UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE Corso di laurea Magistrale in Istituzioni e Politiche dei Diritti Umani e della Pace SICUREZZA INTERNAZIO NALE E PEACEKEEPING OPERATI ONS DELLE NAZIONI UNITE: LA MI SSIONE NELLA REPUBBLICA DEMOCRATI CA DEL CONGO Relatore: Chiar.mo Prof. Marco Mascia Laureanda: Cristina Fraccalvieri matricola 606679 A.A. 2010/2011

INTRODUZIONE Le Nazioni Unite sono state istituite nel 1945 con il fine primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionale e nell ottica di salvare le generazioni future dal flagello della guerra 1, le cui conseguenze erano ben vive nei ricordi dei padri fondatori. Nel corso dei sessant anni, ed oltre, di attività, questa organizzazione internazionale a carattere universale ha affrontato il difficile periodo della guerra fredda che ha comportato una sostanziale paralisi del Consiglio di Sicurezza a causa di un uso eccessivo del potere di veto - concesso ai membri permanenti - che ha impedito all organo di adempiere alla sua responsabilità principale ossia quella del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale 2. Le Nazioni Unite hanno anche dovuto far fronte alla non completa attuazione del sistema di sicurezza collettiva stabilita dello stesso Statuto, che ha portato alla nascita delle operazioni di peacekeeping, le quali costituiscono la forma di intervento più significativa utilizzata dall Organizzazione per adempiere al suo fine fondamentale, diventando un elemento costante quasi permanente della sua attività. Le stesse operazioni di mantenimento della pace hanno affrontato i cambiamenti conseguenti alla fine dell era bipolare che ha comportato un aumento dei conflitti interni agli Stati caratterizzati da forme di violenza contro la popolazione locale, che, conseguentemente, necessitano di interventi più corposi delle Nazioni Unite, le quali, non disponendo delle risorse finanziare, materiali ed umane sufficienti, devono fare continuo affidamento alle volontà degli Stati membri di contribuire o meno alla risoluzione di una determinata crisi. Tale aspetto fa sorgere problematiche dal punto di vista della condotta e della disciplina di tutto il 1 Preambolo della Carta delle Nazioni Unite Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all umanità ( ), adottata a San Francisco il 26 giugno 1945 ed è entrata in vigore, con il deposito del ventinovesimo strumento di ratifica, il 24 ottobre 1945. 2 Così come disposto dall articolo 24 della Carta ONU. 9

personale partecipante a queste missioni e soprattutto di quello fornito dagli Stati membri. Il riferimento è ai deprecabili casi di cattiva condotta che hanno minacciato e minacciano la credibilità, l imparzialità e l integrità delle missioni e della stessa Organizzazione. Dati questi presupposti è lecito domandarsi se l attività di peacekeeping è davvero così essenziale e che cosa l Organizzazione ha fatto per migliorarla, ma anche se le Nazioni Unite riescono e riusciranno a perseguire l ambizioso obiettivo che è stato delineato e che si sono poste negli ultimi quindici anni circa, ossia quello della human security o people security. Vale a dire un concetto di ampio di sicurezza che non include il mero e semplice stato di non guerra, ma contempla tutta una serie di azioni che intendono salvaguardare la sicurezza dell uomo in quanto tale a 360 gradi, dall aspetto economico a quello alimentare, da quello inerente la salute a quello ambientale, dalla sicurezza nell ambito della comunità a quella politica. Elementi dunque strettamente connessi tra di loro, i quali portano a non considerare più lo Stato come soggetto esclusivo del concetto di sicurezza, ma appunto l uomo. Il lavoro svolto parte proprio dalla descrizione dell evoluzione della nozione di sicurezza. In particolare la nascita e lo sviluppo di processi che hanno mutato la struttura delle relazioni internazionali e la presa di coscienza che le attuali minacce hanno il carattere della globalità - in quanto non sono relegate entro in confini di un singolo Stato, ma sono appunto transnazionali - hanno messo in crisi il tradizionale concetto di sicurezza, vale a dire quello statocentrico. In questo quadro, in cui vi è la tendenza ad allargare lo spazio da nazionale a internazionale, si inserisce il concetto di sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, il quale aspetta ancora una integrale e completa attuazione. In tal senso sono volte le analisi dello Statuto e in particolare delle disposizioni contenute nei Capitoli VI, VII e VIII della Carta, intitolati rispettivamente Soluzione pacifica delle controversie, Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione, Accordi regionali. L analisi del concetto di sicurezza intreccia anche quello di difesa, in quanto vi è la tendenza ad utilizzarli come sinonimi, quando nella 10

