numero giugno 2013 TITOLI, TRAILER, MANIFESTI, SITI, ADV COME SI ACCENDE IL DESIDERIO DI CINEMA? Dossier Distribuzione Il cinema in Cina

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1 giugno 2013 numero 5,50 6 TITOLI, TRAILER, MANIFESTI, SITI, ADV COME SI ACCENDE IL DESIDERIO DI CINEMA? INNOVAZIONI New Italian advertising CINEMA ESPANSO Michelangelo Frammartino al MoMA di New York NUMERI Dossier Distribuzione Focus Il cinema in Cina

2 Scoprire nuovi talenti. Aiutarli ad emergere. Facilitare l'incontro e il contatto fra chi genera idee innovative e chi potrebbe aiutare a rendere concreto un progetto. Con questo intento, le direzioni di 8½ e di CinecittàNews organizzano SPEED DATE COl PRODUTTORE Se hai meno di 35 anni e pensi di avere progetti creativi e innovativi in ambito cinematografico e/o multimediale, manda una descrizione del progetto alla redazione di 8½. Il progetto può riguardare un film (di finzione o documentario), una serie televisiva, una web-serie, o essere comunque un progetto audiovisivo multimediale. I progetti potranno essere presentati in forma di testo scritto o di storyboard, secondo la libera scelta degli autori. Le redazioni di 8½ e CinecittàNews, a insindacabile giudizio, sceglieranno i progetti migliori (non meno di 5, non più di 10) e inviteranno gli autori a presentarli ad alcuni dei più importanti produttori italiani nel corso della prossima Mostra del Cinema di Venezia, in programma dal 28 agosto al 7 settembre p.v. Ogni progetto, anche se frutto di elaborazione collettiva, dovrà essere presentato da un unico "portavoce", il quale incontrerà uno dopo l'altro almeno 5 produttori italiani e avrà 5 minuti di tempo con ognuno di loro per provare a convincerli della bontà del proprio progetto. I progetti selezionati verranno altresì pubblicati sul sito di CinecittàNews. I progetti partecipanti dovranno essere inviati in busta chiusa, a mano, per posta o a mezzo corriere, indirizzandoli a: Istituto Luce Cinecittà S.r.l. Redazione "CinecittàNews" all'attenzione di Giancarlo Di Gregorio Via Tuscolana, Roma (Rm) entro il 20 luglio 2013 (farà fede la data di ricevimento del plico). Il recapito entro il termine previsto è a esclusivo rischio del soggetto partecipante all'iniziativa. Il progetto dovrà essere accompagnato dalla scheda di partecipazione, debitamente compilata, scaricabile sul sito per info scrivere a redazione@8-mezzo.it.

3 EDITORIALE di Gianni Canova QUELLO CHE NON ABBIAMO VOGLIA DI ASCOLTARE Ci sono film che dialogano prima di tutto con la mente e altri che eccitano soprattutto gli occhi. La grande bellezza di Paolo Sorrentino è uno di quei rari film che parlano a tutto il corpo. Si rivolge alla pelle, all udito, all olfatto. È fisico, tattile e vibrante. Urla e ansima, grida e sussurra, puzza e profuma. Nel suo continuo attrito fra vitalismo e indolenza, tra frenesia e immobilità, fra i corpi di carne degli umani e i corpi di pietra delle statue, è molto più che una dolce vita dei nostri tempi cafoni. È un viaggio al termine della notte che può permettersi il lusso dell ironia: un mix di nichilismo, cinismo e disincanto che si erge nell universo mediatico dominato dalle flatulenze cinguettanti di twitter e dai bradisismi intestinali di facebook mostrando agli occhi (e non solo agli occhi) di tutti ciò che l ininterrotto chiacchiericcio dei social network, con la sua continua invenzione di amici e nemici, cerca invano di esorcizzare: la percezione dell irrilevanza, la cognizione della vanità del tutto. Non so - mentre scrivo queste righe - che accoglienza avrà il film a Cannes, né so se e quanto piacerà al pubblico e alla critica. Quello che so è che una cinematografia che si presenta al più importante festival del mondo con un film così (così capace di dire anche ciò che non abbiamo voglia di ascoltare, e di mostrare ciò che solo chiudendo gli occhi si può sperare di vedere) è una cinematografia viva, lucida e potente. Non è detto che gli italiani vi si riconoscano. Ma non si erano riconosciuti, ai tempi, neanche nella Dolce vita. 1

4 SOMMARIO EDITORIALE QUELLO CHE NON ABBIAMO VOGLIA DI ASCOLTARE di Gianni Canova SCENARI QUANDO LA COMUNICAZIONE NON COMUNICA NULLA di Gianni Canova NON DRAMMATIZZIAMO È SOLO QUESTIONE DI TITOLI di Rocco Moccagatta BENVENUTI AL CINEMA, TRA GUIZZI CREATIVI E FORMULE STRACOLLAUDATE di Chiara Grizzaffi COSÌ FAN TUTTE: L'OMOLOGAZIONE DELLE LOCANDINE di Maria Buratti SITI, TRAILER E WEB: DATEGLI TEMPO di Carmen Diotaiuti LA PRIMA COSA BELLA: NELLE HIT DEL PASSATO ALLA RICERCA DI UN IDENTITÀ di Mimmo Gianneri 16 ANDARE IN TV PER FARSI CONOSCERE. TANTO IL VERO RISCHIO È UN ALTRO di Luigi Lo Cascio 17 DISERTARE LA TV? VUOI METTERE CHE SOLLIEVO? di Rolando Ravello QUANDO PER VINCERE SERVONO GLI ESTROGENI di Francesca Monti I SEGRETI DEL MODELLO FANDANGO di Nicole Bianchi TUTTO PARLA DI WEB DOC di N.B I PARADOSSI MANIFESTI. LA PROMOZIONE COME SI FACEVA UNA VOLTA di Paolo Di Reda TUTTI I SEGRETI (O QUASI) DEGLI ESPERTI di Chiara Gelato NUMERI di Unità di Studi congiunta DG Cinema/ ANICA DG CINEMA/ ANICA UN PERCORSO COMUNE IN TRE PUNTATE. LA DISTRIBUZIONE DIMENSIONE DEL PARCO SALE E MERCATO DISOMOGENEO SUL TERRITORIO CONDIZIONANO LA DISTRIBUZIONE NEL 2012 CROLLO DI PRESENZE E INCASSI DELLA SALA IL PUNTO DI NON RITORNO È SCENDERE SOTTO I VALORI DEL 2012 CRISI DELLA SALA E DIFFICOLTÀ DEI FILM AMERICANI E NAZIONALI LA CADUTA DELLA QUOTA ITALIANA DI MERCATO TOP 10 FILM ITALIANI PER IL NOSTRO CINEMA I MESI INVERNALI SONO I PIÙ REDDITIZI SCHERMI DIGITALI: ITALIA AL QUINTO POSTO IN EUROPA SUD POVERO DI SCHERMI, CALABRIA FANALINO DI CODA IL MADE IN ITALY È SCELTO DA CHI VA MENO AL CINEMA NEL NORDEST HA PIÙ SUCCESSO IL FILM INTERNAZIONALE SFORZO COMUNE DI TUTTI GLI OPERATORI 8½ NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO Mensile d informazione e cultura cinematografica Iniziativa editoriale realizzata da Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con ANICA e Direzione Generale Cinema Direttore Responsabile Giancarlo Di Gregorio Direttore Editoriale Gianni Canova Vice Direttore Responsabile Cristiana Paternò Capo Redattore Stefano Stefanutto Rosa In Redazione Carmen Diotaiuti Andrea Guglielmino Coordinamento redazionale DG Cinema Andrea Corrado Coordinamento editoriale Nicole Bianchi Hanno collaborato Roberto Andò, Mario Balsamo, Luca Barnabé, Eddie Bertozzi, Alice Bonetti, Maria Buratti, Guido Cornara, Laura Delli Colli, Paolo Di Reda, Chiara Gelato, Mimmo Gianneri, Michela Greco, Chiara Grizzaffi, Luigi Lo Cascio, Wendy Migliaccio, Rocco Moccagatta, Francesca Monti, Serafino Murri, Rolando Ravello, Elisa Vinai, Wang Xiaolu 2

