Atto / Act Marina Sbisà

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Transcript:

Atto / Act Marina Sbisà A volte, nel nostro parlare quotidiano, contrapponiamo il fare al semplice dire. Ma se riflettiamo sugli usi del linguaggio, risulta chiaro che spesso parlare serve a fare delle cose: il linguaggio gioca un ruolo importante nell azione collaborativa, permettendoci di ottenere vari tipi di effetti sui nostri interlocutori, e contribuisce alla formazione e alla gestione delle relazioni sociali. Appare perciò naturale chiedersi se e come l idea del fare possa, o persino debba, applicarsi al linguaggio. La linea di riflessione filosofico-linguistica e pragmatica nota come teoria degli atti linguistici ha sostenuto due tesi principali riguardo al rapporto fra linguaggio e azione. Tesi (i): Proferimenti di enunciati di ogni tipo possono essere considerati come atti. Tesi (ii): È possibile distinguere diversi sensi in cui il proferimento di un enunciato costituisce o comporta l esecuzione di un atto e in particolare bisogna distinguere ciò che un enunciato dice (il suo significato ) da ciò che viene fatto nell usarlo (la sua forza ). La Tesi (i) era già presente nel pensiero di Wittgenstein, in particolare nella proposta, da lui avanzata nella seconda fase della sua riflessione filosofica, di considerare il linguaggio come costituito da attività rette da regole o giochi linguistici. Si deve a John L. Austin di aver sottolineato il carattere operativo del linguaggio, introducendo il termine performativo [performative] per indicare quegli enunciati dichiarativi che, proferiti in circostanze appropriate, non sono resoconti o descrizioni, ma esecuzioni di atti quali il battesimo ( Battezzo questa nave Anita Garibaldi ) o la pro-

30 MARINA SBISÀ messa ( Prometto che domani sarò puntuale ). Austin sosteneva anche che tutti gli enunciati che proferiamo possono essere riformulati come enunciati performativi e che la funzione di tali riformulazioni è rendere esplicito quale atto viene compiuto nel proferire l enunciato. È da notare che per la teoria degli atti linguistici non compiamo atti solo proferendo enunciati di carattere rituale come nel caso dei battesimi o delle nomine o delle scuse, e neppure solo proferendo enunciati non dichiarativi che non possono essere valutati veri o falsi, come nel caso degli ordini o dei consigli o delle promesse, ma anche proferendo enunciati dichiarativi, come nel caso delle affermazioni o asserzioni. La Tesi (ii) si ispira alla distinzione tracciata da Gottlob Frege fra la proposizione (il pensiero espresso da un enunciato dichiarativo o interrogativo) e il giudizio che la proposizione è vera (che converte la proposizione in asserzione), cioè la forza assertoria. Austin ha esteso l applicabilità della nozione di forza a ogni tipo di enunciati, distinguendo il significato locutorio di un enunciato, ciò che esso dice, dal modo in cui l enunciato è usato, cioè la sua forza illocutoria, segnalata da indicatori linguistici che includono i verbi performativi, il modo, i verbi modali, i connettivi, certi avverbi, l intonazione o la punteggiatura. John Searle ha ulteriormente riformulato questa distinzione come una distinzione fra la forza illocutoria di un enunciato e il suo contenuto proposizionale. Si noti che Austin ha costruito il termine illocutorio [illocutionary] derivandolo da in + locutorio [locutionary]: la forza illocutoria di un enunciato corrisponde all atto che viene compiuto nel proferirlo. L individuazione della forza come un livello specifico del significato complessivo dell atto linguistico ha permesso di costruire un quadro teorico entro cui analizzare ciò che facciamo quando parliamo. I parlanti, nel proferire enunciati, eseguono atti illocutori in quanto esistono procedure convenzionali socialmente accettate, finalizzate a ottenere certi effetti convenzionali, che prevedono l uso di enunciati di quel tipo in circostanze appropriate. Un primo tipo di analisi che si rende possibile è quindi l esplorazione dei requisiti per l esecuzione di atti illocutori, cioè, delle loro condizioni di felicità o di riu-

