili che vengono fatte all esterno e all interno dei teatri, abbiamo sviluppato quello che sono le proiezioni, le scenografie digitali. Poco tempo fa, abbiamo affrontato uno spettacolo. Abbiamo pensato a Ventimila leghe sotto i mari e l abbiamo fatto tutto con scenografie digitali, cioè proiettate. Non tanto per illustrate come sottofondo, ma proprio come elemento drammaturgico. Cioè l immagine come elemento drammaturgico che porta avanti la storia. Tra l altro abbiamo inventato letteralmente un impianto scenico particolare che dà una certa profondità e che rispondeva ad una esigenza. Ventimila leghe sotto i mari, sono..capisci stanno tutto il tempo sotto il mare, allora, in qualche modo, attraverso il suono e attraverso le immagini, volevamo dare la sensazione agli spettatori di stare anche loro nelle profondità del mare. E così abbiamo messo due schermi paralleli, in modo che il primo schermo è trasparente e il secondo schermo è uno schermo normale. E proiettiamo contemporaneamente su tutte e due gli schermi, in modo che gli attori che stanno tra i due schermi sembra che stanno in mezzo all acqua. L uso di schermi e proiezioni, in realtà, aumenta la storia, dà un qualcosa in più? Si. L immagine è un immagine dinamica ed è un immagine non realistica. Cioè partiamo dalle immagini realistiche e le elaboriamo. Le abbiamo alterate in modo che siano sempre riconoscibili, pero siano non realistiche. Questo è stato il lavoro che abbiamo fatto. È un lavoro enorme, perché siamo partiti dall accumulo di una quantità enorme di immagini, per esempio stavamo nel mare. Abbiamo fatto ricerche, abbiamo accumulato una quantità di immagini, sia immagini fisse che dinamiche, enorme. Sono tutte bellissime, però poi quando dopo un po ci lavoravamo non funzionavano, in qualche modo. Allora abbiamo cominciato a lavorare sulle immagini come si lavora su un attore, con un attore. A elaborare e alterare nei colori, nelle forme, nelle dimensioni, nelle profondità. E le abbiamo tutte alterate fino a che, appunto, abbiamo composto questo spettacolo. Questo è il primo risultato di questa ricerca, che stiamo facendo in questi anni, utilizzando tecnologie avanzatissime. Ma l attore è sempre all interno di questo, si comporta esattamente secondo i propri principi e quindi è, diciamo, l aspetto più antico dell attore insieme alla tecnologia più avanzata. Voi realizzate anche spettacoli diretti ad un pubblico specifico, i ragazzi. Noi siamo un gruppo di teatro. Siamo fissi, siamo sempre gli stessi, diciamo. Si possono aggiungere persone, oppure qualcuno va via. Però il nucleo fondamentale sono attori che hanno fondato il teatro e che vanno avanti da più di 30 anni, lavorando insieme e solamente per questo teatro. Possiamo avere un grande repertorio. Abbiamo anche due spettacoli per ragazzi. Soprattutto li abbiamo creati perché noi stiamo a Fara Sabina. Per noi il lavoro, il teatro di strada, è nato da una necessità - perché nel territorio della Sabina, soprattutto 5

nel 1976, quando siamo arrivati, era un deserto dal punto di vista teatrale, non c erano teatri e anche il teatro di Rieti, il Flavio Vespasiani, era inagibile. Per intervenire nei Comuni abbiamo utilizzato il teatro di strada, abbiamo cominciato a creare degli interventi che non avevano bisogno di uno spazio al chiuso. E quindi soprattutto nell estate, ma anche d inverno, per poter intervenire nei diversi comuni. La stessa cosa, in un certo senso, è il teatro ragazzi. Perché le scuole qui erano i centri culturali del territorio e allora portavamo gli spettacoli nelle scuole. Per quanto riguarda il teatro ragazzi, volevo chiederti se indirizzavi una specifica progettualità artistica e pedagogica Certo, ma in Francia per esempio, chiamano tout pubblique, spettacoli per tutto il pubblico, per ragazzi e per grandi. Noi tendiamo più in questa direzione. Sono spettacoli che possono vedere i bambini, ma che possono vedere anche i grandi, almeno alcuni di questi. Però ci sono spettacoli, ad esempio uno è Direttore d orchestra che è basato su tecniche che sono adatte ai