5 SOMMARIO 46 ASPETTANDO GONDRY. NEL VIVAIO DEI NUOVI TALENTI di Serafino Murri COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO LEE YONG-KWAN intervista di Michela Greco INNOVAZIONI NEW ITALIAN ADVERTISING di Guido Cornara INTERVISTA A LUCA MINIERO: LA PUBBLICITÀ? MI HA INSEGNATO IL RITMO di Gu.Co LA SALA È ROMANTICA MA IL FUTURO CORRE SUL WEB di Alice Bonetti NON CHIAMATELI SPOT. LA PUBBLICITÀ DIVENTA VIDEOARTE di Luca Barnabé INNOVAZIONE E CREATIVITÀ UNDER 40 di Elisa Vinai GABRIELE SALVATORES GIURATO DI MOVI&CO INNOVAZIONI 2 CINGUETTARE NEL TEMPIO DELLA LIRICA di Wendy Migliaccio NEL MONDO ANGELA NELL AMERICA DI CLINT di Laura Delli Colli FOCUS 60 IL CASO CINA LUCI E OMBRE ELETTRICHE: LE CONTRADDIZIONI DELLA CRESCITA di Eddie Bertozzi MERCATO IMMOBILIARE E FILM SPAZZATURA di Wang Xiaolu GEOGRAFIE 35 PARALLELO NORD di Nicole Bianchi CINEMA ESPANSO FRAMMARTINO: L UOMO-ALBERO E LA LIBERTÀ DELLO SPETTATORE di Cristiana Paternò INTERNET E NUOVI CONSUMI QUANDO LA LOCANDINA DIVENTA UN GIOCO VIRALE di Carmen Diotaiuti PUNTI DI VISTA SE IL MINISTRO DELLA CULTURA di Roberto Andò MANDIAMO IN SOFFITTA LA DISTINZIONE REALTÀ/FINZIONE di Mario Balsamo 80 BIOGRAFIE Progetto Creativo 19novanta communication partners Creative Director Bruno Capezzuoli Designer Giulia Arimattei, Matteo Cianfarani, Valeria Ciardulli, Lorenzo Mauro Di Rese, Simona Merlini Stampa ed allestimento Arti Grafiche La Moderna Via di Tor Cervara, Roma Distribuzione in libreria Joo Distribuzione Via F.Argelati,35 Milano Registrazione presso il Tribunale di Roma n 339/2012 del 7/12/2012 Direzione, Redazione, Amministrazione Istituto Luce-Cinecittà Srl Via Tuscolana, Roma Tel fax: redazione@8-mezzo.it Chiuso in tipografia il 3/6/2013 3

