ISCRIZIONI FUNERARIE CRISTIANE DELL APULIA FRA TARDOANTICO ED ALTO MEDIOEVO di ANNA CAMPESE SIMONE
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1 ISCRIZIONI FUNERARIE CRISTIANE DELL APULIA FRA TARDOANTICO ED ALTO MEDIOEVO di ANNA CAMPESE SIMONE L esiguo numero di testimonianze epigrafiche rinvenute in 39 siti indagati, che alla luce di una ricognizione sugli spazi funerari fra IV e IX secolo, non sembra essere sempre giustificabile con lo stato di distruzione dei monumenti, non consente di redigere per la Puglia settentrionale un inventario finalizzato alla ricerca demografica o biometrica e ancor meno alla storia delle strutture familiari (CAMPESE SIMONE 2003). Gran parte dei rinvenimenti epigrafici tardoantichi proviene da Canosa, sede diocesana dal 343 (PL X, 643) e capoluogo della provincia Apulia et Calabria (PANCIERA 1979, pp ; CARLETTI 1984, pp ; CHELOTTI et al. 1985; CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990; CAMPESE SI- MONE 1993, pp ; VOLPE et al. 2002, pp ). Seguono con epigrafi databili all Alto Medioevo altre quattro sedi diocesane pugliesi: Sipontum (D ANGELA 1983, pp ; SERRICCHIO 1999, pp ), Luceria (CARLET- TI 1979, pp ), Aecae (D ANGELA 1988, pp ; ID. 1983, 453; CHELOTTI 1994, p. 18) e Turenum, vicus, ma sede diocesana già dalla fine del V secolo (MGH,AA,12, 434, ; CASSANO, CARLETTI 1992, pp ). Dall area funeraria subdiale di Monte Sant Angelo provengono altre due iscrizioni databili alla fase altomedievale più matura (D ANGELA 1980, p. 358). Fra intere e frammentarie 10 sono le iscrizioni note da trascrizioni, 7 sono certamente pertinenti ad aree funerarie subdiali e 6 a cimiteri sotterranei; dubbia rimane la localizzazione degli altri rinvenimenti occasionali, spesso fuori contesto e accompagnati da scarne notizie sul ritrovamento. Appena due si collocano nell ambito del IV secolo avanzato, la gran parte occupa lo spazio del V e VI secolo, per attardarsi al più fino agli inizi del VII. Dopo una fase di transizione, caratterizzata soltanto da scarni, ma significativi documenti di scrittura graffita, la prassi di segnalare la tomba con l epitaffio si riafferma, con modi diversi, nell VIII e IX secolo, quando le aree funerarie si dispongono intorno o entro gli edifici di culto. Ciò premesso, la maggior parte delle considerazioni riguardanti il periodo tardoantico è estrapolata dal solo contesto culturale omogeneo che offra esempi significativi: Canosa, le cui epigrafi contengono elementi di novità nel panorama cronologico dell epigrafia funeraria paleocristiana, che meglio conosciamo attraverso la produzione cimiteriale romana (FIOCCHI NICOLAI 1997, pp ; CAR- LETTI 1998, pp ). Mentre quest ultima aveva visto una parabola discendente quanto a logicità grafica e ricchezza di formulari proprio durante i secoli V e VI, in controtendenza per esempio rispetto alla ricca produzione epigrafica africana (PETRUCCI 1995, p. 42), le iscrizioni canosine con datazione consolare, sono assegnabili in un solo caso alla fine del IV secolo, le rimanenti sono comprese invece fra il 519 e il 549, nella prima metà dunque del VI secolo. Se le poche lapidi rinvenute non hanno peculiarità degne di nota, più originale è la tecnica di esecuzione del materiale epigrafico dei cimiteri sotterranei. Sulla scorta delle iscrizioni trovate in loco o descritte da archeologi del passato (CAMPESE SIMONE 1993, pp ; VALENTINI 1888, pp ) e di quelle ancora leggibili nelle vicine catacombe ebraiche di Venosa (COLAFEMMINA 1975, p. 42; SAL- VATORE 1984, pp ) la maggior parte dei testi nei cimiteri ipogei fu dipinta in rosso a fresco sulla malta scialbata di bianco all interno dei nicchioni, al lato delle tombe o sui muretti di chiusura dei