L INGEGNOSA ARCHITETTURA FINANZIARIA DELLA TAV Applicabile a tutte le grandi opere



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Grandi opere Alta velocità ferroviaria L INGEGNOSA ARCHITETTURA FINANZIARIA DELLA TAV Applicabile a tutte le grandi opere di Ivan Cicconi Secondo il Ministro Lunari, il pilastro fondamentale del modello TAV è il «general-contractor». Presentato come figura quasi taumaturgica per risolvere il problema dell'efficacia ed efficienza nella realizzazione delle grandi infrastrutture, grazie a questo straordinario soggetto economico in Europa e nel mondo - sempre secondo il testimonial del Cavaliere - si realizzano presto e bene le grandi opere. Proviamo dunque a vedere che cosa effettivamente sia questo pilastro. Diciamo subito che il richiamo al «general-contractor» come figura tipica delle esperienze di altri paesi non ha alcun significato, né giuridico, né economico. La definizione letterale sta solo a significare che stiamo parlando di un soggetto economico che è «interlocutore unico», responsabile e, dunque, «contraente generale» di tutte le attività ad esso affidate da un committente attraverso un «contratto» con il quale sono definite le prestazioni ed i risultati attesi. Quello che dunque «rileva», come dicono i giuristi, non è la definizione letterale del soggetto, bensì il contenuto delle prestazioni, delle attività, dei risultati attesi che, con il «contratto», il committente acquista ed affida al contraente. Nel nostro ordinamento la figura tipica di contraente generale, unico ed autonomo, responsabile dell'esecuzione del contratto ad esso affidato, è 1'«appaltatore». Il nostro codice civile, con l'articolo n. 1655, ne da una definizione indiretta attraverso la definizione del contratto di appalto: «L'appalto è il contratto col quale una parte

assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro». Ora, come è ovvio, il contenuto della prestazione definita dal contratto di appalto muta di volta in volta. L'efficacia e la qualità del risultato dell'affidamento, dal punto di vista del committente, dipende esclusivamente dalla chiarezza con la quale sono definite le prestazioni richieste all'appaltatore e dagli strumenti, a disposizione del committente, atti a consentire la verifica della conformità delle attività realizzate con quelle pattuite e descritte dal contratto. È del tutto evidente che, tanto più queste due condizioni sono definite, tanto più il committente è garantito sul risultato. Al contrario, tanto più queste sono generiche, tanto più è l'appaltatore (contraente generale, responsabile «unico» ed «autonomo») ad avere condizioni migliori per sfruttare a suo favore (legittimamente) l'indeterminatezza dell'oggetto del contratto e degli strumenti di controllo. È dunque il «contenuto del contratto» a definire, non solo l'efficacia e la qualità del risultato, ma anche le caratteristiche del soggetto economico contraente e le condizioni di interesse oggettivo e soggettivo con le quali questi sarà chiamato ad operare. Le direttive europee, con riferimento agli appalti di lavori pubblici, propongono una definizione del tutto analoga a quella del nostro codice civile. Occorre inoltre precisare che, non a caso, sia nel codice civile, che nelle direttive, le definizioni attengono non ai «soggetti» contraenti, bensì agli «oggetti» della contrattazione. In altri termini le definizioni attengono al «contratto» e non al contraente dello stesso. La direttiva europea di riferimento è la 93/37/CEE. Il contratto di appalto di lavori pubblici è definito, all'articolo 1, in modo puntuale nei seguenti termini: «Gli appalti pubblici di lavori sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore ed una amministrazione aggiudicatrice, aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, l'esecuzione e la progettazione di lavori, oppure l'esecuzione, con

qualsiasi mezzo, di un 'opera rispondente alle esigenze specificate dalla amministrazione aggiudicatrice». Nella legge per le grandi opere, la cosiddetta legge obiettivo, viene fatto esplicito riferimento proprio a questa definizione per motivare l'introduzione della figura del "contraente generale" nel nostro ordinamento. Nella stessa relazione di presentazione del decreto legislativo del Ministro Lunardi che dà attuazione alla delega del governo, sul punto, la direttiva viene pure richiamata in modo ancora più esplicito: «(..) la riforma introduce la nuova figura del contraente-generale. Il contraente generale, pur essendo previsto espressamente dalla direttiva europea 93/37/CEE, costituisce, nel nostro ordinamento, una novità sul piano legislativo». Sulla presunta novità si dirà successivamente, mentre quello che occorre subito evidenziare è che nella direttiva richiamata (sia nelle premesse, che in tutto l'articolato e in tutti gli allegati tecnici) non vi è MAI né la definizione, né alcun accenno, ad un soggetto economico definito «contraente-generale» o «general-contractor» che dir si voglia. Affermare, come fa il Ministro, che la direttiva prevede ESPRESSAMENTE questa figura è una clamorosa invenzione e comunque non corrisponde a verità. Secondo quanto sostenuto nella stessa relazione, nella direttiva vi sarebbe tale aggancio in virtù di una locuzione contenuta nella definizione dell'appalto di lavoro pubblico già citata: «... l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera...». Da questa locuzione si estrae e si motiva il ruolo e le prestazioni affidate al contraente generale e definite con il D.L. 190/2002. Dice infatti il Ministro: «La norma chiarisce, in armonia con la disciplina europea, che il contraente generale è un costruttore di opere (civilisticamente, un appaltatore di opere) che peraltro, a differenza dell'appaltatore di lavori pubblici regolato dalle leggi attuali, può realizzare l'opera ad esso affidata con qualsiasi mezzo, cioè anche subaffidandola in tutto o in parte a terzi dallo stesso prescelti e coordinati e che, inoltre, deve rendere al proprio committente i