6 4 SCENARI Marketing del cinema

7 SCENARI // Marketing del cinema Quando la comunicazione non comunica nulla di Gianni Canova Sarà capitato anche a voi. Girate in auto, o a piedi, per le vie di Roma, o di Milano, e l occhio vi cade sul manifesto dell ultimo film in uscita. Se il film è americano, quasi sempre l immagine del manifesto evoca mondi. Suggerisce una storia. Fa intravedere un altrove. Se invece il film è italiano, nove volte su dieci si limita ad esibire delle facce. Le solite, vecchie facce dello star system nazionale: messe lì in bella mostra in vetrina? nella pia illusione che quelle facce ripeto: quasi sempre le stesse facciano venir voglia di uscire di casa, di pagare un biglietto e di sedersi in mezzo a sconosciuti per vedere un film in cui quelle medesime facce si possono ritrovare. Siamo davvero sicuri che questo sia un modo efficace per accendere la voglia di cinema? Per innescare sogni, attizzare fantasie, stuzzicare desideri di visioni? A giudicare dai risultati non proprio brillantissimi del box office, si direbbe che questa strategia comunicativa funzioni poco e male. Eppure tutti (o quasi) continuano ad applicarla, in barba alla sua riconosciuta e ormai incontestabile inefficacia. Perché? Inerzia, pigrizia, inadeguatezza? Probabile. Ma, forse, c è anche qualcos altro. Bisogna ammetterlo senza troppi giri di parole: se c è un punto di criticità drammatico nell industria del cinema italiano, questo riguarda proprio la comunicazione e il marketing. Una è vecchia, l altro è dilettantistico. Il gap rispetto ad altri contesti socio-culturali è palese: eppure i tentativi di innovazione in questo settore sono pochi, fragili, spesso sconfortanti. Si va avanti per luoghi comuni, riproducendo ogni volta i medesimi protocolli. Con poche risorse. Poca voglia di sperimentare. Poca propensione al rischio e alla sfida, in una svogliatezza routinière che non osa rompere abitudini consolidate. Un esempio e, insieme, un aneddoto. Un giorno mi capita di essere a pranzo con uno dei più importanti attori italiani di questi anni, reduce dalla canonica conferenza stampa di lancio e presentazione del suo nuovo film. L accoglienza della critica è stata buona, il tam tam più che positivo. Eppure lui è teso, nervoso, agitato. Stasera siamo da Vespa!, mi sussurra nell orecchio con un espressione a metà fra il complice e il preoccupato. Beh, contento allora, no?, replico io con un pizzico di malizia. Silenzio. Silenzio perplesso. Un dubbio si materializza nell aria. E io ne approfitto: Ma siamo proprio sicuri che andare da Vespa faccia bene al film?. Lui si blocca per un attimo, la forchetta ferma a mezz aria. E poi, scuotendo la testa: No, non siamo per niente sicuri. Forse serve solo a togliere mistero al film. Appunto. La comparsata televisiva di gruppo lo sanno tutti rischia di ridurre il film al suo tema dichiarato. A banale pretesto sociologico o giornalistico. A chiacchiericcio vacuo. Come se il film fosse uno spin-off del talk show, per di più di un talk seguito da un pubblico che nella maggior parte dei casi al cinema ci va poco o nulla. Eppure, appena il film è pronto a uscire sembra che la massima aspirazione di tutti registi e produttori, interpreti e distributori, esercenti e uffici stampa sia l epifania catodica. L apparizione sul piccolo schermo. La transustanziazione mediatica. Pur sapendo che andare con tutto il cast in tv quasi sempre serve più alla tv (e all auditel ) che alla promozione. Nulla di male, per carità. Ma forse bisognerebbe ricordarsi di più del fatto che ogni film è un mistero. E che sull idea di mistero qualche volta si potrebbe provare a lavorare. La rivoluzione digitale, da questo punto di vista, potrebbe aprire possibilità infinite. E la massa critica formata da un infinità di corsi universitari che si occupa- Il cecchino Elegante ed essenziale, ma identica a quella francese, punta sui cognomi dei due protagonisti (Auteuil, Kassovitz) perentori e ben più grandi del nome del regista, e sulle figure quasi intere che sembrano entrare nel campo visivo di chi guarda. Pistole alla mano, ma con studiata nonchalance. Il bianco e nero evoca il polar d antan. Cr. P no non solo di cinema ma di comunicazione potrebbe offrire un laboratorio permanente di ricerca e di sperimentazione. Basterebbe la voglia di provarci. Di svecchiare. Di inventare nuove professioni. Di uscire dalla rassegnazione e dalla routine. In questo numero di 8 ½ proviamo a fare i conti con questi problemi. Proviamo a interrogarci su come potrebbe essere più efficace una comunicazione che investisse in modo nuovo le risorse (poche, sempre troppo poche) che sono dedicate a far venire voglia di andare al cinema e di vedere film. Cerchiamo di ragionare sui limiti evidenti di alcune procedure, ma anche di segnalare quei coraggiosi tentativi di rinnovamento che si cominciano a cogliere qua e là. Chi come me ha qualche anno sulle spalle probabilmente ricorda bene come è successo che da piccoli ci siamo innamorati del cinema e dei film. Sognando. Immaginando. Aspettando. Allora, chi faceva film sapeva bene come accendere i sogni. Forse, bisognerebbe ripartire da lì. Bisognerebbe ritrovare il piacere e l orgoglio di un cinema che mentre nei media spopola la retorica della trasparenza sa ancora offrire il piacere e l ebbrezza della propria opacità. Del proprio essere un mistero. 5

8 SCENARI // Marketing del cinema Non drammatizziamo...e solo questione di titoli di Rocco Moccagatta Giochi di parole, stratagemmi furbetti e allusioni pecorecce: i titolisti le provano tutte per mandare il pubblico in sala. Senza badare troppo a ciò che è lost in translation. Forse non è più il caso di cominciare dal povero Truffaut e dal suo Domicile Conjugal, da noi rititolato, con efferata ironia, Non drammatizziamo è solo questione di corna; e neppure dall Eternal Sunshine of the Spotless Mind che diventa un qualsiasi Se mi lasci ti cancello. Infatti, si è visto ben di peggio: Fatti, strafatti e strafighe (in luogo del ben più anodino Dude, Where s my Car?) è lì a dimostrarlo, e - subito dietro - l incomparabile Suxbad - Tre menti sopra il pelo, dove addirittura si vanta uno scriteriato coinvolgimento del pubblico teen, tramite un contest bandito da MTV per il titolo italiano. Incidentalmente, si vede bene come questo delirio di rititolazione delle pellicole non italiane da parte della nostra distribuzione colpisca tanto l opera 6

9 SCENARI // Marketing del cinema d autore come la commediola giovanilistica e para/post demenziale. Certo, quest ultima finisce per essere una sorta di zona cieca dove, nell ultimo decennio, si è sedimentato un purulento centone di doppi sensi e calembour che proprio negli eccessi della parodia prova a giustificarsi, in una rincorsa continua alla parolaccia appena appena celata, dissimulata, evitata, da un semplice cambio di lettera (Iron Sky Saranno nazi vostri), e magari neppure da quello (Lo spaventapassere, 3ciento - Chi l ha duro la vince). Poi, questa euforia, che si prefigge di vendere meglio il film, rima sinistramente con una scarsissima inventiva nei titoli nazionali, tutti raccolti intorno a pochi sostantivi e aggettivi, con ancor più scarni nessi di causa-effetto. In rete, tra blog e social network, come per tutto ciò che è frivolo, anche su questi temi c è ampia possibilità di soddisfazione, perciò non replicheremo qui quei discorsi. Anche se, prima o poi, bisognerà stilare una piccola antologia che documenti la fascinazione dei nostri titolisti per il periodo ipotetico (Se scappi ti sposo, Se mi lasci ti cancello) e per la parola amore (Tutta colpa dell amore, In amore niente regole, etc.) per le commedie romantiche o presunte tali. O, pure, che ci racconti gli infiniti e maliziosi giochetti di prestidigitazione entro certi generi, come l horror, dove si cerca sempre l aggancio al precedente di successo (com è accaduto a Saw, da noi maggiorato con l aggiunta de L enigmista; qualcosa di simile è accaduto anche a Cry Wolf, diventato Nickname: enigmista). Ci limitiamo soltanto a evidenziare qui, con più intensità, un ulteriore tendenza in corso nelle ultime stagioni: l abitudine a tradurre un titolo non italiano (generalmente inglese) in un altro titolo non italiano (ancora inglese), ora per sollecitare e stimolare una presunta enciclopedia dello spettatore (Away We Go diventa American Life, per rilanciare la memoria del seminale American Beauty dello stesso regista Sam Mendes; su un piano più basso, il pecoreccio in costume Virgin Territory si trasforma in Decameron Pie, a innescare un link con la serie American Pie), ora invece per stimolare un eccitazione molto meno mentale (Made in Dagenham come We Want Sex, e buona notte alla sottigliezza della guerra dei sessi della vicenda), o ancora per suggerire un opzione di genere magari implicita nell originale (Haywire reso in Knockout - Resa dei conti), ora infine per sgomberare il campo da equivoci o fraintendimenti (lo scatenato The Boat that Rocked sembra più scatenato come I Love Radio Rock, Death at a Funeral fuga ogni rischio di apparire troppo meditabondo se lo si legge come Funeral Party, Layer Cake magari convince qualche spettatore in cerca di emozione forti se diventa The pusher). Quest inglese da diporto alla fine magari funziona pure: l allusività sorniona di Hyde Park on Hudson (con riferimento allo storico incontro tra re Giorgio VI e Roosevelt) sembra meno esiziale se presentato come A Royal Weekend, e l acre racconto di formazione vampiresca di Let me in (remake USA di un originale svedese dal bel romanzo di Lindqvist) diviene Blood Story a prova d idiota. E non mancano neppure i casi nei quali un film non anglosassone si deve imbellettare come tale, magari per rispettare le attese di genere: così il thriller Mientras duermes di Balagueró s è dovuto anglicizzare in Bed Time, manco fossimo ancora negli Anni 60 coi nostri film gotici camuffati da prodotti inglesi e USA. Resta la curiosità di capire, magari con uno studio approfondito, se ci troviamo di fronte a una scienza esatta oppure a una sequenza di tentativi più o meno sensati, più o meno disperati, di una distribuzione che ancora cerca di tener fede a quella legge non scritta che riconosceva centrale per un film, di produzione o d importazione non interessa, un titolo in grado di fare uscire di casa e attraversare la città per andare al cinema. Senza badare troppo a ciò che è lost in translation. Che è anche il titolo di un bel film diventato in sala da noi (sorpresa!) Lost in translation - L amore tradotto... Il volto di un altra Il taglio chirurgico del viso della protagonista, cuore e falso della vicenda, è lo sfregio perfetto che la comunicazione grafica incide su questa locandina: una patinatura di alto profilo specchia con fedeltà la sintesi iconografica di un film dall estetica e sull estetica impeccabile. N.B. 7