bambini, diciamo. Sono adatte anche per i grandi, però è chiaro che la drammaturgia e il linguaggio ha un immediatezza che può colpire e provocare l immaginazione dei bambini. Il gioco e il teatro hanno una relazione tra di loro. Quanto il teatro può essere un gioco? Il teatro è un gioco. Per esempio in Francia si utilizza la parola jeux e in Inghilterra play che significano anche gioco. Ci sono alcuni che partono proprio dal gioco. Anche Peter Brook faceva dei giochi teatrali quando cominciava a costruire un improvvisazione o uno spettacolo. Però ci sono tante sfaccettature su questo. Non è il gioco come intendiamo noi normalmente. E una specie di ingaggio che si prende con lo spettatore. È chiaro che dobbiamo sorprenderlo, dobbiamo nascondere per rivelare. Dobbiamo creare intensità. Dobbiamo creare l opposto. E quindi è un gioco continuo di tutti gli elementi che il teatro può fornire per ottenere l attenzione dello spettatore. L attore sa che sta per fregare lo spettatore, lo sa che in quel momento gli darà un pugno allo stomaco, però prima di tutto questo, sembra che tutto quanto vada bene. Per poter avere un effetto su questo, si deve prima creare il suo opposto. E quindi si lavora su altri aspetti però in questo senso è un gioco. Parlavamo di teatro sociale..teatro terapeutico. Pensi che il teatro possa avere la capacità di ridurre e prevenire il disagio? 6 Penso così, per scherzare quando si entra dentro un teatro e si conoscono un po meglio gli attori, dicono che sono tutti matti. Penso che il teatro è il luogo nel quale l uomo e la ricerca sull uomo è centrale. In tutti gli aspetti e in tutti i prodotti della società. Ci sono problemi, o con nodi, o conflitti che il teatro affronta perché la società o parti diverse della società entrano in conflitto, in collisione e creano dei veri

e propri terremoti, che il teatro deve porsi come domanda e a volte deve anche saper dare delle risposte. Ci sono delle zone emarginate con le quali entrare in relazione. Per esempio noi abbiamo una sezione, abbiamo delle esperienze con dei ragazzi che hanno dei disagi. Devo dire che sono delle esperienze straordinarie. Non so se noi facciamo qualcosa verso loro o se loro fanno qualcosa verso noi, però sono così legati all essenziale della vita. Soprattutto i down, per esempio, non hanno gli schermi che noi creiamo, le maschere che noi creiamo, sono molto immediati. Se hanno un affetto, una simpatia è subito evidente. Se hanno un bisogno è subito evidente. Quindi in questo senso e per quello che riguarda proprio l essenza del teatro penso che è molto importante che esso si relazioni con loro, ma penso anche che il teatro è una zona di terapia. Noi lo vediamo soprattutto con i giovani, anche con quelli molto giovani. A volte ci capita di lavorare con le scuole, di lavorare su uno spettacolo. Una volta, facevo un corso dentro le scuole e stavo lavorando sul ritmo. Sceglievo sempre le persone che vedevo possedevano più ritmo, per guidare le altre, per essere come esempio per gli altri. Un giorno l insegnante mi disse Guarda che quello è sordomuto e, invece, era quello che aveva più ritmo. Allora, quello che a volte non funziona per l apprendimento, o che apparentemente non funziona per l apprendimento, invece funziona per il teatro. Il teatro è una zona franca, nella quale tutto è possibile. Si invertono i pregiudizi, si annientano i pregiudizi, si invertono alcuni principi. E una zona, sembra, di libertà,nella quale è possibile fingere. Però al limite della finzione racconta se stesso. Ci sono veicoli fondamentali del teatro, la creatività è un veicolo fondamentale, il gioco. Il teatro, diciamo, dà la possibilità di sviluppare, di mettere fuori le capacità che magari in contesti tradizionali, normali non vengono assolutamente valorizzati? Vengono intimidite, vengono inibite. Invece nel teatro tutto è possibile. Cioè, quello che noi facciamo, il teatro fa, un attore fa, è cercare di dare uno stimolo in modo che si sviluppi la creatività. Nel momento della creazione non c è giudizio. Nel momento in cui comincia a