10. I REPERTI OSTEOLOGICI ANIMALI

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1 10. I REPERTI OSTEOLOGICI ANIMALI INTRODUZIONE I risultati dello studio dei reperti osteologici animali qui presentati si riferiscono ad un arco temporale di circa cinque secoli, che parte dal X e giunge fino al XIV secolo, con una soluzione di continuità, tra la fine dell XI e la metà del XIII secolo, caratterizzata dalla mancanza di materiale osseo. In totale sono stati recuperati 5607 frammenti, dei quali 3268 identificati a livello tassonomico ed anatomico e 2339 non identificati. La natura e la consistenza del deposito hanno consentito di analizzare l intero campione per fasce temporali: valutando queste individualmente, si è ottenuto un grado di precisione e di dettaglio senz altro migliore di quanto si possa proporre, diversamente, con sintesi che abbracciano archi temporali troppo ampi. Nel nostro caso si tratterebbe di cinque secoli di diacronia insediativa, nel corso dei quali cambiano non solo la topografia e le strutture dell insediamento, ma anche e soprattutto le dinamiche sociali, culturali, economiche e politiche, delle quali rimangono testimonianze nelle strutture conservate e nel materiale rinvenuto. Saranno perciò presentati i risultati relativi a quattro secoli di frequentazione, individuati nel corso dell indagine stratigrafica: 1. X secolo, periodo I fasi 3-4: frammenti analizzati 244, identificati XI secolo, periodo I Fasi 5-6: 295 frammenti analizzati, identificati XIII secolo, periodo III: 1425 frammenti analizzati, identificati XIV secolo, periodo IV: 3643 frammenti analizzati, identificati Le consistenze dei quattro campioni sono decisamente eterogenee, ma se con dieci ossa è possibile determinare le specie presenti in un campione, con cento le proporzioni relative e con mille le variazioni di età e sesso all interno di uno stesso taxum (DAVIS 1987), credo che, al di là di indubbie differenze numeriche, i campioni proposti siano sufficienti per avanzare alcune considerazioni sulle peculiarità paleoeconomiche che dovevano contraddistinguere l insediamento campigliese nei diversi periodi esaminati. L analisi dei reperti sarà quindi trattata diffusamente per fasce cronologiche, confrontando tra loro i campioni considerati separatamente e secondo le diverse chiavi di lettura, cercando in questo modo di comprendere quali siano stati gli aspetti economici, alimentari e sociali dei diversi secoli e, quindi, se siano avvenuti dei cambiamenti rilevanti, tra il X ed il XIV secolo, nell interazione tra l uomo e la popolazione animale. I reperti sono stati recuperati unicamente a vista, senza l ausilio di altre tecniche di raccolta, quali la flottazione o la setacciatura, che assicurano una maggiore attendibilità del campione faunistico. La raccolta a vista comporta la perdita di materiale osteologico, soprattutto ossa di piccole dimensioni relative a specie di media o piccola taglia, ma credo che tale omissione sia stata, in ogni caso, piuttosto contenuta e non abbia inficiato l attendibilità dei dati raccolti. Infatti, come è emerso dalla consistenza del campione, la dispersione di informazioni potrebbe aver interessato principalmente alcuni micromammiferi quali ad esempio il ratto, la cui presenza è testimoniata comunque da numerosi frammenti ossei recanti tracce di rosicatura. Se si considera la distribuzione anatomica dei macromammiferi presenti caratterizzata soprattutto nei periodi III e IV (2.2. in appendice) da un alta frequenza di elementi anatomici di piccole dimensioni, quali falangi e denti, che solitamente vengono smarriti quando si procede ad una raccolta del materiale a vista la perdita di dati risulta piuttosto contenuta. L attendibilità delle analisi statistiche condotte non dovrebbe perciò risultare sminuita, o per lo meno l errore nella stima quantitativa dell intero insieme osteologico dovrebbe essere minimo. La determinazione tassonomica delle ossa ha raggiunto un grado di dettaglio sufficientemente approfondito per i mammiferi, mentre gli uccelli sono stati riportati unicamente come generica avifauna. Lo studio dei reperti si è svolto presso il laboratorio di archeozoologia della sezione di Preistoria dell Università di Siena, dotato di una considerevole collezione di confronto di ossa di mammiferi. Il laboratorio è curato da Paolo Boscato, che ringrazio per l ospitalità e gli utili suggerimenti. 477

2 METODOLOGIA Grafico 1 Distribuzione percentuale delle specie per numero di frammenti. L incidenza economica ed alimentare delle specie determinate, è stata stimata secondo tre diversi parametri di quantificazione: la frequenza degli elementi anatomici (NISP), il numero minimo di individui (NMI) e la resa in carne, questa ultima unicamente per le tre principali specie domestiche (maiale, ovicaprini e bovini). I metodi utilizzati non sono esenti da critiche da parte degli specialisti (CHAPLIN 1971, GAUTIER 1984, RACKHAM 1983), ma rappresentano in ogni caso dei validi parametri di valutazione, utili ad individuare tendenze significative più che per ricercare dei valori assoluti. La resa in carne, ad esempio, rappresenta un criterio di valutazione più esplicativo ed efficace, rispetto al solo calcolo percentuale dei frammenti individuati, per stimare l incidenza di una specie, piuttosto che un altra, nella dieta proteica di un insediamento; mentre la percentuale numerica (NISP) ed il NMI spesso esemplificano chiaramente il peso economico delle specie presenti in un campione. Il numero di elementi anatomici determinati (NISP), è stato conteggiato considerando una sola volta sia quelli fratturati, sia le diafisi ed epifisi chiaramente appartenenti allo stesso osso. La stima del NMI è stata effettuata in base all elemento anatomico destro o sinistro più rappresentativo, al quale sono stati aggiunti quelli di lato opposto o eventuali altri frammenti osteologici appartenenti, però, a soggetti di età diversa. La stima delle età di decesso è stata ricavata dallo stato di fusione delle epifisi, dall eruzione e dal grado di usura dentaria, utilizzando i dati forniti da Amorosi(AMOROSI 1989) e le tavole di Grant (GRANT 1982). Per lo stato di fusione delle epifisi sono stati impiegati i valori relativi alle specie domestiche moderne, in quanto i valori proposti per le specie non migliorate di XIX secolo (SILVER 1969) sono stati criticati ed in parte invalidati (PAYNE, BULL 1982, per i maiali; DENIZ, PAYNE 1978, per gli ovicaprini; PAYNE 1984, per i bovini). Diversi frammenti osteologici sono stati misurati seguendo i suggerimenti proposti dalla Von den Driesch (DRIESCH 1976). I coefficenti proposti da Cram (CRAM 1967) sono invece stati utilizzati per il calcolo della resa in carne, senza considerare eventuali differenze di età (BEDINI 1995) e senza calibrare il peso in base ai dati osteometrici rilevati (FERRO 1999). La stima è stata fatta per NMI e per la frequenza percentuale dei frammenti ossei. È stato inoltre sperimentato un ulteriore calcolo, in cui sono state aggiunte alle frequenze di caprini, suini e bovini anche le percentuali relative agli elementi anatomici assegnati genericamente come piccolo o grande ungulato, in base alle proporzioni stimate dagli elementi anatomici con attribuzione tassonomica certa. In pratica, nel periodo III il rapporto percentuale tra caprini e suini è all incirca lo stesso (Grafico 7), per cui è stata aggiunta metà della percentuale relativa al piccolo ungulato ad ognuna delle due specie domestiche. Nel Periodo IV, invece, i capriovini sono tre volte superiori rispetto ai maiali (Grafico 12), perciò è stato assegnato solo un terzo del valore percentuale a questi ultimi. Inversamente, nelle fasi di X ed XI secolo (Grafico 1 e 4), il loro rapporto è di 4:1 per i maiali, per cui ai caprini è stato aggiunto un solo quarto. Per i bovini di periodo IV (Grafico 12), è stato sommato interamente il valore percentuale del grande ungulato, essendo l unica specie di grosse dimensioni rinvenuta, mentre per i periodi IIII e I (rispettivamente Grafico 7, 1 e 5) è stato aggiunto un valore pari al 2%, in quanto sono stati considerati anche i rinvenimenti di altri grossi mammiferi. Il confronto tra le stime della resa in carne, calcolata sulla percentuale dei frammenti, mostra una sostanziale uguaglianza tra i due criteri, indice che i sistemi di quantificazione adottati non comportano sostanziali modifiche nell importanza alimentare delle specie, ad eccezione del periodo IV (Tab. 7), dove la quantità di carne prodotta dal maiale supera quella dei bovini. In questo ultimo caso, il calcolo integrato con la percentuale di elementi incerti, dovrebbe essere più attendibile, in quanto sono state associate anche le vertebre e le coste che sono state ritrovate in gran quantità all interno della torre. L integrazione dei segmenti ossei incerti, nella stima percentuale delle specie presenti, è stata utilizzata, ad esempio, a Fiumedinisi (VILLARI 1988), anche se in questo caso è servita per valutare l impor- 478