10 SCENARI // Marketing del cinema Benvenuti al cinema, tra guizzi creativi e formule stracollaudate di Chiara Grizzaffi La commedia punta alla semplicità, anche quando gioca con i rimandi. Eppure basterebbe poco per ridare potere alle parole. Anche solo due sillabe come quelle di Su Re, che rimanda a un mondo arcaico in cui dare un nome alle cose era un gesto fondativo. 8

11 SCENARI // Marketing del cinema Se si dà uno sguardo alle commedie uscite in sala a partire dal gennaio 2013, è facile rilevare quanto si punti alla semplicità di formule collaudate, quando non alla ripetizione tout court. Emblematico il caso dei Benvenuti : la saga ha avuto rispettivamente un Benvenuti al Sud e al Nord (Luca Miniero, 2010 e 2011), il cui successo ha già ispirato una fiction televisiva - Benvenuti a tavola-nord vs Sud, che aveva come primo titolo Famiglia italiana. L aggiungersi di Benvenuto Presidente (Riccardo Milani) ne fa dunque la locuzione di saluto più utilizzata. Ma le formule di saluto o di cortesia, soprattutto se in chiave ironica, sono piuttosto ricorrenti: oltre a quelli già citati, recentemente sono usciti anche Ci vediamo domani (Andrea Zaccariello) e Buongiorno papà (Edoardo Leo). In quest'ultimo caso, la convenzionalità dell'espressione non rende giustizia a un film la cui comicità è piuttosto sferzante e non lesina colpi bassi a un paio di generazioni di maschi incapaci di crescere: se pure impiegata in modo canzonatorio - solo alla fine Bova si meriterà l appellativo - è quasi fuorviante nel suo apparire sdolcinata. Non mancano nemmeno i giochi di parole e le allusioni, come Mai Stati Uniti (Carlo Vanzina), Studio illegale (Umberto Carteni), Amiche da morire (Giorgia Farina), Pazze di me (Fausto Brizzi) e Passione sinistra (Marco Ponti). Si tratta di titoli che, oltretutto, rivendicano chiaramente la propria appartenenza al genere commedia, con la parziale eccezione di Amiche da morire, che funziona bene nell'alludere alla vena più nera del film. L'altro trend abusato, soprattutto dalla commedia e dal filone giovanilistico, consiste nel rifarsi al titolo o a un verso di canzoni note, nell'evidente tentativo di rendere quello del film ancora più memorabile. La mia mamma suona il rock (Massimo Ceccherini) e Sono un pirata, sono un signore (Eduardo Tartaglia) rientrano nel novero, ma si è pronti a scommettere che prima della fine dell'anno ne arriveranno degli altri. La commedia punta alla semplicità, anche quando gioca con le parole: del resto, la prima caratteristica che un titolo deve avere è quella di farsi ricordare. Ma, a volte, il rischio è proprio quello di confondere: Ci vuole un gran fisico (Sophie Chiarello) o un fisico bestiale? Più variegato sembrerebbe il panorama dei film di altro genere. A partire da quelli di matrice letteraria come Educazione siberiana (Gabriele Salvatores) e Bianca come il latte, rossa come il sangue (Giacomo Campiotti). Se il traino è costituito da romanzi di un certo successo, è evidente che rivendicarne il legame possa rivelarsi utile a fini promozionali. Fortemente evocativi sono titoli come Tutto parla di te (Alina Marazzi) o Un giorno devi andare (Giorgio Diritti), che sembrano interpellare in modo più diretto lo spettatore, chiedergli un rapporto più intimo, personale con il film. Del resto, anche i lavori precedenti di Diritti e Alina Marazzi avevano titoli molto riusciti. Quelli più generici, impersonali, come La migliore offerta (Giuseppe Tornatore) o La città ideale (Luigi Lo Cascio) puntano a far sapere che c'è qualcosa da scoprire: se non chiedono di essere spiegati, come può succedere, per esempio, nel caso de La scoperta dell alba (Susanna Nicchiarelli) - evidentemente una metafora di qualcos'altro - è perchè proprio attraverso la loro apparente banalità che invitano il potenziale spettatore a guardare oltre, per capire cosa ci sia di speciale dietro quella combinazione, nome+aggettivo, per nulla inconsueta. Anche l esordio alla regia di Alessandro Gassman con Razzabastarda punta sull utilizzo di un espressione forte, aggressiva, esplicita nel richiamare il contesto dell immigrazione e delle problematiche di integrazione, e si concede come unico vezzo grafico la mancanza dello spazio, quasi a voler evocare immediatamente i modi, spesso concitati e senza pause tra le parole, di chi aggredisce verbalmente. In questi primi mesi dell anno certi eccessi trash - se escludiamo il dimenticabilissimo Sodoma l altra faccia di Gomorra (Vincenzo Pirozzi) - o di lirismo fine a se stesso di tanti film degli anni precedenti, magari firmati da esordienti probabilmente desiderosi di farsi individuare subito come autori, sembrano aver lasciato il posto a una maggiore sobrietà. Che a volte, lo si è già visto, è più un adagiarsi su formule collaudate o familiari senza particolari guizzi creativi, quando basterebbe poco per ridare potere alle parole. Due sillabe, anche: quelle di Su Re, di Columbu, che attraverso la lingua sarda rimanda a un mondo arcaico in cui dare un nome alle cose era un gesto fondativo. Educazione siberiana Niente facce. Neanche quella di John Malkovich. Solo due braccia incrociate. E un corpo coperto di tatuaggi. Un immagine epica e al contempo esoterica. Che accende la curiosità e innesca la fantasia. gc 9