manifestarsi la creazione, è possibile che esteticamente non sia bella e bisogna che non ci sia giudizio estetico. La creatività comincia a manifestarsi.. e allora bisogna aiutarla a manifestarsi in modo che mano mano prenda una forma. Ecco, questo nella società normalmente viene inibito, ma nel teatro no. Nel teatro è possibile questo e quindi una parte di sé viene alla luce e quel venire alla luce crea un energia unica. Un movimento di felicità. Adesso parliamo invece di linguaggio, che è innanzitutto uno strumento per comunicare. Assume diverse forme a seconda dell uso in un ambito particolare. Ma la scrittura teatrale ha una sua specificità. Noi non abbiamo mai lavorato su testi teatrali, ma facciamo una scrittura scenica. Cioè partiamo da improvvisazioni, partiamo da composizioni e poi 7

mano mano cominciamo a costruire una drammaturgia e, certo, c è bisogno di testi. Per esempio, nel caso di ventimila leghe sotto i mari noi abbiamo preso un romanzo, che non è un testo teatrale, e l abbiamo rielaborato in modo che funzionasse da un punto di vista teatrale. Questa è l operazione più vicina diciamo a una scrittura, se no normalmente prendiamo uno spunto, un tema, o qualcosa del genere, o una direzione, o un orientamento e cominciamo a lavorare su questo. E poi mano mano elaboriamo una scena che ha dei testi, a volte poetici, ma che ha partiture fisiche, che ha partiture musicali e che ha relazioni con la scenografia che, spesso, è necessaria e così con i costumi, con la musica, con il canto in questo senso noi scriviamo mentre andiamo avanti. Non partiamo da un testo prestabilito. Questo non significa che non può essere uno spunto un testo prestabilito. Immagino che, quindi, possedere una tecnica ben specifica a questo punto sia quasi inutile. Nel senso che alla fine tutto nasce lì, tutto nasce sul momento. 8 Noi non abbiamo un metodo. Abbiamo un sistema di lavoro, però possiamo partire da tutto, non è escluso che un giorno partiamo da un testo scritto, se è una suggestione, faccio un esempio. Uno spettacolo che abbiamo fatto, Felliniana, è ispirato cioè a Fellini. Non è che noi abbiamo preso un testo, perché non c è un testo. Abbiamo preso tutti i film di Fellini, abbiamo preso la sua biografia, abbiamo cercato di vedere la visione del mondo di Fellini che ha rappresentato un pezzo di storia nel secolo precedente, del Novecento. Allora attraverso i suoi film attraverso la sua biografia - questo mentre andavamo avanti diciamo - abbiamo raccontato un pezzo di storia dell Italia. Però quando noi siamo partiti, abbiamo preso tutti questi materiali, tutti i film che aveva fatto, tutti libri che sono stati pubblicati, le interviste e le abbiamo lette. Poi per procedere, abbiamo fatto una scelta. Abbiamo preso una scena selezionata, una scena di ogni film e poi siamo andati a lavorare su quella scena. Così è nato poi mano mano abbiamo visto che Fellini rappresentava un pezzo di storia, che il film stesso era dentro il contesto, qual era la sua missione, che lui lavorara sull isteria come elemento italiano della creatività. Con la caratteristica italiana. Noi tutto questo lo scoprivamo mentre andavamo avanti, e allora mano mano abbiamo visto che c era qualcosa che il momento descritto da Fellini era il momento del boom economico nel quale sopravvivevano alcune cose che sarebbero andate a scomparire. E che avevano una grande capacità poetica o artistica come ad esempio La Strada. È chiaro che era un mondo che andava a scomparire. Anch io mi ricordo, quand ero piccolo, ancora esisteva qualcuno che spezzava le catene, per strada. Adesso non esiste più. È un momento veramente di grande attrazione, però un elemento poetico oggi diremmo, ma allora era veramente una sopravvivenza. Cioè, ci si inventava dopo la guerra, i mestieri che permettevano di sopravvivere. Però tutto questo è scomparso. Allora Fellini affrontava i nodi, i passaggi di quell epoca, in un modo straordinario. Quei nodi noi siamo andati a toccarli, quindi è un processo che non può essere prestabilito in un testo. E qualcosa che cerchiamo.

