Cosa s intende per malattie cardiovascolari? Le malattie cardiovascolari sono tutte quelle patologie che colpiscono il cuore e/o i vasi sanguigni. In caso di malattia si verifica una lesione in uno o più distretti a cui non giunge un apporto insufficiente di sangue. Nell'ictus cerebrale il flusso sanguigno si riduce o si interrompe a livello di una zona del cervello; questa parte va incontro a ischemia, ossia a morte cellulare per l'assenza di ossigeno. Nel caso dell'infarto cardiaco il problema di flusso è localizzato in uno dei vasi deputati a portare il sangue alle pareti del cuore, le coronarie. Altre patologie cardiovascolari hanno cause diverse: le malformazioni cardiovascolari congenite sono, per esempio, situazioni in cui il cuore o i vasi non si sono sviluppati correttamente durante la vita fetale. Il rischio di andare incontro a infarto è uguale per uomini e donne? No, non è lo stesso. Infatti il sesso è uno dei fattori di rischio. Negli uomini la stima dei casi prevalenti nel 2000 è stata di 220.000 casi nella fascia di età compresa fra 25 e 74 anni, con il verificarsi di circa 90 nuovi casi al giorno; nelle donne sono stati stimati un po' più di 39.000 casi l'anno, pari a 30 nuovi casi al giorno. Questa differenza deriva da molteplici ragioni la più importante delle quali è l'effetto protettivo esercitato dagli ormoni femminili, gli estrogeni, su cuore e vasi. Il rischio cardiovascolare delle donne risulta, inferiore a quello degli uomini fino alla menopausa e, dopo un periodo di latenza, si ha un aumento relativamente brusco. Il diabete nelle donne annulla l'effetto protettivo degli ormoni, pertanto in caso di diabete il rischio si avvicina a quello degli uomini non diabetici.
Quali sono i principali fattori di rischio? I fattori di rischio per le malattie cardiovascolari sono molteplici e di varia natura. Ci sono fattori non-modificabili, ad esempio la familiarità, l'età, il sesso. Ma esistono anche fattori importanti definiti "modificabili" per sottolineare che con degli interventi esterni è possibile attenuarne la gravità, riducendo così la probabilità di ammalarsi. In questa categoria rientrano le abitudini comportamentali collegabili allo stile di vita come il fumo di sigaretta, una scarsa attività fisica e un'alimentazione scorretta. Una dieta non equilibrata può condurre, infatti, all'obesità, al diabete, a valori elevati del colesterolo che, insieme all'ipertensione arteriosa, costituiscono i principali fattori di rischio biologici. Che ruolo ha la prevenzione nella lotta alle malattie cardiovascolari? La prevenzione, basata sul controllo dei fattori di rischio, resta l'arma più valida per combattere questo tipo di patologie che, quando si presentano, lo fanno in modo improvviso ed inatteso, e spesso la vittima non viene adeguatamente soccorsa perché l'evento normalmente si verifica fuori dall'ospedale. La mortalità fuori ospedale rappresenta, infatti, circa il 30% di tutta la mortalità, ed è in gran parte dovuta ad arresto cardiaco, che avviene entro la prima ora dall'esordio dei sintomi. In termini di sopravvivenza, il ritardo nel trattamento deve quindi considerarsi un vero e proprio fattore di rischio. In questo senso dunque prevenire rimane l'arma migliore per difendersi.
A quale età iniziare i controlli per il rischio di malattie cardiovascolari? L'età dipende dalla storia familiare dell'individuo. La raccomandazione è quella di tenere sotto controllo i fattori di rischio fin da giovane età. Gli esami clinici importanti a cui sottoporsi sono semplici, poco costosi e alla portata di tutti: la misura della pressione arteriosa, la colesterolemia, l'hdl colesterolemia, il peso e l'altezza. Quante persone vengono colpite? Attualmente il peso complessivo delle malattie cardiovascolari sul totale dei decessi è pari al 44%, di cui il 30% sono dovuti all'infarto del miocardio e il 31% all'ictus. Nei paesi industrializzati come l'italia le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte: ogni anno 36 mila persone muoiono per infarto acuto del miocardio. Che cosa si intende per "soffio al cuore"? Si parla di soffio al cuore quando, auscultando il cuore, tra il I e il II tono o tra il II e il I tono invece di silenzio si apprezza un rumore di soffio. Esso può essere causato dal sangue che passa per esempio in una valvola ristretta (stenosi aortica, mitralica, ecc) oppure che invece di progredire in avanti ritorna indietro attraverso una valvola insufficiente (insufficienza aortica, mitralica, ecc). In realtà la maggior parte dei soffi non ha un corrispettivo anatomico, cioè non indica alcuna patologia; in altri casi, invece, la presenza del soffio indica una patologia non cardiaca. Per esempio in corso di anemia o di ipertiroidismo il flusso sanguigno aumenta notevolmente e ciò può provocare un rumore di soffio. Spesso la diagnosi di patologia o di "benignità" può essere fatta con la semplice visita cardiologica; nei casi dubbi, o in ogni caso per conferma, un esame ecocardiografico è sempre diagnostico.