nicchioni ad inumazioni sovrapposte. Pressoché sconosciuta alle catacombe romane, la rapidità dell esecuzione ed il basso costo del supporto fanno sì che questa tecnica sia soprattutto appannaggio delle aree periferiche e rurali. Peculiare delle aree ipogee geograficamente contigue di Castelvecchio Subequo in Abruzzo e di Venosa in Lucania, risulta particolarmente diffusa nelle catacombe dell Etruria meridionale, e in quelle laziali e siracusane (GIUNTELLA et al. 1992, pp ; SALVATORE 1984; pp ; FIOCCHI NICOLAI 1988, p. 37). Nell unico caso recentemente rinvenuto in situ, una tabula ansata delimita lo specchio epigrafico, che quasi sempre è corredato dagli elementi tipici e distintivi dell epigrafia funeraria del periodo posteriore alla metà del IV secolo, espressi da segni cristologici: pesce, croci, Chrismon o figurine di oranti (CAMPESE SIMONE 1993, pp ; VALENTINI 1888, pp ) (Fig. 1). La struttura prevalente, piuttosto semplice, è quella caratterizzante l epigrafia romana posteriore alla seconda metà del IV secolo (CARLETTI 1998, p. 47), in cui compaiono dati biometrici, il ruolo svolto nella sfera familiare o civile ed ecclesiale, la menzione della depositio e la data consolare. Il consueto formulario canosino di esordio: hic requiescit in pace, ripetitivamente proposto per esprimere la pace col Signore al momento della morte, con significato escatologico (COLAFRANCESCO, CARLETTI 1995, pp ), denuncia come già avvenuto «il passaggio dalla struttura dedicatoria a quella segnaletica», che si ritrova nelle catacombe romane più tarde e che si cristallizza definitivamente nella seconda metà del V secolo nel modulo hic requiescit in pace spesso preceduto da una croce (CARLETTI 1998, p. 64). Un formulario dipinto in rosso lungo l estradosso di un arcosolio ad edicola, affrescato, che fissa dipinta sul tufo l acquisizione del sepolcro in vita, sottolineandone il possesso, utilizza l espressione A. Spanus fecit (CAMPESE SIMO- NE 1993, pp ), accompagnato da un grande cristogramma dipinto sulla chiave dell arco (Fig. 2). La sua datazione al pieno V secolo è possibile grazie al complesso programma decorativo interno all arcosolio, che imita il cielo stellato con clipeo centrale delle cupole o delle absidi degli edifici di culto (CAMPESE SIMONE 2001, pp ). Il sistema onomastico, nella norma tendenzialmente uninominale per l età tardoromana (FERRUA 1966, pp ; CORDA 1999, pp ), non sfugge alla prassi provinciale e delle aree rurali nell uso dei duo nomina, attestato anche con una certa frequenza nella non lontana Aeclanum in Irpinia (FELLE 1993, p. 83). Il gentilizio A, che precede Spanus risulta ripetuto ancora in iscrizioni latine e greche della stessa catacomba nel gruppo binominale A. S seguito da tabula ansata, il cui nomen, compreso in una lacuna, non si lascia completare. L abbreviazione che nelle iscrizioni canosine di età classica era riferibile al praenomen Aulus (CHELOTTI, MORIZIO, SILVESTRINI 1990, p. 385), in età tardoantica, se espressa potrebbe riferirsi ad Aurelianus (CALDERINI 1974, p. 216), ove la reiterazione dell abbreviazione all interno dello stesso ipogeo presuppone la sua diffusione e quindi la immediata interpretazione da parte del lettore. Le epigrafi canosine tuttavia, mostrano una particolare predilezione per i nomi provenienti dal santorale orientale: Paolo, Eusebio, Acacio, ed uguale fortuna sembrano incontrare quei nomi legati alla provenienza straniera che hanno probabilmente perso le implicazioni geografiche: Spanus, Brizynus (abitante di Bryzos, città della Frigia) e un Grecus che fa la dedica al domino meo Alexander fidelis, ove fidelis sta per cristiano battezzato (CAMPESE SIMONE 1993, p. 114). L indicazione di ben tre provenienze diverse degli inumati, percentualmente alta, in relazione al numero delle epigrafi recuperate offre il quadro di una situazione composita e mobile che doveva esser tale già alla fine del IV secolo. Una società nella quale con esponenti di categorie rilevanti quali i consulares Apuliae et Calabriae, destinati a far parte del rango senatorio (DE BONFILS 1992, pp ) e con gli ultimi rappresentanti delle famiglie 135
