RELAZIONE DEL PRESIDENTE ROBERTO SAVARINO
Buongiorno a tutti e ben trovati. Ci ritroviamo in assemblea del settore pesca di Confcooperative dopo 4 anni dall ultima, bellissima, fatta a Stintino nel 2010. Sono stati anni molto complessi per il nostro mondo, in cui abbiamo lavorato molto, affrontando assieme tantissime sfide. abbiamo conosciuto in questi 4 anni 3 assessori all agricoltura e 2 dirigenti del servizio pesca e con loro ci siamo rapportati sempre con spirito costruttivo, ma senza mai dimenticare il nostro ruolo. Abbiamo lottato assieme per ottenere qualche risultato e ci siamo informati a vicenda con seminari, incontri nelle marinerie, circolari, pubblicazioni e tanto altro. Sulla Pesca e le sue difficoltà Per riassumere l attività della pesca in Sardegna voglio dare giusto qualche dato, anche se non bastano certo i freddi numeri a parlare di uno dei settori che vantano antichissime tradizioni legate al nostro patrimonio culturale e sociale. La rilevanza del settore in Sardegna possiamo riassumerla in pochi ma significativi dati: 1.850 km di coste su cui operano 1.355 imbarcazioni da pesca (oltre il 10% della flotta nazionale di circa 12.700) su cui sono imbarcati quasi 3.000 marittimi. Abbiamo poi quasi 9.000 ettari di lagune e aree umide gestite, 35 ambienti in cui lavorano poco meno di 1.000 persone. Contando anche l indotto, insomma, stiamo parlando di almeno 10.000 addetti. Il settore mostra tutti i segni di una difficoltà che assume carattere strutturale, aggravata negli ultimi anni dalla delicata situazione economico-finanziaria che stiamo vivendo.
A livello nazionale si è assistito negli ultimi dieci anni a troppi segni negativi degli indici macroeconomici: - 17.000 posti di lavoro (da 46.000 a 29.000 addetti); - 48% di catture; - 31% la redditività di impresa;- 77% le risorse nazionali per la programmazione di settore; -30% di imbarcazioni; -38% di addetti e una flessione media annua della produzione pari al 4,7%. E una tendenza disastrosa. E necessario fare azioni concrete per virare la rotta e alleviare il grave stato di sofferenza in cui versa l intero settore, prima che sia troppo tardi. I problemi sul tavolo sono tanti e i principali sono: regolamenti europei in equilibrio tra dubbi interpretativi e inapplicabilità alla realtà sarda ritardi difficilmente colmabili sull utilizzo dei Fondi FEP destinati alla pesca mancanza di una fattiva politica di settore della Regione Sardegna incapacità di un processo di semplificazione e sburocratizzazione dell amministrazione regionale e delle agenzie difficoltà di accesso al credito aumenti insostenibili dei costi di produzione scarsa capacità della Regione di incidere positivamente sulle politiche nazionali e comunitarie assenza di una visione politica a medio lungo termine per una gestione razionale delle aree demaniali a fini di pesca e acquacoltura insufficiente attenzione sul riconoscimento dei danni creati dalla fauna selvatica mancato controllo dell attività di pesca abusiva e pseudosportiva
Sui regolamenti europei Come tutti ben sappiamo l Europa, è il caso di dirlo, è entrata prepotentemente nel nostro mare, nelle nostre barche, nelle nostre imprese. Parliamo degli obblighi e adempimenti previsti da un complicatissimo apparato di norme che disciplinano i controlli lungo tutte le fasi, norme che appesantiscono le incombenze per le imprese di pesca con un notevole aggravio di costi. Siamo tutti consapevoli che le regole vanno rispettate e che un efficace sistema di controllo contrasta la pesca illegale a vantaggio degli imprenditori onesti, e consente di riconoscere i prodotti ittici locali rispetto a quelli importati. Ma se non c è un giusto punto di equilibrio, se le regole, come spesso avviene, risultano impraticabili rispetto alla nostra realtà, si rischia pesantemente di spingere operatori onesti verso un illegalità obbligata e questo è inaccettabile. I dati relativi alla produzione di normativa europea sulla pesca sono a dir poco impressionanti se rapportati agli altri settori produttivi. Siamo convinti che la crescita esponenziale della produzione normativa europea non faccia bene alla pesca, ma probabilmente serve soltanto a giustificare uno staff di eurocrati totalmente inadeguati a sostenere il settore. E necessario chiedere una riflessione seria sui regolamenti applicati e sui rapporti tra Comunità Europea e Stati Membri. Abbiamo sempre ritenuto quello della Direttiva comunitaria lo strumento più adatto, lasciando agli Stati Membri il recepimento e adattando le linee principali alle realtà locali.
