Private equity. Il processo di sviluppo delle aziende familiari: il contributo del private equity. di Francesco Bollazzi (*)



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Private equity Tecniche Il processo di sviluppo delle aziende familiari: il contributo del private equity di Francesco Bollazzi (*) Il presente contributo ha lo scopo di mostrare i risultati di una ricerca che ha analizzato l impatto economico generato dagli investitori istituzionali in capitale di rischio nelle operazioni di finanziamento dello sviluppo (expansion financing) aventi quale target company un azienda familiare, nell intervallo temporale compreso fra l anno di entrata e l anno di uscita dalla compagine azionaria. Premessa In Italia, il binomio costituito da private equity e aziende familiari (1) rappresenta un asse di primaria importanza nel panorama economico-finanziario. Infatti, a fronte della notevole ed universalmente riconosciuta presenza di tale tipologia di imprese all interno del tessuto imprenditoriale nazionale, il private equity entra con frequenza in contatto con tali realtà, quale possibile soluzione a problematiche legate al passaggio generazionale o a processi di sviluppo. Con particolare riferimento a questi ultimi, le aziende familiari costituiscono un target di primaria importanza per gli operatori di private equity, rappresentando circa l 85% delle operazioni in capitale per lo sviluppo (2). In tale ambito si inserisce il presente studio, il cui obiettivo è stato quello di analizzare nel dettaglio, sulla base di quanto concretamente avvenuto sul mercato negli ultimi anni, l impatto economico generato dagli investitori istituzionali in capitale di rischio nelle operazioni di finanziamento dello sviluppo (expansion financing) aventi quale target company un azienda familiare, nell intervallo temporale compreso fra l anno di entrata e l anno di uscita dalla compagine azionaria. Il quadro di riferimento A tale proposito, sembra opportuno, dapprima, richiamare brevemente i due concetti cardine del presente studio. Si definisce expansion financing, o finanziamento dello sviluppo, l investimento effettuato da un operatore in capitale di rischio finalizzato a supportare la crescita e l implementazione di programmi di sviluppo di aziende già esistenti (3). Tale intervento si richiede nelle situazioni in cui, a diverso titolo, l impresa si trovi di fronte a problematiche connesse al suo sviluppo. Tecnicamente, l operazione si realizza attraverso l acquisizione di una quota di minoranza e la contestuale sottoscrizione di un aumento di capitale da parte dell investitore istituzionale (4). Esistono, invece, diverse accezioni del concetto di azienda familiare. In questa sede, si accoglie la definizione secondo cui un impresa si considera familiare quando una o poche famiglie collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una quota del capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell impresa (5). L impatto economico positivo del private equity sulle aziende partecipate è confermato da numerosi studi condotti a livello nazionale ed internazionale (6), che ne testimoniano il ruolo di acceleratore del- Note: (*) PhD, Università Carlo Cattaneo - Liuc (1) Il presente articolo prende spunto da: Gervasoni A., Bollazzi F., L impatto economico del private equity nel processo di sviluppo delle aziende familiari,articolo presentato al Convegno Aidea «Dinamiche di sviluppo e di internazionalizzazione del family business», Milano 18-19 Ottobre 2007. (2) Fonte: Private Equity Monitor (PEM ). Il Private Equity Monitor è un Osservatorio attivo presso l Università Carlo Cattaneo - LIUC. Esso, avvalendosi esclusivamente di fonti pubbliche di dati, si pone come obiettivo quello di sviluppare un attività di monitoraggio permanente degli investimenti in capitale di rischio in Italia. (3) Gompers, Lerner, 2004. (4) Gervasoni, Sattin, 2004. (5) Corbetta, 1995. (6) Evca, 2005; Gervasoni e altri, 2006; Aifi, PriceWaterhouse Coopers, 2006; Gervasoni, Bollazzi, 2007. 43