3 Grafico 2 Distribuzione anatomica di maiale. tanza numerica dei diversi taxa, ma non per la stima della resa in carne. Infine è stata effettuata anche una lettura statistica della distribuzione anatomica di ogni singola specie domestica, nei casi di una consistente presenza numerica, in quanto questo metodo è stato proposto come criterio valido per valutare eventuali importazioni o esportazioni di carne nel sito (CLARK 1987). Conseguentemente nei diversi periodi, analizzati speratamente, sono state avanzate alcune ipotesi al riguardo. Le frequenze relative delle specie domestiche presenti a Campiglia, stimate secondo il criterio della percentuale corretta, sono state confrontate con altri insediamenti dell alta Maremma toscana. In questo modo si intende valutare l associazione faunistica nel contesto di un territorio più ampio, già soggetto, da oltre un ventennio, a sistematiche indagini archeologiche e storiche effettuate dal Dipartimento di Archeologia e Storia dell Università di Siena (FRANCOVICH, GELICHI 1980, FRAN- COVICH, PARENTI 1987, FRANCOVICH 2000). Il confronto, quindi, con i campioni zoologici rinvenuti nel Castello di S. Silvestro (BEDINI 1987), di Scarlino (TOZZI 1981) e nella fortezza medicea di Grosseto (TOZZI 1980), può risultare utile per la ricostruzione dei processi economici e del paesaggio agrario, che contraddistinsero questa regione tra il X secolo ed il XV secolo. La registrazione delle informazioni osteo-zoologiche e le rispettive quantificazioni sono state effettuate con l ausilio di un archivio alfanumerico, creato appositamente per la catastazione dei dati provenienti dallo studio dei reperti ossei. L archivio è il frutto della collaborazione, istituita dal 1996, tra il laboratorio di Informatica applicata all Archeologia Medievale (sulla nascita e lo sviluppo del LIAAM e sulla filosofia di lavoro che lo contraddistingue si vedano FRANCOVICH 1999, VALENTI 2000a, FRANCOVICH, VALENTI 2000, nonché le pagine internet consultabili al seguente indirizzo archeologiamedievale.unisi.it/newpages/ LABORATORIO.home.html) e il laboratorio di archeozoologia. Lo sviluppo del DBMS reperti osteologici animali è avvenuto nell ambito del progetto di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI); successivamente è stato esteso ad altri progetti di ricerca condotti dalla sezione medievale e preistorica del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell Università di Siena (sulla struttura dell archivio alfanumerico si veda BOSCATO et alii 2000a, BOSCA- TO et alii 2000b, BOSCATO et alii 2003). Periodo I fasi 3-4 (fine IX-fine X secolo) I reperti analizzati provengono da tre diverse aree di scavo (4000, 5000 e 7000), nelle quali sono state rinvenute stratigrafie relative ad una fase insediativa altomedievale caratterizzata dalla presenza di strutture in materiale deperibile. In totale sono stati recuperati 244 frammenti dei quali 145 (59%) identificati a livello tassonomico ed anatomico, mentre non è stato possibile, a 479

4 Specie Coeff. (Kg) NMI Resa (Kg) % resa % frg. Resa (Kg) % resa % frg corretta Resa (Kg) % resa corretta Bue Maiale Capra/ Pecora Tab. 1 Stima della resa in carne. La percentuale corretta comprende l aggiunta proporzionale delle percentuali dei generici ungulati. causa dell eccessiva frammentazione, determinare i restanti 99 (41%). Le specie individuate appartengono esclusivamente ad animali domestici (grafico 1, 1.1 Periodo I fasi 3-4 in appendice), anche se rimane incerta l attribuzione al maiale di alcuni frammenti ossei. Diversi frammenti osteologici di questa specie, infatti, si distinguono per le dimensioni maggiori e per la struttura ossea più robusta rispetto a medesimi segmenti anatomici recuperati nel corso dell indagine archeologica, ma soprattutto rispetto alle ossa di cinghiale presenti nella collezione di confronto. Tale differenza potrebbe indicare sia una distinzione tra il maiale domestico ed il suo parente selvatico, sia l esistenza di incroci tra le due specie, che nel corso dell altomedioevo non doveva rappresentare un caso insolito. In questo periodo, infatti, i maiali erano solitamente custoditi allo stato semi-brado in aree boschive e quindi a stretto contatto con i cinghiali (MONTANARI 1979, BARUZZI, MONTANARI 1981). L esistenza di soggetti ibridi è forse l ipotesi più plausibile, se si considera l assenza di altre specie selvatiche, quali il cervo o il capriolo. L eccessivo stato di frammentazione e l esiguo numero dei segmenti anatomici non consentono di compiere analisi statistiche attendibili che permettano di stabilire con certezza, attraverso il confronto osteometrico, l appartenenza tassonomica di queste ossa: perciò i suini sono stati identificati e presentati come generica specie Sus scrofa. Il suino rappresenta oltre il 50% dell intero campione, sia come numero di frammenti, sia come NMI, mentre le frequenze di capri-ovini e bovini sono meno consistenti (grafico 1, 1.1 Periodo I fasi 3-4 in appendice). Tra i domestici sono inoltre presenti l asino (si tratta di una mandibola intera comprensiva di tutta la dentatura) ed il cane (un frammento di omero). L importanza del suino è confermata anche dal calcolo della resa in carne, eseguito sul NMI (tabella 1) e sulle percentuali dei frammenti considerate anche in associazione al piccolo ungulato, secondo le modalità già espresse in precedenza (% frg corretta). La percentuale di carne fornita varia tra il 46 ed il 48% e risulta leggermente superiore rispetto a quella bovina, che varia tra il 43 ed il 44%. Considerando la differente mole delle due specie, espressa dal coefficiente utilizzato per la stima, il rapporto emerso (il consumo di un bovino ogni cinque suini) risalta maggiormente l importanza che il suino deve aver avuto nella dieta proteica del villaggio altomedievale. L abbondanza di maiali allevati nei dintorni del villaggio medievale, sembrerebbe confermata dalla distribuzione del NMI per età di decesso ( 1.1 e 1.3 Periodo I fasi 3-4 in appendice), che mostra una concentrazione di individui abbattuti entro il primo anno di vita, ed una seconda in età adulta, mentre risulta decisamente bassa la frequenza tra il secondo ed il terzo anno, cioè nel periodo in cui si ha la massima resa in carne dell animale (BARUZZI, MONTANARI 1981). Solitamente nei campioni faunistici provenienti da contesti archeologici di età medievale, la concentrazione massima di abbattimento del maiale si ha tra il primo ed il terzo anno, ovvero quando il suino raggiunge la massima resa in carne. Così avveniva, ad esempio, a Tuscania (BARKER 1973), a Trino (FERRO 1999), alla Rocca Posteriore di Gubbio (BARKER 1976, 1978), nella residenza vescovile di Genova (CARTLEDGE 1978), a Scarlino (TOZZI 1981, BEDINI 1987), a Grosseto (TOZZI 1980), a Tortoreto (CLARK 1986), a Colle Castellano (CLARK 1989b), a S. Maria in Cività (BARKER 1980). L unicità di questo campione indica, invece, l adozione di un diverso criterio di selezione dei soggetti da abbattere, probabilmente determinato dall abbondanza di capi allevati. Lo sfruttamento zootecnico sembra, quindi, finalizzato prevalentemente alla produzione di carne di ottima qualità, a discapito di un ottimizzazione della resa, e contemporaneamente al mantenimento di ingenti capi per mezzo di scrofe tenute in vita fino in età adulta e, a loro volta, destinate al consumo solo al termine del ciclo riproduttivo. Di minore importanza doveva essere invece l allevamento dei capriovini, il cui apporto alimentare, nonostante risultino la seconda specie per numero di frammenti e NMI, era del tutto trascurabile (Tab. 1). La distribuzione delle età di decesso attesta anche per i caprini un allevamento forse principalmente dedito alla produzione di carne, come risulta dalla presenza di due sogget- 480