12 SCENARI // Marketing del cinema COSÌ FAN TUTTE: L'OMOLOGAZIONE DELLE LOCANDINE di Maria Buratti Se con un unico colpo d occhio potessimo osservare, ipoteticamente affissi l uno accanto all altro, tutti i manifesti dei film italiani distribuiti nel nostro paese da un anno a questa parte saremmo colpiti innanzitutto dalla loro omogeneità cromatica: lo sfondo bianco, interrotto da elementi grafici rossi o neri (titolo, nomi, data di uscita ), e gli stessi toni richiamati negli abiti degli attori. Osservando poi con maggiore attenzione proprio le figure umane - soggetto decisamente privilegiato delle nostre locandine - ci accorgeremmo del continuo ricorrere delle stesse pose: il cast è sempre raggruppato intorno al titolo, con il volto di maggior richiamo posto in evidenza davanti agli altri. Oppure i visi, isolati in un riquadro, vengono disposti l uno accanto all altro come fossero foto tessere. La ripetitività delle soluzioni visive tradisce un chiaro intento di richiamo ai titoli di successo delle stagioni precedenti. Del resto, da almeno un quinquennio, circa un terzo dei poster ufficiali - in particolare quelli che promuovono cinepanettoni e commedie sentimentali - sceglie questo modello grafico. Così, per esempio, Colpi di fulmine di Neri Parenti (2012) - con la schiera dei volti ammiccanti incorniciata in una sagoma a forme di cuore - ma anche Pazze di me di Fausto Brizzi (2013) e Studio illegale di Umberto Carteni (2013) promettono una trama incentrata, prima di tutto, sul conflitto tra i sessi e sulla lieta risoluzione delle scaramucce sentimentali. Alcuni manifesti 10

13 SCENARI // Marketing del cinema Sfondo bianco, elementi grafici rossi o neri, figure umane o volti in evidenza. In pochi sfuggono alla monotonia delle scelte negli ultimi dodici mesi. Tra le eccezioni Bella addormentata di Bellocchio e Padroni di casa di Gabbriellini. rinunciano perfino al richiamo di genere: vere e proprie vetrine per il cast, affidano a esso tutta la responsabilità promozionale. Come quello de Il comandante e la cicogna di Silvio Soldini (2012), che nulla riesce a suggerire della storia o delle atmosfere del film e si limita a promettere volti già collaudati al botteghino. Il manifesto sembra così rinunciare alla possibilità di scatenare - pur all interno di un sistema regolato di aspettative - la curiosità dello spettatore e a costituire una sorta di promemoria. Certo, sul web le locandine - di dimensioni ridotte - appaiono davvero come piccole icone identificative, in cui conta solo il dato visivo (le informazioni testuali, poco leggibili, migrano invece tra i contenuti delle pagine web in cui sono pubblicati). Pur ricoprendo un ruolo di supporto all interno della campagna di comunicazione, il manifesto in rete guadagna però anche una visibilità eccezionale. La collocazione sul web può costituire allora un occasione per ripensare la sua funzione all interno della strategia di posizionamento, sfruttando specificità e potenzialità della diffusione virale. La pubblicazione online dei teaser poster, per esempio, integra il manifesto in un gioco di anticipazioni e notizie esclusive sul film e gli riattribuisce una funzione attiva nel sollecitare la curiosità dello spettatore. Tra i film italiani - pochi - a scegliere una strategia di questo tipo c è Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek (2012), con una serie di poster che incorniciano i protagonisti in una veste grafica ispirata a vecchie locandine teatrali e la campagna, più complessa e innovativa, di Tutto tutto niente niente di Giulio Manfredonia (2012), accompagnata in tutte le sue fasi dai character poster di Albanese, di volta in volta nei panni di Cetto, Olfo o Frengo, con gli slogan elettorali dei tre personaggi. In entrambi i casi, al di là di alcune scelte cromatiche piuttosto originali, i poster non sono innovativi tanto dal punto di vista grafico (anzi, non mostrano molto di più dei corpi degli interpreti, eleganti e in posa): la loro efficacia è determinata, piuttosto, dalla coerenza narrativa con le storie che pubblicizzano, e dal loro ruolo all interno di una strategia promozionale di viral marketing. I teaser sollecitano infatti la ricerca attiva di notizie in anteprima e soddisfano il bisogno di appropriazione individuale del film: il manifesto richiama alla mente le campagne pubblicitarie (entrambe incentrate su un sito mock ). Lo stesso vale per i poster neri macchiati di rosso di Diaz Non pulire questo sangue di Daniele Vicari (2012), pubblicati in rete addirittura prima dell inizio delle riprese, insieme a una serie di contenuti pensati specificamente per il web. L integrazione in una campagna virale non è l unica possibilità di utilizzo efficace del manifesto. La locandina di Padroni di casa di Edoardo Gabbriellini (2012) - scelta dal regista stesso - suscita curiosità e inquietudine sostituendo i volti degli attori con maschere di animali; quella di Bella addormentata di Marco Bellocchio (2012) affida la propria capacità di richiamo a una strategia linguistica originale: non mostra nemmeno i corpi degli interpreti ma solo uno sguardo, fortemente connotato grazie all angolazione dal basso, su un intrico di rami. Riprendendo il riferimento del titolo della fiaba, suggerisce chiavi d accesso alla storia, invece di anticiparne la trama. Evil Things Cose Cattive L audacia del produrre (in Italia) il genere horror è proporzionale all'inconsuetudine iconografica della comunicazione: bianco cristallizzato virato al ghiaccio ceruleo, nero inchiostro e rosso sangue che gocciola dal tagliente argento di una lametta, colorano la circoscritta gamma di cromie che fotografa con raffinatezza l atmosfera della trama. N.B. 11

