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1 I parlanti evanescenti Bruno Moretti Università di Berna > Non si vedono... > Competenza: Rappresentano competenze latenti riattivabili Non hanno mai parlato, ma quando lo devono fare, pososno mostrare competenze da quasi nativi > E società: Sono i primi ultimi parlanti Sono un punto di forza (potenziale) di lingue che si indeboliscono > Ecc. 2 I parlanti evanescenti Le circostanze sociali > I motivi per cui queste persone sono 'sfuggite' al dialetto possono essere differenti: si va dalla proibizione da parte dei genitori alla scelta autonoma di non parlare dialetto o dipende dalla origine non locale di almeno uno dei genitori, > ma vi è una comune matrice sociale, che è quella che ha permesso lo sviluppo delle loro competenze particolari: la perdita di 'obbligatorietà' sociale del dialetto, e dall'altro lato la forte presenza dello stesso negli usi quotidiani e in alcuni settori particolari della società. > Dunque, non parlare dialetto è sempre più possibile, ma non avere contatto almeno passivo con lo stesso continua ad essere molto molto difficile. > I PE sono in buona parte il risultato di una situazione di mutamento estremamente rapido (dati dei censimenti della popolazione scolastica): > > In casa 64.4% 38.8% > Con gli amici 63.8% 25.5% 3 4 Il crollo del dialetto > Parlo anche dialetto in famiglia (dati del censimento federale 1990 e Bianconi 1980): > ,1% > ,8% La centrifugazione' del dialetto (censimento federale 1990) > 1990 solo D It e D > uso del D a Lugano 1,8% 10,6% > uso del D a Olivone 72,4% 80,3% > Si tratta di un vero e proprio crollo

2 La situazione di partenza prima del calo Le proiezioni > LM 1975 dial it/d tot. > genitori 82,8 5,8 88,6 > coniuge 65,7 11,3 77 > figli 76,5 7,2 83,7 Ipotesi del calo logaritmico: Proiettando la velocità della diminuzione nella popolazione giovanile arriviamo ad una scomparsa (< 1%) attorno al I dati della popolazione adulta ci portano al 2150 Gli ultimi dati comparabili (raccolti nel 2000) confermano la costanza del ritmo del calo (1.19% nel 2150). Non c è rallentamento! I dati relativi all Italia, con lo stesso metodo, portano a una scomparsa tra anni (Berruto 1994) > Questi dati non sono tanto interessanti come proiezioni, quando nel loro mostrare la velocità impressionante del calo verificatosi negli ultimissimi decenni. 7 8 Perché una tenuta prima così forte del dialetto e perché un crollo? > Spiegare il calo rapido di una lingua vuol dire anche chiedersi perché il calo non sia avvenuto prima e in forma più diluita nel tempo > Le ragioni della forza del dialetto secondo Bianconi (1980): > 1. "L'uso persistente e diffuso del dialetto nella Svizzera italiana può quindi essere spiegato come segno della persistenza dei valori di fondo, espressione dell'antico mondo contadino, e come affermazione della propria identità minacciata o del tutto smarrita." (p. 251) > La lingua delle radici. Lingua etnica > 2. "Questo primo dato importante dev'essere integrato con un altro fatto recente [...]. Intendo l'affermarsi e il diffondersi del nazionalismo (detto elvetismo) negli anni precedenti e durante la guerra come reazione al totalitarismo e imperialismo nazifascista. [...] La volontà di affermare e differenziare la propria identità si realizza anche sul piano del comportamento linguistico attraverso l'uso provocatorio del proprio dialetto, diverso dalla lingua del nemico potenziale. [...] Oggi in Ticino questo atteggiamento significa necessariamente chiusura anticulturale e antiitaliana..." (ibidem) > La lingua dell identità differenziale Lingua meglio posseduta Lingua con valore affettivo > è legata all'insicurezza profonda del parlante, soprattutto con grado d'istruzione inferiore, di fronte a un codice che ha il carattere dell'ufficialità e della formalità, imparato male e in modo insufficiente a scuola, usato raramente o eccezionalmente; nascono così i blocchi, il silenzio, la rinuncia a parlare italiano e la fuga rassicuratrice nel dialetto, lingua materna." (pp ) > L insicurezza linguistica (non conta tanto la competenza effettiva quanto l aspetto soggettivo) > 4. "L'ultima motivazione ha invece una connotazione positiva (e non esclude le altre già elencate sopra); è d'ordine affettivo, è alimentata dalla consuetudine dialettofona con i familiari, gli amici d'infanzia, i compagni di scuola e di lavoro..." (p. 253) > La lingua preferita. > Nella maggior parte delle zone d Italia il calo è cominciato prima ed è stato più regolare. In Ticino ci si presenta l immagine di una diga che cede

