ANSELMO d'aosta

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ANSELMO d'aosta 1033-1109 1. CENNI BIOGRAFICI Nato ad Aosta nel 1033, Anselmo diviene monaco (1060), priore (Bec, Normandia, 1063) ed abate (1078). Nel 1093 succede a Lanfranco come arcivescovo di Canterbury e rimane tale sino alla morte, nel 1109. Si dedica a difendere la chiesa contro le pretese dei successori di Guglielmo il conquistatore. Per due volte è costretto all esilio, fino a che la mediazione papale permette di giungere a un accordo con la monarchia inglese sulla questione dell investitura dei vescovi. Anselmo è innanzitutto un monaco, particolarmente impegnato anche a livello organizzativo e pastorale. È tuttavia anche un maestro, desideroso di mostrare le grandi possibilità della ragione umana per illuminare i contenuti della fede. È, infine, un uomo politico impegnato nella lotta per le investiture. La sua vicenda umana ed intellettuale è assai complessa e si presta a diverse interpretazioni. Talvolta si è individuato in lui un passaggio da una maggior fiducia nella ragione umana a una posizione più nettamente fideistica, altri hanno individuato un evoluzione quasi in senso opposto. Talvolta si è privilegiata, nel suo pensiero, la decisa riproposta della prospettiva agostiniana, vedendolo come l ultimo grande rappresentante di un modo di concepire la ragione umana in analogia con la trinità divina. Altri, invece, hanno visto delinearsi nelle sue opere quei contenuti che saranno caratteristici del nuovo pensiero filosofico e teologico dei secoli XII e XIII, sino addirittura a definire Anselmo il padre della scolastica. Anselmo rappresenta, comunque, una grande affermazione della ricerca razionale. Questa ha, però, un valore religioso e trascendente, l iniziativa è abbandonata a Dio e nello sforzo di accedere alla verità Anselmo vede la progressiva azione illuminatrice della verità stessa. Non cerco di intendere per credere; ma credo per intendere. E anche questo credo: che se prima non crederò, non potrò intendere Questa sua celebre affermazione ci dice che la fede è il punto di partenza: senza di essa non si può capire nulla. La fede però può essere confermata dalla ragione. È, per Anselmo, negligenza non cercare di intendere ciò che si crede. La priorità della fede sulla ragione esprime chiaramente il carattere religioso della ricerca anselmiana. Non a caso, il presupposto della sua prova ontologica (come vedremo) è la fede. La sola fede trasforma in affermazione indubitabile la possibilità di pensare ciò di cui non si può pensare il maggiore. L accordo tra ragione e fede è, per lui, intrinseco ed essenziale. Certo, se apparisse un contrasto bisognerebbe rimettersi alla fede, ma Anselmo crede che un tale contrasto 1

non possa trovarsi. Nonostante ciò, per Anselmo, le verità più profonde permangono sempre nascoste all uomo. 2. IL MONOLOGION Il Monologion, una delle opere maggiori di Anselmo, venne composto tra il 1070 ed il 1078. Anselmo, nel prologo dell'opera, dice di essersi deciso alla stesura di questo testo per l insistenza di alcuni confratelli che gli domandavano di scrivere, come esempio di meditazione, le cose che aveva loro esposto, riguardanti l esistenza di Dio. Sin dall inizio, dunque, si delineano contesto e finalità di un opera della quale è però difficile sottovalutare il rilievo filosofico. Il metodo è adottato esplicitamente: che nulla vi fosse persuaso con l autorità della scrittura, ma tutto ciò che si concludesse fosse dimostrato con argomenti necessari e manifestato apertamente alla luce della verità. Anche il protagonista della ricerca viene subito indicato: uno che discute mentalmente tra sé e ricerca quello di cui prima non si era reso conto. Oggetto del discorso è Dio, ma nei modi in cui può essere compreso da chi ancora non si rende conto. Vi sono, in quest'opera, diversi nuclei tematici: dapprima vengono esposti gli argomenti che conducono ad ammettere l esistenza di un sommo principio, concepito a partire dalla considerazione delle cose create; successivamente, vengono approfondite natura e perfezioni di tale principio; viene quindi chiarita la sua natura trinitaria e l analogia tra tale natura e la mente umana. Solo in conclusione si afferma che tale essere sommo è Dio. Le prove proposte sull esistenza di Dio presenti nel Monologion sono tutte basate sulla considerazione della realtà creata, pertanto