14 SCENARI // Marketing del cinema SITI, TRAILER E WEB: DATEGLI TEMPO di Carmen Diotaiuti Vogliono attrarre lo spettatore e orientare la lettura del film, ma sovente appaiono obsoleti e poco coinvolgenti. E non è solo per miopia di progettazione: spesso trascurano il più determinante dei fattori, quello temporale. Le pratiche promozionali del testo cinematografico, orchestrate in fase di lancio del film, svolgono un ruolo determinante nell attrarre lo spettatore e portarlo in sala. Tuttavia non sono solo strumenti che vogliono convincere alla visione, ma elementi d istruzione e premessa di quello che sarà il tessuto del film, di cui orientano i percorsi privilegiati di lettura. Trailer, siti e presenza sul web prolungano il ciclo di vita della pellicola contribuendo a mantenere alta la tensione emotiva che intercorre tra pre-visione (l aspettativa creata dal primo riferimento pubblico) e post-visione (la possibilità di approfondire, commentare e seguire gli sviluppi della trama). Inserito nel contesto promozionale di riferimento, il film non ha più una durata strettamente legata al tempo di programmazione, ma vive in una dimensione temporale e spaziale complessa, generata dallo stesso circuito pubblicitario, che si rivela tanto più efficace (in termini di influenza sugli spettatori) quanto più riesce a sedimentarsi nel pubblico, mantenendone vivo l interesse. Tra gli elementi paratestuali di lancio, i siti internet realizzati per promuovere i film non sembrano ancora cogliere appieno le potenzialità del mutamento partecipativo esploso con l era del web 2.0. Nella maggior parte dei casi (ci sono chiaramente illuminate eccezioni) l online si trova a ripercorrere in forma digitale la struttura informativa del pressbook, concedendosi il solo lusso di aggiungere qualche elemento multimediale. Si limita in pratica a mettere in un unico luogo, comodamente accessibile, lo stesso materiale che tradizionalmente viene consegnato alla stampa e agli addetti ai lavori. Trama del film, note di regia, cast, foto-gallery e video-gallery: scorrendo le sezioni della maggior parte dei siti sembra di leggere la stessa partitura. Per fortuna il necessario adeguamento ai dispositivi Apple (ipad e iphone in primis) non compatibili con il formato Flash, ci sta risparmiando lo spettacolo, in voga nel recente passato, di siti incentrati sull effetto sorpresa di suoni e immagini in movimento. Esaurita velocemente la carica di stupore che le accompa- 12

15 SCENARI // Marketing del cinema gna, le animazioni si rivelano spesso prive di livelli semantici aggiuntivi e dunque del tutto inutili. L errore però non sempre sta in una progettazione miope e focalizzata su una visione obsoleta del web, ma spesso è conseguenza della sottovalutazione del fattore tempo. Le strutture ad alto livello d interattività richiedono, infatti, lunghi tempi di realizzazione. L offerta di contenuti esclusivi, stimolo per l affiliazione alla comunità di potenziali spettatori, va già programmata nella fase di pre-produzione. Così come la curiosità sui temi trattati va stimolata pian piano, anche prima che la pellicola venga svelata. Gli spazi di confronto condiviso richiedono tempo per consolidarsi, coinvolgere gli spettatori, far nascere in loro il senso di appartenenza sulla base delle comuni scelte di gusto. Per questo, quando i mesi a disposizione tra la definizione del piano di lancio e l uscita del film sono pochi (se non addirittura uno solo), ben poco è possibile fare in termini di presenza partecipativa del film sul web. Così si deve optare per un sito puramente informativo, ma l aver avuto poco tempo di presenza in rete lo rende praticamente invisibile, poiché difficilmente indicizzabile dai motori di ricerca. Difatti le regole di Search Engine Optimization (SEO), da cui deriva l ordine di visualizzazione dei risultati di una ricerca su Google, attribuiscono valore, e quindi maggiore visibilità, ai siti più interattivi e visitati. Così, per non rischiare di scomparire nel mare magnum dei contenuti online, l unica possibilità di una visibilità veloce diventa investire in maniera importante in banner, inserzioni o altre forme promozionali tutto sommato tradizionali. In modo da veicolare direttamente il collegamento al sito e puntare in tempi brevi, grazie all esposizione massiccia dello spettatore al messaggio pubblicitario, a convincere all acquisto piuttosto che a creare aspettativa e desiderio. La visibilità in questi casi deriva direttamente dall investimento economico e finisce col premiare quei film che già dispongono di un budget alto, e per i quali il web può anche permettersi di essere solo uno dei tanti spazi espositivi a disposizione. La mancanza di interattività è sicuramente un occasione mancata, ma non l unica possibilità di raggiungere il potenziale pubblico. Sono invece proprio quei film dal budget medio-basso che dovrebbero imparare a sfruttare al meglio tutte le potenzialità dei discorsi sociali che è possibile tessere intorno al film. Ben sapendo che nessun coinvolgimento immediato è possibile, che occorre tempo per far familiarizzare lo spettatore con il film e sfruttare l eco discorsivo della sua risposta. La dimensione temporale non rappresenta solo la cornice di evoluzione delle rappresentazioni paratestuali, ma è il fattore condizionante per il prolungamento del film nella sfera sociale del pubblico. LA MIGLIORE OFFERTA Scelta essenziale ed enigmatica, avara di colori e tuttavia luminosa. L atmosfera di mistero aleggia e dallo sfondo tutto nero risalta il protagonista: un uomo anziano, elegante ma guardingo, quasi preoccupato di un incombente minaccia. Forse i due giovani? Di qui il tempo che aspetta di essere goduto, di là il tempo che rimane da vivere? ssr 13

16 SCENARI // Marketing del cinema La prima cosa bella: nelle hit del passato alla ricerca di un identità di Mimmo Gianneri Dai cinepanettoni a Io e te di Bertolucci, il richiamo alle canzoni di successo è una delle strategie più utilizzate. Si potrebbe scrivere una storia parallela del nostro cinema attraverso i brani di Mina, Celentano, Venditti o Caterina Caselli. Il richiamo ai grandi successi è, infatti, oggi come in passato, una delle strategie di marketing maggiormente diffuse. Si tratta generalmente di un appello alla canzone famosa sia nei titoli dei film (solo nel 2011, in ordine sparso: Almeno tu nell universo, C è chi dice no, Nessuno mi può giudicare, Tutti al mare, This must be the place, Cara ti amo, Com è bello far l amore ), sia tramite l inserimento di brani noti all interno delle pellicole, come nel caso della canzone di Jovanotti per Baciami ancora di Muccino o della versione dei Negramaro di Meraviglioso di Modugno per Italians di Veronesi. In alcuni casi, il protagonismo delle canzoni agisce in maniera più evidente sulle forme testuali: per esempio, nei (defunti?) cinepanettoni, le gag scorrono su un tappeto sonoro composto dalle hit del momento in modo analogo al parlato di un deejay sulle amenità della vita di tutti i giorni. Le canzoni pop della stagione accompagnano così lo stare insieme rilassato, tipico dei periodi di vacanza passati in famiglia e costituiscono forse uno dei motivi dell accondiscendenza con cui viene accolta quella comicità di pancia. Se le commedie commerciali fanno sfoggio di canzoni deperibili, i moltissimi film italiani del Duemila, ambientati nel recente passato, sono una sequela quasi ininterrotta di belle canzoni di una volta, per mutuare il celebre titolo di un successo degli Elio e le storie tese: da La meglio gioventù a Notte prima degli esami, fino a Il grande sogno, il notevole dispiego di brani d epoca nei film in costume connota il tempo (i pezzi di Nino D Angelo rappresentano bene il sottoproletariato palermitano di È stato il figlio di Ciprì) e, soprattutto, assolve allo scopo di farci sentire familiari vicende appartenenti al passato, di frequente per mezzo di un aggiornamento degli stornelli più famosi (ad opera dei Subsonica il lavoro per Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli). Molti dei casi citati rispondono alle modalità d uso più intuitive delle canzoni, rinvenibili anche in film ambientati nel contemporaneo, dove essa è spesso lo strumento - a volte la scorciatoia - per comunicare i sentimenti dei personaggi oppure per ribadire, a mo di sintesi, il tema del film. Nelle produzioni cinematografiche con protagonisti comici televisivi, per esempio, le canzoni accompagnano di frequente i momenti di stallo narrativo oppure sono funzionali a esprimere le situazioni di ritrovata serenità. In molto cinema d autore - dove le occorrenze sono tante e varie quanto i casi analizzabili - la canzone spesso ha la funzione 14