3 Il decadimento linguistico Perdita sociale o perdita individuale > Una lingua muore perdendo: > - parlanti > - contesti d uso > - strutture > La situazione attuale è quella in cui il dialetto perde parlanti e perde in parte contesti. Per le strutture si hanno soprattutto fenomeni di mutamento moderato nei parlanti nativi. > I PE ci possono permettere di vedere come funziona la perdita di strutture. > Distinzione tra erosione sociale e erosione individuale > I parlanti evanescenti sono il risultato di un processo di erosione sociale e di acquisizione individuale incompleta: non vi è erosione individuale (non perdita dall alto, ma costruzione dal basso): acquisizione non vi è forte trasmissione di competenze incomplete (riproduzione incrementale dell erosione: monogenesi) > Dato che i PE non rappresentano fenomeni di erosione individuale ma sociale: hanno caratteri delle situazioni di attrition ma anche fenomeni di acquisizione I veri casi di perdita individuale (con una componente sociale) > Como (2006, p. 265): > Una differenza fondamentale consiste nel fatto che nel nostro caso la lingua di socializzazione fondamentale è stata il dialetto. Successivamente, il contatto con altre lingue e con l'italiano, nonché la prolungata permanenza in ambienti in cui il dialetto non giocava più un ruolo importante avrebbero potuto favorire la perdita dei tratti del dialetto locale. Diversamente per i parlanti evanescenti il dialetto rappresenta una sorta di lingua seconda, nella maggior parte dei casi appresa in modo passivo e in un contesto sociolinguistico molto distante dal nostro. Le caratteristiche sociali definitorie > perdita di vitalità del dialetto (tendenza alla sostituzione di lingua) > ma forte vitalità del dialetto stesso e forte contatto da parte degli utenti (diff. rispetto ai semispeakers) in particolare la grande densità in sottoreti quasi monolingui (il treno degli apprendisti o l osteria; il militare): aspetti qualitativi e non solo quantitativi delle reti sociali il peso della moda (recuperi particolari, potenziale di variazione) > la velocità del calo subito dal dialetto negli anni in cui le persone osservate sono state socializzate: creazione di sottogruppi generazionali diversi, che entrano in contatto tra loro in forme miste (lavoro, ecc.) Le caratteristiche sociali definitorie > la complementarità ('parassitarietà ) della lingua debole (diglossia e anche mancanza di registri più alti e formali: si tratta di un tipico dialetto) > il grado di normatività bassa o piuttosto di variabilità del target'(e consapevolezza metalinguistica) Le caratteristiche linguistiche e apprendimentali definitorie > apprendimento esclusivamente ricettivo (sia per ragioni legate alla mutua comprensibilità che per ragioni di identità) > è apprendimento involontario (senza motivazioni da un lato, ma anche con scarso lavoro metalinguistico dall'altro): "Una lingua sempre sentita ma mai ascoltata", Anna Rossetti (in Marcato 2007) > bassa distanza strutturale facilita il processo di apprendimento e produzione ma anche la mutua comprensibilità e quindi la non necessità di usare il dialetto (l'apprendimento diventa allora una questione di identità)

4 La costruzione delle competenze/produzioni > Appoggio all italiano e altre lingue > Apprendimento (semplificazione, marcatezza, ecc.) > Distanziamento > Tra competenza e identità Il ruolo della similarità strutturale > La lingua di base è ovviamente l italiano. > Scherzosamente li ho chiamati dialecciofoni perché la denominazione pseudo-dialettale del dialetto usata da alcuni di loro è proprio quella di dialeʧ : > It. dialetto diventa dialeʧ nei PE > perché > per es. latte, tetto, letto hanno come corrispondenti laʧ, teʧ e leʧ > La corrispondenza è regolare ma non assoluta (esistono anche latt e lɛtt). > E una specie di morfologia interlinguistica, basata su regole di corrispondenza Dialetto e francese a contatto nei PE > A volte però questo modo di procedere per corrispondenze viene a coinvolgere nel gioco anche altre lingue. > Una bambina di sei anni voleva imparare il dialetto perché: "la mia mamma mi ha detto