realtà hanno due connotazioni differenti. Ecco dunque che opposto al sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite vi è il sistema di difesa collettiva della NATO, del quale è stato messo in luce la continua evoluzione rispetto ai cambiamenti degli assetti mondiali e la capacità di questa alleanza militare di rimanere un importante attore nello scenario internazionale. A fronte di una serie di cambiamenti circa la considerazione della sicurezza e delle minacce ad essa, a partire dagli anni novanta in seno alle Nazioni Unite vi è stata una riflessione su una nuova accezione multidimensionale della sicurezza: la human security, la quale integra l approccio state security, favorendo lo sviluppo umano ed accrescendo i diritti umani. La human security può essere intesa come la protezione delle persone dai pericoli, la quale richiede da una parte la creazione di processi e istituzioni che siano in grado di affrontare le minacce, dall altra l attuazione di strategie che permettano lo sviluppo delle potenzialità degli individui e la loro partecipazione alle decisioni riguardanti la comunità. Viene messo in luce, inoltre, come questo nuovo approccio non sia circoscritto all ambito onusiano, ma abbia trovato terreno fertile anche all interno di alcune organizzazioni a carattere regionale, in particolare nell Unione Europea, nell OSCE e nel Consiglio d Europa. La necessità di affrontare le varie minacce alla sicurezza è stata sostenuta dalle Nazioni Unite con l istituzione delle operazioni di peacekeeping, vale a dire azione atipiche - non previste dallo Statuto - che hanno permesso e permettono all Organizzazione di perseguire il fine del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale nonostante l incompleta realizzazione del sistema di sicurezza collettiva che la rende orfana di forze armate disposte in via permanente. Difatti la non attuazione delle disposizioni del Capitolo VII della Carta hanno pregiudicato la possibilità delle Nazioni Unite di avviare efficaci azioni a tutela della pace e della sicurezza internazionale, le quali dunque, per la costituzione di questo tipo di operazioni, fanno costantemente ricorso ai contributi finanziari, di personale e di equipaggiamenti - degli Stati membri, con tutte le criticità che ne conseguono. Le missioni di peacekeeping sono state 11

intraprese fin dai primi tempi di funzionamento delle Nazioni Unite, le quali nel corso degli anni hanno saputo adattarle al contesto internazionale in continuo mutamento. In particolare la fine del sistema bipolare ha decretato un profondo mutamento di queste azioni, infatti fino agli anni novanta si parlava di operazioni tradizionali di mantenimento della pace caratterizzate essenzialmente da compiti di separazione e interposizione tra le parti, mentre dopo la caduta del muro di Berlino si parla di operazioni multidimensionali di peacekeeping, in quanto dispiegate in un contesto non più caratterizzato da conflitti tra Stati, ma da conflitti interni agli Stati stessi originati da tensioni nazionalistiche, etniche o religiose e comportanti un alto grado di violenza contro la popolazione locale. L agire all interno di uno Stato martoriato da un conflitto, nel quale l autorità governativa potrebbe non essere in grado di mantenere la sicurezza della propria popolazione e gestire l ordine pubblico, necessita di interventi più complessi, multidimensionali e soprattutto caratterizzati da nuove professionalità e competenze: accanto all impiego convenzionale di tipo militare vengono affiancate nuove capacità quali operatori umanitari, osservatori elettorali e dei diritti umani e così via. La descrizione dei principi fondamentali, da sempre presenti nelle operazioni di mantenimento della pace, è seguita dall annoso dibattito e le molteplici ipotesi presenti in dottrina circa il fondamento giuridico di tali interventi, dato il silenzio in tal senso dello Statuto dell Organizzazione. Coerentemente con i mutamenti degli equilibri e dello scenario internazionale, il dispiegamento di missioni peacekeeping sempre più ampie, complesse e sofisticate e il loro crescente numero, ha fatto sorgere la necessità di una riforma del mantenimento della pace che trova le sue radici nell istituzione - nel 1992 - del Department of Peacekeeping Operations quale organo preposto all organizzazione della missione sotto tutti i punti di vista, militare, operativo, logistico ed amministrativo e con il compito di coadiuvare il Segretario Generale al quale spetta tradizionalmente la loro preparazione e il loro comando. Il lavoro del Dipartimento si inserisce solo alla fine l iter che viene 12