5 Grafico 3 Distribuzione anatomica di caprovino. ti giovani uno di età inferiore ai 12 mesi ed un altro di età compresa tra i 18 ed i 24 mesi e di una pecora di età maggiore ai 10 mesi; mentre di minore incidenza per l economia del villaggio doveva essere l allevamento di capi per la produzione di prodotti secondari (CLARK 1989a), come attesterebbe la presenza di un solo adulto ( 1.1 e 1.3 Periodo I fasi 3-4 in appendice). Ridotto ai minimi termini doveva essere l allevamento dei bovini, come attestano le frequenze dei frammenti rinvenuti ed il relativo NMI stimato. La presenza di un individuo di età relativamente giovane (minore ai 30 mesi), potrebbe rappresentare una di quelle eccezioni concernenti l abbattimento di un soggetto in sovrannumero, di una femmina sterile, di un maschio aggressivo, o ancora un soggetto ammalato ferito o gracile (BEDINI 1995). Sicuramente più indicativo, risulta l individuo di età maggiore ai 72 mesi, allevato con ogni probabilità principalmente per i lavori di trazione, e consumato quando il suo apporto lavorativo sarebbe decaduto. Gli animali venivano verosimilmente macellati e consumati interamente all interno dell insediamento, anche se sono emerse alcune anomalie nella distribuzione anatomica della specie suina ed ovina. Probabilmente tali anomalie sono attribuibili ai processi di scarnificazione (le varie fasi di lavorazione dell animale si svolgevano in diverse zone del villaggio) ed alla presenza di un mercato della carne. Il maiale, ad esempio, presenta una frequenza nettamente superiore di ossa relative alla parte anteriore del corpo scheletrico, mentre la zona posteriore, come anche le estremità degli arti e i segmenti vertebrali, appaiono sottorappresentati. Tibia e vertebre sono, infatti, completamente assenti e i frammenti di femore recuperati sono relativamente pochi rispetto al numero di scapole e di omeri rinvenuti; pochi risultano anche i segmenti anatomici del piede (Grafico 2). In questo caso è l alta incidenza di ossa craniali (in particolare le mandibole ed i frammenti di cranio) a suggerire che il primo processo di scarnificazione dell animale sia avvenuto all interno dell insediamento, mentre la totale assenza delle vertebre e la scarsità di ossa del piede indicherebbero che non tutte le fasi di macellazione si siano svolte nello stesso luogo. La bassa frequenza di elementi anatomici posteriori, potrebbe invece essere imputabile a dinamiche di ordine economico che regolavano la vita dell insediamento nel corso del X secolo. In pratica il quarto posteriore del maiale poteva essere utilizzato come canone oppure come bene di scambio. La presenza di capriovini è segnalata prevalentemente dalle ossa lunghe (Grafico 3), tra le quali si registra un rapporto tra arto anteriore e posteriore tendenzialmente simile a quello del maiale anche se, in questo caso, l elemento anatomico mancante è il femore e non la tibia, per cui è probabi- 481

6 le che le carcasse fossero sottoposte agli stessi processi di macellazione suggeriti per i suini. Periodo I fasi 5-6 (XI secolo) Grafico 4 Distribuzione percentuale delle specie per numero di frammenti. I reperti analizzati provengono dalle aree 4000, 5000 e 7000, da stratigrafie relative alla fase insediativa di XI secolo, periodo nel quale l insediamento è caratterizzato da una nuova fase edilizia contraddistinta dall impiego di materiale da costruzione misto (legno e pietra). Sono stati recuperati in totale 295 frammenti, dei quali 126 (43%) identificati a livello tassonomico ed anatomico, mentre non è stato possibile determinare i restanti 169 (57%). La presenza di diverse specie selvatiche (grafico 4), è il primo elemento di distinzione tra il campione di XI secolo e quello analizzato in precedenza (fasi 3-4). Oltre ai consueti domestici, che compongono il 79% dell intero campione, sono stati rinvenuti il cervo (Cervus elaphus), il daino (Dama dama), la lepre (Lepus europaeus) ed il tasso (Meles meles). Nonostante sia attestata da un numero irrisorio di elementi anatomici, sostanzialmente uno per specie ( 1.2 Periodo I fasi 5-6 in appendice), la presenza di queste specie può risultare significativa in quanto coincide con i cambiamenti edilizi e topografici che si verificarono nell insediamento. Bue, capra, pecora e maiale sono ancora le specie maggiormente frequenti, ed il loro rapporto distributivo presenta le stesse caratteristiche del periodo precedente (fasi 3-4). Il maiale infatti è ancora la specie più importante (Grafico 4), anche se rimangono alcuni dubbi sulla appartenenza tassonomica di alcune ossa al cinghiale (la pratica di attività venatorie, presupposta dal rinvenimento di specie come il daino, il cervo e il capriolo, rappresenta un indizio che suggerirebbe la loro presenza). Nelle stratigrafie associate a questa fase insediativa sono stati rinvenuti alcuni elementi anatomici la cui attribuzione tassonomica tra maiale e cinghiale è risultata assai incerta. Si tratta di un campione numericamente scarso, caratterizzato da ossa che appartengono in maggioranza alla regione craniale e versano in uno stato di estrema frammentazione (ad esclusione dei soli denti), che non consente di applicare confronti morfometrici quantitativamente attendibili. Si è comunque cercato di utilizzare le misure relative ai pochi denti molari rinvenuti in associazione ai frammenti mandibolari, al fine di individuare eventuali anomalie che possano in qualche modo essere imputabili a differenze di ordine tassonomico. Si tratta di 4 secondi molari inferiori e di 5 terzi molari inferiori, distinti per classi relativamente ampie di età (intervallo di 12 mesi) e per appartenenza tassonomica accertata preliminarmente in fase di schedatura. Il confronto tra le lunghezze dei terzi molari è stato proposto come metodo di analisi utile per rilevare l eventuale presenza, in un campione, sia della forma domestica che selvatica (FLANNERY 1983, BAKER, CLARK 1993). Diversi specialisti ritengono invece che questo dato non abbia un valore discriminante inequivocabile, in quanto le differenze presenti tra le lunghezze dei terzi molari dovrebbero essere riferite principalmente a fattori derivanti da «variazioni residuali degli individui» (PAYNE, BULL 1988). In altre parole, deriverebbero principalmente dallo stadio di sviluppo raggiunto dai singoli soggetti, a prescindere dall età, dal sesso o dalla loro appartenenza tassonomica. In questa sede, la lunghezza del terzo molare è stata invece considerata come un indicatore utile per rilevare variazioni all interno della specie Sus scrofa, non tanto come metro assoluto per accertare inequivocabilmente l appartenenza tassonomica del frammento osteologico, quanto piuttosto come elemento per segnalare incongruità e divergenze potenzialmente dovute alla presenza di sottospecie distinte. A questo scopo sono stati individuati due campioni in base all età di decesso: si tratta di un campione con età minima stimata di 36 mesi ed uno con età minima di 48 mesi (Tab. 2). In entrambe le distribuzioni i denti segnalati come incerti (i) presentano dimensioni maggiori, sia in lunghezza che in larghezza, rispetto a quelli assegnati alla specie domestica (m). Notevoli variazioni si osservano nella lunghezza dei molari appartenenti a soggetti di età minima maggiore ai 36 mesi, tra i quali si riscontra una 482

7 età > 36 età > 48 L W L W 25,4 (m) 14,4 (m) 32,5 (m) 16,7 (m) 32,6 (m) 19,2 (m) 34,4 (i) 15,3 (i) 38 (i) 17,5 (i) media 32 17,03 33,45 16 deviazione standard 6,32 2,43 1,34 0,98 Tab. 2 Misure dei terzi molari inferiori (L=lunghezza, W=larghezza; m=maiale, i=incerto). deviazione standard superiore a 6, mentre per la larghezza si ha una deviazione standard superiore a 2, quindi un indice di dispersione molto elevato rispetto alla media. Ovviamente si tratta di una popolazione statistica povera, che non può da sola confermare una tendenza statisticamente valida. Per questo motivo è stato proposto un confronto con altri esempi, italiani ed europei, per valutare quanto le differenze morfometriche ravvisate a Campiglia siano contestualizzabili nell ambito di un campione di più ampio respiro. Sono state prese in esame e confrontate le lunghezze, minime medie e massime del terzo molare inferiore, registrate in nove campioni diversi: Kizilcahamam (Turchia, campione di cinghiali moderni Sus scrofa libycus PAYNE, BULL 1988), Mikulcic (Cecoslovacchia, VI-X sec., KRATOCHVÍL 1981, 1982), Piazza della Signoria (FI, altomedioevo, CORRIDI 1995), Mola di Monte Gelato (Roma, romano-medievale, KING 1997), Monte Barro (CO, V-VI sec., BAKER 1991), Poggibonsi (SI, XIII-XIV sec., tesi di laurea dello scrivente), Farnese (VT, XV-XVI sec., COLONNEL- LI, MAZZORIN 2000), San Michele di Trino (CN, romano-medievale, FERRO 1999), e Pavia (XVI secolo, BARKER, WHEELER 1978). I valori riportati nel grafico (Grafico 5) consentono di individuare due concentrazioni: una meno consistente, posta nella parte sinistra e associabile a denti di soggetti selvatici (Kizilcahamam, Campiglia (i)) ed una più consistente, posta nella parte centro-destra associabile invece a denti attribuibili a razze domestiche. Le misure dei molari rinvenuti a Campiglia e segnalati come specie incerta si collocano, quindi, in un intervallo più pertinente a campioni di popolazioni selvatiche (Kizilcahamam), inoltre sono decisamente maggiori della misura massima di Trino, che era stata associata ad un probabile cinghiale (FERRO 1999). Le dimensioni dei denti attribuiti al maiale domestico presentano, invece, confronti con quasi tutti i siti presi in esame e si trovano ben al di sotto del limite convenzionale riconosciuto come valore minimo oltre il quale solitamente la lunghezza del terzo molare di cinghiale non scende (STAMPFLI 1983, PAYNE, BULL 1988). In ogni caso, come per il periodo precedente, i suini saranno considerati come generica Sus scrofa, senza proporre distinzioni fuorvianti, pur non escludendo la possibilità che questa specie comprenda soggetti di origine selvatica e domestica. Considerando il numero di frammenti e il NMI, il maiale è la specie più importante. Ricopre, infatti, il 50% dell intero campione, mentre i capri-ovini rimangono la seconda specie attestata ed il bue la terza (Grafico 4, 1.1 Periodo I fasi 5-6 in appendice). Tra i domestici si segnala inoltre la presenza del cavallo (Equus caballus, un solo carpale rinvenuto, 1.2 Periodo I fasi 5-6 in appendice). La stima della resa in carne (Tab. 3), calcolata unicamente per le tre principali specie domestiche, evidenzia un incremento, rispetto al X secolo, dell importanza alimentare del maiale. Nel corso dell XI secolo l apporto proteico dei suini cresce mediamente del 10%, variando tra il 50% ed il 64%, mentre non si registrano cambiamenti sostanziali per le altre due specie domestiche (confronta le Tab. 1 e 3). Il rapporto percentuale enfatizza l importanza della carne suina nella dieta proteica altomedievale e medievale del villaggio, mentre sembra diminuire leggermente, rispetto al X secolo, il contributo di carne bovina: il rapporto proteico stimato per questo periodo suggerirebbe, infatti, l abbattimento di un bovino ogni sei suini. Non si registrano, quindi, sostanziali cambiamenti nelle strategie di allevamento tra X ed XI secolo, come mostrano le età di decesso stimate per le principali specie domestiche e le relative distribuzioni anatomiche. Dovettero quindi proseguire con successo, in un periodo caratterizzato invece da decisi cambiamenti edilizi e forse anche sociali, le soluzioni zootecniche e le consuetudini alimentari altomedievali. Il maiale, infatti, conferma la tendenza rilevata per il secolo precedente: persiste l abbattimento di animali entro il primo anno o in età avanzata (tra i soggetti maturi sono probabilmente presenti alcuni individui selvatici). Tra i caprini sono nuovamente presenti soggetti giovani, con età stimata tra i 12 ed i 24 mesi ovvero nel momento della migliore resa in carne, che risulta in ogni caso trascurabile (Tab. 3) e soggetti anziani, evidentemente allevati per la produzione di prodotti secondari quali latticini e lana (CLARK 1989a). L allevamento dei bovini doveva essere limitato a rari soggetti utilizzati principalmente per lavori di trazione, pur essendo attestata la presenza di un omero appartenente ad un individuo molto 483