17 SCENARI // Marketing del cinema di far irrompere la voce dell autore sulle vicende narrate (si pensi a tanto cinema di Moretti) e dunque può essere una chiave di lettura proficua per comprendere certe opere. Nella festa di matrimonio iniziale di Reality, Garrone presenta i suoi personaggi mentre ballano freneticamente al suono di A storia e Maria, del cantante locale Franco Ricciardi. La canzone racconta, con un registro surreale, la vana ricerca di una ragazza fuggita dalla famiglia dopo essere rimasta incinta e della quale si sono perse le tracce e dimenticate le fattezze, quasi fosse divenuta una figura religiosa. Prima di consegnarci alle vicende dei suoi protagonisti, A storia e Maria fornisce così un imprinting, uno stimolo forte a interpretare il film come una riflessione sulla natura contemporanea del sacro. Eppure, la dote naturale della canzone è proprio quella di sfuggire quasi sempre a interpretazioni univoche, perché si appella tanto a una memoria mediale comune, quanto a una individuale, legata ai suoi ascolti privati. La canzone permette l incontro del vissuto degli spettatori con quello dei personaggi. E fa sì che in poche battute si possano incontrare esperienze collocate in epoche storiche distanti tra loro. In Io e te di Bertolucci, la danza di Olivia (Tea Falco) di fronte al fratellastro Lorenzo (Jacopo Olmo Antinori) al suono di Ragazzo solo, ragazza sola, versione del 1970 in italiano di Space Oddity cantata da Bowie su testo di Mogol, si basa proprio sull intreccio simbolico delle vicende di lei, una ragazza tossicodipendente e problematica che sembra provenire da un altra epoca e da un altro cinema; di Lorenzo, con il suo sguardo a metà tra l apertura dell infanzia e la chiusura dell adolescenza; infine di Bertolucci e della sua opera. La scena attualizza così il sapore di un epoca - quella della canzone di Bowie e della giovinezza e formazione di Bertolucci - in cui la produzione mediale italiana (dalle canzonette ai film popolari) sapeva ingurgitare i modelli esteri e riconsegnarli sotto rinnovata veste: così vivifica molto meglio di tanto cinema forzatamente d antan la nostalgia amara di un adolescenza artistica (quindi di un arte fatta con sincera inquietudine) che, forse, non esiste più. Quello che so sull amore Puntare sui primi piani degli attori sembra essere diventata un ossessione. Per lo più ripetendo tagli e composizione, tanto che sembra di vedere sempre lo stesso poster. Ma siamo proprio sicuri che sia solo il culto degli attori a portare le persone al cinema? cd 15

18 SCENARI // Marketing del cinema ANDARE IN TV PER FARSI CONOSCERE. TANTO IL VERO RISCHIO È UN ALTRO di Luigi Lo Cascio In realtà il nemico non è la tv generalista, ma l ingresso della televisione nella farsa del cinema. E scludendo gli ambiti più o meno specialistici o le trasmissioni di forte impatto cultural-mediatico, procediamo piuttosto verso l abisso che si spalanca nei gorghi anonimi e generalisti. Sono contenitori per lo più orchestrati da giornalisti di chiara fama: un po costume, un po politica, un po cronaca, un po pettegolezzo. Molte di queste trasmissioni non sono meno sconce e immonde di quelle palesemente trash. Il pubblico è eterogeneo: ci sono i compulsivi - monomaniaci della televisione - e ci sono gli istruiti in cerca talvolta di piccole vacanze culturali. A questi ultimi capita ogni tanto di passeggiare sulla strada sdrucciola che si arrampica sulla faticosa collina del film d autore. Ma non ce la fanno da soli, troppo arduo l incontro con ciò che affatica la mente consegnando lo spettatore non dico al dubbio ma già solo all ingombro del pensiero. Hanno bisogno di una guida, di un capo cordata. Ecco delinearsi all orizzonte un grave rischio per i film d autore che acconsentano a lasciarsi seviziare sulla tavola anatomica dei contenitori tv. L impietosa partizione in quarti di carne e formalina. Infatti, come insegna la pratica medica, per lo più lo studio morfologico è gioco di bisturi e cadaveri. Il primo gesto del conduttore anatomista è quindi quello di assassinare il film che adesso viene steso in verticale, srotolato ignaro e inerme. Le armi letali usate per renderlo salma indifferenziata sono principalmente queste: a) in via preliminare, umanizzare l autore e la sua opera. Detto altrimenti, renderlo pari a chi guarda. E così, giù aneddoti, storielle, gossip che sanciscano questo spirito di corpo; b) creare una connessione tra la materia del film e l attualità. Se non si è capaci di proporre e spalancare squarci di consuetudine, il film apparirà troppo remoto e inutile; c) vederlo in anteprima il più possibile facendo fioccare le clip. Per rendere, non dico dolce, ma comme- stibile l amaro boccone, bisogna già masticarlo, condurlo allo stato di poltiglia umettata e pronta, se non addirittura, saltando palato e tratto gastroesofageo, già sbobba di esclusiva pertinenza intestinale; d) chiarire tutto, tutto evidenziare, tutto sviscerare e tradurre nel piatto così scodellato dal senso comune Non sarebbe più interessante e forse vantaggioso lasciare intatta, qualora davvero ci fosse, la distanza, se per distanza si intende il tratto di strada che il regista ha percorso in avanscoperta, in nome e in virtù di un esperienza per lui stesso inedita e che ora si propone di consegnare agli ipotetici spettatori? Non risulterebbe più dignitoso e pertinente (in termini della capacità di un opera di guardare al proprio tempo e insieme al suo corso ulteriore) sganciare un film dall incubo del contingente? Non bisognerebbe preservare, custodire, forse anche maliziosamente enfatizzare la sua virtù nascosta? Nonostante questi rischi, che dovrebbero spingere gli autori a evitare il gioco esasperante delle semplificazioni, sembra non ci siano alternative. La televisione almeno fa sapere che il film in quel momento è in sala. Come rinunciare al richiamo, per quanto assordante e talvolta pacchiano, dell ospitata televisiva? Si continui ad andare in televisione. Magari poco per volta tentando di forzare la mano, di condurre la discussione verso quel tratto d impertinenza e di anomalia che il film deve sforzarsi di possedere. In questo senso c è qualcosa di più insidioso del rischio che corre il cinema andando a presentarsi in televisione: è l ingresso della televisione all interno della logica che regge il cinema nel suo stesso farsi. Il vero nemico non è la tv generalista ma il generalismo della tv, la sua genericità. È questo lo spettro maligno che avanza. Questa la nuova più subdola censura a cui opporre, senza esclusione di colpi, le ragioni del non ancora espresso, del non ancora conosciuto. 16

