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LEZIONE 15 15.1. Applicazioni lineari ed esempi. Definizione 15.1.1. Siano V e W spazi vettoriali su k = R, C. Un applicazione f: V W si dice k lineare se: (AL1) per ogni v 1, v 2 V si ha f(v 1 + v 2 ) = f(v 1 ) + f(v 2 ); (AL2) per ogni α k e v V si ha f(αv) = αf(v). Nel caso il campo sia evidente si parla semplicemente di applicazione lineare. Osservazione 15.1.2. Siano V e W spazi vettoriali su k = R, C. Sia f: V W un applicazione k lineare. i) Risulta f(0 V ) = f(00 V ) = 0f(0 V ) = 0 W e f( v) = f(( 1)v) = ( 1)f(v) = f(v) per ogni v V. Più in generale un applicazione f: V W è k lineare se e solo se α 1,..., α n k e v 1,..., v n V si ha f(α 1 v 1 + + α n v n ) = α 1 f(v 1 ) + + α n f(v n ). ii) Se U V è un sottospazio allora f U : U W è lineare. Se W U è un sottospazio allora l applicazione f: V U, ottenuta componendo f con l inclusione W U, è lineare. iii) Per esercizio verificare che l applicazione nulla 0 V,W : V W, definita da v 0 W, e l applicazione identità id V : V V, definita da v v, sono k lineari. Esempio 15.1.3. L applicazione f: R 3 R 2 (x, y, z) (3x + y z, x y + 2z) è lineare. Infatti si ha che se α R, (x, y, z) R 3 risulta f(α(x, y, z)) = f(αx, αy, αz) = (3(αx) + (αy) (αz), (αx) (αy) + 2(αz)) = = (α(3x + y z), α(x y + 2z)) = α(3x + y z, x y + 2z) = αf(x, y, z). Inoltre, se (x, y, z ), (x, y, z ) R 3, risulta f((x, y, z ) + (x, y, z )) = f(x + x, y + y, z + z ) = = (3(x + x ) + (y + y ) (z + z ), (x + x ) (y + y ) + 2(z + z )) = = (3x + y z + 3x + y z, x y + 2z + x y + 2z ) = = (3x + y z, x y + 2z ) + (3x + y z, x y + 2z ) = = f(x, y, z ) + f(x, y, z ). 1 Typeset by AMS-TEX

2 15.1. APPLICAZIONI LINEARI ED ESEMPI Per esercizio verificare in modo analogo che anche l applicazione è lineare. g: C 2 C 3 (x, y) (3x + y, x y, x + 2y) Esempio 15.1.4. Si consideri l applicazione f: R 3 R 2 (x, y, z) (3x + y z, x y + 2z + 1). Ci poniamo il problema di stabilire se f è lineare. Se f fosse lineare si dovrebbe avere f(0, 0, 0) = (0, 0) (si veda l Osservazione da 15.1.2 i)). Poiché f(0, 0, 0) = (0, 1) segue che f non è lineare. Esempio 15.1.5. Sia k = R, C e sia A k m,n fissata. L applicazione µ A : k n,1 k m,1 X AX è lineare. Infatti scelti α k, X, X, X k n,1 risulta µ A (αx) = A(αX) = α(ax) = αµ A (X), µ A (X + X ) = A(X + X ) = AX + AX = µ A (X ) + µ A (X ). Verifichiamo ora che ogni applicazione lineare f: k n,1 k m,1 è della forma µ A per un unica A k m,n. Sia B = (E 1,1,..., E n,1 ) la base definita nell Esempio 13.2.7 e siano A j = f(e j,1 ) k m,1 per j = 1,..., n: definiamo allora A come la matrice m n avente A j come colonna j esima. Per ogni X = t (x 1,1,..., x n,1 ) k n,1 allora per l Osservazione 15.1.2 i), risulta f(x) = f( x j,1 E j,1 ) = j=1 x j,1 f(e j,1 ) = j=1 x j,1 A j = AX, quindi f = µ A come applicazioni. Si noti che tale matrice è univocamente determinata: infatti se A k m,n è un altra matrice, cioè f = µ A, si ha A j = f(e j,1 ) = A E j,1 che è la j esima colonna di A, dunque A = A. Per esempio l applicazione nulla è µ 0m,n. Più in generale, identificando k n ed k m con k n,1 ed k m,1 rispettivamente, ogni applicazione lineare f: k n k m è individuata da un unica matrice m n. Si verifichi che l applicazione f dell Esempio 15.1.3 si ottiene come caso particolare prendendo k = R e ( ) 3 1 1 A = R 2,3 1 1 2 j=1