Tecniche Private equity lo sviluppo. Tale risultato è il frutto, come noto, non solo di un supporto finanziario, ma anche di ulteriori contributi di diversa natura offerti alle target companies, tra cui l introduzione, o il cambiamento, dei sistemi di corporate governance dell azienda, ovvero uno dei principali freni allo sviluppo delle imprese familiari. Dunque, l ingresso di un operatore di private equity è in grado anche di contribuire alla soluzione della rilevante problematica legata al «buon governo» dell impresa. La metodologia di indagine L analisi empirica svolta, finalizzata a comprendere se e come l investitore istituzionale abbia generato valore e ad identificare il suo reale apporto al percorso di sviluppo dell impresa partecipata, è stata condotta attraverso l individuazione e la ricostruzione di un campione di aziende che rispettassero le seguenti quattro caratteristiche: essere imprese familiari; essere state oggetto di investimento da parte di operatori in capitale di rischio; in particolare, si è deciso di focalizzare l analisi sulle operazioni di expansion financing; essere state oggetto di investimento nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2004; essere state già disinvestite da parte del private equiter. Il campione è stato costruito identificando una serie di imprese familiari coerenti con le caratteristiche sopra enunciate, attraverso l utilizzo del database del Private Equity Monitor (PEM ). Il Private Equity Monitor si focalizza sulle operazioni realizzate da investitori a matrice privata e censisce, dal 1998 ad oggi, gli interventi finalizzati alla crescita aziendale (expansion) o alla sostituzione parziale o totale del precedente azionariato da parte di investitori istituzionali (replacement, buy out e turnaround). Il database conta ad oggi oltre 600 rilevazioni, di queste il 39% è costituito da operazioni di sviluppo. Focalizzando l attenzione su queste ultime, come già accennato, l 85% presenta una origination riferibile ad un impresa familiare, ma solo 60 società rispettano i requisiti fissati in precedenza. Il campione ricostruito risulta essere composto da 33 aziende oggetto di investimento e, dunque, in considerazione del fatto che l universo di riferimento, rappresentato dal dato fornito dal PEM, è costituito da 60 imprese, è possibile affermare che il campione stesso risulta essere rappresentativo e consistente rispetto al fenomeno oggetto di indagine. Con riferimento a ciascuna impresa del campione, si è proceduto all acquisizione di una serie di informazioni ed indicatori che hanno consentito di realizzare un analisi su due livelli: di inquadramento del fenomeno in esame a livello temporale, geografico e settoriale; di tipo quantitativo, attraverso indicatori di bilancio, finanziari, di performance ed occupazionali. La scelta di considerare esclusivamente operazioni per la quali la fase di disinvestimento sia stata già condotta a termine risiede nella volontà di effettuare un analisi comparativa ex ante ed ex post, potendo così valutare gli effetti derivanti dalla presenza dell investitore istituzionale e, dunque, l impatto generato nel processo di sviluppo dell impresa. Le caratteristiche del campione di indagine Per un migliore inquadramento del fenomeno di seguito indagato, si ritiene utile una accurata descrizione della morfologia del campione individuato. Innanzitutto, come già accennato, si è deciso di creare un campione di imprese familiari che avessero già effettuato la fase di disinvestimento. Questa contingenza ha determinato la costituzione di un database di operazioni in cui l anno di entrata dell investitore non oltrepassa il 2004. Tale situazione è diretta conseguenza dell orizzonte temporale medio-lungo tipico degli investimenti in capitale di rischio. In particolare, il campione si distribuisce come presentato nella Tavola 1, da cui emerge come più del 50% delle operazioni siano state realizzate tra il 2000 e il 2001. Spostando l attenzione sul momento della conclusione dell operazione, è stato possibile osservare come la distribuzione del campione si sposti maggiormente verso gli anni compresi fra il 2003 e il 2005, a conferma di quanto affermato in precedenza, ossia che la permanenza media dell investitore all interno di un impresa si attesta solitamente sul medio-lungo periodo. Nello specifico, è importante soffermarsi proprio sulla