Sul ritardo nell utilizzo dei Fondi FEP I dati sulla spendita dei fondi comunitari destinati alla pesca sono sconfortanti, oltre che sconcertanti: degli oltre 15 milioni previsti per la Sardegna nel FEP dal 2007 al 2013, quelli spesi, arrivati alle imprese, finora ammontano a meno di un milione di euro. Questo dato è davvero difficile da commentare, ma qualcosa sulle motivazioni bisogna dirla, e abbiamo ben presente: gli stringenti vincoli delle normative europee in materia di fondi pubblici; il sistema complesso legato a Cabina di regia nazionale; gli ostacoli vari di natura procedurale; le difficoltà delle imprese a reperire i fondi a copertura della quota di cofinanziamento; ma bisogna dire che questo vale per tutta Italia, solo che la Sardegna al 31/12/2013 è tra le ultime regioni in quanto a spendita sul FEP. Le priorità devono essere volte a mettere in circolo i fondi europei e, soprattutto, bisogna lavorare affinché tali fondi siano calzanti alle reali esigenze degli operatori sardi. Nonostante gli encomiabili sforzi personali delle risorse umane, poche e che lavorano tra mille difficoltà, nel Servizio pesca dell assessorato agricoltura, spesso non si riesce a dare risposta poiché il settore, all interno dell assessorato, nonostante la moltiplicazione delle incombenze, è rimasto del tutto marginale. Riteniamo necessario potenziare decisamente il servizio pesca con nuove risorse umane. Sulle politiche di settore Soffriamo la mancanza di una politica di settore della Regione Sardegna e soffriamo l incapacità di incidere positivamente sulle politiche nazionali e comunitarie. In primo luogo bisogna riprendere dai rapporti Regione - Stato - Unione Europea. Le politiche della pesca oggi sono decise nel livello comunitario. E vero che l Unione Europea mette a disposizione del settore consistenti
risorse finanziarie (che non riusciamo peraltro a spendere come abbiamo visto), ma è altrettanto vero che le politiche comunitarie sono spesso calate nelle realtà locali senza considerarne le caratteristiche: il tipo di pesca, le tradizioni, la tipologia delle imbarcazioni, la logistica, la struttura della filiera, le caratteristiche dei fondali ed altro ancora. Bisogna dircelo e bisogna che qualcuno lo dica in sede comunitaria, che non è più accettabile definire norme e misure standard, che aderiscano allo stesso modo, nel Mar Baltico, Nel Canale della Manica e nel Mediterraneo. Ed anche nel Mediterraneo il Tirreno non può essere considerato nello stesso modo dell Adriatico, ma potremo continuare a lungo. Chiediamo che la Sardegna interloquisca in maniera forte con lo Stato italiano e con l Unione Europea affermando e pretendendo il riconoscimento delle specificità. Si parla tanto di autogestione e di mettersi regole dal basso, ma la realtà è che la gestione delle risorse la possiamo fare, certo, ma dentro un recinto, o se volete in una gabbia di regole europee, dove la nostra autonomia decisionale ha un limitatissimo grado di libertà. Vorremmo perciò una Regione che, insieme alla categoria, sappia dotarsi di politiche spendibili in sede comunitaria e nazionale. La Regione Sardegna si è sempre distinta nella gestione sostenibile: abbiamo applicato regole restrittive a tutela delle risorse da molto prima che la Comunità Europea solamente le pensasse. Basti pensare alle regole per la pesca dell aragosta, del corallo, delle anguille, alle nasse, alle taglie minime etc. etc. Non abbiamo saputo far valere niente di tutto questo e abbiamo dovuto subire passivamente tutte le ulteriori regole imposte dalla Comunità Europea.