8 Specie Coeff. (Kg) NMI resa (Kg) % resa % frg. resa (Kg) % resa % frg corretta resa (Kg) % resa corretta Bue Maiale Capra/Pecora Tab. 3 Grafico 5 Lunghezza minima, media e massima del terzo molare di suino (c: cinghiale, i: incerto, m: maiale). Grafico 6 Distribuzione 484 anatomica di maiale.

9 giovane ( 1.2 Periodo I fasi 5-6 in appendice). L apporto alimentare dei bovini diventava consistente solamente nel momento in cui si presentava la necessità di un abbattimento: un animale vecchio non più utilizzabile nei lavori pesanti, oppure un giovane in eccesso che veniva macellato quando raggiungeva una buona resa in carne (quest ultimo potrebbe essere il caso del soggetto con un età stimata minore di 20 mesi). La distribuzione degli elementi anatomici di maiale conferma i caratteri di continuità appena esposti: si registra un analogia sia nella maggiore frequenza di segmenti appartenenti al cranio mentre sono sottorappresentate, rispetto a questi ultimi, le ossa lunghe dell arto anteriore e posteriore (Grafico 6), sia nel rapporto tra i due arti, dove si segnala una leggera predominanza di ossa anteriori. L unica differenza riscontrata è l assenza del femore, diversamente dal campione precedente nel quale era la tibia a non essere presente. I frammenti osteologici di caprini sono relativamente pochi ( 1.2 Periodo I fasi 5-6 in appendice), in ogni caso si segnalano l assenza di ossa del cranio, ad esclusione di pochi denti, e la frequenza leggermente superiore di ossa dell arto anteriore in rapporto a quelle dell arto posteriore. Periodo III (XIII sec.) I reperti osteologici animali di XIII secolo provengono da uno scarico per rifiuti, rinvenuto all interno del fondo cieco della torre B (US 1050). In totale i frammenti ossei recuperati sono 1425, di cui 1028 determinati come elemento anatomico e classe tassonomica, mentre per i restanti 397 non è stato possibile accertare alcuna appartenenza specifica, a causa dell eccessivo stato di frammentazione. L avifauna, presente in maniera consistente (Grafico 7), non sarà considerata nel corso delle analisi statistiche, poichè i frammenti relativi individuati sono stati determinati unicamente come generica classe. Escludendo i volatili, quindi, le specie maggiormente attestate sono i mammiferi domestici, che compongono il 33% circa dell intero campione: si tratta di capriovini, suini, bovini, equini e felini. Il computo percentuale è indicativo della presenza dominante di questi animali, soprattutto se valutato in relazione al 43% dei frammenti determinati come generiche classi di grande e piccolo ungulato ed all 1% dei selvatici, rappresentati unicamente dal cervo (Cervus elaphus). Analogamente, il confronto percentuale tra il NMI stimato per ogni singola specie (Grafico 8) risalta la presenza pressoché assoluta dell insieme domestico, che compone il 96% dell intero campione, contro il restante 4% relativo al cervo. Tra i domestici, i capi di taglia media, cioè i capriovini ed i suini, appaiono in netta maggioranza rispetto a quelli di taglia grande, quali il bue e l asino, sia nel computo dei frammenti sia in quello del NMI. In questa ultima stima i capriovini sono in numero quasi doppio rispetto ai maiali, mentre la quantità di frammenti associati per specie è all incirca la stessa. La disparità tra gli animali di grossa e media taglia, è confermata inoltre dallo scarto presente tra i frammenti determinati genericamente come grande e piccolo ungulato (Grafico 7, 2.1 US 1050 in appendice). Diversa è invece l importanza del bue nel calcolo della resa in carne (Tab. 4), anche se i diversi computi applicati hanno restituito valori contrastanti. In base al NMI, il bue presenterebbe una resa pari al 48,6% del totale, mentre in base alla frequenza degli elementi anatomici, la sua resa diminuirebbe sensibilmente ad un valore compreso tra il 26 ed il 29%. Considerando che l ultima stima presentata in tabella (Tab. 4) comprende anche gli elementi anatomici classificati genericamente come ungulati, è probabile che il bue si assesti sui valori percentuali più bassi. Utilizzando la stima corretta (Tab. 4) la carne di maiale risulterebbe, come per i periodi precedenti, la risorsa più importante nella dieta quotidiana degli abitanti della rocca. Rispetto al X ed XI secolo, si registra un deciso aumento del consumo di capriovini. Il computo percentuale di carne resa da questa specie è all incirca lo stesso di quello del bue, se si considera unicamente il calcolo operato per la percentuale dei frammenti, mentre sarebbe lo stesso dei maiali, se si considera il solo calcolo per NMI. In ogni caso si tratta di un valore percentuale sicuramente alto, soprattutto valutando la mole assai ridotta dei caprini, espressa chiaramente dai coefficenti adottati. Il rapporto tra numero di maiali macellati e numero di capriovini, secondo la stima fatta utilizzando la percentuale dei frammenti corretta, sarebbe di un animale per specie. I capriovini sono la specie più numerosa come NMI (si tratta di almeno 13 individui distinti in una capra, cinque pecore e sette incerti), mentre risultano leggermente inferiori al maiale nel computo dei frammenti (Tab. 5; 2.1 US 1050 in appendice). Più abbondanti sembrerebbero essere state le pecore rispetto alle capre, ma per le due specie non doveva essere in uso alcun criterio diverso di allevamento, come mostrano le concentrazioni delle età di decesso riportate nella tabella. 485

