Classificazione ed eziologia delle instabilità di spalla

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lo scalpello (2011) 25:96-100 DoI 10.1007/s11639-011-0105-7 Aggiornamenti Classificazione ed eziologia delle instabilità di spalla R. Russo 1, G. Fama 2, F. Cautiero 1, M. Ciccarelli 1, E. Visona 2 1 U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale dei Pellegrini, Napoli; 2 U.O.S. di Chirurgia della Spalla, Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera-Università di Padova AbstrAct - classification of shoulder instability Shoulder instability includes a wide spectrum of different manifestations ranging from painful hyperlaxity to chronic locked shoulder dislocations. Many different classifications of glenohumeral joint have been proposed, based on aetiology, direction of instability, or on combination thereof. A correct diagnosis and classification is essential to establish an adequate treatment strategy. The correct use of different clinical tests and signs in combination with the corresponding imaging diagnostics allows an explicit classification and therefore the correct choice of treatment regimes in the majority of cases. Per instabilità si intende una particolare condizione subiettiva ed obiettiva che si manifesta con un eccessiva traslazione della testa omerale associata ad una sintomatologia algica 96 Introduzione Per instabilità si intende una particolare condizione subiettiva e obiettiva che si manifesta con una eccessiva traslazione della testa omerale rispetto alla glena con perdita di contatto parziale (sublussazione) o totale (lussazione) tra le superfici articolari associata a una sintomatologia algica. Dall instabilità bisogna distinguere la lassità o iperlassità, che invece rappresenta una condizione costituzionale e asintomatica, caratterizzata da una particolare elasticità articolare del soggetto; tale elasticità è spesso obiettivabile anche in altre articolazioni quali il ginocchio (recurvato), il gomito (iperestensibile) o le dita della mano (iperestensibili) e può essere misurata attraverso lo score di Beighton [1]. La lussazione anteriore rappresenta il 95% di tutte le lussazioni gleno-omerali; l entità dello spostamento determina la gravità delle lesioni capsulo-ligamentose ed il rischio di complicazioni vascolari o neurologiche la cui incidenza varia dal 19% al 55%. Secondo la posizione della testa omerale,le anteriori sono divise in sottocoracoidea, la più frequente in cui la testa dell omero si colloca inferiormente alla coracoide, sottoglenoidea ( la testa dell omero si colloca anteriormente al di sotto della fossa glenoidea), sottoclavicolare (la testa dell omero si colloca medialmente alla coracoide, appena inferiormente al bordo inferiore della clavicola) ed intratoracica ( la testa dell omero si colloca tra le coste e la cavità toracica). Le lussazioni posteriori sono molto meno frequenti delle lussazioni anteriori e presentano problemi specifici circa la fisiopatologia, l espressione clinica e l evoluzione. Cenni storici Le lussazioni di spalla vengono descritte e trattate da tempi antichi; la tecnica di riduzione incruenta della lussazione di spalla viene già raffigurata in alcuni graffiti egiziani del 3000 a.c. Ippocrate, nel IV secolo a.c., riportava alcuni metodi di riduzione chiusa e a lui si può attribuire la prima metodica chirurgica dell instabilità anteriore. Egli inoltre per primo descrisse e classificò i vari tipi di lussazione, individuando e differenziando le forme traumatiche dalle atraumatiche e dalle volontarie. Diverse tecniche di riduzione vengono in seguito riportate da Kocher (1870), Stimpson (1907) e Milch (1938). Lo studio anatomo-patologico delle lesioni ha permesso di comprendere quali sono le cause

delle instabilità: Malgaigne nel 1855 e Flower nel 1861 descrivevano il difetto osseo omerale poi confermato con lo studio radiologico da Hill e Sachs nel 1940; Broca e Hartman nel 1890 descrivevano il distacco del labrum e della capsula dalla rima glenoidea e i primi interventi chirurgici per la lussazione recidivante [2]. Gli studi sulle lesioni del labbro e della capsula e il loro trattamento chirurgico di riparazione vengono ampliati da Perthes nel 1906 [3] e da Bankart nel 1923 e nel 1938 [4,5]. È stato proposto negli anni un gran numero di sistemi classificativi delle instabilità, che rispecchiano il continuo studio della fisiopatologia di questa condizione. I diversi Autori hanno classificato le instabilità a seconda di alcune variabili, quali la ricorrenza dell evento, la presenza di un trauma, lo stato capsulo-legamentoso dell articolazione, la direzione e l entità della lussazione. Con l avvento dell artroscopia si ampliano le conoscenze scientifiche, identificando