DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE (da n. 278/2007 a n. 287/2007) CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 278/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Istruzione pubblica Graduatorie permanenti Principio di uguaglianza, principio del buon andamento della P.A., diritto al lavoro Carenza di motivazione sulla rilevanza, genericità del petitum Manifesta inammissibilità. Il Tar della Campania dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7 bis, D.L. 7 aprile 2004, n. 97 (Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2004 2005), come modificato dalla legge di conversione 4 giugno 2004, n. 143 nella parte in cui concede il beneficio dello slittamento del termine ultimo per la maturazione dei requisiti di servizio, ai soli concorrenti ammessi con riserva ai concorsi banditi dal Ministero dell istruzione. La disposizione censurata avrebbe previsto un beneficio per l'accesso alle graduatorie permanenti in favore di una sola e determinata categoria di docenti, in violazione del principio di uguaglianza. Il sistema di reclutamento del personale risulterebbe alterato da un meccanismo non imparziale, con lesione del diritto di accedere in condizioni di parità al mercato del lavoro (art. 4 Cost.) e in violazione del buon andamento dell'amministrazione scolastica (art. 97 Cost.). La Corte, rilevate la insufficiente descrizione della fattispecie concreta - con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza e la genericità della richiesta di una pronuncia additiva, in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate, dichiara la manifesta inammissibilità della questione proposta. CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 279/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Straniero e apolide Espulsione amministrativa Reato di trattenimento nel territorio dello Stato Giudizio direttissimo Nulla osta all espulsione Diritto di difesa e principio del giusto processo Insufficiente descrizione della fattispecie, omessa formulazione di un petitum specifico Manifesta inammissibilità. Il Tribunale di Cagliari con un'ordinanza e il Tribunale di Castrovillari con cinque ordinanze, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3 bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come inserito dall art. 13, comma 1, lettera b) della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui prevede che il giudice debba accordare il nullaosta all'espulsione dello straniero all'atto della convalida dell'arresto o del fermo, anziché all'esito del giudizio, o quanto meno, nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta per assicurare all'imputato l'effettivo esercizio del diritto di difesa. Il nullaosta all'espulsione sarebbe un provvedimento pressoché automatico - nel caso di giudizio direttissimo per i reati derivanti dall ingiustificato trattenimento sul territorio dello stato, ex art. 14, T.U. immigrazione - e l'immediata esecuzione dell'ordine di espulsione, conseguente al rilascio del nullaosta, implicherebbe una lesione del diritto di difesa dell'imputato e del principio del giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.), data la incompatibilità tra i tempi del giudizio direttissimo e quelli per la autorizzazione al rientro in Italia per partecipare al processo (art. 17, T.U. immigrazione).
La Corte, riuniti giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni proposte, per insufficiente descrizione della fattispecie (ordinanza del Trib. di Cagliari) e per omessa formulazione di un petitum specifico (ordinanze del Trib. di Castrovillari). CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 280/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Procedimento penale davanti al giudice di pace Oblazione Diritto di difesa, principio del giusto processo, principio dell obbligatorietà dell azione penale, eccesso di delega Difetto di pregiudizialità e omessa motivazione sulla rilevanza Manifesta inammissibilità. Il Giudice di pace di Osimo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 6, del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) nella parte in cui limita la facoltà dell'imputato di presentare domanda di oblazione alla fase precedente la dichiarazione di apertura del dibattimento e non la differisce, quanto meno, a quella immediatamente precedente l'istruzione dibattimentale. Per il giudice rimettente, tale normativa sarebbe in contrasto con il diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.) e con la finalità di giustizia sostanziale perseguita attraverso il giusto processo (art. 111, comma 1 e 5 Cost.), non potendosi comprimere il diritto dell imputato di chiedere l oblazione ; contrasterebbe altresì, con la finalità di massima semplificazione, indicata dalla legge di delega (art. 76 Cost.); non terrebbe conto dell eventuale assenso del P.M (art. 112 Cost.). La Corte dichiara la questione manifestamente inammissibile e per omessa motivazione sulla rilevanza e per difetto di pregiudizialità, dato che il Giudice di pace ha già applicato la norma della cui legittimità dubita (nella specie, ammettendo l imputato con il consenso del P.M. al beneficio dell oblazione, dopo l apertura del dibattimento). CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 281/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Processo penale a carico di imputati minorenni Custodia cautelare Reato di tentato furto, aggravato da violenza sulle cose Principio di ragionevolezza e principio di eguaglianza Omessa verifica delle possibili opzioni interpretative Manifesta inammissibilità. Il Gip del Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell art. 23, del D.P.R. 22 settembre, n. 448, e dell art. 380, comma 2, lett. e) c.p.p., nella parte in cui consentono l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell imputato minorenne, colto in flagranza del reato di tentato furto (art. 624 cod. pen.), aggravato da violenza sulle cose, dato che non è prevista l applicabilità della stessa misura cautelare in riferimento al più grave reato di tentato furto in abitazione (art. 624 bis c.p.), parimenti aggravato. Il giudice rimettente osserva che, l art. 23 del D.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui, per determinare l applicabilità della misura cautelare, richiama l art. 380 c.p.p. (arresto obbligatorio in flagranza) non include il rinvio specifico alla lett. e) bis del comma 2 dell art. 380 c.p.p., relativa alla fattispecie di tentato furto in abitazione, ma solo alla lett. e) del medesimo articolo, riferito al tentato furto semplice, con la conseguenza che, in violazione del canone di ragionevolezza, dovrebbe applicarsi un trattamento cautelare più pesante per un ipotesi di reato più lieve.
