Corte di appello di Brescia, sez. I, sent. 24/01/2005 n. 100 (dep. 01/03/2005) Pres. Giacomo Sartea

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Corte di appello di Brescia, sez. I, sent. 24/01/2005 n. 100 (dep. 01/03/2005) Pres. Giacomo Sartea Ai fini dell accoglimento del giudizio di revisione, ai sensi dell art. 630, co.1, lettera c) c.p.p., non può negarsi che, a fronte di conclusioni adottate in accertamento peritale, costituisca prova nuova una diversa perizia frutto di una metodologia e una tecnica non precedentemente utilizzata, anche se verta sull analisi delle stesse emergenze. In particolare in questa categoria va fatta rientrare la nuova interpretazione psicologica, interpretazione che non va a sostituirsi ad un precedente accertamento peritale, ma che, con l ausilio di una metodologia ed una tecnica di valore indiscusso, va ad invalidare le risultanze degli esami peritali e delle dichiarazioni testimoniali rese nelle precedenti fasi del procedimento dibattimentale. In un procedimento di abuso sessuale a danno di minore in età prescolare, non possono essere considerate sufficienti al fine di provare la colpevolezza del presunto abusante la dichiarazione de relato della madre quando tale testimonianza indiretta si basi sulle dichiarazioni fatte da un minore affetto da mutacismo elettivo disturbo caratterizzato dalla incapacità di comunicare se non con particolari soggetti, nel caso di specie solo con la madre, e soltanto attraverso un limitatissimo vocabolario, nella fattispecie composto da una decina di parole. Tanto più quando la madre si sia giocoforza resa interprete delle dichiarazioni del bambino e abbia filtrato tali dichiarazioni, rese più con gesti che con parole, attraverso i suoi convincimenti. Altresì non può essere considerata sufficiente la consulenza della psicologa incaricata dell analisi delle dichiarazioni del minore, quando tale consulenza non rispetti quelli che notoriamente sono i criteri di audizione dei minori abusati secondo la c.d. Carta di Noto, ormai generalmente adottata, non 1

essendo stati né registrati né relazionati volta per volta gli incontri con il bambino allo scopo di poter verificare le modalità ed il contenuto degli stessi. Nel caso di specie l imputato era stato condannato ad anni sei di reclusione dal Tribunale di Busto Arsizio per i reati di violenza sessuale aggravata e violenza privata commessi nei confronti del proprio figlio minore, all epoca dei fatti di circa tre anni di età. La sentenza, che nella motivazione faceva principalmente riferimento alle dichiarazioni della madre del presunto abusato, ex coniuge dell imputato, e alle dichiarazione della consulente psicologa incaricata dell analisi delle dichiarazioni del minore. Il giudizio è stato confermato in appello e la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla difesa dell imputato, osservando che non erano riscontrabili nella sentenza di secondo grado né violazioni di legge, né vizi di motivazione. La Corte di Appello di Brescia ha però in seguito accolto la domanda di revisione presentata dai difensori dell imputato, ammettendo nel giudizio le nuove prove, rappresentate da quattro esami testimoniali, una nuova consulenza tecnica e alcune foto, prove in parte tese ad invalidare le dichiarazioni della madre e la consulenza della psicologa, in parte a dimostrare l impossibilità obiettiva dei fatti ascritti al condannato. E stato così mostrato come da una parte nelle poche ore concesse all asserito abusante per vedere il figlio questi si trovasse o alla guida della sua auto o in compagnia dei parenti, il che rendeva inverosimile la possibilità della commissione dei gravi abusi sessuali ascrittegli. Dall altra come non esistesse alcuna prova obiettiva sulla colpevolezza dell accusato. Tutto era basato sulle dichiarazioni che l ex moglie faceva dei racconti del figlio, peraltro liberamente interpretati, e su di una consulenza tecnica che non rispettava alcun parametro previsto in questi casi dalla Carta di Noto, documento contenente regole generalmente adottate durante l esame 2

delle testimonianze dei minori in casi di asseriti abusi sessuali ai danni degli stessi. La Corte di Appello di Brescia ha così accolto la domanda di revisione, revocando la sentenza definitiva ed assolvendo l asserito abusante per insussistenza del fatto. Cronologia della vicenda processuale. E datata 29 maggio 2000 la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che condanna l imputato ad anni sei di reclusione per i reati di violenza sessuale aggravata e violenza privata commessi nei confronti del proprio figlio minore, all epoca dei fatti di circa tre anni di età. Il provvedimento motiva la condanna principalmente attraverso la testimonianza della madre del presunto abusato, ex coniuge dell imputato, e attraverso la consulenza della psicologa incaricata dell analisi delle dichiarazioni del minore. Il giudizio viene confermato dalla Corte di Appello di Milano con sentenza del primo luglio 2002. I giudici dell impugnazione ritengono infatti che, dalle dichiarazioni della madre e dalle conferme dei teste e degli esperti, oltre che da considerazioni di ordine logico, si possa inferire la colpevolezza dell imputato. La Corte di Cassazione infine rigetta il ricorso proposto dalla difesa dell imputato, osservando che non sono riscontrabili nella sentenza di secondo grado né violazioni di legge, 3

né vizi di motivazione. La condanna dell asserito abusante diviene così definitiva, la sentenza passa in giudicato. I difensori però non si arrendono di fronte alla decisione del Giudice di Legittimità. Dopo un appello alla Corte Europea dei Diritti dell Uomo, propongono domanda di revisione presso la Corte di Appello di Brescia, la quale la accoglie, ammettendo nel giudizio le nuove prove, rappresentate da tre esami testimoniali, due nuove consulenze tecnica e alcune foto, prove in parte tese ad invalidare le dichiarazioni de relato della madre e la consulenza della psicologa, in parte a dimostrare l impossibilità obiettiva dei fatti ascritti al condannato. La difesa aveva infatti rinvenuto fotografie del bambino sul letto con la nonna paralitica che lo occupava, letto che, a detta della madre, sarebbe stato individuato dal bambino come teatro degli abusi subiti. Unitamente a queste, una nuova consulenza tecnica di parte, attraverso l utilizzo della scienza psicologica, mette in luce gravi errori interpretativi nei quali erano incorsi i primi giudici. Viene così dimostrato come da una parte nelle poche ore concesse all asserito abusante per vedere il figlio questi si trovasse o alla guida della sua auto o in compagnia dei parenti, il che rendeva inverosimile la possibilità della commissione dei gravi abusi sessuali ascrittegli, dall altra parte come non esistesse alcuna prova obiettiva sulla colpevolezza dell accusato. Tutto era basato sulle dichiarazioni che l ex moglie faceva dei racconti del figlio affetto da mutacismo elettivo, disturbo caratterizzato dalla incapacità di comunicare se non con particolari soggetti, nel caso di specie solo con la madre, e soltanto attraverso un limitatissimo vocabolario, nella fattispecie composto da una decina di parole, racconti che peraltro venivano liberamente interpretati, e su di una consulenza tecnica che non rispettava alcun parametro previsto in questi casi dalla Carta di Noto, documento contenente regole generalmente adottate durante l esame delle 4

testimonianze dei minori in casi di asseriti abusi sessuali ai danni degli stessi. La Corte di Appello di Brescia ha così accolto la domanda di revisione, revocando la sentenza definitiva ed assolvendo l asserito abusante per insussistenza del fatto. 5