10 Grafico 7 Distribuzione percentuale delle specie per numero di frammenti. Grafico 8 Distribuzione percentuale dei mammiferi per NMI. Tab. 4 Tab. 5 Distribuzione NMI di capriovini per età (espressa in mesi). Tab. 6 Distribuzione NMI di maiali per età. L allevamento dei caprini era finalizzato alla produzione di beni di consumo primari e secondari (CLARK 1989a): particolarmente sviluppato doveva essere l allevamento dedicato alla produzione ed al commercio della carne, data l alta frequenza di soggetti giovani ed anche molto giovani. D altro canto una parte delle greggi era certamente mantenuta fino in tarda età per la produzione dei latticini e della lana. Anche la distribuzione del maiale per età di morte (Tab. 6), evidenzia una concentrazione di capi macellati tra il secondo ed il terzo anno, cioè nel momento in cui l animale raggiungeva la massima resa in carne. La presenza di un unico individuo anziano caratterizza il consumo sporadico di animali molto vecchi. I soggetti anziani erano verosimilmente delle scrofe, allevate fino in tarda età e destinate al consumo solo al termine del loro ciclo riproduttivo. Alla produzione di carne erano invece indirizzati in primo luogo i maschi giovani: questa pratica sembra confermata dal confronto osteometrico operato su diverse falangi rinvenute all interno del butto. Il confronto (Grafico 9) è stato condotto sulle prime falangi di soggetti con stime d età diverse, utilizzando la larghezza minima della diafisi (SD) e la larghezza dell epifisi distale (Bd). Nel grafico si evidenziano due falangi, relative ad individui adulti (età superiore ai 24 mesi), che presentano dimensioni ridotte rispetto alle restanti riportate nel grafico, appartenenti invece a soggetti di età giovane o sub-adulta. Queste, sono con ogni probabilità da riferire a scrofe, soprattutto se si considerano le dimensioni che presentano rispetto alle due falangi appartenenti a soggetti di età minore ai due anni, che potrebbero quindi rappresentare il verro. Anche tra i bovini si segnala una prevalenza di soggetti giovani: di tre individui stimati ( 2.1, 2.2 US 1050 in appendice) due risultano abbattuti in età molto giovane (prima di 12 mesi). In generale, sembra che il consumo di carne di animali giovani o molto giovani fosse lo standard alimentare degli abitanti della rocca. Tale consuetudine alimentare potrebbe rappresentare lo status sociale privilegiato dei conti di Campiglia, che nel corso del XIII secolo risiedevano nella Rocca. La distribuzione dei segmenti anatomici di capriovino (Grafico 10), mostra una bassa frequenza delle estremità degli arti (metacarpo, metatarso, falange) e dei craniali, in rapporto alle ossa lunghe. Questa disparità è forse imputabile ad un introduzione di animali già macellati all interno della torre, sotto forma di mezzene. In 486

11 Grafico 9 Distribuzione morfometrica della I falange di maiale. Grafico 10 Distribuzione anatomica di capra-pecora. seguito si procedeva ad un ulteriore suddivisione della carcassa, per la preparazione delle diverse parti di carne da destinare alla cucina. L importazione è confermata anche dai pochi frammenti craniali di piccolo ungulato ( 2.2 US 1050 in appendice), solitamente presenti in considerevoli quantità nei luoghi dove il processo di macellazione dell animale avviene integralmente. Il confronto tra gli intervalli dei restanti segmenti anatomici, ha invece evidenziato ulteriori elementi riconducibili a pratiche di macellazione e consuetudini alimentari. Il femore, ad esempio, presenta una frequenza doppia rispetto alla tibia, il che indicherebbe una predilezione per il muscolo della coscia, dal quale probabilmente si ricavavano diversi tagli di carne. La presenza del coxale e delle vertebre, tra le quali spiccano per numero quelle lombari (rispettivamente 10, 4 cervicali e 2 toraciche; 2.2 US 1050 in appendice), potrebbe suggerire una predilezione per la carne appartenente a questa re- 487

12 Grafico 11 Distribuzione anatomica di maiale. gione. Gli elementi anatomici dell arto anteriore, ovvero scapola omero e radio-ulna, sono tutti ben attestati e non mostrerebbero particolari divisioni della spalla in tagli di carne distinti. Diverso era il processo di scarnificazione del maiale, che doveva svolgersi interamente all interno della rocca. Il grafico distributivo dei segmenti anatomici (Grafico 11) rileva una sostanziale omogeneità: elementi scheletrici come le falangi, i metapodiali, le coste, le vertebre, il cranio ed i denti sono, infatti, più frequenti rispetto alle ossa lunghe. Le ossa dell arto posteriore presentano invece una diversa frequenza: la tibia è più numerosa del femore, che appare invece quasi assente. Tale differenza è probabilmente riconducibile alla pratica della conservazione, secondo la quale la coscia veniva disarticolata e lavorata separatamente per essere in seguito stagionata e consumata (FERRO 1999). Per il maiale è stato inoltre possibile calcolare l altezza al garrese di un individuo, utilizzando la lunghezza di un terzo metatarso (GL: 77, 8), che risulta essere pari a 73 cm. La distribuzione anatomica dei bovini è caratterizzata dalla presenza quasi esclusiva di elementi craniali e di coste ( 2.2 US 1050 in appendice). L esiguità di ossa lunghe potrebbe rispecchiare il costume alimentare degli abitanti della rocca, i quali raramente si servivano della carne di bue per il fabbisogno proteico. Sporadico doveva essere anche il ricorso a risorse proteiche derivanti da attività venatorie. La presenza del cervo, per quanto assai povera (un corno e tre ossa carpali, tra le quali una reca evidenti tracce di scarnificazione, 2.2 US 1050 in appendice), potrebbe in realtà testimoniare il costume tipico della classe nobiliare medievale: la pratica della caccia rappresentava un esercizio di casta, l affermazione di uno status sociale privilegiato, più che una necessità alimentare (MONTANARI 1979). L approvvigionamento proteico era garantito, in definitiva, principalmente dall allevamento, mentre trascurabile doveva essere l apporto di altre attività quali la pesca o la caccia. Periodo IV Il campione, come quello analizzato in precedenza, è composto da ossa provenienti da una sola unità stratigrafica (US 1044), anch essa rinvenuta all interno del fondo cieco della torre B. Si tratta di un butto formatosi a seguito dell occupazione della rocca da parte di una guarnigione pisana, che continuò ad utilizzare il fondo cieco come zona di scarico. I frammenti ossei rinvenuti ed analizzati sono stati in totale 3643, di questi 1969 sono stati identificati a livello di specie o di ordine (grande o piccolo ungulato), mentre per i restanti 1674 non è stato possibile attribuire un ap- 488

13 Grafico 12 Distribuzione percentuale delle specie per numero di frammenti. partenenza tassonomica o anatomica a causa dell eccessiva frammentazione. La distribuzione tassonomica (Grafico 12), indica chiaramente la presenza quasi esclusiva (circa l 80%) di specie domestiche ( 2.1 US 1044 in appendice): il campione è infatti composto principalmente da capri-ovini, suini, bovini ed in percentuale nettamente inferiore da coniglio, cane e gatto. Le specie selvatiche sono attestate unicamente dalla lepre (Lepus europaeus). L avifauna compone una parte consistente del campione (21%), ma non verrà trattata in maniera esaustiva, in quanto è stata determinata unicamente come generica classe. Si segnala comunque la presenza di una discreta varietà di specie volatili, osservata preliminarmente durante la classificazione dei reperti, in cui sono state riscontrate diverse ossa con caratteri morfometrici difformi. Infine, sono stati rinvenuti pochi frammenti di carapace di tartaruga (Testudo graeca-hermanni), mentre sono completamente assenti i pesci. In base al computo percentuale del numero di frammenti e del numero minimo di individui (NMI), capre e pecore sono le specie maggiormente attestate nel corso del XIV secolo. Assieme costituiscono, come NISP, il 29% dell intero campione e, come NMI, il 64%. Inoltre il loro valore percentuale cresce leggermente fino al 69% se paragonato, sempre come NMI, unicamente con il maiale, la seconda specie attestata (24%), e con il bue, ultimo in ordine d importanza (7%). Anche dal computo della resa in carne (Tab. 7) i capriovini risultano, in associazione, l insieme più importante. Il peso complessivo varia tra il 40 ed il 42%, un valore molto alto, se si considera la mole maggiore degli altri due taxa. Il bue ed il maiale hanno invece restituito rese minori, che discordano tra di loro a seconda del calcolo adottato. Come per il periodo precedente (Periodo III), il calcolo eseguito in base alla percentuale dei frammenti corretta è stato considerato più attendibile degli altri, per cui il maiale ed il bue rifornivano all incirca la stessa quantità di carne. I valori riportati in tabella, mostrano chiaramente che il principale consumo proteico consisteva in carne ovocaprina, mentre secondario era quello di carne suina e bovina. Il minore rilievo percentuale che il maiale ed il bue ricoprono nel computo totale, potrebbe essere stato cagionato da ragioni di ordine economico: il fatto che queste due specie fossero probabilmente presenti in numero assai ridotto rispetto ai caprini, suggerisce che il loro valore di mercato dovesse essere giudicato eccessivo per una truppa militare stanziata a controllo del territorio. L abbondanza di greggi caprine doveva invece consentire un rifornimento a basso costo della guarnigione in quanto, come sembra emergere dalle età di morte riscontrate, era praticato un allevamento intensivo per la produzione della carne, in particolare erano i montoni giovani ad essere destinati per primi al consumo. La distribuzione delle età di morte dei caprini (Tab. 8, 2.1 US 1044 in appendice) mostra chiaramente una tendenza economica di questo tipo. I soldati consumavano indifferentemente soggetti molto giovani, giovani ed adulti. La grossa concentrazione di animali abbattuti nel primo e nel secondo anno di vita rappresenta un caso evidente di allevamento intensivo per la produzione della carne. L abbondanza di individui di età adulta, poi, testimonia che non meno essenziale doveva essere l allevamento finalizzato alla produzione di generi secondari come i latticini e la lana. Gli animali destinati al mercato della carne, erano scelti principalmente sulla base del genere sessuale: i montoni venivano abbattuti maggiormente in età giovane, mentre le femmine erano custodite fino in tarda età, sia perché maggiormente adatte per la produzione di altri beni di consumo quali il latte e la lana, sia perché costituivano una garanzia per la riproduzione della popolazione animale. Questa strategia di allevamento è emersa chiaramente dal confronto osteometrico tra le dimensioni distali della prima falange (larghezza e profondità dell epifisi, Grafico 13), che ha evidenziato una decisa variazione tra individui giovani e adulti (età stimata in base allo stato di fusione raggiunto tra diafisi ed epifisi prossimali). I segmenti anatomici di età accertata minore ai 12 mesi presentano, in molti casi, dimensioni superiori rispetto a quelli di età maggiore. Queste differenze osteometriche dovrebbero essere chiaramente imputabili a distinzioni di ordine sessuale presenti tra i capi abbattuti. Doveva quindi essere praticata una scelta mirata all abbattimento di capi giovani maschi, a bene- 489