servizi collaterali (progettazione, acquisizione aree, rapporti con i terzi ed indennità agli stessi) necessari alla realizzazione integrale dell'opera a partire dal progetto, anche preliminare, redatto dal committente». La motivazione addotta scivola inevitabilmente in una pura e semplice «tautologia». In apertura si afferma l'armonia con la disciplina europea e dunque il contraente generale viene, inevitabilmente, qualificato come un «appaltatore di opere», individuandone la differenza con un «appaltatore di lavori» per il fatto che può realizzare l'opera «con qualsiasi mezzo» e dunque (?) nella «libertà» di subaffidare tutte le attività necessarie a chi vuole e come vuole. Intanto, occorre precisare, che stiamo sempre e solo parlando della definizione del contratto di appalto e, proprio perché questa è rivolta all «oggetto» della contrattazione, e non al soggetto contraente, è su questo che la direttiva cerca di essere precisa. La definizione parte con il riferimento all'oggetto specifico e generale (i lavori). L'inciso, con qualsiasi mezzo, è ancora chiaramente riferito all'oggetto che, in questo caso (l'opera), è diverso dalla definizione generale (i lavori) e dunque non evoca alcun nuovo soggetto. Non è un caso, infatti, che sempre nello stesso articolo 1 della direttiva, dopo che al comma a) si definiscono gli appalti pubblici di lavori, al comma e) si dia proprio la definizione di un'«opera» alla quale, appunto, ci si riferisce nell'inciso dell'esecuzione con ogni mezzo: «Si intende per opera il risultato di un insieme di lavori edilizi di genio civile che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica». Quello che dunque occorre evidenziare è che la coerenza o meno con la direttiva europea non può essere data dal riferimento ad una locuzione, contraente-generale, tanto generica quanto, comunque, tipica del contratto di appalto. Nella direttiva europea la definizione dei contraenti è data solo indirettamente dalla tipizzazione dei contratti, per i quali evidenzia due caratteri essenziali: 1'«oggetto della prestazione» richiesta al contraente ed il «corrispettivo» che l'amministrazione gli corrisponde.

Quello che incide, ai fini della coerenza o meno della legge obiettivo con la direttiva, è il contenuto del contratto (e dunque del «corrispettivo» a fronte delle «prestazioni» richieste). I contratti previsti e definiti dalla direttiva sono solo due: il contratto di «appalto» e quello di «concessione». Del primo abbiamo già visto la definizione, del secondo, sempre all'art. 1, la direttiva ne da una definizione pure precisa ed inequivocabile: «La concessione di lavori pubblici è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a), ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo». Secondo la direttiva, dunque, la differenza fondamentale è data dalla «controprestazione» offerta al contraente dal committente. Nel caso dell'appalto questa è un «prezzo», che copre in toto il costo necessario alla realizzazione dell'opera. Nel caso della «concessione» la controprestazione consiste «nel diritto di gestire l'opera». La differenza non è solo formale, ma ha implicazioni decisamente rilevanti proprio sul piano degli interessi che il contraente può tutelare nel contratto di «appalto» (un «prezzo» come corrispettivo) o nel contratto di «concessione» (il «diritto di gestire» l'opera come corrispettivo). La definizione del contraente generale, data dalla legge obiettivo, ci propone invece un soggetto assolutamente ibrido per il quale l'oggetto del contratto corrisponde a quello della concessione, mentre il corrispettivo è esattamente quello dell'appalto: «... Il contraente generale è distinto dal concessionario di opere pubbliche per l'esclusione della gestione dell'opera eseguita». La definizione generale e vincolante della legge obiettivo è quella di un CONCESSIONARIO con l'esclusione della GESTIONE dell'opera, una evidente e palese contraddizione in termini ed in chiaro contrasto con le definizioni di appalto e di concessione contenute nella direttiva. Tale definizione è stata tradotta e precisata dal primo decreto attuativo, il D.L. 190/2002, in termini ovviamente conseguenti: «Il contraente generale provvede: allo sviluppo del