La Corte rileva che il mancato adeguamento dell'ordinamento minorile alla nuova ipotesi di reato, non denota una esplicita ed univoca voluntas excludendi, potendo apparire piuttosto, una svista del legislatore ; il giudice rimettente avrebbe dovuto pertanto, operare una verifica in merito alla possibilità di interpretare il rinvio all'art. 380 c.p.p. alla stregua di un rinvio recettizio; per tali motivi, la Corte dichiara la inammissibilità della questione. CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 282/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Infortuni sul lavoro e malattie professionali Azione di regresso Prescrizione e decadenza Principio di eguaglianza, diritto di difesa Manifesta infondatezza. In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, a norma dell art. 112, comma 5, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, l azione di regresso esercitabile dall Inail nei confronti del datore di lavoro, si prescrive in tre anni dal giorno in cui la sentenza penale di condanna è divenuta irrevocabile, mentre è soggetta ad un termine triennale di decadenza nel caso in cui sia stata pronunciata una sentenza di non doversi procedere. Il Tribunale di Piacenza dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale di tale disposizione, in relazione alla ipotesi in cui il giudizio sulla responsabilità penale del datore di lavoro si sia concluso con una sentenza di patteggiamento (art. 444 c.p.p.). La giurisprudenza (Cass., S.U., sent. n. 3288 del 1997) assimila tali sentenze a quelle di condanna ed applica il termine di prescrizione e non quello di decadenza (non soggetto ad atti interrottivi). Per il giudice a quo, la mancata previsione delle sentenze di patteggiamento tra le ipotesi soggette al termine di decadenza, comporterebbe una disparità di trattamento tra situazioni analoghe - mancando in entrambi i casi un accertamento del fatto-reato - nonché una lesione del diritto di difesa del datore di lavoro, che si ritroverebbe esposto per anni all azione dell Ente assicuratore. La Corte, considerato che le sentenze di patteggiamento contengono pur sempre un accertamento della responsabilità dell'imputato e del fatto lesivo dell'interesse pubblico, al pari delle sentenze di condanna, ritiene ragionevole l assimilazione tra le stesse e dunque, anche l applicazione del regime di prescrizione all'azione di regresso; inoltre, la denunciata soggezione di una parte alla protrazione nel tempo del diritto di azione del creditore, non incide sul diritto di difesa del debitore, essendo un mero inconveniente, tipico di qualsiasi termine di prescrizione; ne consegue la manifesta infondatezza della questione. CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 283/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Circolazione stradale Patente a punti Violazione al codice della strada Responsabilità del proprietario del veicolo Principio di personalità della responsabilità penale, diritto di difesa, principio di eguaglianza Sopravvenuta modifica legislativa a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata Necessità di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione - Restituzione degli atti al giudice rimettente. Il Giudice di pace di Cairo Montenotte ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 Cost., questione di legittimità dell' art. 126-bis, comma 2, del nuovo Codice della strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni) nella parte in cui prevede che, nel caso di mancata
identificazione del conducente che abbia violato il codice della strada, il proprietario dell'autoveicolo ne debba fornire le generalità, subendo in mancanza una decurtazione di punti dalla patente, corrispondente alla violazione accertata. Per il giudice rimettente, la norma censurata integrerebbe gli estremi di una responsabilità oggettiva, in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale; obbligherebbe il proprietario a confessare, con violazione del diritto di difesa; determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alle ipotesi in cui il proprietario - persona giuridica o non patentato - non sia passibile di sanzione. La Corte, in considerazione della modifica legislativa intervenuta in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata (Corte cost., sent. n. 27 del 2005), ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente, per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione. CORTE COSTITUZIONALE; sentenza n. 284/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Gioco e scommesse Reato di esercizio abusivo di scommesse in assenza di licenza Principio di eguaglianza, principio di libertà di iniziativa economica privata Libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi Omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE Inammissibilità. Il Tribunale di Macerata, nel corso