le si è tradizionalmente definite "a posteriori". Questo, come vedremo, per mettere in evidenza la differenza rispetto alla prova esposta nel Proslogion, che verrà definita "a priori". Per comprendere meglio il senso delle prove di Anselmo, bisogna dire quali sono le cose che, secondo lui, sono ignorate dal destinatario delle sue argomentazioni: che vi è una natura più alta di tutto ciò che esiste; che tale natura dà a tutte le altre cose l essere; che le fa in qualche modo buone con la sua onnipotente bontà. Questa è la scansione delle prove, anche se viene esposta in modo capovolto, il meglio adatto a convincere qualcuno che ignora tutto ciò, per non averlo udito o per non aver creduto. Il primo argomento si basa su un esperienza comune e naturale, il desiderio di ciò che è buono. Tutti gli uomini, infatti, desiderano ciò che è "buono", ciò che è "bene". Poiché normalmente le varie cose che noi chiamiamo "beni" appaiono tali in modo diseguale (noi giudichiamo, infatti, alcune cose più buone di altre...) e tuttavia vengono reciprocamente confrontati, non possono che essere buoni per partecipazione ad un solo Bene: in effetti Anselmo parte dal presupposto che il bene, la verità, e tutto ciò che è universale, sussista indipendentemente dalle cose e non solo in esse. Le cose sono più o meno buone, presuppongono dunque un Bene assoluto che le misuri. Lo stesso vale per tutto ciò che esiste e per tutto ciò che è perfetto. Deve esistere un Bene sommo, "sommo" perché da null altro trae ragione del suo essere bene. Se così non fosse dovrebbe continuare all infinito la ricerca di un fondamento comune a tutti i beni. Tutto il ragionamento si fonda su due principi della tradizione platonico-agostiniana: le cose non sono uguali in perfezione; tutto ciò che possiede una qualche perfezione, la possiede in virtù di qualcosa che non è diverso nelle diverse realtà, ma è identico. 2

Il medesimo discorso (secondo argomento) viene riproposto in termini più generali, in relazione all essere. Non solo ciò che è buono lo è in virtù del bene massimo, ma tutto ciò che è esiste in virtù di un unico ente. - Il terzo argomento presenta una considerazione ancora più ampia, che riprende il principio applicato nei casi precedenti e sembra esporlo in modo astratto: considera che esistono differenti gradi di perfezione. La ragione mostra chiaramente come esistano cose più perfette di altre, deve dunque esserci una cosa che supera la perfezione di tutte le altre, senza che nessuna la superi. Anche chi non ha udito l annuncio di Cristo, oppure lo ha udito e non ci crede, scopre di poter giungere alla convinzione dell esistenza di una "somma perfezione", che è anche "sommo essere" e "sommo bene". APPROFONDIMENTO SUL MONOLOGION - Basandosi su questo punto fermo, ora Anselmo "indaga molte altre verità". Si sofferma sul tema della creazione dal nulla, riproponendo la concezione agostiniana per cui nulla preesiste alla creazione, eppure nessuno può fare qualcosa se nella sua mente, prima, non c è un modello, una forma, o similitudine o regola, del da farsi. Nella mente della somma natura deve essere presente una idea delle creature, che le precede, in termini non cronologici, ma ontologici. Questa forma delle cose è paragonabile al pensiero che, nella mente dell artefice, precede la creazione dell opera. È una parola interiore, un verbo. Fin da qui si delinea l analogia fra pensiero umano e parola divina. Su questa analogia torna nell ultima parte del Monologion, per chiarire l interno articolarsi della natura somma in spirito, parola e amore che, propriamente, possono venire definiti Padre, Figlio (Verbo) e Spirito Santo, oppure Essere, Sapienza e Bontà. È significativo che la natura umana possa giungere sin qui grazie alle sue sole forze, e che possa farlo analizzando se stessa e le proprie facoltà. La mente umana è a se stessa come specchio, nel quale può vedere riflessa quella realtà che non può vedere faccia a faccia. Siamo qui ai limiti delle possibilità della ragione, e solo ora si afferma che l essere sommo è Dio, Dio unico e trino. Anselmo ha condotto colui che non ha udito o che non ha creduto a scoprire dentro di sé l esistenza di contenuti che avvicinano la fede. Anselmo non ha cominciato a parlare di Dio, ma ha cercato di dimostrare che esiste qualcosa e che questo è ciò che l uomo intende parlando di Dio. - Soggetto al