progetto definito ed alle attività tecnicoamministrative occorrente al soggetto aggiudicatore per pervenire alla approvazione dello stesso da parte del CIPE, ove detto progetto non sia stato posto a base di gara; alla acquisizione delle aree di sedime: la delega di cui alil art. 6 comma 8 del DPR 8 giugno 2001 n. 237, in assenza di un concessionario, può essere accordata al contraente generale; alla progettazione esecutiva; alla esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori ed alla loro direzione; al prefinanziamento, in tutto o in parte, dell'opera da realizzare; (...)». Stante la definizione dei compiti del contraente-generale, e la possibilità di affidare a questi tutti i poteri del concessionario, si realizza una situazione che, con tutta evidenza, è particolarmente conveniente solo dal lato del contraente generale. Stiamo infatti parlando di un soggetto economico al quale il committente garantisce il 100% del corrispettivo necessario alla progettazione e realizzazione, dunque un appaltatore, ma al quale vengono affidati anche tutti i compiti e poteri tipici del concessionario. Un soggetto economico che somma i poteri del «concessionario» senza alcun rischio ed il ruolo dell'«appaltatore» totalmente retribuito per le attività chiamato a svolgere. La contraddizione è rilevante non solo sul piano formale, ma proprio e soprattutto sul piano economico e contrattuale. Nel contratto di appalto, le funzioni del committente sono in capo all'amministrazione aggiudicatrice, mentre nel contratto di concessione tutte le funzioni del committente si trasferiscono in capo al concessionario. Il trasferimento di queste funzioni hanno però un senso se, e solo se, il concessionario si assume il «rischio» di recuperare, in toto o in parte, l'investimento necessario per realizzare l'opera attraverso la «gestione». In questo caso, invece, abbiamo un concessionario-committente-esecutore privato, garantito totalmente dal finanziamento pubblico dell'opera fino

al 100% del costo, con, dice la legge, l'esclusione della gestione dell opera eseguita. Sulla presunta «novità» della definizione nel nostro ordinamento del contraente generale, non si può che esprimere il dubbio che il Ministro abbia vissuto gli ultimi decenni chissà dove. Al di là del nome attribuito al soggetto economico, di figure analoghe, caratterizzate da ruoli simili, o addirittura coincidenti, la storia del nostro Paese è infatti semplicemente ridondante. Le attività svolte ed i poteri trasferiti con leggi e concessioni alle «Aziende di Stato» e/o a «Partecipazione Statale» sono state esattamente quelle oggi attribuite al contraente-generale. Un esempio per tutti: Italposte Spa, azienda di diritto privato con capitale tutto pubblico, ha esattamente svolto il ruolo di concessionario dello Stato senza alcuna responsabilità sulla gestione degli uffici postali. Sia l'oggetto della «prestazione» che il «corrispettivo» erano esattamente quelli oggi previsti dalla legge obiettivo. Ma, non solo nella prassi delle aziende di Stato (come Italstat spa, Autostrade spa, Italstrade spa, ecc.), anche sul piano strettamente «normativo», il contraente-generale, così come oggi definito, aveva avuto un precedente assolutamente identico. Le funzioni affidate dalla legge obiettivo al nuovo soggetto sono, infatti, esattamente quelle che il legislatore definì nel 1987 con la legge n. 80: «Norme straordinarie per l'accelerazione dell'esecuzione di opere pubbliche». Come, del resto, esattamente sovrapponibili sono le motivazioni che all'epoca furono addotte. L'unica differenza rintracciabile è data solo dalla «previsione straordinaria» che il legislatore nel 1987 ravvisava nella norma, derivante dalla consapevolezza della forzatura che operava sia rispetto alle direttive europee, sia rispetto ad una corretta previsione contrattuale. Per quanto riguarda il contenuto delle funzioni attribuite, la coincidenza è invece assolutamente piena. La legge 80/87 prevedeva: «... per un periodo non superiore a tre anni dall entrata in vigore della presente legge, di affidare

in concessione unitariamente con la procedura stabilita al successivo art. 3, la redazione dei progetti, le eventuali attività necessarie per l'acquisizione delle aree e degli immobili, l'esecuzione delle opere e la loro eventuale manutenzione ad imprese di costruzione, loro consorzi, e raggruppamenti temporanei». Il valore straordinario (forzato) della norma, e cioè la concessione senza gestione, consigliò infatti di stabilirne una durata limitata nel tempo (tre anni). A proporre tale norma, come abbiamo già visto, fu il Ministro dei Trasporti dell'epoca, con l'esplicita motivazione di utilizzare tale procedura per affidare i contratti per la realizzazione delle infrastnitture per il Treno ad Alta Velocità. I contratti con i general-contractor erano definiti, con la legge 80/87, delle «concessioni di progettazione e costruzione» con l'esplicita esclusione della gestione; esattamente identici dunque all'affidamento a contraentegenerale, definito dalla legge 443/2001 come «... concessionario con l'esclusione della gestione». Fonte: Ivan Cicconi, Le grandi opere del Cavaliere, Koinè nuove edizioni, 2004.