di un giudizio per il reato di esercizio abusivo di raccolta di scommesse sportive in Italia per conto di un bookmaker stabilito nel Regno Unito, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (recante interventi nel settore del giuoco e delle scommesse), in relazione all art. 88 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U. delle leggi di pubblica sicurezza), nella parte in cui viene sanzionato penalmente l'esercizio in Italia dell'attività di scommessa da parte di chi sia privo di licenza. Il giudice a quo, rifacendosi alla sentenza della Corte di Giustizia, 6 novembre 2001 (in causa C- 243/01, Gabelli), ritiene che le norme impugnate, prevedendo sanzioni penali eccessive rispetto alle esigenze di controllo del settore, verrebbero a creare un regime di sostanziale monopolio, in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.; si verrebbe a determinare inoltre, una disparità di trattamento ai danni degli operatori economici stranieri, in violazione delle norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e prestazione di servizi (trattato CE, artt. 43 e 49). La Corte rileva la mancanza di motivazione in ordine al denunciato contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. e l inesattezza del richiamo all art. 10 Cost. per le norme comunitarie rilevanti nella specie. Inoltre, la Corte ricorda che il giudice ordinario, se ravvisa un contrasto tra legislazione nazionale e norme comunitarie dotate di efficacia diretta, deve avvalersi del rinvio pregiudiziale e non del giudizio di legittimità costituzionale. La questione viene pertanto, dichiarata inammissibile. CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza n. 285/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 28 del 18 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Corte dei conti Controllo contabile sugli enti locali Principio di ragionevolezza, attribuzioni della Corte dei conti in materia di giudizio contabile, principio di raccordo tra finanza statale e locale Manifesta infondatezza. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Abruzzo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 93, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T. U. degli Enti
locali), nella parte in cui limita il giudizio di conto alla gestione del Tesoriere comunale; dell art. 226, nella parte in cui prevede la trasmissione alla competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, ai fini del giudizio, del solo conto della propria gestione di cassa (e non anche del conto consuntivo); nonché dell'art. 274, nella parte in cui abroga l'art. 310, comma 4, del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, che demandava al giudice contabile la pronuncia sul conto sia dell'ente che del tesoriere, ed in particolare del merito giuridico e contabile delle poste di bilancio. Secondo il giudice a quo, le disposizioni censurate - non consentendo di accertare l effettiva situazione del bilancio degli enti locali - sarebbero irragionevoli (art. 3 Cost.) ed inciderebbero negativamente sul rispetto dei vincoli economici derivanti dall ordinamento comunitario (art. 11 Cost.) e sull obiettivo di coordinamento tra finanza statale e locale (art. 119 Cost.). Sarebbe inoltre violato l'art. 103, comma 2, Cost., che, tra le attribuzioni alla Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, comprenderebbe inderogabilmente il giudizio di responsabilità oltre che quello di conto. La Corte conferma quanto già deciso in merito alla disciplina, trasfusa adesso nelle norme impugnate (sentenza n. 378 del 1996), ed in considerazione anche dei nuovi controlli sulla gestione degli enti locali, affidati alla Corte dei conti dai commi da 166 a 169 dell art. 1 della legge n. 266 del 2005, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni proposte. CORTE COSTITUZIONALE; sentenza n. 286/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 29 del 25 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via principale Edilizia e urbanistica Regione Friuli- Venezia Giulia Norme in materia di Piano territoriale regionale Ricorso del Governo Principio di armonia con la Costituzione, competenza legislativa concorrente, principio di adeguatezza nell allocazione delle funzioni amministrative Inammissibilità della questione Autonomia costituzionale delle Province Infondatezza. Il Governo ha impugnato in via principale, gli artt. 1, 4, 8, 11 e 12 della L. Reg. Friuli-Venezia Giulia 13 dicembre 2005, n. 30 (Norme in materia di piano territoriale regionale), denunciando che non venga previsto alcun intervento della Provincia né nella pianificazione territoriale (artt. 1 e 4), né nell'ambito delle procedure di approvazione del Piano Territoriale Regionale (PTR), (art. 8), né nella costituzione della Società di Trasformazione Urbana Regionale (art.11), né nel dettare la disciplina normativa