14 Specie Coeff. (Kg) NMI resa (Kg) % resa % frg. resa (Kg) % resa % frg corretta resa (Kg) % resa corretta Bue , Maiale , Capra/ Pecora , Tab. 7 < 1 > 3 < 6 > 6 < 12 < 12 > 12 < 24 > 24 < 36 > 24 Generico adulto Totale individui Capra Pecora Capra/ Pecora Tab. 8 Età (mesi) < 6 > 6 < 12 > 12 < 24 > 24 < 42 > 42 < 48 Generico adulto Nr. indivui Tab. 9 ficio delle femmine, che solo al termine del loro ciclo produttivo e riproduttivo erano destinate al consumo. Anche tra i maiali si registra un consumo maggiore di soggetti giovani, soprattutto di età compresa tra il secondo ed il quarto anno, cioè nel periodo di massima resa in carne. La distribuzione del NMI per età di morte (Tab. 9, 2.1 US 1044 in appendice) mostra un campione composto omogeneamente da individui giovani ed adulti, nonostante la maggiore concentrazione sia osservabile tra i due ed i quattro anni di età, di conseguenza il consumo di animali vecchi o troppo giovani doveva essere meno frequente. Il criterio selettivo adottato nella scelta dei soggetti da destinare al consumo doveva essere lo stesso utilizzato per l allevamento dei caprini. Pur mancando sufficienti dati osteometrici che possano confermare questa ipotesi, si può supporre che i maschi fossero immessi per primi, o comunque in quantità maggiore, sul mercato della carne, mentre le femmine erano principalmente mantenute per la riproduzione della specie. Tra i bovini è attestata la presenza di due soggetti giovani, probabilmente individui giudicati in eccedenza, abbattuti tra il secondo ed il terzo anno di vita e quella di altrettanti adulti, abbattuti in età sicuramente maggiore ai 42 mesi. L esiguità della popolazione bovina presente nel campione in esame, potrebbe essere stata cagionata da un allevamento finalizzato principalmente alla produzione di forza lavoro, che prevedeva l abbattimento dell animale solo al termine del ciclo lavorativo e produttivo. Il rapporto distributivo degli elementi anatomici di capra, pecora e di incerta attribuzione tassonomica (Grafico 14), risulta omogeneo anche se si rileva una bassa percentuale di denti e frammenti craniali. Tale differenza dovrebbe essere stata causata in minima parte dalla dispersione di materiale, dovuta alla raccolta delle ossa a vista durante le operazioni di scavo. Sono stati, infatti, recuperati in gran quantità altri elementi anatomici di piccole dimensioni come le falangi, per cui l assenza di ossa appartenenti alla regione craniale sarebbe dovuta principalmente a dinamiche economico-alimentari in atto nel XIV secolo. In questo senso i capriovini erano probabilmente abbattuti in un altra sede (bassa percentuale di denti e frammenti craniali, Grafico 14) e solo in seguito venivano introdotti all interno della Rocca come approvvigionamento per la guarnigione pisana. L alto numero di falangi e la relativa uniformità delle restanti parti scheletriche, suggerirebbero che le carcasse fossero ancora intere al momento della consegna. Probabilmente venivano immesse sotto forma di mezzene, private della parte craniale, per essere solo successivamente suddivise in loco. Presumibilmente anche i bovini venivano introdotti nella rocca già abbattuti. La distribuzione anatomica ( 2.2 US 1044 in appendice) evidenzia, infatti, la quasi totale assenza di ossa appartenenti alle estremità degli arti (un solo tarso ed una sola falange recuperati, assenti i carpali) e la presenza di un solo frammento craniale. Diverso era invece lo stato dei suini al loro ingresso, per i quali probabilmente era la guarnigione stessa ad occuparsi interamente della macellazione, poiché la distribuzione degli elementi anatomici (Grafico 15) evidenzia una relativa uniformità delle parti scheletriche, sia nel rapporto numerico tra arto anteriore (scapola, omero, radio-ulna) e posteriore (femore, tibia, fibula), sia 490

15 Grafico 13 Distribuzione morfometrica distale della I Falange di capra/pecora. Grafico 14 Distribuzione anatomica di capra-pecora. nel confronto tra ossa di dimensioni diverse (ossa lunghe, vertebre, falangi, denti). La bassa frequenza dei denti rilevata nel computo totale degli elementi scheletrici, è in parte dovuta al metodo di conteggio utilizzato, nel quale si è tenuto conto unicamente dei denti isolati, escludendo quelli inclusi nella mandibola e nella mascella. Anche le vertebre appaiono sottostimate nel confronto con gli altri elementi anatomici. In questo caso bisogna considerare principalmente la difficoltà di stabilirne l appartenenza tassonomica, poiché le operazioni di macellazione a cui sono solitamente sottoposte ne provocano un eccessiva frammentazione e la conseguente perdita della leggibilità. 491

16 Grafico 15 Distribuzione anatomica di maiale. Infatti, se il conteggio viene valutato in rapporto con l alto numero di frammenti di vertebre stimato nella generica classe dei piccoli ungulati, tenendo ovviamente presente che una parte consistente di queste potrebbe essere associato ai capri-ovini, il maiale risulta, in definitiva, rappresentato in tutte le sue parti anatomiche. Tra le diverse regioni che compongono la colonna vertebrale, quella cervicale è sottorappresentata rispetto alla lombare ed alla toracica ( 2.2 US 1044 in appendice). Anche in questo caso la differenza numerica è stata determinata dall eccessiva frammentazione delle ossa, che non ha permesso un attribuzione tassonomica certa e in diversi casi nemmeno un individuazione della zona anatomica specifica. L alto numero di vertebre cervicali associate al piccolo ungulato e i numerosi frammenti craniali di maiale, soprattutto mascellari ( 2.2 US 1044 in appendice), confermano in ogni caso che i maiali erano introdotti vivi nella rocca e macellati dalla guarnigione stessa. Solamente per le capre e le pecore è, infine, stato possibile fare una stima dell altezza al garrese. Per il calcolo sono stati utilizzati gli indici proposti da Schramm per la capra (SCHRAMM 1967) e da Teichert per la pecora (TEICHERT 1969), riportati sul manuale francese di osteoarcheologia a cura di Chaix e Mèniel (CHAIX, MÈNIEL 1996). L altezza al garrese delle capre (Capra hircus), stimata in base alle misure rilevate su due metacarpi (GL: 110,0/104,8) e tre metatarsi (GL: 120,0/111,3), risulta compresa tra 59,43 e 64,08 cm. Gli ovini (Ovis aries), sulla base delle dimensioni del calcagno (GL: 49,4) e dell astragalo (GLl: 25,0/27,1/27,6/28,1/30,2), variano invece tra 56 ed 68,5 cm. CONCLUSIONI I dati emersi dall analisi dei resti osteologici animali recuperati a Campiglia, rappresentano un nuovo contributo per lo studio diacronico dell economia e dei processi di trasformazione del paesaggio agrario medievale. I cambiamenti economici e sociali, che avvengono tra X e XIV secolo, possono a nostro avviso aver determinato differenze sostanziali nella composizione dei quattro diversi campioni studiati e conseguentemente nelle peculiarità che li caratterizzano. La distribuzione quantitativa delle specie presenti, in associazione all età di decesso ed all elemento anatomico, ai dati osteometrici, sono stati gli indicatori utilizzati come parametri di lettura di tali trasformazioni. Il X secolo presenta un insediamento di capanne in legno occupato principalmente nelle attività silvo pastorali. Notevolmente sviluppato sembra essere stato l allevamento dei maiali, che dovevano essere presenti in gran numero nel territorio circostante, probabilmente caratterizzato da una prevalenza di aree boschive che formavano l ambiente ideale per l allevamento di questa specie (per ap- 492