divenire e al tempo, l essere delle cose finite comincia e cessa continuamente e continuamente muta; è perciò un essere approssimativo e stentato, che non può confrontarsi con quello di Dio. A Dio Anselmo riconosce la necessità elaborata dalla scuola araba, a partire da Avicenna. La natura di Dio è tale che non può derivare né da sé né da altro. Essa non dà a se stessa una materia da cui uscire, né altro può darle tale materia. Le proprietà che si affermano di Dio devono esserlo in modo quidditativo, non come qualità: Dio non è giusto o saggio, ma Dio è la giustizia e la saggezza. Non può essere saggio per partecipazione ad una giustizia, ma lui è la saggezza. Dio non ha vita, ma è la vita. Tutte queste qualità non possono sussistere in Dio come un molteplice numerico. La natura divina esclude ogni composizione e non può consistere di parti o aspetti differenti. Le diverse qualità, in Dio, sono identiche fra loro. L essenza di Dio non è sostanza, nel senso che non è soggetto e sostegno delle sue qualità o accidenti. L unica determinazione attribuibile all essenza divina è quella della spiritualità. Nella vita divina non c è successione temporale, tutto è solo presente. Tale sostanza non può subire accrescimenti o diminuzioni. 3

3. IL PROSLOGION Anche l inizio del Proslogion è assai chiaro: Anselmo si chiede se non sia possibile trovare un unico argomento, che da solo e senza bisogno di altro, dimostri che Dio esiste e che è il Sommo Bene. Quello del Proslogion è sicuramente l argomento più famoso e discusso della storia del pensiero occidentale: Dopo Tommaso, Cartesio, Leibniz, Kant e Hegel, ancora oggi è analizzato da filosofi, storici, logici e teologi. La Sacra Scrittura stessa offre lo spunto: Lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste. Anche lo stolto del XIII Salmo, tuttavia, intende ciò che vogliamo dire quando diciamo di credere che Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore. Di fronte a queste parole, lo stolto capisce ciò che ode, e ciò che intende è nel suo intelletto, anche se egli non crede che la cosa intesa esista. Anche chi nega l esistenza di Dio, deve dunque ammettere che nell intelletto vi è una cosa della quale nulla si può pensare il maggiore. Se si ammette l esistenza di questo nell intelletto, né si può farne a meno, bisogna ammettere anche la sua esistenza reale: infatti "ciò di cui non si può pensare il maggiore" se inteso solo mentalmente sarebbe con ciò defraudato di una perfezione: l esistenza reale! Ma ciò che lo stolto sta pensando, "ciò di cui non si può pensare il maggiore", è pensabile anche come esistente, cioè come maggiormente perfetto, cioè si penserebbe qualcosa di maggiore di ciò che definivamo il maggiore. Certamente, ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può essere nel solo intelletto. Giacché se fosse nel solo intelletto si potrebbe pensare che fosse anche in realtà e cioè che fosse maggiore Ma così si giunge a contraddizione: non c è dubbio, quindi, che ciò di cui non si può pensare il maggiore esista anche nella realtà. Detto in altre parole: rifiutando l esistenza extramentale di ciò che, pure, abbiamo inteso, compreso intellettualmente, cadiamo in contraddizione. Un obiezione: se le cose stanno come Anselmo sostiene, non si capisce come sia possibile che qualcuno possa pensare che Dio non esiste. Anselmo ribatte all obiezione dicendo che la parola pensare ha due significati: si può pensare la parola che indica la cosa e si può pensare la cosa stessa. Solo nel primo senso si può pensare che Dio non c è. - Naturali e scontati appaiono ad Anselmo due presupposti su cui il suo argomento, la prova ontologica, si regge: 1. l esistenza reale, extramentale, è più perfetta della sola esistenza mentale; 2. c è una relazione necessaria e stretta fra l ascolto delle parole, la comprensione del loro reale significato, la formazione del concetto, la realtà significata. Questa dimostrazione si pone in continuità rispetto a quelle presentate dal Monologion? Si tratta di un modo diverso di considerare il medesimo oggetto? La differenza sta solo nell unicità di un argomento che si è sostituito a molti? 4