nelle more dell approvazione del PTR. Le disposizioni impugnate ledendo la sfera di funzioni proprie dell ente Provincia - violerebbero l'art. 4 dello Statuto, sia per contrasto con il principio generale di autonomia degli enti locali, desunto dagli artt. 5, 114 e 118 Cost., sia perché non sarebbero in armonia con la Costituzione, (artt. 114, comma 2 e 118, comma 2 Cost.); violerebbero l art. 59 dello Statuto speciale, laddove - in materia di ordinamento degli Enti locali - si rinvia anche alla legislazione statale e dunque, alle funzioni di pianificazione territoriale attribuite alla Province dal T.U. degli Enti locali; contrasterebbero altresì, con l'art. 118 comma 1, Cost., secondo cui le funzioni amministrative devono essere attribuite ai livelli di governo idonei; contrasterebbero infine, con l'art. 117, comma 2, lettera s), e comma 3 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché sussisterebbero profili estranei alla competenza esclusiva della Regione. La Corte, in primo luogo, esclude la possibilità di invocare come parametro le disposizioni del Titolo V - riferite alle Regioni a statuto ordinario - senza un adeguata argomentazione circa il rapporto tra tali norme e quelle contenute nello statuto speciale, e dichiara pertanto inammissibili le questioni proposte sia in riferimento al limite dell armonia con la Costituzione, sia in relazione agli artt. 117, commi 2 e 3, e 118 Cost.. Inoltre, considerato che la Regione Friuli Venezia Giulia ha competenza esclusiva sia in materia di ordinamento degli enti locali, sia in materia di urbanistica; che storicamente,
le funzioni delle Province sono state proporzionate in maniera variabile anche dal legislatore statale; che l ambito inderogabile dell autonomia delle Province va circoscritto a quel nucleo fondamentale di libertà locali che emerge dalla tradizione e dallo svolgimento di un regime democratico ; che nelle more della decisione, la Regione ha emanato la L. Reg. 23 febbraio 2007, n. 5, assegnando alle Province alcune specifiche funzioni in materia di pianificazione territoriale, la Corte dichiara non fondate le questioni di costituzionalità proposte in riferimento al principio di autonomia degli enti locali, nonché all art. 59 dello Statuto speciale. CORTE COSTITUZIONALE; sentenza n. 287/2007 (G.U.,1ª s.s., n. 29 del 25 luglio 2007) Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Procedimento civile Equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata dei processi Competenza territoriale Principio di buon andamento e imparzialità dell amministrazione, principio di imparzialità e indipendenza del giudice Infondatezza. La Corte d'appello di Genova, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, L. 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui, per individuare la Corte d appello competente per i giudizi di equa riparazione per irragionevole durata dei processi svoltisi davanti alla Corte dei conti o alle giurisdizioni amministrative, non si prevede l applicazione del criterio di competenza territoriale e funzionale ex art. 11 c.p.p., regola valida invece, per sindacare la durata dei procedimenti svoltisi davanti ai giudici ordinari. Il giudice a quo, non condivide l interpretazione della norma, assurta però a diritto vivente, offerta dalla Corte di cassazione, per la quale il riferimento testuale ai distretti di Corte d'appello circoscrive alla giurisdizione ordinaria l ambito di applicazione della norma, che - per il suo carattere derogatorio ed eccezionale - non può essere riferita anche alle giurisdizioni speciali, articolate in circoscrizioni regionali. Per il giudice rimettente, non sarebbero adeguatamente garantiti né l'imparzialità e l indipendenza del giudice, né il buon andamento dell amministrazione, essendoci di fatto una coincidenza tra distretti e circoscrizioni regionali e sussistendo il rischio che i giudici si incrocino, nei giudizi sull equa riparazione e in quelli sulla responsabilità amministrativa. La Corte dichiara non fondata la questione, in relazione al buon andamento ed alla imparzialità dell'amministrazione, in quanto l invocato principio riguarda unicamente il profilo amministrativo degli organi di giustizia, ma non si estende anche alla giurisdizione. La Corte evidenzia poi, che la prospettata ipotesi di intreccio tra controlli, per quanto possibile, appare talmente remota da non poter giustificare una deroga alla competenza. La Corte rileva infine, che spetta al legislatore contemperare il principio di imparzialità del giudice con il diritto delle parti di agire e di difendersi in giudizio e che a l imparzialità del giudice è garantita non solo dall appartenenza ad un altro distretto, ma anche dagli istituti dell astensione e della ricusazione, nonché dall appartenenza dei giudici ad ordini diversi. La questione pertanto, è dichiarata non fondata.