Arriviamo sempre però ad una sceneggiatura. Alla fine noi abbiamo una scrittura, un testo. Però ci arriviamo. Ci piace anche lavorare con dei drammaturghi. Anche con qualcuno che mentre andiamo avanti scrive, anche. Quindi è una scrittura che reagisce alle improvvisazioni, scrive dei testi. Quindi, insomma, è una collaborazione tra tutti. Tra tutti, perché stiamo tutti allo stesso livello. Tutti sono componenti, ma con il principio comune che non è un testo che è stabilito prima e che mettiamo in scena in quattro settimane. Abbiamo rotto questi meccanismi di produzione. Se dovesse essere una produzione che decide per uno spettacolo, è chiaro che i costi sarebbero enormi. Allora devono stabilire quattro settimane, sei settimane per produrre uno spettacolo, allora è chiaro che, bisogna andare con il testo già stabilito, che ogni giorno devi sapere quante scene fai. Per noi non è così. Questa libertà ha dei costi ugualmente evidentemente, però pensiamo che sia vitale per il teatro. In relazione ai laboratori di scrittura teatrale che questi ragazzi andranno a fare, nel loro avvicinarsi e approcciarsi al teatro e attraverso la scrittura un po raccontare se stessi un po anche il loro approccio al teatro. Secondo te a cosa dovrebbe guardare un ragazzo, tra i 15 e i 25 anni, a cosa dovrebbero dare importanza e rilievo soprattutto. Mi viene da dire alle proprie ferite. Alle ferite che hanno all interno di se stessi o che vedono nella società. Per quanto riguarda invece l esperienza dello scrivere, diciamo, alla loro sensibilità, fondamentalmente, come loro reagiscono a quello che accade, a loro stessi e al mondo che li circonda, alle esperienze che percorrono, a momenti essenziali della loro vita e della società. C è anche bisogno, però, di un acquisizione di tecniche, di acquisizione di capacità, ecco. Queste capacità si acquistano anche con il tempo. Almeno si affinano. Si acquistano e poi si affinano con il tempo. Poi, per esempio, penso che sia importante che vadano a visitare e addirittura direi ad abitare i teatri, per vedere come funziona tutta la creazione teatrale. 9

Approfondimenti ASPETTANDO GODOT di Samuel Beckett TITOLO: ASPETTANDO GODOT AUTORE: SAMUEL BECKETT ANNO PUBBL.: 1952 PRIMA TEATRALE: 1953 - Théâtre de Babylone Parigi ATTI: 2 PERSONAGGI: Estragone, Vladimiro, Lucky, Pozzo, Ragazzo TRAMA: Due vagabondi, Estragone e Vladimiro, aspettano un certo signor Godot che forse li aiuterà a trovare una sistemazione. Nell attesa incontrano altri due personaggi, Lucky e Pozzo, con cui passano parte del tempo. Alla fine della giornata si presenta un ragazzo con un messaggio del signor Godot, che per quella sera non riuscirà a venire e che dovranno attendere il giorno dopo per poterlo incontrare. Nel secondo atto si svolge la seconda giornata, in cui tutto, tranne piccole differenze, si ripete nella stessa modalità. Il signor Godot non si presenterà neanche questa volta. 10 Aspettando Godot di Samuel Beckett è stato un testo importante nella carriera dell autore, che segna il suo successo come scrittore. Un successo che non aveva raggiunto attraverso la scrittura dei suoi romanzi. La scrittura teatrale, in vista anche della messa in scena, permette a Samuel Beckett uno sguardo più distaccato, meno coinvolto dall espressione di sé. Aspettando Godot segna anche un momento fondamentale nel teatro contemporaneo. Non solo mette in scena un linguaggio con registri alti e bassi, dove il riferimento a momenti alti della cultura dell uomo si accompagnano momenti bassi, come possono esserlo la patta aperta dei pantaloni, o l emissione di scoregge, dove accanto ad una espressione lirica del linguaggio stesso si accompagnano parti molto brevi e sintetiche, piuttosto asciutte e crude. Aspettando Godot crea anche una commistione di stili diversi, dove convivono insieme il burlesco, il drammatico, la commedia e la gag comica. Ma soprattutto, il linguaggio di questo capolavoro beckettiano, rompe con la costruzione drammaturgica razionale e la consequenzialità logica del linguaggio. Passando soprattutto per la scrittura Joicyana, arriviamo alle soglie del teatro dell Assurdo. Beckett, però, a differenza di un Ionesco o di un Pinget, porta agli estremi l oggettivazione dell assurdo, che non ha bisogno di essere motivato nel suo caso, ma che diviene motore principale del suo scrivere. È la messa in scena dell Assurdo, la dimostrazione di una commedia che però si svela non essere tale fino in fondo, poiché tenta disperatamente di calarsi in un ruolo che non può non svelare tutta la sua amarezza di fondo, la tragedia che ne è alla base, ma a cui tende invano, senza risoluzione. La scrittura di Beckett è una scrittura amara, ma allo stesso tempo una scrittura che fa ridere, e di gusto. Assomiglia agli artisti del circo, al clown di H.Boll, in cui dietro la risata c è solo tanta tristezza:per un umanità perduta, per un Attesa