Chiediamo quindi maggiore coraggio e maggiore autorevolezza della Regione in campo nazionale ed europeo. Un esempio che chiarisce meglio ciò che intendiamo è la battaglia che abbiamo iniziato e che continueremo, sull attribuzione di quote tonno. Oggi in Sardegna nessuna barca può effettuare la pesca al tonno e diventa una vera e propria disgrazia, la cattura accidentale a causa della burocrazia alla quale si deve sottostare e che non mette comunque al riparo dalle sanzioni. Dobbiamo porre attenzione anche alla prossima partita sul pesce spada. Non possiamo rischiare di rimanere fuori anche da quelle quote. Sulla burocrazia E da troppi anni che continuiamo a sentir parlare di semplificazione della macchina regionale. Non abbiamo ancora visto nessun risultato concreto nel nostro settore. E indispensabile costruire un nuovo processo di semplificazione, che riguardi tutti gli enti coinvolti e nella pesca sono tanti: dai rapporti con le Amministrazioni Locali a quelli con la Regione, con le Agenzie, con gli Assessorati, con le Autorità Portuali, con il Ministero e con le Capitanerie di Porto. L Eccesso di burocrazia logora le imprese e non ci si può rassegnare ad una perdita così grande in termini di risorse economiche e di tempo. Siamo pronti a sostenere ogni iniziativa volta a tramutare la Pubblica Amministrazione in efficiente fattore di sviluppo, consapevoli che solo percorrendo questa strada fatta di responsabilità ma anche di impegno e concretezza, si potranno avere risultati positivi. Particolarmente grave è il mancato coordinamento tra agenzie e assessorato agricoltura. Continueremo a chiedere che queste istituzioni giochino un ruolo come fattori di sviluppo della pesca sarda.
Sulle difficoltà di accesso al credito E necessario rendere più accessibili i mercati finanziari e creditizi, per garantire un reale sostegno alle imprese e dare forza al processo di razionalizzazione e consolidamento di cui ha bisogno il settore. Senza una vera e concreta azione di rafforzamento del sistema di accesso al credito, qualunque misura di sostegno al settore può risultare vana e inefficace. (investimenti dove l impresa deve contribuire almeno con il 60%). E necessario rendere disponibili risorse specifiche a favore dei consorzi fidi promossi dalle associazioni. A proposito di Consorzio Fidi, abbiamo iniziato come associazioni che rappresentano la pesca sarda (Federcoopesca, Lega Pesca, AGCI Agrital e Associazione Armatori) un percorso con Fidicoop, strumento del sistema cooperativo, e il Banco di Sardegna, per arrivare a un protocollo d intesa volto a trovare strumenti finanziari specifici, calibrati sulle esigenze di credito del settore. Sull aumento dei costi di produzione Il fattore di produzione che maggiormente incide sui costi delle nostre aziende di pesca è il carburante, con percentuali che superano il 60% per alcuni mestieri. Il prezzo del gasolio al netto delle tasse è praticamente raddoppiato negli ultimi cinque anni, tanto da venire indicata ormai come causa principale delle minori uscite in mare e quindi delle minori catture effettuate. Il prezzo del gasolio, al netto delle accise, registrato in Italia, è uno dei più alti riscontrati tra i 27 paesi dell UE, solamente Grecia, Cipro e Portogallo hanno registrato prezzi più elevati di quello italiano. E necessario puntare sulle liberalizzazioni. Occorre intervenire in maniera forte ed autorevole per liberare un sistema distributivo bloccato ed appannaggio di un oligopolio che porta ad avere prezzi tra i più elevati in ambito europeo.