meglio i quadri anatomo-patologici nelle differenti tipologie di instabilità; si identificano meglio l estensione e la dinamica dei deficit ossei (Hill- Sachs, McLaughlin, bony-bankart) e vengono creati nuovi acronimi per descrivere le differenti microlesioni evidenziate: ALPSA (Anterior Labroligamentous Periosteal Sleeve Avulsion) [6], SLAP (Superior Labrum from Anterior to Posterior) [7], HAGL (Humeral Avulsion of Glenohumeral Ligament) [8] e R-HAGL (reverse HAGL), avulsione del legamento glenoomerale dal lato glenoideo. Classificazioni Rowe [9] negli Stati Uniti differenziava le diverse entità eziologiche e cliniche in: instabilità traumatica; instabilità atraumatica; instabilità volontaria; sublussazione transitoria; sublussazione involontaria. Descriveva inoltre i diversi fattori eziologici che possono generarla: lesioni capsulari: 1. avulsione, 2. lassità; lesioni ossee: 1. lesione omerale, 2. fratture del bordo glenoideo, 3.variazioni nella versione glenoidea; lesioni muscolari. Il gruppo Duplay (1985, gruppo di studi fondato da Didier Patte) [10] in Europa descriveva tre stadi: lussazione recidivante o abituale; sublussazione recidivante; instabilità dolorosa. Timothy e Bunker (1988) dividevano le instabilità in base a: tempo: acuta, cronica; direzione: unidirezionale, bidirezionale, multidirezionale; eziologia: traumatica, atraumatica, microtrauma ripetuto; grado: sublussazione, lussazione, translazione; alterazione strutturale: congenita, acquisita. Molé e Walch [11] modificavano la precedente classificazione aggiungendo, una volta accertato il tipo di instabilità, diversi parametri: acuta, recidivante, inveterata; anteriore, posteriore; traumatica, atraumatica; con o senza iperlassità; volontaria, involontaria. CS Neer II [12] ha proposto la sua classificazione, descrivendo per ciascuna classe l etiologia (E), la patologia (P), la clinica (C) e il trattamento (T): traumatiche E: trauma; P: distacco del labrum e/o lesione dei legamenti GO e/o lesioni ossee; C: instabilità monodirezionale; T: immobilizzazione spesso efficace o intervento nelle recidive; atraumatiche E: lassità congenita; P: lassità articolare generalizzata; C: riduzione spesso spontanea asintomatica; T: immobilizzazione o rieducazione nelle recidive; acquisite E: traumi minori ripetuti, sport; P: aumento del volume articolare, possibile distacco successivo del labrum e/o lesione dei legamenti GO e/o lesioni ossee; C: primo evento lussativo per trauma minimo, spesso riduzione spontanea, possibile evoluzione in instabilità multidirezionale; T: immobilizzazione o intervento nelle recidive. La classificazione proposta da Thomas e Matsen nel 1990 [13] e aggiornata qualche anno È stato proposto negli anni un gran numero di sistemi classificativi delle instabilità, che rispecchiano il continuo studio della fisiopatologia di questa condizione 97

5Fig. 1 - Classificazione anatomo-patologica delle lussazioni e delle fratture-lussazioni posteriori della spalla secondo Randelli Un sistema classificativo adeguato dovrebbe essere semplice, chiaro, riflettere la sintomatologia del paziente ed essere utile per delineare la storia naturale e gli eventuali trattamenti più tardi da Snyder [14] e da Castagna [15] divideva le instabilità in tre gruppi: ciascuno di essi considera meccanismo eziologico, lesione anatomo-patologica, sintomatologia e trattamento terapeutico. I tre gruppi sono denominati da acronimi: TUBS (Traumatic Unidirectional, Bankart, Surgery): sono le instabilità dovute a lesione del labbro glenoideo (lesione Bankart) successive a eventi traumatici, interessano solo l arto traumatizzato, sono unidirezionali (cioè mostrano instabilità solo in una direzione) e sono da indirizzare alla riparazione chirurgica avendo alte percentuali di recidiva. Possiamo trovare: frattura della testa omerale per impatto e compressione (Hill-Sachs, McLaughlin); avulsione ossea per trazione del cercine glenoideo (bony Bankart); distrazione e detensione del legamento gleno-omerale inferiore; lesione del complesso labrum-legamento gleno-omerale medio; lesione Alpsa. AMBRI (Atraumatic, Multidirectional, Bilateral, Rehabilitation, Interval shift) sono le instabilità in soggetti solitamente iperlassi, con instabilità multidirezionale, bilaterali e che si giovano in genere di un trattamento riabilitativo specifico, più raramente della chirurgia ( shift dell intervallo). Sono caratterizzate di solito da: legamento gleno-omerale superiore, medio e inferiore (± legamento coracoomerale) sottili e ridondanti; ampio volume capsulare con eccessiva elasticità legamentosa; insufficienza del legamento coraco-omerale e dell intervallo dei rotatori. AIOS (Acquired Instability Overstress Surgery): con