Una differenza è già evidente all inizio dell opera: Dio viene posto fin dall inizio come ciò di cui si vuole dimostrare l esistenza e i caratteri. Il Monologion non cominciava parlando di Dio, ma di Sommo Bene, Sommo Essere, Somma Perfezione... Un altra differenza sta nell identità del protagonista delle due opere. Anselmo dichiara di aver scritto il Proslogion nella veste di chi si sforza di elevare il suo spirito a Dio e cerca di capire ciò che crede. Non è più, dunque, qualcuno che non ha inteso o non ha creduto, ma qualcuno che già crede. Il Proslogion considera il Dio della fede, conosciuto tramite la rivelazione, mentre il Monologion approfondiva quei contenuti che l uomo ha nella propria mente, anche senza saperlo. C è una profonda differenza di metodo: non si parte dalla ragione per dimostrare la ragionevolezza della fede, ma dal dato di fede per approfondirlo tramite la ragione. Non cerco di capire per credere, dice Anselmo, ma credo per capire. Poiché credo anche questo: che se non avrò creduto non potrò capire. È però importante ricordare che tutto questo è reso possibile grazie al percorso già compiuto nel Monologion, dove l uomo ha riconosciuto l analogia fra la sua anima e Dio. Percorso del Monologion: comprensione à à à fede a cui segue il percorso del Proslogion: fede à à à ulteriore comprensione Nel pensiero di Anselmo i due aspetti, quello di fede e quello di ragione, non si possono davvero distinguere. Anzi, in una teoria della conoscenza profondamente agostiniana, la massima realizzazione della capacità conoscitiva implica un pieno coinvolgimento di tutte le facoltà, ovvero memoria, intelligenza e volontà. La dimostrazione che Anselmo propone nel Proslogion è davvero convincente? Nello svolgimento stesso dell opera, emergono alcuni punti che paiono indicare debolezze nella costruzione anselmiana. Nel capitolo 14 Anselmo stesso pare dire che tutto il suo sforzo è destinato alla sconfitta. Dice di aver trovato ciò che cercava, eppure di non sentirlo. Perché l anima mia non ti sente, Signore Iddio, se ti ha trovato? Questa non è necessariamente l indicazione di una sconfitta. Agostinianamente, il punto di arrivo della ricerca non può essere un punto fermo, ma amore e desiderio, un nuovo punto di partenza. A questo punto l uomo conosce i suoi limiti: la tappa conclusiva può essere percorsa solo se Dio prende l iniziativa. Si delinea così nell itinerario anselmiano anche l aspirazione mistica, che non è rinuncia alla ragione, ma suo coronamento ultimo. Non a caso compare immediatamente dopo una nuova definizione: Non soltanto sei colui di cui non si può pensare il maggiore, ma sei anche qualcosa di più grande di tutto ciò che può essere pensato. Questo trascendere le possibilità del pensiero, proprio al termine della ricerca, ripropone, come esito inevitabile, la teologia negativa. Non è allora un punto debole, ma un arricchimento ed un completamento. 5

APPROFONDIMENTO SUL PROSLOGION (NON SONO DA STUDIARE) - Un punto di effettiva debolezza invece si intravede dove Anselmo riprende la prova presentata nel capitolo 2, rovesciandone i termini: È questo ente esistente in modo così vero che non può neppure essere pensato non esistente. Si è discusso se queste parole ripropongano il medesimo argomento o se ne sviluppino un altro. In ogni caso, qui Anselmo vuole risolvere una questione decisiva: se si tiene conto della specie particolare dell esistenza divina, come è possibile che lo stolto creda di pensare ciò (la non esistenza) che non può essere pensato? In questo caso lo stolto in realtà si limita a pensare le parole, come abbiamo detto prima, rinunciando alla vera comprensione intellettuale. Si può pensare la parola che significa, si può pensare la cosa significata: qui lo stolto pensa solo la parola. Si crede di pensare la non esistenza di Dio, ma si pensano solo le parole che negano tale esistenza. Anselmo cerca di giustificare lo stolto del Salmo, ma è proprio questo livello di discussione che verrà usato contro di lui per un rifiuto del suo argomento. - Il monaco Gaunilone infatti, del quale si hanno scarse conoscenze, replica allo scritto anselmiano con una breve ma forte confutazione, comunemente conosciuta come Liber pro insipiente. Gaunilone critica innanzitutto il passaggio dall udire all avere nell intelletto. Posto che il concetto di ciò di cui non si può pensare il maggiore si trovi nell intelletto, esso non può aver avuto origine dalle parole, ma può nascere solo dall intelletto stesso. L ascolto non produce affatto un concetto corrispondente a ciò che si è udito, ma può originare solo una riflessione sulle parole, alle