interminabile, senza tempo e luogo, che tragicamente si ripete, continuamente senza soluzione. E se ci pentissimo? Di cosa? Be.(cerca) Non sarebbe proprio indispensabile scendere ai particolari. Di essere nati? (scoppia in una gran risata, che subito soffoca, portandosi la mano al pube, col volto contratto) Proibito anche il riso. Si può solo sorridere. (Il suo viso si fende in un sorriso esagerato, che si cristallizza, dura qualche istante, poi di colpo si spegne) Non è la stessa cosa. Comunque (Pausa). Gogo È una profondità che affiora lentamente. La burla, la risata si trasformano in un istante. Un momento prima il ricordo di Pozzo che getta gli ossi ad Estragone, un momento dopo quest ultimo inveisce contro Allora non venirmi a rompere le scatole coi tuoi paesaggi!parlami del sottosuolo! Non è il vuoto che manca in questa tragicommedia. Ma appunto è il vuoto che la fa da padrone, quell Attesa interminabile, quel desiderio, al di là di ogni possibile reale, che continua a legare l uomo all esistenza. I personaggi vorrebbero dileguarsi, sparire, non esserci, essere inghiottiti da quel vuoto Estragone (guardando l albero) Peccato che non abbiamo un pezzo di corda, percepiscono la drammaticità dell esistere, dell essere umano in attesa, in attesa di non si sa chi o cosa esattamente. Un Attesa interminabile, insostituibile, a cui servono dei diversivi per poterle resistere, ma che allo stesso tempo diviene l unica scelta possibile. ( sentenzioso) A ciascuno la sua piccola croce. (Sospira) Durante il piccolo oggi e il breve domani. E mentre aspettiamo, cerchiamo di conversare senza montarci la testa, visto che siamo incapaci di star zitti. E vero, siamo inesauribili. Lo facciamo per non pensare. Abbiamo delle attenuanti. Lo facciamo per non sentire. Abbiamo le nostre ragioni. Tutte le voci morte. Che fanno un rumore d ali. Di foglie. Di sabbia. Di foglie. 11

Silenzio. Parlano tutte nello stesso tempo. Ciascuna per conto proprio. Silenzio. Direi piuttosto che bisbigliano. Che mormorano. Che sussurrano. Che mormorano. Silenzio. Che cosa dicono? Parlano della loro vita. Non si accontentano di aver vissuto. Bisogna anche che ne parlino.. Come non trovare un legame con la scrittura proustiana, col suo dilungarsi su uno stesso particolare, rivoltandolo attraverso tutte le sue sfumature, sentendone l essenza stessa, nell interminabile descrizione degli oggetti, delle sensazioni, della Madeline, del retrogusto che lasciano le cose dopo averle vissute, mangiate, sentite. Come in Proust anche in Beckett è presente quella descrizione tautologica che accentua momento dopo momento l essenza delle cose e che ne aggiunge significato, in un interminabile piacere dell andare all osso, allo scheletro delle cose. Alla base. Ma mentre per Proust andare all essenza delle cose significa percepirne l aspetto più intimo legato al ricordo, al momento primario della sensazione vissuta e che rimane dentro noi come un aspetto fondante di ogni esperienza successiva, in Beckett questa operazione si manifesta in una manifestazione del pensiero scarnificato, spogliato di ogni sentimentalismo, di ogni relazione personale, oggettivato in una dimensione umana comune, attraverso un linguaggio privato di ogni simbolizzazione. Non siamo in presenza di significati nascosti da scoprire, ma siamo all essenza, al nocciolo. Il linguaggio e la narrazione, persino il pensiero stesso, sono state spogliate dal ricco tessuto che le circondava. Non c è trama, non c è sublimazione, non c è risoluzione del conflitto. Beckett sembra gridare sottovoce siamo quello che siamo. 12

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