questo termine si intendono quadri di microinstabilità acquisita secondariamente a eventi microtraumatici ripetuti; solitamente interessano gli sportivi, ma particolarmente chi pratica sport sopra il capo (sport overhead ). Sono caratterizzate da microinstabilità che generano lesioni a carico dell ancora bicipitale del capo lungo del bicipite (SLAP lesion), del cercine o della cuffia dei rotatori. Una delle più recenti in letteratura è la classificazione di Gerber e Nyffeler [16]; rispetto a quella proposta da Matsen, si differenzia soprattutto per l inserimento di nuove classi dove sono compresi gli individui con instabilità atraumatica che sviluppano, in seguito a un trauma o a microtraumi ripetuti, un nuovo quadro di instabilità. Gli Autori differenziano innanzitutto tre gruppi di instabilità: statica; dinamica; lussazione volontaria. Le instabilità statiche (A) possono essere: A1. Superiori: translazione prossimale subacromiale della testa per insufficienza/rottura della cuffia dei rotatori (sovraspinoso e infraspinato); A2. Anteriori: translazione anteriore subcoracoidea della testa; si riscontra nel caso di lesioni antero-superiori della cuffia (sottoscapolare e sovraspinoso) o in seguito a interventi di trasposizione muscolare (grande pettorale, grande dorsale); A3. Posteriori: traslazione posteriore della testa, secondaria solitamente a displasie congenite o acquisite della glena; A4. Inferiori: translazione distale della testa secondaria a lesioni muscolari, neurologiche. Nell ambito delle dinamiche (B) si distinguono: B1. Lussazione statica cronica: trauma ad alta energia che provoca uno stabile contatto tra sede di frattura e glenoide, con fratture da compressione Hill-Sachs, McLaughlin; B2. Instabilità unidirezionale senza iperlassità: è la forma più frequente, può essere anteriore, posteriore o inferiore; è associata a un trauma severo e a lesioni del complesso gleno-omerale inferiore, includendo labbro e/o rima glenoidea; B3. Instabilità unidirezionale con iperlassità: è, secondo l Autore, sottostimata (30%), il trauma è di severità variabile; sono presenti i segni dell iperlassità (Sulcus sign, Drawer test) ed è associata a lesioni capsulo-labbrali, apertura/ lesione dell intervallo, lesione del LGOM; B4. Instabilità multidirezionale senza iperlassità: è una forma rara, sono necessari almeno due traumi severi in diverse direzioni (anteriore, posteriore); sono presenti lesioni del complesso gleno-omerale inferiore (anteriore e posteriore), includendo labbro e/o rima glenoidea; 98

B5. Instabilità multidirezionale con iperlassità: rappresenta, secondo l Autore, una forma sovrastimata (5%) e può essere anteriore, posteriore e inferiore; solitamente è presente all anamnesi un lieve trauma ed è più frequente nel sesso femminile. Sono presenti: lesione dell intervallo, ridondanza della capsula e dei legamenti che appaiono detesi; B6. Instabilità volontarie (uni- o multidirezionali): rappresentano le instabilità abituali e volontarie, legate alla capacità dell individuo di sub-lussare o lussare e ridurre autonomamente l articolazione senza sintomatologia algica, eccetto che per un leggero discomfort post-riduttivo. Tali soggetti sono candidati a un trattamento conservativo non costante, specialmente nella variante posteriore. Il terzo gruppo comprende le lussazioni volontarie (C) distinte in tre gruppi: C1. Soggetti che sono sorpresi dalla capacità di lussare e ridurre l articolazione; C2. Soggetti con sintomatologia algica e instabilità dinamica involontaria che nel tempo imparano a gestire volontariamente sublussazioni, lussazioni, riduzioni; C3. Soggetti con condizioni psicologiche patologiche. Attualmente esiste ancora, come sottolineato da diversi Autori (McFarland 2003 [17], Chahal 2007 [18]), una disomogeneità tra i chirurgi ortopedici sia nella terminologia sia nella scelta del trattamento chirurgico delle varie forme di instabilità. I lavori scientifici in letteratura sono eterogenei, rendendo difficile se non impossibile effettuare metanalisi o confrontare i risultati ottenuti. Questo è dovuto alla mancanza sia di una definizione univoca di instabilità sia di una valutazione dei risultati ottenuti basata sulla procedura usata e non sulla condizione. Recentemente Kuhn [19], effettuando una sistematica revisione delle classificazioni dell instabilità di spalla più conosciute, ha identificato le caratteristiche più usate dai diversi Autori includendole in un nuovo sistema classificativo chiamato FEDS (acronimo che sta per Frequency, Etiology, Direction, Severity). Tale classificazione prevede l analisi di queste quattro caratteristiche in base alla raccolta anamnestica e all esame clinico: frequenza: in base agli episodi di instabilità: isolata (1 episodio), occasionale (2-5 episodi) e frequente (più di 5 episodi); eziologia: traumatica, atraumatica; direzione: sia quella avvertita dal paziente sia quella obiettivabile dal medico con gli appositi test (apprehension test, translation test, jerk test, sulcus sign); severità: sublussazione e lussazione. Lussazioni posteriori Le lussazioni posteriori comprendono delle entità ben differenti sia per espressione clinica, meccanismo di lesione che trattamento [20]. Si possono distinguere in lussazione posteriore acuta traumatica,inveterata e recidivante. n La lussazione posteriore acuta traumatica è rara e costituisce 1% - 4% delle lussazioni di spalla. Esse sono misconosciute nei due terzi dei casi ed evolvono verso la lussazione inveterata. È più frequente nell uomo in due circostanze: Nelle crisi epilettiche, il delirium tremens o l elettroterapia che provocano un tetano muscolare e sono spesso bilaterali. La maggior forza dei rotatori interni rispetto ai rotatori esterni spiega lo spostamento indietro della testa omerale; In seguito ad incidenti stradali con violenti traumatismi sull arto superiore in rotazione interna; in questi casi è più frequentemente unilaterale. Clinicamente vi è caratteristicamente un atteggiamento dell arto superiore in rotazione interna fissa ed un deficit della rotazione esterna attiva e passiva. n La lussazione posteriore inveterata, vale a dire osservata dopo 3 settimane, ha etiologia e presentazione clinica identica alle lussazioni posteriori acute ma con minor dolore e con mobilità talvolta conservata in elevazione. Randelli [21] ha proposto una classificazione anatomo-patologica delle lussazioni e fratturelussazioni inveterate in quattro stadi (Fig 1): Tipo I la lussazione posteriore presenta un encoche posteriore di Mc Laughlin poco profonda che interessa solo una parte limitata della testa (inferiore al 50%); Tipo II comprende i casi in cui l encoche è 99

più larga e profonda, estendendosi a più di metà testa; Tipo III corrisponde ad una vera frattura lussazione a due frammenti la cui rima di frattura può essere verticale o obliqua in relazione alla retropulsione a dell omero al momento del traumatismo. Tipo IV è una frattura lussazione a più frammenti. n Per le lussazioni e sublussazioni posteriori recidivanti occorre fare una precisazione circa la terminologia. Il termine lussazione recidivante è utilizzato per i pazienti che hanno presentato almeno due episodi confermati di lussazione. Il termine volontaria presuppone che il paziente controlli e provochi lui stesso coscientemente la lussazione. In tal senso occorre ben distinguere una lussazione volontaria da una riproducibile. Fukuda [22] definisce abituale quando la lussazione si riproduce regolarmente in alcune posizioni, essa può essere involontaria o volontaria. La lussazione recidivante posteriore involontaria è molto rara. Nell anamnesi si riscontra sempre un primo episodio traumatico con delle lussazioni iterative che sono avvenute in seguito più facilmente con lievi traumatismi o gesti banali della vita quotidiana. In tutti gli episodi di lussazione i pazienti riferiscono un importante dolore. L esame clinico comprende la ricerca dei segni d instabilità posteriore quali l apprensione in flessione, rotazione interna e adduzione, il cassetto posteriore e lo jerk test a paziente seduto per Fukuda o in decubito (drawer test di Gerber). L etiopatogenesi mostra una lesione o distacco del cercine posteriore o rare bony bankart posteriori [10]. Conclusioni La classificazione di una patologia è necessaria per comprendere i diversi aspetti e le differenti forme cliniche con cui essa si può manifestare. Un sistema classificativo adeguato dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: essere semplice e facile da adoperare; includere tipologie ben distinte l una dall altra senza spazio per ambiguità; essere affidabile; riflettere la sintomatologia del paziente ed essere utile per delineare la storia naturale e gli eventuali trattamenti. L avvento dell artroscopia è stato secondo noi fondamentale per descrivere le lesioni anatomopatologiche in maniera sia statica sia dinamica e ha permesso di evidenziare microlesioni articolari che erano spesso alla base di recidive dell instabilità o di fallimenti di alcuni trattamenti conservativi e/o chirurgici. Questo ha permesso di arricchire i precedenti quadri classificativi di nuove classi di pazienti, in modo da inserirli nel corretto iter strumentale e quindi per la scelta del trattamento chirurgico più indicato. Bibliografia 1. Beighton P, Solomon L, Soskolne CL (1973) Articular mobility in an African population. Ann Rheum Dis 32:413-418 2. 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