permanenza media delle imprese all interno del portafoglio di partecipazioni dell investitore istituzionale. Trattandosi di uno degli aspetti che contraddistinguono questa particolare tipologia di attività, caratterizzata proprio da un solido e duraturo rapporto fra operatore ed impresa, la qualità e la durata di tale cooperazione rappresentano due elementi di notevole importanza per il raggiungimento degli obiettivi di entrambe le parti: dell impresa, per uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo, dell investitore per la creazione di valore ed il raggiungimento del conseguente capital gain. Il grafico in Tavola 2 evidenzia la durata delle operazioni nel campione di riferimento. È possibile osservare come la permanenza dell investitore all in- 44

Private equity Tecniche terno della compagine azionaria nell impresa si attesti, nella maggior parte dei casi, su 2 o 3 anni (52% delle imprese), confermando, nella sostanza, quanto mediamente accade a livello di mercato complessivo. Il calcolo della media restituisce un valore pari a 2,33 anni, periodo necessario per la progettazione e l implementazione dei piani di sviluppo che l impresa decide di intraprendere sfruttando le risorse, manageriali e gestionali dell investitore istituzionale. Il valore mediano (7) risulta leggermente inferiore e si attesta sui 2 anni di permanenza. Concentrando l attenzione sull aspetto geografico, è possibile affermare che il Nord Italia si presenta come l ambito territoriale sul quale è maggiormente concentrata l attenzione e l attività degli investitori istituzionali, riscontro che trova una decisa conferma nelle statistiche annualmente presentate da Aifi (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) (8). In particolare, la Lombardia, risulta essere la regione nella quale sono state effettuate il 33% delle operazioni di finanziamento dello sviluppo avente ad oggetto imprese familiari. A seguire, la seconda area per frequenza di operazioni di tale tipologia è risultata essere l Emilia Romagna, mentre le rimanenti regioni (Lazio, Toscana, Veneto, Piemonte, Campania, Marche) presentano frequenze relative simili. È possibile, poi, osservare come, a livello settoriale, le imprese, classificate tramite l utilizzo del SIC Code (9), si distribuiscano in prevalenza sui settori tradizionali dell economia (64%). In particolare, il 27% delle imprese familiari presenti nel campione operano nel comparto dei prodotti per l industria. A seguire, con una percentuale pari al 15%, si posizionano le imprese appartenenti al settore dell Information Communication Technology (ICT), a testimonianza di una certa attenzione degli operatori anche verso imprese familiari ope- Note: (7) La mediana è il valore (o l insieme di valori) di una distribuzione per il quale la frequenza cumulata vale 0,5. Pertanto, essa bipartisce la distribuzione, ovvero rappresenta quel valore che divide il campione in due sottocampioni di uguale frequenza. (8) Si veda, al riguardo: www.aifi.it. (9) La Standard Industrial Classification costituisce la classificazione settoriale di riferimento in ambito internazionale. Tavola 1 Le imprese del campione distribuite per anno di investimento Tavola 2 Le imprese del campione distribuite per durata dell operazione 45

Tecniche Private equity ranti in comparti consolidatisi più di recente nella nostra economia (si veda Tavola 3). Ulteriore aspetto importante e meritevole di approfondimento è quello relativo alla quota di capitale sociale attraverso cui l investitore effettua il proprio ingresso nella compagine azionaria dell azienda target. Nella Tavola 4 è possibile apprezzare questo aspetto, precisando che i singoli dati puntuali sono stati distribuiti per intervalli significativi. Le operazioni del campione si distribuiscono piuttosto uniformemente negli intervalli individuati. In particolare, il 21% del campione ha acquisito quote inferiori al 10%, il 34% quote comprese tra il 10% ed il 20%, mentre il 38% quote non superiori al 35%. Il valore medio risulta essere pari al 19,74% del capitale sociale dell azienda partecipata, totalmente in linea con il valore mediano che si attesta al 20%. Chiaramente, in coerenza con la scelta iniziale