che serve a scuola per imparare il francese". > Per definire l'uso di lingue non materne nell'apprendimento di lingue seconde è stato proposto il termine di 'lingue d'appoggio' (Berruto - Moretti - Schmid 1988). > Nel nostro caso quindi il francese è lingua d'appoggio nella costruzione del dialetto dei parlanti evanescenti. L azione delle lingue d appoggio: l aspetto strutturale > L'uso delle lingue d'appoggio si basa fondamentalmente, e in azione contemporanea, su due principi: > - da un lato la similarità riconosciuta o presupposta tra la lingua seconda che si vuole parlare e la lingua che fa da appoggio, > - dall'altro lato la differenza riconosciuta o presupposta tra la lingua obiettivo e la lingua materna. Questa interazione di similarità e differenza spinge verso l'uso di lingue d'appoggio L aspetto processuale e la tipologia vaga Elementi lessicali francesi > Accanto all'aspetto più tipicamente 'strutturale' delle lingue d'appoggio gioca un certo ruolo anche un aspetto più 'processuale' (e i due non sono del tutto indipendenti). > La similarità tra italiano e dialetto fa sì che siano attivati percorsi di recupero simili: al calare della competenza le ipotesi di dialettalità perdono sempre più contatto con la realtà ed il lavoro su una 'tipologia vaga' delle differenze cresce di importanza > E il ruolo del distanziamento Anche questo è un elemento tipico dei PE in situazioni di lingue simili strutturalmente 23 > Al calare della competenza, compaiono sempre più fenomeni ricollegabili al francese, per es. sotto forma di interi elementi lessicali (quelle che in morfologia si chiamerebbero forme suppletive): > e l'è tütt cuntenʧ perché el truv chee.. il y a son.. oddio son picolétt ("è tutto contento perché trova che c'è il suo piccolino"); > e a ciapa l can dans les bras ("e prende il cane tra le braccia"); > set aranc i è bonissim ("queste arance sono buonissime"); > al guarda dent in dal trou.. in dal böʧ' ("guarda nel buco"). > e l borla.. non.. al borla pas giò.. non cade ("e cade.. non.. non cade giù.. non cade") 24 4

5 Corrispondenze e pseudocorrispondenze > L'altro campo di influssi è quello che suggerisce regole di corrispondenza o pseudo-corrispondenza fondata sul grande blocco di regole produttive che accomuna francese e dialetto: il truva una talpa ("trova una talpa"); > al pruv a nà sü sü na pianta ("prova a salire su una pianta"); > l'uvrissa la porta ("apre la porta"); > l'echilibr ("l'equilibrio"); > azenda la lüs ("accendi la luce"); > i genitör ("i genitori"); i casciadör ("i cacciatori", con una corrispondenza tra -ore italiano e -ör pseudo-dialettale) Corrispondenze vaghe > Oppure per chiudere con un fenomeno più di distanziamento che realisticamente dialettale possiamo accennare alle frequenti nasalizzazioni in presenza di una consonante nasale finale, come in: el viẽn ("egli viene"); il cãn ("il cane"), o il bellissimo pusc-tẽn per il "postino", che ricorda più una caricatura del francese che non il dialetto. > Questo esito può talvolta andare fino alla caduta della consonante finale, come per es. in cã ("cane") Identità e competenza: il rapporto con l italiano > Le due componenti funzionali fondamentali delle lingue: > - comunicare contenuti > - comunicare identità, > prevalgono in modi differenti in situazioni differenti. > La lingua italiana con le sue corrispondenze da un lato aiuta a risolvere i problemi comunicativi del 'dialetto > ma disturba la costruzione dell'identità sociolinguistica dello strumento usato per dire le cose (facendo identificare il codice come italiano e non come dialetto). Tra identità e competenza > Quanto più due lingue saranno strutturalmente differenti tanto più sarà facile per i loro utenti distinguerle (e sarà difficile imparare la seconda lingua). > In una situazione di forte convergenza, in cui le strutture in buona parte coincidono, sarà compito di una quantità relativamente ridotta di segnali linguistici marcare comunque la differenza Tra identità e competenza Utenti passivi che diventano attivi > varietà di identità varietà di apprendimento > > variaz.intraling. dialetti apprend. di L2 simili L2 distanti > I problemi della variazione intralinguistica e quelli delle competenze bilingui sono fondamentalmente gli stessi. > La cosa che sorprende di più è la capacità di produrre enunciati da nativi o quasi nativi in una lingua che non avevano mai parlato prima > Hagège (2002, 69) :... i subutenti si differenziano dai soggetti dotati di una competenza passiva. Questi ultimi non producono quasi mai un discorso coerente e non usano quasi mai la lingua come sono in grado di fare coloro che possiedono una competenza piena; ma non hanno perduto la conoscenza del sistema e, almeno in linea di principio e a differenza dei subutenti, possono riconoscerne tutti gli elementi in quanto uditori." (grassetto mio) > Quindi sono differenti anche da quelli che Dorian (1981) chiamava near-passive bilinguals (più deboli dei semispeakers)