In questo senso vanno rimossi gli ostacoli posti al rifornimento a mezzo autobotte in area portuale e occorre snellire le procedure di concessione demaniale e le autorizzazioni doganali per l apertura di nuovi impianti di distribuzione nei porti. Occorre anche investire per avviare scelte di innovazione coraggiose e lungimiranti nel campo dei carburanti alternativi e dei sistemi di propulsione, capaci di realizzare risparmi significativi per le imprese garantendo un maggior rispetto ambientale. Sulla gestione delle lagune sarde due considerazioni: 1. gli ambienti lagunari hanno primaria importanza a livello mondiale per il mantenimento della biodiversità. 2. L attività di pesca, che dipende dalla naturalità del sito, ha consentito il mantenimento della biodiversità e la conservazione delle zone umide. E soprattutto all attività di pesca che bisogna riconoscere il ruolo importantissimo svolto nella conservazione. Le azioni finalizzate alle produzioni ittiche in laguna, corrispondono a quelle necessarie alla conservazione ambientale. E proprio per questo che l utilizzo a fini di pesca degli ambienti lagunari è e deve continuare ad essere quello principale. La rilevanza dell attività svolta dalle cooperative di pesca nelle lagune non è legata solo al mantenimento dell ambiente e alle produzioni ittiche di qualità - oltre 2.000 tonnellate annue - ma anche al ruolo sociale e culturale che le cooperative di pesca hanno avuto e hanno nei territori in cui operano.
Le cooperative di pesca hanno salvaguardato questi ambienti oggetto nel passato, e in alcuni casi anche oggi, di attenzioni non esattamente protezionistiche : le politiche di bonifica a tutti i costi dei primi decenni del 900 i tentativi di trasformazione in porti turistici l aggressione di scarichi industriali e reflui di attività agricole intensive o di scarichi urbani e così via. In particolare gli inquinamenti hanno causato e causano morie pesantissime nelle nostre lagune, morie a cui i pescatori hanno troppo spesso dovuto assistere impotenti. Solo la caparbietà e i molti sacrifici hanno consentito loro di mantenere la posizione, di produzione e vigilanza del territorio, fondamentale per la sua conservazione. Sulle concessioni demaniali manca una visione strategica di mediolungo periodo da parte della regione. Non si può proseguire con le incertezze e con idee, spesso estemporanee, che variano ad ogni cambio di assessore. Questo fa vivere le imprese concessionarie nella precarietà, per cui non possono pensare a programmi di investimento seri e hanno un difficile se non impossibile accesso al credito. Noi chiediamo di dare un contributo serio alla scrittura di programmi di gestione e sviluppo delle aree demaniali. In questo momento però la situazione grave è che a livello nazionale le concessioni a fini di pesca e acquacoltura sono prorogate al 31 dicembre 2020, proroga che, automaticamente sarebbe stata valida anche in Sardegna (così come avvenuto per le concessioni turisticoricreative) se non fosse stato votato il 27 dicembre 2013 uno sciagurato articoletto che in Sardegna proroga le stesse concessioni solo a tutto il 2014. A parte l evidente impossibilità di dare luogo a tutti i bandi, che vanno fatti singolarmente, in così breve tempo, c è
un importante questione di disparità di trattamento, perché le concessioni sarde, andando a bando, andranno a pagare 10 volte di più il canone che viene pagato nel resto d Italia e questo è grave, visto che i prodotti provenienti dalle lagune di altre regioni vengono venduti anche qua con un evidente problema di sleale concorrenza. Chiediamo fortemente che venga rivista la posizione della regione sarda, varando al più presto una legge che adegui le concessioni demaniali a fini di pesca alla situazione nazionale di proroga a tutto il 2020 e sospendendo i bandi già in essere. Sul riconoscimento dei danni creati dalla fauna selvatica I delfini in mare e i cormorani nelle nostre lagune creano un problema enorme agli operatori. Bisogna trovare un modo congruo per indennizzare gli operatori e la loro attività economica. Nonostante le continue richieste, a cui sono seguite interrogazioni, visite e relazioni di Europarlamentari, ad oggi si è fatto troppo poco o nulla di concreto per arrivare ad un pieno riconoscimento degli ingenti danni che arrecano al settore, in termini di danni al pescato e agli attrezzi da pesca. Sull'opportunismo alimentare dei delfini e sulla loro interazione sempre più negativa con la pesca artigianale i pescatori hanno da tempo manifestato la loro impotenza. Oltre a dividere con loro le risorse del mare occorre quotidianamente fare la stima dei danni agli attrezzi. Ad oggi, nonostante i numerosi studi che quantificano in maniera scientifica l entità dei danni, manca una seria presa d'atto. I Cormorani, d'altro canto, saccheggiano impunemente dalle nostre lagune in concorrenza assolutamente sleale visto che non devono sottostare ad alcuna regola. Anche su questo è mancata ad oggi una giusta considerazione, un impegno concreto nell'arginare i danni.
