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1 PARTE TERZA LE PROCEDURE CONCORSUALI Capitolo Primo Il fallimento Le procedure concorsuali sono particolari procedure giudiziali che vengono attivate nel caso in cui l imprenditore commerciale non sia in grado di adempiere ai propri debiti. Con esse l intero patrimonio dell impresa viene sottratto all imprenditore e sottoposto ad esecuzione, al fine di garantire la parità di trattamento di tutti i creditori (cd. par condicio creditorum) con cui l impresa è indebitata. Tra le procedure concorsuali rilievo preminente assume il fallimento, la cui disciplina generale è dettata dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare, modificata da ultimo dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), anche se norme sul fallimento si rinvengono in diversi altri testi legislativi (codice civile, legge cambiaria, legge sull assegno bancario, codice della navigazione, etc.). La normativa in materia di fallimento disciplina in maniera compiuta ed analitica i presupposti, il procedimento, gli organi e le modalità di chiusura della procedura fallimentare. Particolare attenzione è poi dedicata agli effetti del fallimento sul fallito, sui suoi creditori, sui terzi estranei allo stesso e sui rapporti giuridici in corso. 1. LA PROCEDURA ESECUTIVA COLLETTIVA L imprenditore, nell esercizio della sua attività, può trovarsi in particolari difficoltà, di natura economico finanziaria, che lo rendono incapace di far fronte al pagamento dei debiti aziendali. Tale situazione, che può essere temporanea o duratura, è denominata stato di insolvenza (v. in Appendice voce Insolvenza). Quando si verifica lo stato di insolvenza di un imprenditore commerciale sorge l esigenza di garantire un uguale regolamento di tutti i rapporti che fanno capo all imprenditore stesso, assicurando la parità di trattamento di tutti i creditori che hanno in egual modo riposto la loro fiducia nella prosperità dell impresa (par condicio creditorum). La par condicio creditorum risponde a quel principio, accolto dall art c.c., in base al quale tutti i creditori hanno eguale diritto di soddisfarsi sui beni del debitore, beni che fungono da garanzia generica per il soddisfacimento delle loro pretese (art c.c.). Tale principio, tuttavia, è attenuato in presenza di cause legittime di prelazione (privilegi, pegni, ipoteche), che attribuiscono al relativo titolare il diritto di soddisfarsi, sul ricavato dalla procedura esecutiva, con precedenza sugli altri creditori (detti «chirografari»). L uguaglianza di trattamento viene garantita nel nostro ordinamento mediante la previsione di una procedura giudiziale volta a liquidare l inte- 123

2 124 Parte Terza: Le procedure concorsuali ro patrimonio dell imprenditore al fine di soddisfare le pretese creditorie. La procedura giudiziale è denominata procedura concorsuale e si distingue dalle singole procedure individuali perchè ha necessariamente ad oggetto l intero patrimonio dell imprenditore (cd. universalità oggettiva) ed inoltre riguarda necessariamente tutti i creditori dello stesso (cd. universalità soggettiva). La disciplina generale del fallimento è dettata dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge fallimentare). Poiché tale legge, nella sua originaria formulazione, si dimostrava ormai inadeguata alle recenti realtà imprenditoriali e considerati i numerosi interventi della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l illegittimità di alcuni articoli, il legislatore è intervenuto nella materia in distinti momenti: a) il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (cd. «decreto competitività»), convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80 ed in vigore dal 17 marzo 2005, con il quale sono stati modificati: il sistema delle revocatorie fallimentari (artt. 67 e 70 L.F.); il concordato preventivo; b) il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), con cui il legislatore ha completamente riscritto, mediante la tecnica della novellazione, la maggior parte dei precedenti articoli della legge fallimentare del 42. Nel 2007, con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. decreto correttivo alla riforma delle procedure concorsuali), il legislatore è nuovamente intervenuto per colmare le lacune ed i punti contraddittori emersi dall attuazione della riforma. In particolare, esso ha modificato nuovamente l area dei soggetti non fallibili, introducendo un terzo parametro di riferimento per l individuazione degli imprenditori esentati dal fallimento ed eliminando ogni riferimento alla nozione di piccolo imprenditore, che tanti contrasti interpretativi aveva creato per il suo difficile coordinamento con la definizione codicistica. La nuova definizione ha inoltre per la prima volta addossato al debitore (e non più ai creditori che richiedono il fallimento) l onere di provare di essere un soggetto non fallibile. Il decreto correttivo ha inoltre ampliato l ambito di applicabilità dell istituto della esdebitazione, il quale è stato esteso anche alle procedure pendenti al 16 luglio Il decreto correttivo è entrato in vigore il 1 gennaio 2008 ed è applicabile sia alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente a tale data, sia ai procedimenti per dichiarazione di fallimento già pendenti. 2. IL FALLIMENTO: NOZIONE E PRESUPPOSTI Con l espressione fallimento si indica lo stato patrimoniale dell imprenditore che non ha più la capacità obiettiva di far fronte puntualmente alle obbligazioni aziendali.

