Il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale è un principio di grande civiltà, che consente di responsabilizzare personalmente solo sulla base di ciò che si è fatto personalmente, senza la possibilità di subire sanzioni penali per fatti o comportamenti altrui (siano essi datori di lavoro o dipendenti, genitori o figli). Nell età moderna, questo principio si è andato affermando sempre più, in particolare con il liberalismo, il quale ha dato grande rilievo all individuo, dotato di ragione, quale soggetto del diritto, in grado di autodeterminarsi secondo una libera scelta della propria volontà e per ciò stesso imputabile (così è secondo la scuola classica di Francesco Carrara). Nonostante tale affermazione, nel corso del Novecento ed ancora oggi, si assiste soprattutto nelle dittature, ma non solo ad un applicazione di punizioni collettive, soprattutto nei confronti di persone appartenenti gruppi etnici percepiti come nemici, in quanto ritenuti vicini a gruppi terroristici. L unica cosa certa con riferimento a tale principio è che con esso si sia decisamente bandita dal diritto penale italiano ogni e qualsivoglia forma di responsabilità per fatto altrui. Più contrastati sono invece altri aspetti di un tale principio. Fino alla fine degli anni ottanta, infatti, si riteneva che personale non fosse sinonimo di soggettivo; per questo motivo erano considerate costituzionali tutte quelle forme di responsabilità oggettiva presenti nell ordinamento penale. (Il codice penale italiano va ricordato è ancora oggi, pur con tutte le modificazioni intervenute, il vecchio codice Rocco varato nel 1930, cioè nel periodo fascista)
Va chiarito che nella prospettiva penalistica sulla base dell articolo 42, 3 comma, del codice penale per responsabilità oggettiva si intende quel tipo di responsabilità nella quale al soggetto attivo (chi ha commesso l atto incriminato) non si può attribuire alcuna colpevolezza, ossia ogni riferimento psicologico tra l individuo e il risultato; ciò che [ ] si chiama l elemento soggettivo del reato. Quello che unicamente viene considerato, ai fini della responsabilità oggettiva, è il riferimento causale, sul piano materiale, tra il soggetto e il risultato; cioè il fatto che egli ha causato questo risultato che appunto gli viene addebitato solo sul piano oggettivo. Così un evento (ad esempio la morte di una persona) sulla base del quale si aggrava la responsabilità penale (dando vita ai cosiddetti reati aggravati dall evento ) viene addebitato al soggetto non perché questi l ha voluto o previsto, o anche perché avrebbe dovuto prevederlo, ma solo perché l individuo, con la sua condotta (attiva o passiva), ha determinato (sul piano materiale, appunto) la realizzazione di quell evento; tutto ciò senza alcun condizionamento o partecipazione psicologica (= soggettiva) nei confronti di quel risultato. Deve però essere chiaro che, comunque sia, fra l elemento addebitato a titolo di responsabilità oggettiva ed il soggetto vi deve pur sempre essere un rapporto sul piano materiale (= il nesso causale) che, altrimenti, come detto, la responsabilità non sarebbe oggettiva ma del tutto indipendente e non appartenente al soggetto e, dunque, incostituzionale. (Va qui sottolineata la sostanziale diversità che esiste fra la responsabilità oggettiva di rilievo penalistico, e quella civilistica : pur non essendo punibile, il soggetto di cui sopra risulta comunque responsabile sul piano civile) Dunque la responsabilità oggettiva è quella nella quale manca il rapporto psicologico (la colpevolezza) tra soggetto e risultato ma che sempre, però, è addebitata a titolo di fatto e conseguenza propria e non altrui.
Le cose sono però cambiate con la storica sentenza n. 364 del 1988, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell articolo del codice penale in tema di ignoranza inevitabile della legge penale. Il tema della personalità della responsabilità penale si è arricchito, poiché in tale sentenza molti hanno riscontrato considerazioni che parevano ritenere anche il principio di colpevolezza implicito nel dettato costituzionale. In pratica, la Corte Costituzionale, con tale sentenza, ha ritenuto che la piena attuazione del principio di personalità della responsabilità dovrebbe avvenire attraverso il riconoscimento che solo il fatto colpevole possa essere punito; dunque, non sarebbe sufficiente la mera responsabilità oggettiva, ma si richiederebbe una responsabilità anche soggettiva, attribuibile al soggetto non solo sul piano materiale ma anche su quello psicologico. Ciò sulla base di un altro principio presente nello stesso articolo 27 della Costituzione, nel 3 comma: quello della funzione rieducativa della pena : questa finalità non sarebbe perseguibile se, alla base della sanzione inflitta, non vi fosse un addebito di responsabilità anche sul piano psicologico e soggettivo (ciò secondo il noto adagio nullum crimen, nulla poena sine culpa). A partire dalla fine degli anni ottanta, tale cambiamento nell interpretazione dell art. 27, 1 comma ha determinato nell immediato rilevanti interventi legislativi (come la legge n. 19/1990, che ha riformato l articolo 59 del codice penale nel senso di richiedere una imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti) e un diverso orientamento delle sentenze. La tendenza ad un interpretazione soggettivistica del principio di responsabilità personale si è però attenuata in occasione della cosiddetta tangentopoli. In quell occasione si è assistito al rafforzamento delle tendenze penalistiche e giustizialistiche.
La situazione oggi, è quella di una tendenziale divergenza fra il piano teorico e quello giurisprudenziale (della pratica giudiziaria): sul piano teorico prevalgono le interpretazioni che enfatizzano il principio di colpevolezza, ma spesso i giudici, e specie nei casi più eclatanti, tendono ad abbracciare tesi volte a ritenere sufficiente (e costituzionale) la responsabilità oggettiva, senza dover sempre richiedere una forma di colpevolezza per l addebito di responsabilità (vedi il caso di politici ritenuti responsabili, dato il loro ruolo, di illeciti che hanno coinvolto direttamente altri esponenti dei loro partiti) Un altro elemento problematico del 1 comma dell art. 27 riguarda la possibile interpretazione del termine personale. Gli enti collettivi possono avere personalità giuridica, com è noto da tempo. Tuttavia nella storia del diritto non sono mai stati ritenuti possibili soggetti di reato: «Societas delinquere non potest», si diceva. Una tradizione antica vede emergere dal diritto romano, attraverso le sue fonti, l uso del termine persona riferito esclusivamente all uomo singolo. Ma anche quando si delinea un concetto di persona giuridica, ad indicare una capacità di diritto privato riconosciuta ad enti non persone fisiche si esclude pur sempre un azione di responsabilità sotto il profilo penalistico. L art. 27 sembra confermare questa tradizione. Se la personalità della responsabilità penale implica il divieto di ogni forma di «responsabilità penale per fatto altrui», la personalità della responsabilità penale si salda dunque con la persona fisica, in ragione delle sue qualità volitive ed intellettive. Tuttavia, non sono mancate aperture, che nella dottrina, di fronte ad un fenomeno emergente, definito «patologia» o «criminalità d impresa», rimettevano da tempo in discussione l interpretazione dello stesso 1 comma dell art. 27 Cost., correlato con il 3 comma, circa la previsione delle pene, così da superare un possibile sbarramento costituzionale rispetto ad un coinvolgimento della «societas» in termini di «responsabilità». Queste istanze sono state accolte dalla legislatore, che si è collocato al di là di una concezione psicologica della colpevolezza,
concezione improntata al legame psicologico tra fatto ed autore, per accogliere l «idea di una colpevolezza (intesa in senso normativo) come rimproverabilità».