Sulla pesca abusiva e pseudo sportiva A fronte dei controlli che subiscono i pescatori professionali, ci sembra di poter dire che non si rivolga sufficiente attenzione nei confronti di chi attua la pesca in maniera completamente abusiva. La crisi economica sta spingendo sempre più persone a pescare in forma abusiva, fatto che sta innescando problemi serissimi da un punto di vista sociale. Le azioni di queste persone, infatti, si trasformano spesso in vere e proprie razzie salpando, danneggiando o addirittura rubando gli attrezzi dei pescatori professionisti, con conseguenti importanti danni economici. E necessario alzare i livelli di guardia da parte delle autorità preposte ai controlli, prima che succeda qualcosa di grave. Di questo allarme sociale abbiamo interessato le prefetture, ma ci attendiamo risposte concrete e strutturali, che non si fermino al periodo immediatamente successivo alle denunce. Sulla pesca sportiva vorrei dire che non abbiamo niente contro i pescatori sportivi, a patto che siano davvero tali. Noi pensiamo che la pesca sportiva debba essere regolamentata impedendo che siano utilizzati attrezzi professionali come i palangari e riducendo le giornate con calendari specifici, cosi come avviene nella caccia, controllando, inoltre, la diffusa, quanto vietata, commercializzazione del pescato. A fronte di innumerevoli studi sull impatto della pesca professionale e dei diversi attrezzi sulle risorse non esistono studi sull impatto della pesca sportiva. Neanche uno. Non si conosce il numero dei pescatori sportivi. E un fenomeno sconosciuto che bisogna portare alla luce del sole. Perché non pensare ad una licenza di pesca sportiva, così come avviene per la licenza di caccia, magari pensando ad una licenza a punti da legare alle sanzioni, come avviene per la pesca professionale.
Sulla riduzione delle aree di pesca Abbiamo una flotta di pesca artigianale che rappresenta quasi il 90% del totale delle imbarcazioni, caratterizzata da un basso tonnellaggio, questo, assieme alla conformazione dei fondali attorno alla Sardegna, porta ad avere poche aree di pesca molto frequentate. A ridurle ulteriormente: servitù militari: costa sud occidentale (Capo Teulada) costa di Oristano (Capo Frasca) e costa orientale (Capo san Lorenzo). Parliamo di oltre 103.000 ettari di mare precluso o quasi alla pesca. Sono coinvolte circa 540 imbarcazioni e oltre 1.000 imbarcati. Aree Marine Protette e Parchi con aree a mare: 6 aree per un totale di quasi 76.000 Ha dei quali 2.600 di divieto assoluto. Sulle servitù militari bisogna dire che solo in due di queste è previsto un indennizzo legato alle ordinanze di sgombero, anche se c è sempre un ritardo pesantissimo rispetto alla sua erogazione. Oggi siamo in attesa dei pagamenti relativi alle giornate di pesca perse nel 2012. Nell area militare di Capo Frasca, in cui un ampio tratto di mare è perennemente interdetto alla navigazione, non è previsto alcunché. E necessario portare con forza l istanza di riconoscimento di un indennizzo anche per questa servitù nelle opportune sedi al Ministero della Difesa. Sulle Aree Marine Protette, si tratta di aree tolte alla sovranità regionale e in cui non è previsto nessun ruolo attivo a livello decisionale da parte dei pescatori. Abbiamo poi aree interdette per vari motivi: industriali, di navigazione etc. Il golfo di Cagliari è un esempio emblematico, in cui le aree precluse sono enormi e gli spazi per la pesca sono ridotti al lumicino.