di focalizzare l attenzione sulle attività di finanziamento dello sviluppo, si registrano esclusivamente operazioni di minoranza. È importante focalizzarsi, parallelamente all analisi della quota acquisita dagli investitori istituzionali, anche sull ammontare investito degli stessi in capitale di rischio. Dalla Tavola 5 è possibile notare come circa un terzo degli investimenti in capitale di rischio siano compresi fra 0,1 e 3 milioni di euro e come quasi il 70% delle operazioni non prevedano un investimento superiore ai 10 milioni di euro. Tale dato è, a livello dimensionale, certamente coerente con la scelta originaria di concentrare l attenzione sulle imprese familiari che, di frequente, rientrano nella categoria delle piccole e medie imprese. L investimento medio in capitale di rischio si attesta intorno ai 9,75 milioni di euro, mentre un valore inferiore si ottiene dal calcolo della mediana, che si attesta sui 5,5 milioni di Euro. L ultimo dato interessante, ai fini di una esaustiva descrizione della morfologia del campione, è costituito dalla modalità con cui l investitore ha portato a termine la sua permanenza all interno dell azionaria- Tavola 3 Le imprese del campione distribuite per settore di attività Tavola 4 Le imprese del campione distribuite per quota acquisita dall investitore 46

Private equity Tecniche to dell azienda partecipata, cioè la tipologia di disinvestimento. In tal senso, le aziende del campione si distribuiscono piuttosto uniformemente tra le diverse modalità di disinvestimento registrate. Nel dettaglio, l analisi del campione ha consentito di registrare cinque casi di buy back, ossia di riacquisto della partecipazione da parte dei soci storici; sette operazioni, ossia il 21% delle operazioni prese in considerazione, si sono concluse con la vendita ad un nuovo socio finanziario (releveraged), nel segno di una continuità del processo di sviluppo, ma con l ausilio di un nuovo partner in grado di portare nuove risorse e nuove competenze; cinque deals sono stati portati a termine attraverso cessione tramite trattativa privata ad un nuovo socio industriale. Dato di assoluto rilievo è costituito dalla presenza di sei operazioni (18%) che si sono concluse mediante la quotazione in borsa (IPO) dell impresa, modalità di uscita sicuramente molto ambita sia dagli investitori istituzionali che dalle imprese oggetto di investimento. La Tavola 6 propone anche un confronto con l universo di riferimento, rappresentato dal dato fornito dal Private Equity Monitor (PEM), evidenziando una certa uniformità di distribuzione. Il paragone, infatti, non consente di individuare differenze significative, se non un numero maggiore di operazioni concluse attraverso buy back ed una frequenza inferiore di casi di trade sale, ma soprattutto, di write off. Il contributo del private equity al processo di sviluppo Al fine di comprendere appieno l impatto economico attribuibile al private equiter, si è scelto, come già specificato in precedenza, di considerare unicamente operazioni il cui ciclo di intervento si fosse concluso, che fossero state, cioè, già disinvestite. Sono stati, poi, scelti una serie di indicatori considerati significativi e si è proceduto, attraverso la raccolta e l analisi dei bilanci rispettivamente dell anno dell investimento e dell anno di disinvestimento, a valutare le variazioni intervenute nel periodo di osservazione. Queste variazioni non sono Tavola 5 Le imprese del campione distribuite per ammontare investito (Euro mln. ) Tavola 6 Le imprese del campione distribuite per modalità di disinvestimento 47