LEZIONE 15 3 con l identificazione naturale di R 3 ed R 2 con R 3,1 ed R 2,1 rispettivamente. Similmente, identificando C 2 ed C 3 con C 2,1 ed C 3,1 rispettivamente, si verifichi che l applicazione g dell Esempio 15.1.3 coincide con µ B con B = 3 1 1 1 = t A C 3,2 1 2 Esempio 15.1.6. Sia V uno spazio vettoriale su k = R, C di dimensione n e sia B una sua base. L applicazione [ ] B : V k n v [v] B è lineare. Infatti se α k e v, v 1, v 2 V risulta [αv] B = α[v] B, [v 1 + v 2 ] B = [v 1 ] B + [v 2 ] B, per quanto osservato dopo la Definizione 13.2.3. Esempio 15.1.7. Siano k = R, C e a k. L applicazione di valutazione in a è lineare. Infatti v a : k[x] k p(x) p(a) v a ((p + p )(x)) = (p + p )(a) = p (a) + p (a) = v a (p (x)) + v a (p (x)), v a ((αp)(x)) = (αp)(a) = αp(a) = αv a (p(x)). Poichè la restrizione a sottospazi conserva la linearità, per ogni n 0 anche le applicazioni v a k[x]n : k[x] n k sono lineari. Esempio 15.1.8. Sia v 0 V 3 (O) fissato. Verificare per esercizio che le applicazioni prodotto scalare per v 0 definita da, v 0 : V 3 (O) R e prodotto vettoriale per v 0 definita da v v, v 0. v 0 : V 3 (O) V 3 (O) v v v 0. sono R lineari per le proprietà dei prodotti scalare e vettoriale.

4 15.1. APPLICAZIONI LINEARI ED ESEMPI Esempio 15.1.9. Sia I =]a, b[ R non vuoto. Nell Esempio 11.2.8 abbiamo osservato che l insieme C p (I) è uno spazio vettoriale su R per ogni p 0. Uno dei risultati dell analisi delle funzioni di una variabile reale è che l applicazione è lineare per ogni p 1. D: C p (I) C p 1 (I) ϕ(x) Dϕ(x) = dϕ dx (x) Esempio 15.1.10. Sia z = a + bi C, a, b R: ricordo che il coniugato di z è, per definizione, il numero complesso z = a bi. Si consideri l applicazione f di coniugio su C, cioè f: C C è definita da z z. Allora f è chiaramente additiva, infatti f(z + z ) = z + z = z + z = f(z ) + f(z ). Invece se α C si ha f(αz) = αz che coincide con αf(z) = αz se e solo se α R C. Quindi il coniugio non è un applicazione C lineare, ma solo R lineare. Concludiamo questo paragrafo con la seguente proposizione. Propposizione 15.1.11. Siano U, V e W spazi vettoriali su k = R, C. Se f, g: V W e h: W U sono lineari allora tali sono le applicazioni h f: V U, f + g: V W e λf: V W per ogni λ k. Dimostrazione. Per ogni v, v, v V risulta (f + g)(v + v ) = f(v + v ) + g(v + v ) = f(v ) + f(v ) + g(v ) + g(v ) = = f(v ) + g(v ) + f(v ) + g(v ) = (f + g)(v ) + (f + g)(v ), (f + g)(αv) = f(αv) + g(αv) = αf(v) + αg(v) = = α(f(v) + g(v)) = α((f + g)(v)), (λf)(v + v ) = λf(v + v ) = λ(f(v ) + f(v )) = = λf(v ) + λf(v ) = (λf)(v ) + (λf)(v ), (λf)(αv) = λf(αv) = λαf(v) = = α(λf(v)) = α((λf)(v)), (h f)(v + v ) = h(f(v + v )) = h(f(v ) + f(v )) = = h(f(v )) + h(f(v )) = (h f)(v ) + (h f)(v ), (h f)(αv) = h(f(αv)) = h(αf(v)) = = αh(f(v)) = α((h f)(v)). Osservazione 15.1.12. Siano k = R, C, A, B k m,n e λ k: allora µ A + µ B = µ A+B, λµ A = µ λa.