2 Fig. 1 Canosa, epigrafe latina e greca proveniente dal cimitero tardoantico di Lamapopoli, CAMPESE SIMONE Fig. 2 Canosa, Lamapopoli, Epigrafe di A. Spanus, CAMPESE SIMONE Fig. 3 Fibule con protomi animali dall Italia meridionale, SALVATORE locali, coesistono gli immigrati di data più recente. Quanto al ruolo svolto nella sfera civile o ecclesiale, Canosa registra la sepoltura di un procurator, equivalente genericamente ad un amministratore e di un primicerius, carica militare (JONES 1964, p. 599) o di un semplice ufficio capitolare, istituito per ammaestrare diaconi e chierici (PALAZZINI 1953, pp ). La sepoltura è segnalata talora come arca, talora come sepulcrum. I fenomeni grafo-fonetici ricorrenti sono quelli comunemente individuati nelle iscrizioni della tarda antichità. Quanto alla tecnica scrittoria, l inserimento delle onciali, la traversa obliqua della A, l occhiello triangolare della B, che avrebbero potuto far pensare ad una équipe di artefici specializzati canosini, trovano puntuale riscontro anche in centri del Tavoliere e dell Irpinia (CARLETTI 1979, pp ; CHELOTTI 1994, pp ; FELLE 1993, p. 83). Dal che non sembra azzardato desumere che l équipe servisse l intera subregione, con spostamenti continui e possibili grazie al raro impiego della loro mano d opera. Complesso, ed unico nella regione, il carme funerario di contenuto cristiano di Ilarianus, morto a soli otto mesi, originariamente dipinto col minio sulla fronte di un sarcofago in muratura (CARLETTI 1984, pp ). Interessanti i versi che seguono i dati biometrici, intesi a sviluppare la contrapposizione corpo-terra, anima-cielo tipica delle iscrizioni più tarde. Non è un caso che l iscrizione metrica afferisca ad un piccolo mausoleo familiare subdiale, restaurato e riadattato con l aggiunta di due nuove sepolture ed una diversa decorazione pittorica. Agli inizi del V secolo, data cui è stato assegnato il carme, ma forse già alla metà del IV (CAMPESE SIMONE 1996, pp ), è riaffiorato il concetto e quindi la ricerca di una memoria, simbolo di uno status, che ad imitazione del costume funerario romano si affidi alla morfologia privilegiata della tomba associata al colto epitaffio metrico. Un monumento canosino significativo quanto originale per lo studio della prassi epigrafica di V secolo in Puglia, rinvenuto in una catacomba di recente scoperta, si articola in quattro iscrizioni latine e greche, dipinte in rosso sul muretto di chiusura di un nicchione a deposizioni sovrapposte, pertinenti a tre inumati (CAMPESE S IMONE 1993, pp ) (Fig. 1). Se si eccettua parte del formulario greco iniziale, lacunoso e di modulo difforme, che esprime la pace col Signore e che fa pensare ad una formula acclamatoria finale di un epigrafe soprastante perduta, le evidenti affinità nel segno, nella grafia e nell organizzazione dello specchio epigrafico, in presenza almeno di due nomi di defunti lasciano perplessità sulla contemporaneità delle deposizioni. Come si è talora riscontrato nelle catacombe romane, è possibile che quando l imbocco del nicchione è stato definitivamente sigillato dopo l ultima deposizione, sia stata reintonacata buona parte del prospetto sottostante e siano stati scritti nuovamente da mano diversa i nomi degli inumati precedenti. Queste