17 profondimenti sul paesaggio si veda DI PASQUALE nel presente volume). La presenza di un cospicuo numero di capi allevati sembra accertata dalla distribuzione delle età di decesso dell animale, in cui si evidenzia una prevalenza di soggetti consumati molto giovani (entro il primo anno) a discapito di una loro migliore resa, che non trova riscontri in altre zone italiane (per i confronti archeozoologici vedi periodo I fasi 3-4). Durante il periodo altomedievale, infatti, i maiali venivano in genere abbattuti ad un età più adulta, tra il secondo ed il terzo anno, in quanto il sistema di allevamento selvatico non consentiva un ingrasso forzato delle bestie che perciò necessitavano di un tempo maggiore per la crescita (BARUZZI, MONTANARI 1981). La carne di maiale consumata era, in definitiva, di ottima qualità e rappresentava l alimento proteico quotidiano, mentre il bue ed i capriovini erano consumati in minor quantità e con minor frequenza. Si tratterebbe quindi di un villaggio di porcari che traeva il proprio sostentamento soprattutto dallo sfruttamento dell incolto. Di minor incidenza doveva essere, probabilmente, l attività agricola che integrava in ogni caso le necessità alimentari del villaggio, come mostrerebbe la presenza di un bovino anziano presumibilmente impiegato nei lavori agricoli. Un economia di questo tipo, basata quasi unicamente sulle attività silvo-pastorali, potrebbe rappresentare il caso di un villaggio di frontiera, alle dipendenze di un azienda curtense del tipo «curtes pioneristica», come è stata definita dal Toubert, che ebbe un notevole sviluppo nell Italia padana e centrale nel corso del IX e X secolo (TOUBERT 1995). L azienda curtense di tipo pioneristco, secondo l accezione del Toubert, solitamente si espandeva in territori non antropizzati ed era connotata da un economia silvo-pastorale in cui il settore occupato dalla pastorizia era l attività trainante. Attualmente, in Italia, non sembra siano stati indagati archeologicamente insediamenti di X secolo associabili ad un modello economico come quello appena tracciato, o interpretati come tali. Un confronto in ogni caso utile, per evidenziare alcuni tratti economico-sociali caratteristici dell insediamento campigliese, può essere proposto con il villaggio di fine IX inizi X secolo scoperto a Poggibonsi (VALENTI 1998; 2000b; VALENTI, SAL- VADORI 2003), che rappresenta un probabile caso di centro curtense toscano (gli indicatori topografico-insediativi emersi sono: un area centrale connotata da spazi lavorativi, magazzini, strutture ausiliare ed una abitazione che non ha riscontri nel resto del villaggio), dove l economia caratterizzante e la composizione sociale degli abitanti risultano indubbiamente diversi. Nell insediamento valdelsano l attività agricola era sicuramente più importante: costituiva la fonte principale di sostentamento degli abitanti ed era in parte integrata dalla pastorizia, come mostrerebbero le faune ivi rinvenute e la presenza di un grosso granaio per la raccolta dei cereali (VALENTI 1998, 2000b). Particolarmente sviluppato era l allevamento dei capriovini, che risulta invece quasi assente a Campiglia. Inversamente, a Poggibonsi non era praticato l allevamento del maiale la cui presenza sembra derivare da approvvigionamenti provenienti da risorse esterne al villaggio, con ogni probabilità attribuibili alle corresponsioni che i livellari, insediati nei mansi o in altri villaggi legati alla curtis, dovevano al dominico. Si tratterebbe della spalla del maiale, che i documenti di X secolo riportano con il termine amiscere (ANDREOLLI, MONTANARI 1985, ANDREOLLI 1981), ad indicare, in genere, un canone che equivaleva ad una spalla del maiale, oppure ad alcuni denari (VALENTI, SALVADORI 2003). Il villaggio campigliese rappresenterebbe un caso diverso: era probabilmente integrato in una rete di scambi autarchica di tipo curtense (PASQUALI 1981) e si trovava alle dipendenze di un azienda il cui centro amministrativo risiedeva altrove. In questo senso i quarti posteriori del maiale e forse anche dei capriovini (che sono poco rappresentati nel contesto campigliese) potevano essere stati utilizzati come canoni che i livellari, insediati nel villaggio, dovevano al possidente per l usufrutto delle aree boschive in cui venivano ingrassati i maiali. Un altro elemento distintivo tra i due insediamenti riguarda la presenza di una gerarchizzazione sociale. A Poggibonsi sono stati delineati i segni di un articolazione gerarchizzata, sia nella struttura topografica del villaggio che nei resti di pasto rinvenuti all interno delle abitazioni. Il consumo di carne bovina era, ad esempio, appannaggio quasi esclusivo della famiglia residente nella Longhouse (la capanna che dominava l intero villaggio), così quello legato ad altri animali di grossa taglia (cavallo ed asino) ed inoltre a particolari pennuti da cortile (come un oca, non trovata altrove). Al contrario, la dieta di carne riscontrata in altre capanne era più limitata. I segni di una gerarchizzazione, nei consumi proteici, non sono stati invece riscontrati nel villaggio campigliese. L analisi quantitativa delle specie presenti, in associazione all età di decesso ed all elemento anatomico, non ha rilevato alcun segno distintivo tra le tre strutture rinvenute, che possa essere attribuibile a ragioni di ordine sociale. Le soluzioni economiche adottate nel X secolo proseguirono con successo nel corso dell XI, durante il quale si assiste ad un intensificazione dello sfruttamento delle aree incolte attraverso 493

18 altre attività quali la caccia, come testimonia la presenza di specie selvatiche (il cervo, il daino, il cinghiale, la lepre ed il tasso). La ripartizione anatomica del cinghiale, caratterizzata da una prevalenza di elementi craniali (si veda il campione relativo alle fasi 5-6 di Periodo I, riguardo i problemi inerenti all attribuzione incerta tra il maiale ed il cinghiale), rappresenta un caso anomalo che introduce alcuni elementi di discussione riguardanti le consuetudini medievali del ceto nobiliare. Durante il medioevo, il consumo della testa dell animale era rivestito di un valore simbolico, che si identificava con la capacità di comando, la forza ed il potere, per questo era invalsa l usanza da parte dei signori di farsi consegnare, dai coloni dipendenti, le teste degli animali cacciati (BARUZZI, MONTANARI 1981). La presenza stessa di specie selvatiche di grossa taglia, quali il cervo ed il daino, riscontrata nel campione, potrebbe essere stata determinata da ragioni che coinvolgono nuovamente alcune espressioni culturali tipicamente nobiliari. La caccia agli animali di grossa taglia aveva assunto, nel corso del medioevo, il carattere di un vero e proprio costume aristocratico. L esercizio venatorio rivestiva, per il ceto nobiliare, un importanza indiscussa ovvero un mezzo di affermazione del proprio status sociale. Le battute si svolgevano soprattutto nelle foreste, secondo precise norme di comportamento che trasformarono tale attività in un vero e proprio rito, enfatizzandone soprattutto l aspetto ludico (MONTANARI 1979). Queste valutazioni porterebbero a considerare l eventualità di un profondo cambiamento nella struttura sociale dell insediamento. Associando gli indizi archeozoologici con i dati emersi dall indagine archeologica, che registrano la comparsa della pietra (come materiale da costruzione) in questa fase, è forse ipotizzabile che nel corso dell XI secolo il villaggio fosse passato sotto il diretto controllo di un potens. Come è stato, infatti, ampiamente dimostrato dalla ricerca storica e archeologica, il passaggio dal legno alla pietra, segna il trapasso dal periodo altomedievale all incastellamento. Questo fenomeno è il frutto di una riorganizzazione insediativa e politica del territorio ad opera dell aristocrazia terriera. In Toscana ebbe il suo apice proprio nel corso dell XI secolo e rappresentò, per l aristocrazia rurale, anche l affermazione di uno status symbol ovvero di dichiarazione della propria appartenenza sociale al ceto militare che si realizzò con il possesso di una fortificazione (WICKHAM 1990). Nella zona maremmana tale fenomeno, che vide coinvolte le famiglie degli Aldobrandeschi e dei Gherardeschi come principali promotrici, interessò lo stesso insediamento di Campiglia. In un documento del 1004 il toponimo compare infatti collegato ad un castello: si tratta dell atto di dotazione che il conte Gerardo II della famiglia dei Gherardeschi elargisce al monastero di S. Maria di Serena (FARINELLI 2000). Le informazioni provenienti dalla documentazione scritta e dalle indagini archeologica e zoologica si accorderebbero perciò con l ipotesi di un cambiamento nella struttura sociale dell insediamento, che avviene nell ambito dell affermazione della signoria locale. A Campiglia quindi coinciderebbe con la comparsa di un personaggio di rango superiore, probabilmente legato alla famiglia dei Gherardeschi. I cambiamenti strutturali e sociali suggeriti per l XI secolo non determinarono in ogni caso delle sostanziali variazioni nell economia del villaggio. Questa tendenza sembra attestata anche nel resto della Toscana, dove il fenomeno dell incastellamento non comportò dei drastici cambiamenti nella struttura insediativa e nelle dinamiche economiche ormai consolidate (WICKHAM 1990). Il campione faunistico di XI secolo confermerebbe questa tesi, almeno per la prima fase dell incastellamento. L unico elemento di distinzione, rispetto alle attività economiche caratterizzanti il villaggio di X secolo, sarebbe rappresentato dalla comparsa delle attività venatorie, testimoniate dalla presenza di specie selvatiche, che per le ragioni sopra esposte sarebbero in realtà da attribuire alla presenza di un personaggio appartenente all aristocrazia militare, probabilmente insediato a controllo del villaggio e del territorio limitrofo dai Gherardeschi. Una tendenza attualmente rilevabile sulla base dei rinvenimenti editi confermerebbe che la presenza di faune selvatiche, soprattutto di grossa taglia, è attestata quasi esclusivamente in campioni provenienti da insediamenti incastellati. Sono questi i casi, ad esempio, del castello di S. Silvestro (BEDINI 1987), di Scarlino (BEDINI 1987), di Montarrenti (CLARK 1989c), di Manzano (BEDINI 1995), di Montereale (PIUZZI 1987), della Rocca di Sillana (CORRIDI 1996), della Rocca di Asolo (BEDINI 2000) e di S. Michele di Trino (FERRO 1999). L incrocio dei dati documentari, archeologici ed archeozoologici rappresenta il metodo con cui si è giunti ad una ricostruzione dei processi economici e sociali di XI secolo, che possono aver determinato il deposito del campione faunistico. Chiaramente, in questa sede si intende proporre solamente alcuni spunti di discussione e non certo esaurire le problematiche che emergono dal campione in esame. Caso mai si auspica la necessità di futuri approfondimenti e continui confronti interdisciplinari soprattutto con altre realtà terri- 494