quali non si sa se corrisponda qualche significato. Solo la fede, dice Gaunilone, può condurmi a concludere che Dio non può davvero essere pensato come non esistente. In secondo luogo, Gaunilone attacca il passaggio dall esistere nell intelletto all esistere nella realtà extramentale: posta un idea nell intelletto, per quanto perfetta possa essere, non si può passare, con il solo pensiero, da tale esistenza intellettuale all affermazione di una sua esistenza extramentale. Posto che nell intelletto esista tale concetto, esso può ben essere pensato come non esistente nella realtà. Gaunilone porta un esempio dicendo di poter pensare un isola, un isola dotata di tutta la perfezione, la grazia, la bellezza che un essere umano sia in grado di concepire, ma questa massima perfezione pensata non può in alcun modo portarmi e ritenere che tale isola esista davvero e che, se così non fosse, anche la più brutta delle isole reali sarebbe più perfetta di quella... - Anselmo può ribattere agevolmente al secondo punto, in particolare all esempio dell isola perfetta di Gaunilone che, se non esistesse, qualunque vera isola sarebbe migliore di lei. Anselmo dice che l esempio dell isola non è in alcun modo pertinente, trattandosi di un concetto radicalmente diverso da quello di ciò di cui non può essere pensato il maggiore. L isola perfetta di Gaunilone, infatti, rappresenta una perfezione solo in senso relativo, non in senso assoluto, come avviene invece nel caso di Dio. - Più difficile rispondere alle critiche del primo passaggio. Se si assume che un concetto esiste nella mente solo perché si comprendono le parole con cui viene comunicato, si dovrebbe assumere che nella mente esistono anche tutte le cose fantastiche o assurde draghi, elfi, chimere... purché correttamente e coerentemente descritte. Per evitare la assimilazione fra concetto di Dio e concetto di cose false, dobbiamo ammettere che questo può essere veramente e correttamente pensato solo se si sa già che esiste: la dimostrazione si baserebbe così su ciò che cerca di dimostrare! - La prospettiva di Gaunilone è ancora più chiara riferendosi alla comprensione delle parole di cui Anselmo parla a giustificazione dello stolto del Salmo. Gaunilone ne fa un livello autonomo di conoscenza, entro il quale si esaurisce ogni possibilità di comprendere ciò di cui non si può pensare il maggiore. Unico criterio per conferire portata reale al mondo del pensiero è il criterio dell esperienza, diretto oppure mediato dalla conoscenza del senso delle parole, come accade nel caso della conoscenza di generi e specie. Ma il caso proposto da Anselmo non rientra in queste due possibilità, dunque è solo comprensione di parole. Udendo la formula anselmiana solo delle parole si ha conoscenza, pur sforzandosi di immaginare un qualche rapporto con la realtà. Come colui che non conoscendo il senso della parola udita, deve tentare di fabbricare un significato in base al moto dell animo prodotto dalla parola. 6

Anselmo basa la sua dottrina della conoscenza sull analogia tra anima e trinità divina e sulla forza significativa dei termini con cui il pensiero ripete le cose create. Gaunilone contrappone un modello in cui il concetto viene concepito come caratterizzato dal grado di adeguazione alla realtà. Anselmo si basa su parole della cui forza significativa non si può dubitare, mentre Gaunilone ritiene che i concetti debbano essere rappresentazioni delle cose. La posizione di Gaunilone viene assimilata ad una rinuncia alla razionalità, a quel rapporto tra linguaggio, realtà e intelligenza su cui si fondano conoscenza e fede. 4. PAROLE, PENSIERO, REALTÀ Il tema del rapporto tra linguaggio, pensiero e realtà è un tema fondamentale in Anselmo. Anselmo non cerca di bloccare la discussione con un riferimento dogmatico alla fede, eppure accettare la posizione di Gaunilone significa mettere in pericolo i fondamenti della tradizione entro cui Anselmo si colloca. Dicendo che ciò di cui non si può pensare il maggiore non è pensabile, si dice o che questo non significa Dio, oppure che lo significa e che quindi Dio non è pensabile. Nel primo caso si mette in dubbio la possibilità significativa del linguaggio verbale, garantita dalla fede, nel secondo si mette in dubbio la teoria della conoscenza agostiniana, cui Anselmo aderisce, che si basa sull analogia fra Dio e la mente umana. Sarebbe un fraintendimento