epigrafi, pur nella fissità dei moduli formulari, lasciano segnalare una formula comminatoria con ammenda finale contro i violatori del sepolcro. L originalità dell epitaffio risiede nella sommatoria di formule comminatorie che ne fa una sorta di florilegio di maledizioni funerarie cristiane (CAMPESE SIMONE 1993, pp ). L ammenda finale da pagare al fisco o all erario, parzialmente asportata, il cui ammontare è dubbio se contempli argenti pondo quinque o quinquaginta, non dà lumi sull eventuale costo di una sepoltura, designata in modi diversi a Concordia e a Salona, ove si rileva una grande 136
3 Fig. 4 Trani, lastra graffita dal cimitero sotto la cattedrale, CAS- SANO, CARLETTI varietà di tariffe, ma che a Roma sappiamo oscillare da 1 a 17 solidi proporzionalmente alla struttura ed alla posizione rispetto alla tomba del martire (LETTICH 1983, p. 51; EGGER 1926, pp ; DIGGVE, EGGER 1939, pp ; CAR- LETTI 1998, p. 58). Luceria, che nel IV secolo aveva preso l appellativo di Costantiniana (CIL IX, 801) ed era conosciuta come città d Italia da Stefano di Bisanzio, ha restituito soltanto quattro epigrafi parte pervenute in copia, parte incise su lapidi riutilizzate nel castello federiciano della città. Due sono riferibili alla fine del V-VI secolo e le altre alla fine del VI inizi VII secolo, forse provenienti dall eventuale necropoli di Piano dei Puledri (CARLETTI 1979, pp ; D ANGELA 1982, pp ). Nelle più tarde epigrafi lucerine compare ancora l intitolatura di carattere funerario Dis Manibus, da considerare ormai svuotata del suo significato originale, mentre il sistema nominale comincia ad includere gli antroponimi di origine longobarda Lupus e VVinelaupo, in consonanza con quanto attestato dalle fonti, che descrivono la città sede gastaldale già nel 570 (Hist. Lang. 5, 7, 147; CO- NIGLIO 1974, p. 45). L elemento paleografico più caratteristico è la lettera Q, costituita da O con un trattino verticale inscritto, che generalmente compare nel V secolo. Per quanto riguarda la prima fase di età longobarda, si è rinvenuta un altra sola epigrafe appartenente alla sfera funeraria cristiana presso il casale di S. Lorenzo in Carmignano, in territorio di Troia, incisa sul retro di una lastra riutilizzata. L antroponimo Pauludiriu, preceduto da una croce sembrerebbe derivare dal latino Paulus col suffisso dir, considerato variante di deor ricorrente in nomi longobardi (CHELOTTI 1994, p. 18). La paleografia presenta affinità con l epigrafe bilingue di Canosa: la A col tratto obliquo, la D e la R con gli occhielli triangolari. L acclamazione biba in Deo, contenuta in questa epigrafe, con la variante biba in pace, che ha valenza escatologica, ricorre ormai con lo scambio della labiale con la velare in un formulario frequente in ambito meridionale, in Puglia, in Basilicata e nel Beneventano, non più nelle epigrafi sepolcrali di tipo canonico, che sembrano del tutto scomparse, ma nella scrittura graffita delle iscrizioni murali del Santuario di Monte Sant Angelo come biba in Deo, di un lastrone sepolcrale di Trani, di una tomba adiacente alla chiesa di S. Pietro a Crepacore, (CARLETTI 1980, pp ; CASSANO, CARLETTI 1992, pp ; FELLE 1999, pp ) e soprattutto di fibule ad anello aperto con protomi animali (Fig. 3). Queste ultime, contraddistinte spesso dall iscrizione Lupus biba, si sono rinvenute numerose in contesti funerari indigeni di Puglia e Basilicata e sono state attribuite al VI-VII secolo, nonostante l onomastica e la paleografia rimandino anche ad un momento più tardo. L alto numero di questi manufatti, attestato nel Beneventano, ha fatto recentemente dedurre che la loro produzione sia circoscrivibile fra Benevento e Capua (D ANGELA 1991, p. 138; GASPERINI 