19 toriali ed insediative, che possano confermare o smentire le ipotesi qui proposte. In pratica, si tratta di capire se i resti di specie selvatiche di grossa taglia possano rappresentare degli utili indicatori che attestino la presenza di personaggi appartenenti all aristocrazia militare. Se così fosse, i rapporti tra classi egemoni e subalterne, in particolare il presunto diritto dei contadini di cacciare nelle selve (MONTANARI 1979), sarebbero da riconsiderare alla luce dei rinvenimenti faunistici. Non è possibile rilevare alcuna tendenza significativa per il XII secolo a causa della mancanza di materiale osteologico, mentre un deciso cambiamento nell economia animale campigliese, è invece attestato nel XIII secolo. L allevamento dei maiali è, infatti, soggetto ad una decisa involuzione. Pur rimanendo la specie più importante, per l apporto proteico, si assiste ad un aumento della presenza dei capriovini (Grafico 16) e del conseguente contributo alimentare (confronta le Tab. 1, 3 e 4). La diminuzione dei suini è confermata anche da un ulteriore indicatore come l età di macellazione: la maggiore concentrazione si ha tra il primo ed il terzo anno. Tale scelta è indicativa di un deciso cambiamento nella strategia di allevamento, più attenta all ingrasso dell animale prima di destinarlo al macello. L aumento demografico ed il dissodamento delle aree incolte, iniziati fin dal X secolo e proseguiti con intensità sempre maggiore nel XII, XIII e parte del XIV secolo, furono probabilmente le cause scatenanti di tale cambiamento. Il rapporto numerico tra la popolazione suina e quella umana determinò certamente una massimizzazione della resa in carne dell animale, necessaria al nutrimento degli abitanti. L aumento demografico comportò, allo stesso tempo, una diminuzione delle superfici boschive ed un incremento delle aree messe a coltura, con la conseguente decrescita dell allevamento suino a favore di quello caprino. L allevamento ovino si adattava in modo eccellente ad un paesaggio ormai caratterizzato da una prevalenza di superfici aperte e coltivate e poteva, inoltre, essere sfruttato per la concimazione dei campi. Fin dal periodo altomedievale, la quantità di capi allevati in una determinata zona dipese proprio dall intensità della produzione agricola: erano infatti conosciute le qualità del letame caprino, che per l alta percentuale di nitrato, potassio e fosforo contenuti lo rendono particolarmente efficace per l ingrasso dei campi (CRABTREE 2001). In questo senso Poggibonsi rappresenta forse l esempio più calzante di insediamento altomedievale con allevamento dei capriovini abbinato all attività economica dominante cioè quella agricola, mentre a Campiglia questa situazione si realizzò nei secoli centrali e tardi del medioevo. Il cambiamento che avvenne nel paesaggio agrario, tra X e XIII secolo, risulta più evidente se si considerano le associazioni faunistiche di altri insediamenti maremmani indagati archeologicamente (Grafico 16). A S. Silvestro (BEDINI 1987), Scarlino (TOZZI 1981) ed alla fortezza medicea di Grosseto (TOZZI 1980) si rilevano le stesse tendenze riscontrate a Campiglia. L aumento dei capriovini e la conseguente diminuzione dei suini è un fenomeno che caratterizzò, in modo maggiore o minore, il passaggio tra l alto ed il bassomedioevo in tutti questi insediamenti. Ci troviamo quindi di fronte ad un fenomeno di ampia scala, che sembra coinvolgere tutta la maremma Toscana e che determinò notevoli mutamenti nei processi economici. Il paesaggio boschivo altomedievale fu, in definitiva, trasformato in un territorio maggiormente antropizzato, con la conseguente espansione delle aree aperte e la messa a coltura di numerosi spazi, nel quale risultò più redditizio l allevamento dei caprini. Questa tendenza è chiaramente testimoniata a Campiglia, dove l allevamento delle capre e delle pecore fu prontamente indirizzato a soddisfare due ambiti produttivi: per la carne e per i prodotti secondari (sul significato di prodotti primari e secondari si veda CLARK 1989a). Non è possibile stabilire se la produzione della carne fosse finalizzata unicamente ad appagare le esigenze dei conti di Campiglia, o se fosse in realtà praticata per rispondere alle esigenze di un mercato vero e proprio. I reperti, infatti, provengono unicamente dallo scarico rinvenuto all interno del cassero, e riguardano perciò esclusivamente i resti di pasto della famiglia comitale. Lo stato agiato dei conti e la conseguente particolarità del campione sembra trovare conferma nel consumo prevalente di soggetti di età giovane, riscontrato per tutte e tre le specie domestiche. L associazione età-stato sociale è solamente ipotizzabile, in quanto mancano campioni di confronto provenienti, ad esempio, dal borgo sottostante, attraverso cui valutare se l età di abbattimento dei domestici possa rappresentare un valido indicatore di distinzione sociale. La bassa frequenza di soggetti di età adulta sembrerebbe comunque confermare questa ipotesi. Nel XIV secolo si colgono con maggiore chiarezza i mutamenti economici e ambientali in atto a Campiglia già nel XIII secolo. L abbondanza dei caprini è infatti schiacciante rispetto alle altre specie (Grafico 16), come anche il relativo contributo proteico (Tab. 7). Il dato che emerge, dovrebbe essere sintomatico di un attività pastorizia ormai caratterizzata dallo sfruttamento in- 495

20 Grafico 16 Distribuzioni percentuali delle principali specie domestiche rinvenute in insediamenti della Toscana Meridionale. tensivo dei caprini. Le soluzioni adottate nella pratica di allevamento di questa specie hanno raggiunto una settorialità tale da poter essere paragonate ad una produzione proto-industriale. La distinzione operata tra i soggetti da destinare al consumo e quelli da sfruttare per altre attività, stabilita in base al genere sessuale ed all età, rappresenta un evidente ottimizzazione dei processi di produzione: i maschi giovani erano indirizzati al mercato della carne, le femmine erano invece assegnate alla produzione di prodotti secondari quali il latte e la lana e macellate solo in età avanzata. Il campione di XIV secolo rappresenta, inoltre, un ulteriore contributo sull alimentazione delle guarnigioni stanziate in insediamenti fortificati a controllo del territorio e, quindi, dell economia che si sviluppò loro attorno. Campiglia si aggiunge ad altri due casi editi ormai da oltre un ventennio, si tratta della Rocca Posteriore di Gubbio (BARKER 1976, 1978) e del Castello di Ponte Nepesino (CLARK 1984). In tutti gli insediamenti analizzati si registra la presenza di una fiorente economia della carne, attestata dalle età relativamente giovani dei capi di bestiame abbattuti. Nella Rocca posteriore di Gubbio, ad esempio, i militari consumavano carne di buona qualità soprattutto caprina e suina (gli animali abbattuti erano, appunto, generalmente di età giovane), mentre trascurabile era il ricorso alla carne bovina. Lo stesso accadeva a Ponte Nepesino, la carne consumata era sempre di buona qualità, anche se in questo caso il consumo maggiore sembra essere stato di bovini e suini; meno incisivo era invece l apporto di carne caprina. Gli approvvigionamenti che giungevano in buona parte dall esterno, come hanno mostrato le distribuzioni anatomiche delle specie presenti (per Campiglia cfr. il periodo IV), probabilmente rappresentavano una sorta di canone che le comunità pagavano alle guarnigioni per il servizio svolto. Lo stanziamento di una guarnigione comportò quindi un intensificazione dell allevamento per la produzione di carne anche se non ne fu, in ogni caso, la causa scatenante. Furono invece i processi economici che nacquero e si svilupparono nei secoli precedenti, coadiuvati dalle costrizioni che l ambiente circostante imponeva, a dare origine alla maggiore o minore incidenza economico-alimentare delle principali specie domestiche e, conseguentemente, ad un aumento o diminuzione del relativo allevamento. A Campiglia ed alla Rocca Posteriore di Gubbio l allevamento intensivo del caprovino rappresentò sicuramente l attività pastorizia per eccellenza, mentre a Ponte Nepesino fu maggiore quello bovino e suino. 496

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