In caso di pregresso infarto miocardico si può svolgere attività fisica e di che tipo? Un'attività fisica regolare e adeguata alle condizioni fisiche generali dell'individuo rappresenta un aspetto positivo che può contribuire, una volta superata la fase immediatamente successiva all'infarto, allo sviluppo di un programma globale di riduzione del rischio cardiovascolare. È stato dimostrato, infatti, che un'attività fisica svolta in maniera regolare e costante protegge il cuore da rischio di altri infarti o di altri eventi pericolosi per la vita. Ovviamente il tipo e l'entità dell'esercizio fisico devono essere valutati caso per caso con il proprio medico curante: soggetti che abbiano avuto un precedente infarto ma che sono in condizioni di salute relativamente buone e i cui parametri cardiovascolari risultino rassicuranti, possono svolgere la propria attività in ambiente non controllato (a casa, piuttosto che al parco, ecc.); per i soggetti con un precedente infarto e che, invece, il medico giudichi in condizioni tali da richiedere una supervisione esperta e costante è consigliabile un'attività fisica maggiormente controllata e monitorata in ambiente idoneo. L'attività fisica è importante perché aiuta il paziente a riprendere a vivere dopo il trauma non solo fisico ma anche emotivo e psicologico dell'infarto e può rappresentare un incentivo per modificare i fattori di rischio eventualmente presenti, quali, ad esempio il sovrappeso. L'esercizio fisico deve essere incoraggiato perché facilita il ritorno ad un auspicabile livello di attività, diminuisce lo stato di ansietà, fornisce una prova dell'adeguatezza della terapia medica a cui si venga sottoposti, aumenta i livelli di colesterolo buono HDL e riduce i valori di pressione arteriosa.
Esiste una riabilitazione in seguito a infarti o interventi? L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha infatti definito la riabilitazione cardiologica come la messa in atto di tutte quelle misure in grado di riportare un malato di cuore alle condizioni fisiche, mentali, sociali, le migliori possibili, compatibili con la sua malattia. I potenziali candidati ad una tale terapia sono quindi, teoricamente, tutti i malati di cuore. La riabilitazione cardiologica è una terapia che comprende diverse fasi. La prima fase inizia già in UCIC, con gli esercizi attivi e passivi a letto, e termina prima della dimissione con l'effettuazione di una prova da sforzo, eseguita generalmente dopo 8-12 giorni. La seconda fase, di convalescenza, inizia a domicilio, ove il paziente, secondo un programma individuale, aumenta progressivamente l'attività fisica. Dopo circa 20 giorni viene sottoposto ad una nuova prova da sforzo e a tutti quegli accertamenti che si rendano necessari per una migliore valutazione delle condizioni cardiocircolatorie. A questo punto, presso il Centro di Riabilitazione viene eseguito un programma di ricondizionamento fisico, di educazione sanitaria e dove necessario anche un trattamento da parte dello psicologo. La terza fase, di mantenimento, deve essere proseguita per tutta la vita.
Quali sono i metodi per scoprire se rischio di ammalarmi di cuore? Se non ha mai avuto problemi e/o sintomi cardiaci, la prova da sforzo non è sicuramente il metodo migliore per determinare il rischio: essa può rilevare infatti soltanto stenosi coronariche significative. Invece, oggi esistono metodi più moderni per scoprire se si è un soggetto a rischio di cardiopatie. Tramite prove speciali effettuate sul sangue, per esempio, è possibile predire il rischio cardiaco. Recentemente si è parlato molto del cosiddetto Ultrafast CT, un indicatore in grado di rilevare la formazione di placche nei vasi del cuore. I farmaci che riducono il colesterolo possono impedire gli attacchi di cuore? Gli studi degli ultimi 20 anni hanno dimostrato che i farmaci che riducono il colesterolo possono impedire gli attacchi di cuore e ridurre effettivamente il tasso di mortalità nella popolazione ad alto rischio. Ecco perché nei pazienti cardiopatici è necessario utilizzare questi farmaci. La scelta non è altrettanto immediata in persone che non abbiano sofferto di attacchi di cuore. Tuttavia, uno studio recente ha indicato che in individui non sofferenti di cuore, trattati con questi farmaci per cinque anni, si è registrata una riduzione degli eventi cardiaci rispetto alla popolazione non trattata. Di conseguenza, se si trova in una classe di rischio medio-alta ed il Suo tasso di colesterolo è elevato, probabilmente potrà trarre beneficio dalla terapia. Il Suo medico La aiuterà a prendere una decisione in materia.