Tecniche Private equity state determinate come semplici variazioni percentuali, bensì sottoforma di tassi di crescita medi annui, attraverso la formula del Cagr (10) (Compounded annual growth rate). La scelta del Cagr è dovuta alla necessità di considerare non solo la dimensione della variazione, ma anche il periodo di permanenza dell operatore, che, come si è avuto modo di analizzare in precedenza, presenta una variabilità significativa (da 1 a 6 anni). Nel dettaglio, si è scelto di effettuare l analisi relativamente ad alcuni parametri economici, quali il fatturato (11), l Ebit, l Ebitda, l utile netto ed il valore aggiunto (12), ad alcuni indicatori significativi dal punto di vista patrimoniale, quali il capitale circolante, il capitale immobilizzato netto (13) ed il patrimonio netto (14), ed, infine, all aspetto occupazionale, attraverso il numero di dipendenti (15). Si riportano, di seguito, alcuni dei risultati più interessanti emersi dall analisi. Il primo parametro analizzato è stato il fatturato. A tale riguardo, occorre precisare che, avendo raccolto dati puntuali, sono stati costruiti degli intervalli di valori ritenuti rappresentativi e significativi al fine di valutare la modalità di distribuzione del campione. Tale nota metodologica risulta essere valida anche per i successivi indicatori analizzati. Dalla Tavola 7, appare evidente come il processo di espansione e sviluppo intrapreso dalle aziende censite con l affiancamento di un operatore in capitale di rischio abbia determinato un significativo impatto a livello di crescita del fatturato. Infatti, è possibile osservare come solo il 18% (ossia 6 osservazioni in termini assoluti) delle imprese appartenenti al campione abbia registrato un tasso di crescita medio annuo negativo nel periodo di permanenza dell operatore. La maggior parte delle società, infatti, ha registrato performance positive comprese fra lo 0 e il 10%, giungendo fino ad arrivare a realtà aziendali che hanno realizzato una crescita superiore al 90% (12% del campione). Oltre al calcolo del tasso di crescita medio annuo del fatturato, si è fatto ricorso anche ad alcuni indicatori statistici, per meglio contestualizzare i risultati. A tale proposito, è stata calcolata la media ponderata dei Cagr (16), che ha restituito un valore pari al 41,75%, e la varianza, al fine di valutare la distribuzione dei dati rispetto alla media. In questo caso, il risultato ot- Note: (10) Il Cagr (Compounded annual growth rate), o tasso medio annuo di crescita composto, è un indice che rappresenta il tasso di crescita medio periodale di un certo valore in un dato arco di tempo. L ipotesi che sottende a questo concetto è che, a prescindere da quali siano state le oscillazioni nella crescita del capitale tra il periodo t1 ed il periodo t2, considerati n periodi di capitalizzazione, si è comunque avuto un tasso di crescita medio. (11) Si intende il totale del valore della produzione, dunque la somma dei ricavi delle vendite e delle altre forme marginali di ricavo. (12) Si intende la differenza tra il fatturato, come prima definito, ed il costo di acquisto delle materie prime, il costo per i servizi ed il costo per il godimento di beni di terzi. (13) Si intende l insieme delle immobilizzazioni materiali, immateriali e, al netto dei rispettivi fondi di ammortamento. (14) Si intende il valore risultante dalla somma del capitale sociale, delle riserve e degli utili portati a nuovo. (15) Si intende la somma di dirigenti, quadri, impiegati ed operai presenti stabilmente in azienda. (16) La media ponderata è stata calcolata utilizzando, quale fattore di ponderazione, il peso relativo del fatturato di ciascuna osservazione sul fatturato totale registrato dalle aziende delle campione. Tale nota metodologica è valida per tutto il prosieguo dell analisi. Tavola 7 Le imprese del campione distribuite per Cagr di fatturato 48

Private equity Tecniche tenuto è stato molto contenuto, pari a 0,67. Infine, per fornire un ulteriore indicazione, superando il limite insito nell indicazione offerta dalla media, ossia quello di risentire della presenza di valori che da essa si scostano notevolmente, si è proceduto al calcolo del valore mediano dei Cagr. La mediana si attesta su un valore pari a 16,99%, dato che conferma l impatto positivo dell ingresso dell operatore in capitale di rischio, ma che segnala la presenza nel campione di valori che si discostano notevolmente dalla media e, dunque, di performance significativamente differenti. Uno studio analogo è stato condotto con riferimento all Ebitda. Dalla Tavola 8, si registra la presenza di variazioni negative per il 39% delle imprese appartenenti al campione, mentre, il restante 61% ha mantenuto un trend positivo nel periodo di permanenza del private equiter. Tra le altre, il 18% del campione presenta una