3 Universalità: il fallimento coinvolge l intero patrimonio del debitore, inteso quale complesso dei beni e dei rapporti giuridici presenti e futuri del fallito. Caratteri del fallimento Concorsualità: la procedura si svolge nell interesse di tutti i creditori del fallito, i quali devono essere soddisfatti in egual misura, salvo il rispetto delle legittime cause di prelazione (par condicio creditorum). Quanto ai presupposti del fallimento, questi sono: Soggettivi Il debitore deve essere un imprenditore commerciale con esclusione degli enti pubblici. Ai sensi dell art. 1 L.F., come modificato dal D.Lgs. 169/2007, non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che abbiano il possesso congiunto dei seguenti requisiti: aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell istanza di fallimento, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a euro; aver realizzato, sempre nello stesso periodo, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a euro; avere un ammontare di debiti (comprendenti sia quelli scaduti, sia quelli non scaduti) non superiore a euro. Si trova in stato di insolvenza l imprenditore che non è più in grado di adempiere regolarmente Manifestazione alle proprie obbligazioni (art. 5 L.F.). dello stato Oggettivi di insolvenza Lo stato di insolvenza può manifestarsi attraverso svariati indici: reiterati inadempimenti, fuga, irreperibilità, latitanza, chiusura dei locali etc. (art. 7 L.F.). L imprenditore commerciale non deve essere già sottoposto ad una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Negativi Egli non deve aver fatto domanda di concordato preventivo. Il correttivo alla riforma ha previsto che il fallimento può essere dichiarato solo se l ammontare dei debiti scaduti e non pagati è superiore a euro Non devono sussistere i requisiti per l assoggettabilità dell impresa alla procedura di amministrazione straordinaria. Il presupposto soggettivo, pertanto, ricorre quando si verificano le seguenti condizioni: esiste un impresa, ai sensi dell articolo 1 L.F.; l impresa stessa abbia carattere commerciale, ex articolo 2195, non sia cioè agricola; l imprenditore non dimostri di possedere i tre requisiti dimensionali e di indebitamento di «non fallibilità» elencati all art. 1 L.F.; Per quanto riguarda l area dei soggetti fallibili nell ambito della categoria degli imprenditori commerciali privati, il D.Lgs. 169/2007 (decreto correttivo) ha modificato l art. 1 L.F., eliminando il riferimento alla nozione di «piccolo imprenditore». La riforma del 2006 (D.Lgs. 5/ 2006) aveva, infatti, ridefinito la nozione di «piccolo imprenditore», utilizzando nuovamente parametri di natura quantitativa. 125