interpretare il rapporto fra verità (del concetto) e realtà come adeguazione alla realtà sensibile, come sarà poi inteso dalla scolastica. - Nella sua opera De Veritate, Anselmo affronta la questione della verità della proposizione, definendola inizialmente come corrispondenza ad uno stato di cose esterno alla stessa. Ma attenzione: le cose sono il riferimento per valutare la verità, ma non perché l enunciato debba esaurirsi o riflettersi nelle cose. Per Anselmo non c è dubbio che le sostanze create sono in modo diverso in se stesse e nella conoscenza che ne abbiamo. In se stesse sono per il loro essere, nel nostro sapere non c è il loro essere, ma solo una loro similitudine, una immagine, ma la cosa non finisce qui: Anselmo, infatti, ritiene che ogni sostanza è in modo più vero nel Verbo che in se stessa, poiché è più vero l essere del Creatore che quello del creato. La conoscenza dell uomo percorre questo cammino all inverso: dall atto della mente alle cose, fino al loro significato nel Verbo divino. Il riferimento alle cose di cui Anselmo parla in relazione agli enunciati è una direzione, la direzione dell Essere. Quando la proposizione significa le cose così come stanno svolge pienamente la funzione per cui esiste. In questo riemerge la sacralità della parola nella cultura monastica, in quanto essa ha un compito preciso: permettere all uomo di ripercorrere, nella conoscenza, lo stesso processo creativo del Verbo. Una proposizione è vera quando significa le cose come stanno, significa così in modo retto: si parla di recta significatio. La verità di una proposizione non è che la sua rectitudo. Non sempre però la proposizione è conforme al proprio fine: bisogna dunque distinguere due tipi di significatio. Un conto è quando la proposizione significa ciò che deve, un conto quando significa ciò che le si vuol far significare. La seconda funzione appartiene alla proposizione in generale, indipendentemente dalla sua verità. Essa implica una componente convenzionale, indipendente dalla verità delle cose. - Anselmo non discute qui solo delle proposizioni. Sofferma successivamente la propria attenzione sulla verità del pensiero, della volontà, dell azione e del senso. Ad ogni livello vengono ribadite le caratteristiche di ordine morale. Particolare interesse presenta la considerazione della verità delle cose. 7

Come il fuoco, quando riscalda, compie la propria verità, in quanto ha ricevuto questo compito da colui che gli ha dato l essere, così la proposizione è giorno compie la propria verità quando significa che è giorno, indipendentemente dal fatto che sia o meno giorno; questo infatti le si vuol far significare Il significare è il compito naturale della proposizione, conferitole insieme all esistenza da chi la pronuncia, paragonabile al compito che una realtà naturale riceve dal Creatore. È evidente l analogia fra il dire del Verbo, che è un creare le cose, ed il dire umano, che è pensare (le cose come esse sono) e comunicare. Tutte le cose, in quanto sono, sono ciò che devono essere, sono in modo retto, conformemente all intenzione di ciò che dà loro significato. Secondo l ispirazione agostiniana nulla esiste di falso, il male non ha realtà in sé. - La verità della conoscenza si ha quando la cosa è conosciuta come essa è di fatto. La verità della volontà significa agire secondo il bene, fare ciò che si deve fare. Il fondamento di ogni verità è la verità della cosa, la rectitudo rei. Ma tale verità è a sua volta fondata nella verità eterna che è Dio. Le cose sono veramente quello che sono solo nella mente di Dio, dove sussistono le loro idee esemplari. Dio stesso è dunque la verità assoluta, norma di ogni altra verità. ALTRE PUNTUALIZZAZIONI E APPROFONDIMENTI (NON SONO DA STUDIARE) LA CREAZIONE. Tutte le cose derivano il proprio essere da Dio, dunque per partecipazione. In particolare, come in Agostino e nel Cristianesimo in generale, le cose sono create dal nulla. Diversamente tale materia (di cui le cose sono fatte) dovrebbe venire da sé, il che non è possibile, o da Dio, il che non può darsi perché in essa Dio sarebbe soggetto a corruzione. Dunque le cose derivano dal nulla. Semplicemente: prima il mondo non c era, ora c è. Tuttavia, nella mente del Creatore vi era un immagine di tutte le cose prodotte, ché altrimenti non potrebbero essere state prodotte. Nella mente divina c è il modello o l idea della