seguito per istituire una missione di mantenimento della pace, ossia dopo l approvazione del mandato da parte del Consiglio di Sicurezza, e avvalendosi dell ausilio dei suoi uffici procede alla pianificazione, preparazione e gestione dell operazione in tutte le sue fasi. Alcuni importanti fallimenti che si sono verificati nella prima metà degli anni novanta in Somalia, Bosnia-Erzegovina e Ruanda hanno costretto, pochi anni più tardi, l allora Segretario Generale Kofi Annan ad avviare un autovalutazione delle attività dell Organizzazione per giungere ad un rinnovamento delle azioni di mantenimento della pace, con lo scopo di individuare le debolezze sulle quali agire per evitare gli errori commessi in alcuni contesti. La proposta di riforma prende corpo nel 2000 con il rapporto redatto dal Panel on United Nations Peace Operations, conosciuto come rapporto Brahimi, il quale mette in luce i punti salienti da migliorare, quali la necessità di un maggior sostegno da parte degli Stati alle Nazioni Unite, delineare chiari e adeguati mandati per le missioni in modo tale che possano essere implementati con successo, ma anche l esigenza di definire e far rispettare elevati standard di competenza e d integrità per le Forze impegnate in tali attività, e l opportunità di avviare un analisi preventiva dell ambiente e della situazione in cui la missione deve operare in modo da delineare strategie mirate ed efficaci. Il rapporto Brahimi ha messo in moto una serie di riforme e anche una considerevole produzione documenti, linee guida e manuali da parte del Department of Peacekeeping Operations il quale ha avviato quello che è stato chiamato processo New Horizion, un programma ambizioso per il mantenimento della pace che ha lo scopo di creare un ampio consenso sugli orientamenti futuri e sugli obiettivi comuni da perseguire nel breve e nel medio-lungo periodo. I meccanismi di rinnovamento e miglioramento del peacekeeping hanno portato le Nazioni Unite a prendere coscienza dell impatto negativo che i conflitti hanno sulle donne e specularmente della necessaria presenza reale ed attiva delle donne all interno non solo delle missioni di mantenimento della pace, ma 13

anche dei processi di decision-making. In tal senso è stata svolta un analisi dei principali documenti - a partire dalla risoluzione 1325 e delle iniziative adottate dall Organizzazione per giungere a verificare i risultati a cui si è realmente giunti. Dopo aver descritto principi, evoluzione e processi di riforma e miglioramento del peacekeeping, la quarta parte di questo lavoro prende in considerazione il caso della presenza delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo. In primo luogo viene effettuata sia una breve ricostruzione della situazione presente nel continente africano il quale conosce a tutt oggi una serie di scontri, conflitti e guerre difficili da placare definitivamente che un analisi delle vicende molto complesse dalla fine del colonialismo ai nostri giorni - che hanno segnato la storia di questo Stato dell Africa centrale e che hanno determinato l intervento delle Nazioni Unite. In particolare vengono delineati i caratteri della prima missione di peacekeeping intrapresa negli anno sessanta, l ONUC, la quale rientra in quelle che sono state definite operazioni tradizionali di mantenimento della pace, dispiegata con lo scopo assicurare il ritiro delle forze belghe dal Paese, salvo poi veder ampliato il proprio mandato autorizzando la Forza ad utilizzare le armi, al di là della legittima difesa. Il secondo intervento, la missione MONUC che si è trasformata l anno scorso in MONUSCO, aderisce invece ai compiti di una operazione multidimensionale di mantenimento della pace, e in tal senso sono stati messi in evidenza la relazione tra le vicende interne al Paese e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che via via hanno ampliato ed affinato il mandato di questa missione. L elemento che ha permesso di giungere all ultima parte del lavoro è rappresentato dai gravi casi di cattiva condotta che hanno caratterizzato alcune missioni di mantenimento della pace e in particolare l alto numero di episodi di sfruttamento e abuso sessuale accaduti proprio nell operazione nella Repubblica Democratica del Congo. I numerosi scandali di misconduct hanno rischiato di compromettere la credibilità e l integrità, non solo delle singole missioni ma delle stesse Nazioni Unite nel complesso, e a tal proposito sono 14

state sviluppate una serie di politiche in materia di sfruttamento e abuso sessuale avviando una riforma in tal senso, con particolare attenzione alla necessità di uniformare gli standard di condotta per tutte le componenti che partecipano alle missioni, vale a dire sia per il personale ONU che per i contingenti militari forniti dagli Stati membri. A fronte dell esigenza di determinare chiare regole e standard di comportamento, vi è comunque l altrettanta necessità di garantire la sicurezza degli stessi peacekeepers impegnati in operazioni sempre più complesse e dispiegate in contesti che possono comportare dei rischi per la loro incolumità. 15