6 Al di là del lessico Tutto quello che vorrei poter chiedere... > Ottima gestione di strutture che hanno una valenza pragmatica o si legano a strutture idiomatiche memorizzate come tali: pronomi clitici soggetto negazione > Dorian (1981, 107) caratterizzava i semispeakers come parlanti che non hanno avuto un'esposizione sufficiente alla lingua in questione. > I PE hanno avuto un esposizione sufficiente? Quantitativamente e qualitativamente? Si può non imparare? > Qual è il ruolo dell uso attivo nella costruzione della competenza (Swain 1995)? > Quali sono le differenze tra competenza ricettiva e produttiva? Sono solo quantitative o anche qualitative (v. Meara 1990) > E immaginabile che PE siano più bravi a decodificare (Fattorini 2008) La domanda centrale relativa alle situazione di perdita di lingua > Chi perde la lingua la sa in un altro modo rispetto a chi la acquisisce simmetria e asimmetria > Parlanti come quelli evanescenti sono interessanti proprio perché si piazzano in un punto intermedio: la loro competenza è il risultato di un acquisizione incompleta in una situazione di lingua in perdita di vitalità La qualità delle competenze > Il continuum apprendimentale, ma non solo da A a B a C, bensì anche il tipo di possesso di A, B e C > La distinzione tra competenza attiva e passiva è un primo grande elemento in questa direzione, verso la comprensione di un eventuale costruzione differente delle competenze e di una loro gestione differenziale per es., che cosa ci dicono le competenze dei PE sul concetto... critico... di età critica > La competenza non è monolitica, anche i parlanti non nativi hanno zone da nativi e anche i parlanti nativi hanno zone gestite con difficoltà (Lehmann 2007) > La domanda più interessante che suggeriscono i PE è quella relativa alla qualità delle competenze Riferimenti bibliografici > Berruto Gaetano, 1994, Scenari sociolinguistici per l'italia del Duemila, in Holtus - Radtke (Hrsg.), Sprachprognostik und das 'italiano di domani'. Prospettive per una linguistica 'prognostica', Narr, Tübingen, > Berruto Gaetano, Moretti Bruno, Schmid Stephan, 1988, L'italiano di parlanti colti in una situazione plurilingue, "Rivista Italiana di Dialettologia", 12 > Bianconi Sandro, 1980, Lingua matrigna, il Mulino, Bologna > Como Paola, 2006, La variabilità del dialetto. Uno studio su Monte di Procida, Liguori, Napoli > Dorian Nancy C., 1981, Language Death. The Life Cycle of a Scottish Gaelic Dialect, Univ. of Pennsylvania Press, Philadelphia > Fattorini Alessandro, 2007, "Inclegiaivat?" Rapporti di mutua comprensibilità tra romancio e dialetto ticinese, lavoro di licenza in linguistica italiana, Università di Berna > Hagège Claude, 2002, Morte e rinascita delle lingue. Diversità linguistica come patrimonio dell'umanità, Feltrinelli, MIlano > Lehmann Christian, 2007, Linguistic competence. Theory and Empiry, "Folia Linguistica" 41/3-4: > Meara Paul, 1990, A note on passive vocabulary, "Second Language Research" 6/2: > Moretti Bruno, 1999, Ai margini del dialetto. Varietà in sviluppo e varietà in via di riduzione in una situazione di 'inizio di decadimento', Osservatorio linguistico della Svizzera italiana, Bellinzona (presto disponibile in versione PDF sul sito dell Osservatorio: nella rubrica Pubblicazioni online ) > Rossetti Anna, 2007, Una lingua sempre sentita ma mai ascoltata", in G. Marcato, La forza del dialetto. Autobiografie linguistiche nel Veneto d'oggi: > Swain Merrill, 1995, Three functions of output in second language learning. In Cook, G. & Seidhofer, B. (eds.), Principles and Practice in the Applied Linguistics: Studies in honour of H.G. Widdowson. Oxford U.P., Oxford:

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