LEZIONE 15 5 Infatti per ogni X k n,1 si ha (µ A + µ B )(X) = µ A (X) + µ B (X) = AX + BX = (A + B)X = µ A+B (X), (λµ A )(X) = λ(µ A (X)) = λ(ax) = (λa)x = µ λa (X). Siano poi A k m,n, B k n,p e si considerino µ B : k p,1 k n,1, µ A : k n,1 k m,1. Allora per ogni X k p,1 risulta µ A µ B (X) = µ A (µ B (X)) = µ A (BX) = A(BX) = (AB)X = µ AB (X) : concludiamo che µ A µ B = µ AB. Esempio 15.1.13. Con le notazioni dell Esempio 15.1.9, si può definire D n = D D n 1 : C (I) C (I). Più in generale se a 0,..., a n C (I)) allora P (D) = a 0 D n + a 1 D n 1 + + a n 1 D + a n è R lineare. P (D) si dice operatore differenziale lineare d ordine n. 15.2. Immagine di un applicazione lineare. Ricordo che se ϕ: X Y è un applicazione fra due insiemi si definisce immagine di ϕ l insieme im(ϕ) = { y Y esiste x X tale che ϕ(x) = y }. Siano V e W spazi vettoriali su k = R, C e sia f: V W un applicazione k lineare. Dall Osservazione 15.1.2 i) segue che 0 W im(f). Inoltre se w, w, w im(f) ed α k allora esistono v, v, v V tali che f(v) = w, f(v ) = w, f(v ) = w. Segue allora che w + w = f(v ) + f(v ) = f(v + v ) im(f), αw = αf(v) = f(αv) im(f). Quanto osservato dimostra l affermazione i) della Proposizione 15.2.1. Siano V e W spazi vettoriali su k = R, C. Se f: V W è un applicazione k lineare. allora: i) im(f) è un sottospazio di W ; ii) Se w im(f) e v 0 V è tale che f(v 0 ) = w allora f 1 (w) = { v V f(v) = w } = { v 0 +v v f 1 (0 W ) } = { v 0 }+f 1 (0 W ); iii) se V = L(v 1,..., v n ) allora im(f) = L(f(v 1 ),..., f(v n )) (quindi se V è finitamente generato, tale è im(f)).

6 15.2. IMMAGINE DI UN APPLICAZIONE LINEARE Dimostrazione. Dimostriamo ii). Sia v f 1 (w). Allora f(v v 0 ) = f(v) f(v 0 ) = w w = 0 W, quindi esiste v f 1 (0 W ) tale che v = v 0 + v, dunque f 1 (w) { v 0 } + f 1 (0 W ). Viceversa, se v f 1 (0 W ), risulta che f(v 0 + v ) = f(v 0 ) + f(v ) = w + 0 = w, dunque si ha anche { v 0 } + f 1 (0 W ) f 1 (w). Concludiamo che f 1 (w) = { v 0 } + f 1 (0 W ) Dimostriamo iii). Sia V = L(v 1,..., v n ): se v = n α iv i V allora f(v) = f( α i v i ) = α i f(v i ) L(f(v 1 ),..., f(v n )), dunque im(f) L(f(v 1 ),..., f(v n )). Viceversa se w L(f(v 1 ),..., f(v n )) allora w = α i f(v i ) = f( α i v i ) im(f), dunque si ha anche L(f(v 1 ),..., f(v n )) im(f). Concludiamo che im(f) = L(f(v 1 ),..., f(v n )). In particolare se U V è un sottospazio vettoriale allora tale è f(u): infatti f(u) = im(f U ). Più interessante è osservare che la controimmagine di 0 W riveste un ruolo fondamentale per le applicazioni k lineari: l affermazione ii) della Proposizione 15.2.1 ci dice che le controimmagini f 1 (w) tramite f dei vettori w im(f) si ottengono tutte da quella f 1 (0 W ) di 0 W per traslazione di una controimmagine particolare. Per questo motivo f 1 (0 W ) merita un nome particolare. Definizione 15.2.2. Siano V e W spazi vettoriali su k = R, C. Se f: V W è k lineare si definisce nucleo di f l insieme ker(f) = f 1 (0 W ) = { v V f(v) = 0 }.