1993, pp. 9-14). La lastra graffita reimpiegata a copertura di una tomba sotto la cattedrale di Trani, sembra riassumere le variazioni dei rituali della morte, strettamente connesse all ideologia e agli strumenti di trasmissione del potere nell Alto Medioevo, in particolare nel VII secolo, data cui è stata assegnata la lastra (CASSANO, CARLETTI 1992, pp ) (Fig. 4). Tra gli 83 graffiti che la ricoprono, disposti senza ordine apparente, ricorrono motivi figurati quale la croce equilatera, ornata nei bracci da losanghe, cui seguono pavoni, aquile, grifi, protomi equine, pesci e teste barbate di cavalieri dalla tipica forma a pera. La resa con motivi iconografici elementari, si inserisce in quella produzione minore che interessò elementi di corredo funerario quali: fibule, fermagli e piccole croci e, che conobbe una certa diffusione durante il VII secolo nell Italia meridionale. Tra i graffiti si sono individuate 20 brevi iscrizioni ispirate alla formula acclamatoria biba in Deo. Quanto all onomastica si trovano ripetuti antroponimi longobardi ed altri di sostrato latino: Forte, Raddelchisi, Boiando, Bonesso e Petrus. La terza coeva testimonianza di questa espressione epigrafica funeraria popolare riguarda il bordo di appoggio del lastrone di chiusura di una tomba, rimasta ancora intatta, presso la chiesa di S. Pietro a Crepacore. Qui si ripropongono molti di quei motivi iconografici elementari, tra cui la stella a cinque punte, nota per la sua valenza apotropaica (COLAFEMMINA 1980, pp ) e brevi formulari ispirati alla stessa formula acclamatoria biba in Deo. In definitiva, queste forme epigrafiche legate ad un periodo di transizione rispetto alla costituzione dello spazio funerario cristiano definito e comunitario delle installazioni parrocchiali (CAMPESE SIMONE 2003; CAMPESE SIMONE 2002, c.s.) sembrano riassumere quelle forme di continuità e trasformazioni poste come problema dalla diversa impostazione degli studi degli ultimi decenni, basata su una lettura integrata dei processi. La loro datazione coincide con il momento in cui i cimiteri lasciano da parte le iscrizioni e le tombe monumentali che caratterizzavano il periodo precedente per ricorrere a variazioni nelle componenti del corredo rappresentate da oggetti di abbigliamento più o meno sontuosi in stile germanico, romano o bizantino per ostentare il prestigio sociale raggiunto localmente (LA ROCCA 2000, pp ). 137
4 Fig. 5 Siponto, epigrafe dall area circostante la cattedrale di S. Maria, SERRICCHIO Fig. 6 Siponto, apografo del chierico Giovanni, D ANGELA Fig. 7 Troia, epigrafe di Gaidefreda, Soprintendenza archeologica della Puglia. Fig. 8 Monte Sant Angelo, epigrafe su stele cruciforme, D ANGELA Per il periodo altomedievale più maturo, ad eccezione di Aecae (odierna Troia), ove la tomba di Gaidefreda attesta nell VIII secolo la continuità d uso del cimitero tardoantico suburbano, le epigrafi costringono a rivolgersi ai cimiteri circostanti gli edifici di culto, divenuti ormai luogo alternativo di sepolture privilegiate appartenenti alla gerarchia ecclesiastica e monastica e all aristocrazia longobarda (SERRICCHIO 1999, pp ; CAMPESE SIMONE 1996, pp ). Le tre iscrizioni provenienti dal cimitero circostante la cattedrale intramuranea di S. Maria di Siponto: due lapidee ed un apografo (Fig. 5), quella incisa su stele cruciforme di Monte Sant Angelo e le due con croci dipinte all interno di Gaidefreda e Rainus, provenienti da Troia e Monte Sant Angelo, sono infatti databili all VIII-IX secolo. Le epigrafi, prive di simboli tranne la croce, hanno un formulario e particolarità linguistiche che non trovano riscontri prima del VII secolo. Elemento di continuità con la prassi epigrafica tardoantica è il consueto formulario di esordio hic requiescit in pace, che talora si completa con in somno pacis, usato nell epigrafia cristiana funeraria dal VI all VIII-IX secolo. Lo ritroviamo nelle testimonianze della vicina Eclano, su una stele cruciforme di Monte Sant Angelo, a Lucera, a Brindisi (DIEHL 1970, pp. 3185, 3186; CARLETTI 1979, pp ; SERRICCHIO 1999, pp ; DIEHL 1970, p. 1026; D AN- GELA 1980, p. 360). La variante hic recubat, tuttavia richiama un iscrizione precedente al secolo VIII (CIL V, 6227) e 138