crescita media annua addirittura superiore al 90%. In tale situazione, risulta essere particolarmente significativo il calcolo degli indicatori statistici: infatti, il Cagr medio risulta essere pari a 31,96%, con una varianza pari a 2,44, mentre il valore mediano si attesta al 15%. Questi valori restituiscono l impressione di un impatto positivo, confermato anche dall analisi dettagliata dei singoli casi di Cagr negativo, che presentano, nella maggior parte delle situazioni, valori prossimi allo zero. Inoltre, si è cercato di approfondire l analisi attraverso un confronto tra il tasso di crescita medio annuo del fatturato e quello dell Ebitda (Tavola 9). Osservando l andamento parallelo di questi due importanti indicatori, è possibile individuare una sostanziale uniformità di distribuzione, fatta eccezione per i casi di Cagr negativo o compreso nell intervallo 0%-10%. In sintesi, un impatto positivo più deciso è associabile all indicatore fatturato ed il motivo di tale contingenza potrebbe essere addebitato ad un im- Tavola 8 Le imprese del campione distribuite per Cagr dell Ebitda Tavola 9 Fatturato - Ebitda 49

Tecniche Private equity patto più che proporzionale dei costi operativi. Inoltre, i diagrammi di dispersione evidenziano come le imprese già in difficoltà a livello di fatturato confermino la contrazione anche a livello di Ebitda. Quale ulteriore indicatore di performance economica, si è focalizzata successivamente l attenzione sull utile netto (Tavola 10). A fronte di una variazione media positiva pari al 14,78% ed un valore della mediana pari a 25,39%, la varianza risulta particolarmente elevata, ma soprattutto si osserva, dalla figura successiva, come circa il 45% delle imprese appartenenti al campione abbia ottenuto variazioni negative con riferimento al risultato netto e il 24% del campione abbia registrato risultati netti negativi in senso assoluto. L analisi dei bilanci ha consentito di verificare come, in tal senso, un ruolo determinante sia rivestito dagli ammortamenti, e ciò risulta essere un indicazione coerente con l obiettivo tipico delle operazioni di expansion. Infatti, per implementare i piani di sviluppo, intrapresi con l ausilio dell operatore in capitale di rischio nell ottica di ampliare la propria attività, è quasi sempre necessario programmare un ampliamento della capacità produttiva attraverso piani di investimenti pluriennali, che determinano un significativo incremento delle quote di ammortamento. È da ricordare, inoltre, come un ruolo fondamentale sia imputabile, a tale proposito, alla tipologia di settore, che può essere più o meno capital intensive. Passando all analisi dei parametri patrimoniali, si ritiene significativo fare riferimento ai risultati emersi con riferimento allo studio dell evoluzione del capitale immobilizzato netto, indicativo a livello di sviluppo della capacità produttiva. Osservando la Tavola 11, si traggono indicazioni molto positive (che confortano, tra l altro, anche le precedenti considerazioni relative all impatto significativo generato dagli ammortamenti su alcuni indicatori di conto economico). In particolare, nonostante un Cagr negativo per il 12% delle imprese, il restante 88% ha registrato una crescita media annua positiva. Il dato più rilevante è certamente rappresentato da circa un terzo del campione che ha, nella sostanza, raddoppiato il valore del proprio capitale immobilizzato netto (crescita superiore al 90%).Quanto affermato è confermato dal calcolo degli indicatori statistici, che restituisce un Cagr ponderato medio pari al 57,74% ed un valore mediano che si attesta al 37,16%. Da ultimo, si è focalizzata l attenzione sull aspetto occupazionale, considerando la variazione del numero di dipendenti durante il periodo di permanenza dell investitore istituzionale nelle imprese familiari costituenti il campione (Tavola 12). I dati raccolti sono certamente positivi, in quanto ben il 73% delle realtà aziendali analizzate registra un incremento degli addetti, mentre un restante 27% delle imprese evidenzia tassi di crescita medi annui negativi, seppur contenuti. In particolare, le aziende si distribuiscono con maggior frequenza su tassi di crescita contenuti oppure