4 126 Parte Terza: Le procedure concorsuali Secondo la formulazione dell art. 1 L.F., prima dell intervento del decreto correttivo, dunque, non erano piccoli imprenditori gli esercenti un attività commerciale, in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) avessero effettuato investimenti nell azienda per un capitale di valore superiore a euro; b) avessero realizzato, in qualunque modo risultasse, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall inizio dell attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro. A partire dal 16 luglio 2006, quindi, il soggetto che fosse rientrato in almeno uno dei due parametri indicati non era qualificabile «piccolo imprenditore» e di conseguenza era assoggettabile al fallimento o ad un altra procedura concorsuale. Tuttavia l applicazione della nuova definizione di piccolo imprenditore aveva creato numerose difficoltà interpretative. La riforma, infatti, non aveva conciliato tale definizione con quella codicistica,di cui all art. 2083: di conseguenza si discuteva se ammettere che tutti gli imprenditori che non superassero i parametri di cui all art. 1 L.F. fossero da considerarsi automaticamente «piccoli», oppure se ritenere che il legislatore avesse voluto solo indicare i soggetti che ai fini della legge fallimentare fossero da considerarsi «fallibili» in quanto «non piccoli». Per risolvere tale dubbi, è dunque intervenuto il D.Lgs. 169/2007 (c.d. decreto correttivo alla riforma), con cui il legislatore ha di nuovo completamente riformulato l art. 1 L.F., introducendo l importante novità di eliminare ogni riferimento alla nozione di «piccolo imprenditore». Anche per quanto riguarda l esonero dell artigiano dall assoggettabilità alle procedure concorsuali il problema è stato ampiamente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza, in quanto, mentre l art c.c. ricomprende esplicitamente l artigiano tra i piccoli imprenditori, l art. 1 L.F. (nel testo sia anteriore che successivo alla riforma del 2006) escludeva dal fallimento gli imprenditori in base a diversi criteri di natura quantitativa e non faceva menzione dell artigiano. I dubbi interpretativi si sono conclusi con l entrata in vigore, il 1 gennaio 2008, del decreto correttivo: infatti, esso, come abbiamo già detto, ha individuato un area di non fallibilità prescindendo dalla nozione di «piccolo imprenditore», semplicemente ancorandola alla sussistenza di requisiti dimensionali e di indebitamento indipendentemente dalla definizione codicistica di piccolo imprenditore o di artigiano. Infine, il problema dell assoggettabilità al fallimento delle società artigiane è stato superato sia con l introduzione della riforma, che ha eliminato l assoggettabilità al fallimento delle società di modeste dimensioni, sia con il decreto correttivo, che ha eliminato la definizione di piccolo imprenditore. sia imputabile giuridicamente al soggetto, nel senso che il soggetto che la gestisce abbia capacità di agire o, nel caso di incapace, vi sia stata «l autorizzazione» all esercizio dell impresa prevista dagli articoli 371, 397 e 425 e che l impresa sia esercitata dal soggetto in nome proprio. Sono, per contro sottratti al fallimento gli enti pubblici cd. economici e gli imprenditori agricoli. Il presupposto oggettivo, invece, come detto, consiste nello stato di insolvenza, in cui, ai sensi dell art. 5 L.F., si trova l imprenditore che «non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». Di notevole importanza in merito alla portata e alla rilevanza dello stato di insolvenza è la novità introdotta dalla riforma nell art. 15, ult. comma, L.F. (successivamente modificato dal decreto correttivo), il quale prevede che il fallimento non si possa dichiarare quando «l ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro». In pratica, il legislatore ha fissato una soglia di valore, predeterminato e periodicamente aggiornabile, relativo all esposizione debitoria, al di sotto della quale il fallimento dell impresa non può essere dichiarato. Il decreto correttivo ha ulteriormente innalzato l originaria soglia di insolvenza, portandola dai venticinquemila euro iniziali ai trentamila.

5 Si ricordi, infine, che lo stato di insolvenza manifestatosi deve avere carattere permanente; non deve cioè consistere in una «temporanea difficoltà di adempiere», la quale legittima solo il concordato preventivo, non anche il fallimento. 3. IL FALLIMENTO DELLE SOCIETÀ COMMERCIALI La legge fallimentare prevede, in via di principio, la assoggettabilità al fallimento di ogni soggetto collettivo, dotato di autonomia patrimoniale anche se non di personalità giuridica, che eserciti un impresa commerciale, non sia un ente pubblico e che superi i limiti dimensionali stabiliti nella legge fallimentare. Devono quindi ritenersi soggetti al fallimento: le società commerciali (ex art c.c.); le associazioni (riconosciute e non riconosciute), le fondazioni e gli enti noprofit, qualora abbiano come scopo esclusivo o prevalente l esercizio di attività commerciale; i consorzi fra imprenditori con attività esterna; le società cooperative e le società di mutuo soccorso che in concreto esercitino attività commerciale, ancorché questa non ne costituisca l oggetto statutario; le società sportive, in seguito alla legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha riconosciuto alle società sportive professionistiche la possibilità di avere scopo di lucro. Sono escluse, invece, dalle procedure concorsuali: le società semplici, sempreché, di fatto, non esercitino attività commerciale; le comunioni a scopo di godimento; le associazioni in partecipazione. La legge fallimentare, inoltre, detta alcune norme speciali (artt. 146 e segg. L.F.) che regolano in caso di insolvenza sociale il fallimento delle società commerciali e dei soci illimitatamente responsabili, la responsabilità per dolo o per colpa degli amministratori di società di capitali, nonché i complessi rapporti tra fallimento sociale e fallimento dei soci. A) Il fallimento del socio a responsabilità illimitata A norma dell art. 149 L.F., il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società; al contrario, l art. 147 L.F., 1 comma, dispone che la sentenza che dichiara il fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili. Pertanto: il fallimento di una società in nome collettivo (registrata o irregolare) è causa del fallimento di tutti i soci (artt e 2297); il fallimento di una società in accomandita per azioni è causa del fallimento dei soci accomandatari (art. 2452); il fallimento di una società in accomandita semplice è causa del fallimento di tutti i soci accomandatari e dei soci accomandanti che abbiano compiuto atti di immistione nell amministrazione della società (art. 2320), o che abbiano consentito che il loro nome fosse compreso nella ragione sociale (art. 2314). Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili conseguente al fallimento societario non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale (per mor- 127