5 altre formule simili come hic recubo felix (DIEHL p. 3463, 2) e recubent membra sepulcro (DIEHL 1700, 1) in uso in iscrizioni di poco anteriori all inizio dell VIII secolo. Elemento di novità rispetto al periodo precedente sono gli epiteti peccator e miser che precedono il nome del defunto Cadelaitus monachus. Spesso usati negli epitaffi altomedievali (DIEHL, 79a, 2364 a,b), quali formule di umiltà, se riferite alla più alta carica della gerarchia ecclesiastica diventano addirittura servus servorum Dei (CAILLET 1993, p. 411). Singolare è la formula finale hic fuit comes (v)ere, che sta ad indicare il buon ricordo lasciato dal defunto per la sua vita esemplare (SERRICCHIO 1999, p. 276). Reiterata infine è la professione di fede del defunto nella resurrezione, che si esplicita nel formulario credo resurrectionem, reso anche in forma abbreviata (Fig 6). Si tratta in realtà di veri e propri stereotipi resi a grandi lettere e forti contrazioni per favorire il processo di ricezione del messaggio e la stessa memoria visiva dei singoli grafi legati al concetto di attestazione di fede che il pubblico fruitore comprende secondo certi moduli fissati forse dai centri del potere culturale (SUSINI 1989, pp ). L espressione non è insolita su epitaffi sia paleocristiani sia altomedievali (ILCV 259, 1304, ; GROSSI GONDI 1920, pp ) e trova riscontri nella stessa Siponto e nelle tombe dipinte di Rainus a Monte Sant Angelo e di Gaidefreda ad Aecae. Le preghiere invece, rivolte dal defunto ai viventi, che in epoca tardoantica non hanno molti esempi (DIEHL 2392b, 1291, 2016), qui sembrano attestare meglio e più frequentemente il legame che unisce il defunto ai vivi mediante la tomba con la formula orate pro eo. Ciò sottintende un ulteriore profondo cambiamento di mentalità, che conferisce un nuovo valore alla tomba, quando la presenza dei defunti presso i vivi, non solo è accettata, ma caldeggiata per sollecitare le preghiere di salvezza. Frutto del pensiero agostiniano, il concetto, ripreso nei Dialoghi di Gregorio Magno, diventa nel IX secolo fondamento ideologico del clero carolingio, quando si compie definitivamente quel processo di avvicinamento del mondo dei vivi e dei defunti, culminato nella nascita dei cimiteri parrocchiali (Augustinus, De cura gerenda pro mortuis, Oeuvre de St. Augustin, I-II, ed. G. Combes, Bibliothèque Augustinienne, Paris 1937, pp ; Gregorio Magno, Dialoghi, IV-LVII, 14; TREFFORT 1996, pp ; CAMPESE SIMONE 2002, c.s.). Da inserire nel quadro di questo diverso significato attribuito alla tomba sono le sepolture decorate all interno con croci dipinte in rosso e talora con iscrizioni recanti nomi di origine longobarda: tomba di Rainus e di Gaidefreda (D AN- GELA 1988, pp ; ID. 1980, p. 362; CAMPESE SIMONE 2002, p. 134) (Fig. 7). Esteriormente poco visibili, i simboli tratti dal repertorio paleocristiano si sono spostati all interno quale trasposizione iconografica della preghiera (CANTINO WATAGHIN, LAMBERT 1998, p. 108), e potrebbero trovare la corretta lettura nella significativa epigrafe dipinta all interno di una coeva tomba di S. Vincenzo al Volturno: Crux Christi confusio diaboli (HODGES, MITCHELL 1982, pp ). Influenze dell epigrafia funeraria provenienti da S. Vincenzo al Volturno compaiono nella particolare impaginazione della scrittura che prevede una croce all interno dello specchio con il testo ripartito nei quadranti. Il modello che è attestato in centri italo settentrionali (DE RUBEIS 2000, pp ), viene utilizzato nelle tombe affrescate di Rainus e Gaidefreda, così come la scrittura apicata e piuttosto sviluppata verticalmente che si accompagna a queste croci. Da menzionare per la particolarità del supporto è l epigrafe incisa sulla stele cruciforme del cimitero di Monte Sant Angelo collocabile nell VIII-IX secolo per la paleografia ed i moduli formulai esaminati (D ANGELA 1980, p. 358) (Fig. 8). La stele cruciforme di origine costantinopolitana, ove compare nel VI secolo, si diffonde nelle provincie orientali ed occidentali, dove spesso l iconema della croce appare potenziato da una base scalare. Lo si rinviene in Sardegna a Suelli Casa Ruda o massivamente introdotto nei tipi monetali bizantini e longobardi, iconema che non compare nella plasica dell arredo liturgico e di apparato, ma in quella particolare classe di field monuments la cui produzione «assolse nel sistema della cultura mediterranea e occidentale fra la fine dell Antichità e l Alto Medioevo funzioni d uso di tipo liturgico, memoriale, votivo o funerario» (CASARTELLI NOVELLI 1990, pp ). Compare nella plastica funeraria anche all interno di una tomba a logette scavata presso l abside di S. Maria di Siponto databile al VII-VIII secolo e probabilmente appartenente proprio in forza di quell iconema così diffuso sui tipi monetali ad un dignitario di corte piuttosto che ad un esponente della gerarchia ecclesiastica (CAMPESE SIMONE 1996, pp ). La sfera di appartenenza attestata epigraficamente è quella ecclesiale: sono citati un monachus, un presbyter, un subdiaconus, ed i nomi leggibili Cadelaitus e Iohannes denunciano la presenza di antroponimi longobardi. È possibile che il monaco Cadelaitus fosse un benedettino. L ordine monastico erano presente nel Gargano già nell VIII secolo, quando Grimoaldo III concede i diritti di pesca nel lago di Lesina alla fine di quel secolo al monastero di Tremiti (CO- NIGLIO 1974, pp ), allora sottoposto ai benedettini di Montecassino (CONIGLIO 1974, pp ). Quanto alla paleografia, va osservata la commistione di lettere capitali e onciali tipica delle iscrizioni altomedievali (GRAY 1948, pp ; SUPINO MARTINI, PETRUCCI 1978, pp ): la A è resa con parentesi angolata, in alcuni casi la O è romboidale, come nelle iscrizioni di Monte Sant Angelo, secondo una tipologia sviluppatasi fra VI e VII secolo (FAVREAU 1997, pp ), le contrazioni e le abbreviazioni sono soprallineate e la punteggiatura è resa talvolta con un triangolino con un punto al centro, eventuale stilizzazione della tradizionale foglia d edera. Se le stime pervenuteci dai coevi cimiteri romani, laziali e siciliani denunciano un più alto impiego della prassi epigrafica in presenza di un utenza culturalmente più qualificata e più abbiente rispetto alle masse anonime deposte (FIOCCHI NICOLAI 1988; CARLETTI 1998, pp ), possiamo dedurre che in area pugliese, tale prassi doveva essere ancora più limitata e circoscritta alle sole aree urbane, se persino gli scavi del non modesto complesso rurale di S. Giusto, identificato forse con un Praetorium e le descrizioni di ipogei rurali, visitati prima ancora che fossero manomessi, non riescono a segnalarne la presenza. BIBLIOGRAFIA CALDERINI A. 1974, Epigrafia, Torino. CAILLET J.P. 1993, L Évergétisme monumental chrétien en Italie et à ses marges. Collection de l Ecole française de Rome 175, Rome. 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