19 di Rolando Ravello Molto meglio la radio dei contenitori tritatutto. DISERTARE LA TV? VUOI METTERE CHE SOLLIEVO! N on sono d accordo con chi mostra riluttanza nel periodo di promozione: mi è sempre sembrato uno snobismo fesso. Un film va sostenuto: è importante comunicare l uscita nelle sale e, nel contempo, cercare di raccontarne il sapore, incuriosendo, invogliando a pagare il biglietto. Il mezzo più potente è ancora la televisione. È logico che gli uffici stampa si dannino per fare in modo che i propri attori vengano ospitati, il problema è capire dove. Bisogna essere coerenti con ciò che il film vuole raccontare e presentarsi solo negli spazi che si occupano di cinema e garantiscono una qualità o cercare di acchiappare il possibile, finendo in contenitori tritatutto che dispongono di un ampia platea ma fagocitano i contenuti? Ci sono passato in prima persona e comprendo le motivazioni di chi si rifiuta. Che utilità ha veramente una trasmissione evanescente, attenta solo al torbido? In questi casi credo il contenitore uccida il contenuto, non c è speranza di uscirne vincitori, a meno che non si stia promuovendo un film adatto a quel contesto: devi proporre un film che parla di nulla, in una trasmissione che espone il nulla, a spettatori che hanno solo voglia di spegnersi. Allora la comunicazione potrebbe essere efficace. Non dico sia inutile cercare di incuneare la propria opera anche in un pubblico che raramente va al cinema, e se lo fa probabilmente si reca a vedere sempre lo stesso tipo di film, ma forse quelle trasmissioni non sono il giusto mezzo. È curioso il corto circuito che si crea volendo utilizzare, per promuovere il cinema, proprio il mezzo che più gli nuoce. È come se la vittima cercasse il carnefice. Sono anni che ci lamentiamo del vuoto pneumatico televisivo, che accusiamo la tv di essere uno dei maggiori colpevoli dell abbattimento morale e culturale di questo paese: e poi? Si favorisce il serial killer che si vorrebbe annientare. Siamo sicu- ri che promuovere in un contesto sbagliato non finisca con l allargare la frattura già esistente tra un cinema vagamente più spesso e un pubblico che sembra averne paura? Tra l altro, a parte un paio di piccoli casi, la cosa più assurda mi sembra, sia nella televisione generalista come anche sul satellite, non ci siano programmi che abbiano il cinema come vero protagonista. Mancano spazi adeguati dove poter presentare un lavoro con attenzione, che non significa pesantezza. È incredibile ma c è molto più spazio in radio, con intere trasmissioni dedicate, tutt altro che noiose. Che accadrebbe allora se cominciassimo a disertarli quei programmi tv? Me lo chiedo mentre scrivo. Non credo sentirebbero la nostra mancanza, ma neanche noi la loro. E vuoi mettere il sollievo! SCENARI // Marketing del cinema 17

20 SCENARI // Marketing del cinema Quando per vincere servono gli Estrogeni di Francesca Monti DRACULA 3D L incompreso Dracula 3D di Dario Argento omaggia, più che Bram Stoker, i coloratissimi film della Hammer con Christopher Lee. Ma il manifesto tende a imitare horror più moderni e dark e manca dell elemento che dovrebbe predominare quando si parla del terrificante conte: ettolitri di sangue. Ang La strategia del fake, da Draquila a Il gioiellino: il caso dell agenzia romana che opera tra messa in scena del fittizio, marketing e social networking. Discostandosi per un momento dal luogo comune vetusto - e solo in parte corrispondente a verità - che vorrebbe l Italia relegata a uno stato di inadeguatezza informatica, si possono scoprire realtà che navigano controcorrente, dimostrando di aver compreso una sinergia tra social networking e marketing che possa condurre a tecniche innovative e di successo, in particolare nella promozione cinematografica. Tra queste spicca il nome di Estrogeni, agenzia di comunicazione romana nata dieci anni fa da un team di professionisti con un know-how consolidato dall esperienza in importanti multinazionali del settore. Punti di forza sono l interattività tra azienda e utenza - come dimostra l importanza conferita al blog aziendale - e l attenzione alla fase teaser nella comunicazione del prodotto (esempio, le campagne di unconventional marketing per clienti come BIM, Eagle Pictures e Sony Pictures). Un caso esemplare è quello de Il gioiellino di Andrea Molaioli (2011), film che ricostruisce la vicenda Parmalat con ambientazione e nomi contraffatti. Per complicare il cortocircuito tra realtà e finzione, Estrogeni ha puntato su una campagna di web marketing all insegna del fake. Circa due mesi prima del lancio del film, il CEO di Estrogeni Alfredo Borrelli ha annunciato sul company blog l acquisizione di un nuovo cliente, una piccola e intraprendente azienda casearia. Nel frattempo è stato aperto il sito (perfetto in ogni dettaglio) della fantomatica Leda, mentre il social game Consegne a domicilio - che rinviava a Facebook - ha fatto il resto, portando a i fan della pagina. Solo due mesi dopo è stato svelato il legame tra l azienda inesistente e il film, con l effetto di incrementare - anziché frenare - il buzz già prodotto. Un analogo successo si è rivelata la web campaign di Draquila-L Italia che trema di Sabina Guzzanti (2010), con la creazione di un blog che invitava a partecipare a un ideale ricostruzione dell Italia: il coinvolgimento degli internauti ha generato quattro assemblee virtuali con la presenza di Sabina Guzzanti in videochat. A due settimane dall uscita del film, il sito ha poi ricoperto la sua usuale funzione di official site, forte del fatto che il posizionamento della pellicola sul mercato, e soprattutto nell immaginario del pubblico, fosse già avvenuto. Strategie del falso e partecipazione dal basso: estrogeni perfettamente leciti e forse indispensabili per promuovere il cinema nell era del web

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