cosa prodotta. L artefice umano ha bisogno di una materia, Dio no. In entrambi i casi, però, l idea dell opera è una specie di parola interiore. Dio si esprime nelle idee come l artefice nel suo concetto. Dio non solo crea le cose, ma le conserva nell essere, continuando la sua azione. La creazione è continua e da ciò segue che Dio è e deve essere ovunque. Questo certo non vuol dire che egli sia condizionato dallo spazio e dal tempo. LA LIBERTA. Parallelamente alla ricerca della comprensione di Dio, Monologion e Proslogion, Anselmo ne conduce una indirizzata alle possibilità dell uomo di innalzarsi a Dio. Il tema di questa ricerca è la libertà. La libertà suppone due condizioni negative: che la volontà sia libera da ogni costrizione esterna e che sia libera dalla necessità naturale interna, quale è l istinto degli animali. Anselmo però esclude che la libertà, come aveva detto Giovanni Scoto, sia la scelta fra il peccare ed il non peccare. È più libero chi non può perdere ciò che gli giova, di chi lo può perdere. La capacità di peccare non aumenta ma diminuisce la libertà. Il primo uomo ha ricevuto da Dio la rettitudine della volontà, ovvero la giustizia. Avrebbe potuto e dovuto conservarla, e proprio a questo fine gli fu data la libertà, che è la capacità positiva di conservare la giustizia originaria. Questo potere non viene perduto con il peccato, come chi di notte non vede non per questo ha perduto la vista. L uomo può perdere tale rettitudine solo per propria volontà e mai per cause esterne. Chi la perde può riacquistarla solo per dono di Dio. Anselmo, come Agostino, pone uno stretto rapporto tra libertà umana e grazia divina. 8

PRESCIENZA E PREDESTINAZIONE. La prescienza e la predestinazione divina non portano alcun limite alla libertà umana. Dio prevede tutte le azioni future degli uomini, ma ciò non impedisce che queste vengano effettuate liberamente. Dio prevede ciò che avverrà senza necessità. Vi è una duplice necessità, l una precede l effetto e l altra lo segue. Solo la prima è veramente determinante. Una azione libera, una volta verificatasi, ha una necessità di fatto, diciamo a posteriori. Questa necessità non annulla la libertà, sebbene rende possibile la prescienza divina. Considerazioni analoghe valgono per la predestinazione. Dio predestina alla salvezza gli eletti e gli altri sono dannati. La predestinazione però non viola la libertà. La salvezza rimane sempre nelle mani della volontà degli uomini. La predestinazione, come la prescienza, non ha carattere limitante. IL MALE. Come ci sono due specie di bene, la giustizia e l utile, ci sono due tipi di male, l ingiustizia e il danno. Solo l ingiustizia è vero male, ed essa ha una realtà negativa, è solo negazione della giustizia. Il male non ha realtà positiva. Quanto al danno, il male fisico, è anch esso negazione. La cecità è solo privazione della vista. L unico vero bene è la giustizia, che consiste nella conformità della volontà umana a quella divina. Solo a Dio spetta una volontà propria, ovvero non soggetta a nessuno. Gli appetiti sensibili (in particolare il sesso) di per sé non sono né buoni né cattivi. Non il sentirli, ma il consentire ad essi è peccato. La sola origine del male è la volontà stessa. Dio non è causa della volontà cattiva, ma lo è di quella giusta. Il bene deriva tutto dalla grazia, il male dall uomo. Inoltre non c è pena che non sia diretta contro la volontà (cattiva), né chi non ha volontà (animale) può subire una pena. Nel singolo essere umano, solo il peccato originale non dipende dalla volontà propria, ma quella di un altro, Adamo: egli peccò di volontà propria, i suoi discendenti per necessità naturale (essendo, appunto, da lui discendenti!). In Adamo era presente l intera natura umana, dunque in lui peccarono tutti gli uomini. L ANIMA. L uomo è composto di due nature, l anima ed il corpo. La parte più alta, più vicina all essenza, è l anima e precisamente l intelletto. Infatti solo con l intelletto si può conoscere Dio e cercare di avvicinarsi a lui. L anima si pone in analogia con la trinità divina, come diceva anche Agostino. Il fine dell anima è di fatto quello di ricordare, intendere ed amare il sommo bene, e da questo destino deriva la sua immortalità. L immortalità è data anche all anima che disprezza Dio, come atto di giustizia. L anima ingiusta subirà l eterna pena come la buona avrà l eterno gaudio. 9