molto elevati, come appare dal grafico successivo. Quale ulteriore informazione, è possibile individuare una correlazione piuttosto elevata tra casi di write off e situazioni di tassi di crescita medi annui negativi dei dipendenti. Il Cagr medio ponderato risulta essere decisamente positivo (pari al 39%), la mediana pari al 17% e la varianza assolutamente contenuta. Anche tale dato consente di giungere ad un giudizio positivo non solo economico, ma anche sociale, con riferimento alla cooperazione tra aziende familiari ed investitori istituzionali in capitale di rischio (17). Nota: (17) I risultati ottenuti sono, nella sostanza, in linea con altri studi aventi ad oggetto l impatto occupazionale, tra i quali si ricordano quelli condotti da Evca,Aifi e PriceWaterhouse Coopers. Tavola 10 Le imprese del campione distribuite per Cagr del risultato netto 50

Private equity Tecniche Considerazioni conclusive Se occorre tenere presente la riflessione effettuata in sede iniziale, con riferimento alla presenza nel campione di operazioni concluse attraverso la quotazione su un mercato regolamentato, è altrettanto certo che la collaborazione tra investitore istituzionale in capitale di rischio ed imprese familiari ha chiaramente avuto un impatto estremamente positivo nel processo di crescita delle imprese partecipate. Tale evidenza empirica conferma quanto affermato in sede di introduzione, ossia che il private equity contribuisce alla crescita delle aziende familiari attraverso un sostegno finanziario, ma anche grazie al contributo offerto in termini di governance dell impresa, spesso fattore di freno allo sviluppo di tale tipologia di imprese. Tale osservazione assume un valore ancora più significativo se si riflette che buona parte degli anni di riferimento non sono certamente stati, almeno nel nostro paese, anni di marcato sviluppo a livello economico. L intento del presente lavoro non è quello di comprendere se sia meglio intraprendere processi di crescita e di espansione con o senza l intervento di un operatore in capitale di rischio; ciò che interessa è avere verificato, ed i risultati confortano tale tesi, l impatto positivo del rapporto impresa-investitore istituzionale sull azienda stessa. La considerazione finale che è possibile trarre è la seguente: il capitale di rischio costituisce non solo una fonte di risorse per l impresa, ma anche una leva in grado di produrre effetti moltiplicativi di grande rilevanza sugli investimenti, sulla catena del valore e sull occupazione. L analisi empirica consente, però, di evidenziare esiti molto diversi associati alle operazioni. Se oltre il 60% delle aziende presenta performance indubbiamente di successo, si registra, contemporaneamente, la presenza di un gruppo di imprese con ri- Tavola 11 Le imprese del campione distribuite per Cagr del capitale immobilizzato netto Tavola 12 Le imprese del campione distribuite per Cagr del numero di dipendenti 51

Tecniche Private equity ferimento alle quali non si assiste a risultati positivi in termini di tassi di sviluppo. Tale agglomerato, identificabile con il 39% di aziende che contrae il proprio Ebitda, pur presentando Cagr positivi relativamente a taluni indicatori, manifesta chiaramente delle criticità, proprio a fronte di una contrazione del margine operativo lordo, parametro chiave per quantificare la creazione di valore. È possibile, dunque, suddividere il campione in tre sottoinsiemi di imprese, il primo con performance eccellenti (43%, con Cagr dell Ebitda superiore al 20%), il secondo con risultati più che soddisfacenti (18%, con Cagr dell Ebitda tra 1% e 10%), il terzo caratterizzato da difficoltà (39%, con Cagr dell Ebitda negativo). È importante sottolineare, dunque, come possano sussistere anche delle criticità all interno del rapporto tra private equity e aziende familiari, senza dimenticare le evidenze positive ricavate nel corso della presente analisi. In tale ottica, risulterà di assoluto rilievo proseguire nell indagine, andando a comprendere le motivazioni alla base del mancato atteso sviluppo registrato in tale realtà, per comprendere se esse siano da addebitare a lacune nel rapporto impresa-investitore o se, invece, esulino da esso. 52