ATTO / ACT 31 scita, nonché di ciò che accade quando tali requisiti non sono soddisfatti (le infelicità ). Un secondo tipo di analisi che è stato praticato ancor più largamente riguarda la classificazione o tipologia degli atti illocutori. Tra le classi che sono state proposte, in quadri classificatori per certi aspetti in competizione fra loro, vi sono i verdettivi (atti di giudizio), gli assertivi (che impegnano il parlante alla verità di una proposizione), gli esercitivi (che comportano l esercizio di un autorità), i direttivi (tentativi di far fare qualcosa al destinatario), i commissivi (che impegnano il parlante a una linea d azione), gli espressivi (che esprimono stati interiori). Si noti che classificare gli atti illocutori richiede preliminarmente di distinguerli sia da attività linguistiche appartenenti al livello locutorio oppure proposizionale, sia dagli atti che vengono compiuti per mezzo del parlare (anziché nel parlare), cioè gli atti perlocutori (quali persuadere, o indurre qualcuno a fare qualcosa, o mettere all erta, dissuadere, ecc.), che consistono nell ottenimento di effetti materiali anziché convenzionali. Una terza area d interesse è rappresentata dalle strategie linguistiche che possono essere usate in contesti situazionali o culturali diversi per eseguire atti illocutori di un tipo dato. L evoluzione della teoria degli atti linguistici ha ridimensionato il ruolo giocato nell analisi degli atti linguistici dalle convenzioni, enfatizzando quello delle intenzioni del parlante. Si è diffusa la tendenza a pensare alla maggior parte degli atti linguistici come atti il cui effetto è costituito dal riconoscimento da parte dell ascoltatore dell intenzione comunicativa del parlante. Spesso si ritiene che le intenzioni del parlante determinino quale atto linguistico viene compiuto, e il compito dell ascoltatore viene ridotto al cogliere correttamente queste intenzioni. Credo che questo sia un limite della teoria, perché non lascia spazio a risultati collaborativi nè a negoziazioni fra i partecipanti riguardo a ciò che stanno facendo. Se invece si concede un ruolo attivo all ascoltatore, si può vedere più chiaramente che cosa significa sostenere (con Austin) che gli atti illocutori hanno effetti convenzionali : parlante e ascoltatore convengono implicitamente riguardo all atto che conterà come eseguito dal parlante nel proferire il suo enunciato.

32 MARINA SBISÀ Un altro serio limite della teoria è il fatto che concentra la sua attenzione su enunciati della dimensione di una frase completa: ne consegue la difficoltà a trattare turni conversazionali, sequenze conversazionali, e testi. I parlanti fanno e intendono fare davvero qualcosa di definito in ciascuna delle frasi che pronunciano, e soltanto se pronunciano una frase completa? Non sembra che le cose stiano così. Rimane vero tuttavia che, man mano che il discorso procede, lo status di ciascun partecipante viene in parte confermato e in parte modificato. C è tutta una gamma di attività umane connesse con la gestione e la calibratura delle relazioni interpersonali, che comportano l assunzione di impegni, l assegnazione e l eliminazione di diritti e di autorizzazioni oppure di obblighi, la legittimazione di aspettative, e via dicendo. Credo che i fenomeni appartenenti a quest ambito possano ancora essere fruttuosamente indagati prendendo ispirazione dalla teoria degli atti linguistici, nel quadro di una concezione del linguaggio che connetta strettamente linguaggio e azione ma eviti alcune ipersemplificazioni filosofiche. (Cfr. anche agentività, intenzionalità, partecipazione, performatività, potere, relatività, turno, verità). Bibliografia Austin, John L., 1962, How to Do Things with Words, Oxford, Oxford University Press; trad. it. 1987 2, Come fare cose con le parole, Genova, Marietti. Bach, Kent, Harnish, Robert M., 1979, Linguistic Communication and Speech Acts, Cambridge, Mass., MIT Press. Blum-Kulka, Shoshana, House, Juliane e Kasper, Gabriele, a cura, 1989, Cross-cultural Pragmatics: Requests and Apologies, Norwood, NJ, Ablex. Caffi, Claudia, 1999, On Mitigation, «Journal of Pragmatics», 31, pp. 881-909. Mey, Jacob, 1993, Pragmatics, Oxford, Blackwell. Sbisà, Marina, 1984, On Illocutionary Types, «Journal of Pragmatics», 8, pp. 93-112.

ATTO / ACT 33 Searle, John, 1969, Speech Acts, Cambridge, Cambridge University Press., trad. it. 1976, Atti linguistici, Torino, Boringhieri. Searle, John, 1979, Expression and Meaning, Cambridge, Cambridge University Press. Streeck, Jürgen, 1980, Speech Acts in Interaction: a Critique of Searle, «Discourse processes», 3, pp. 133-54. Tsohatzidis, Savas L., a cura, 1994, Foundations of Speech Act Theory, London, Routledge.