6 128 Parte Terza: Le procedure concorsuali te, recesso, cessione della quota o esclusione) o dalla cessazione della responsabilità illimitata (nei casi di trasformazione, fusione o scissione societaria), se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati (art. 147, 2 comma, L.F. ). Tuttavia per aversi il fallimento per estensione dell ex socio illimitatamente responsabile, è necessario che la situazione di insolvenza sia insorta prima degli avvenimenti indicati. B) Il fallimento nelle società con soci a responsabilità limitata In caso di fallimento della società, la procedura concorsuale non investe anche i singoli soci. Il fallimento, infatti, va dichiarato in nome della società, in persona degli amministratori che la rappresentano, i quali sono sottoposti ad una serie di limitazioni di carattere personale. Il fallimento del socio non rileva per la società. C) Il fallimento del socio occulto e della società occulta Dispone il 4 comma dell art. 147 L.F.: «se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi». La norma in esame, pertanto, regola espressamente l ipotesi in cui, dopo la dichiarazione di fallimento della società, si scopra l esistenza di un numero di soci illimitatamente responsabili superiore a quello apparente. Ponendo fine ai problemi giurisprudenziali e dottrinali sorti nel vigore del testo anteriore alla riforma, il quale non considerava il problema della società occulta, il 5 comma dell art. 147 L.F. stabilisce che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile», è possibile richiedere la dichiarazione di fallimento della società occulta e degli altri soci illimitatamente responsabili, su istanza del curatore, dei creditori o del socio fallito. 4. IL FALLIMENTO DELL IMPRENDITORE DEFUNTO E DELL IMPREN- DITORE CHE HA GIÀ CESSATO L ATTIVITÀ Gli artt. 10 ed 11 L.F. disciplinano il fallimento dell imprenditore defunto e dell imprenditore che ha cessato l attività. L art. 10 L.F. stabiliva, prima della riforma, che l imprenditore che, per qualunque causa, avesse cessato l esercizio dell impresa poteva essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell impresa, sempre che l insolvenza si fosse manifestata anteriormente alla cessazione dell impresa o entro l anno successivo. La riforma del 2006 ha risolto i problemi sorti a causa di tale deficitaria formulazione (che parlava genericamente di «cessazione dall esercizio dell impresa» e non considerava la cancellazione delle società) e ha stabilito che l imprenditore sia individuale che collettivo il quale ha, per qualunque causa, cessato l esercizio dell impresa, può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l anno successivo (art. 10 L.F.). Il 2 comma dell art. 10 L.F., come modificato dal decreto correttivo del 2007, attribuisce al pubblico ministero ed ai creditori la possibilità di dimostrare il momento dell effettiva cessazione dell impresa, qualora sia avvenuta successivamente alla cancellazione. Analoga facoltà non è invece permessa al debitore qualora la cessazione sia avvenuta anteriormente alla cancellazione. I creditori ed il P.M. possono invece portare in avanti la data della cessazione dell impresa e far

7 fallire il loro debitore anche dopo il decorso di un anno dalla cancellazione, dando prova che l impresa è proseguita anche dopo l avvenuta cancellazione. L art. 11 L.F. estende l applicazione dell art. 10 L.F. anche all imprenditore defunto; in tal caso il fallimento può essere chiesto anche dall erede dell imprenditore defunto, purchè non vi sia stata confusione tra i patrimoni. Altra ipotesi è, invece, quella della morte dell imprenditore già dichiarato fallito: in tal caso l art. 12 L.F. stabilisce che la procedura fallimentare procede nei confronti dell erede. 129

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