Sulle conclusioni Tutti questi argomenti, che acuiscono la situazione di profonda crisi in cui versa il settore, ci devono preoccupare da un lato, ma spingere ad una reazione di forte cambiamento dall altro. Credo che il mondo della pesca si debba stringere e fare corpo unico per affrontare al meglio questa situazione e provare a far cambiare il vento. E da diversi anni che le Organizzazioni del settore pesca dell Alleanza Cooperative Italiane stringono sempre di più i loro rapporti a livello regionale così come sta avvenendo a livello nazionale. A dispetto di altre organizzazioni che cercano la divisione, noi cerchiamo l unione, al di là delle differenze che ci contraddistinguono, che pur esistono, ma che sono ben poca cosa rispetto ai risultati che riusciamo ad ottenere in maniera unitaria, e da qui la volontà in Sardegna di unire le forze anche con l Associazione Armatori Motopescherecci Sardi che rappresenta imprese e armatori. Assieme rappresentiamo il 90% della pesca sarda e questi numeri cerchiamo di metterli in campo nelle complicate partite politiche che il nostro ruolo di rappresentanza e tutela ci porta ad avere. Ci stiamo attrezzando peraltro a potenziare, sempre in maniera unitaria, i servizi e l assistenza che normalmente come associazioni forniamo, grazie a dei fondi messi a disposizione dall assessorato. Fare assieme è possibile, penso ai passi in avanti fatti con gli sforzi da parte di tutti noi per provare a rispondere a quelle che sembravano sfide impossibili: - costituire i Gruppi di Azione Costiera per provare a costruire assieme, con le idee di tutti, Piani di Sviluppo Locale per calare nelle specificità dei territori l economia legata alla pesca e alle attività del mare; - Costituire Associazioni di pescatori per costruire modelli di gestione del proprio mare. Darsi regole condivise dal basso,
attraverso Piani Locali di Gestione, per utilizzare meglio le risorse ittiche. Siamo riusciti a costituire assieme 4 Gruppi di Azione Costiera: nella costa orientale, nel Nord Sardegna, nella costa di Oristano e in quella del Sulcis. E un risultato importantissimo, l abbiamo raggiunto perché abbiamo dimostrato di riuscire a fare rete; non era scontato. Solo due di questi GAC sono stati finanziati e cercano di spendere i fondi tra mille difficoltà burocratiche, ma non si arrendono. Si sono poi costituite 7 associazioni per scrivere i Piani Locali di Gestione. Associazioni che rappresentando almeno il 70% della pesca nell area prescelta, che devono regolamentare la loro attività. A oggi l iter amministrativo però è inceppato in qualche meandro della macchina burocratica e sinceramente i motivi continuano a sfuggirci. Ciò che mi pare rilevante però è constatare che la voglia di fare le cose assieme c è e dobbiamo renderla ancora più forte utilizzando tutti gli strumenti che vengono messi a disposizione, penso a contratti di rete per chiudere la filiera fino alla commercializzazione, alle Organizzazioni di Produttori etc. etc. Tutti i punti che abbiamo toccato dovranno vedere l impegno di tutti per affrontarli e superarli, bisogna crederci, perché sono convinto che se siamo disuniti non possiamo fare nulla per contrastare il declino che abbiamo visto, uniti possiamo provare a cambiare e a riportare la pesca nel posto che merita, cioè molto più in alto di dove si trova oggi.