Repubblica Italiana. In nome del popolo italiano. La Corte dei conti Sezione giurisdizionale di appello per la
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1 Repubblica Italiana In nome del popolo italiano La Corte dei conti Sezione giurisdizionale di appello per la Regione siciliana composta dai magistrati: dott Salvatore Cilia dott. Luciana Savagnone dott. Salvatore G.Cultrera dott. Pino Zingale dott. Valter Del Rosario Presidente Consigliere Consigliere rel. Consigliere Consigliere ha pronunciato la seguente Sentenza n. 173/A/2012 nel giudizio d appello, iscritto al n.4007/a/resp del registro di segreteria, promosso ad istanza dei signori L. R. G., S. F. e S. R. S., elettivamente domiciliati in Palermo alla via Notarbartolo 5 presso lo studio dell avv. Lucia Di Salvo, rappresentati e difesi dall avv. Salvatore Giacalone per l annullamento e la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana n del 20 luglio 2011, contro 1) la Procura generale presso la Sezione giurisdizionale di appello per la Regione siciliana; 2) la Procura regionale presso la locale Sezione giurisdizionale. Visti gli atti e i documenti di causa. Uditi alla pubblica udienza del 22 maggio 2012 il relatore, consigliere dott. Salvatore G.Cultrera, l avv. Salvatore Giacalone e il pubblico ministero, nella persona del vice procuratore generale dott.ssa Maria
2 2 Aronica. Fatto Il procuratore regionale con atto di citazione, depositato in data 25 ottobre 2010, citava in giudizio i signori L. R. G., S. F. e S. R. S., nella qualità di eredi del signor S. G. deceduto il 28 agosto 2007, chiedendo la loro condanna al risarcimento in favore dell AGEA ( Agenzia per le erogazioni in agricoltura ) della somma di ,90 pari all'indebita percezione da parte del signor S. G. di contributi comunitari a carico del FEOGA - settore zootecnia, relativamente alle campagne produttive degli anni compresi tra il 1997 ed il Dagli atti risulta che lo S. G. era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di anni tre, irrogata con decreto n.263/93 R.M. del 20 luglio 1995 divenuto definitivo il 5 dicembre 1996; non si era avvalso della facoltà di chiedere la riabilitazione ai sensi dell art. 14 della legge n.55 del 1990 trascorsi cinque anni dalla cessazione del provvedimento di prevenzione. Lo S., omettendo di dare comunicazione all ente finanziatore della sua condizione di sorvegliato speciale di pubblica sicurezza e di non essere stato riabilitato, ha chiesto ed ottenuto l erogazione dei contributi comunitari per le campagne di allevamento nella sua azienda zootecnica degli anni Il PM ha ritenuto che i contributi in questione siano stati illecitamente percepiti per cui avrebbero dovuto essere restituiti all ente erogatore. Essendo risultato che lo S. era deceduto il 28 agosto 2007 senza lasciare testamento il PM ha chiamato in giudizio per la restituzione della somma di ,90 gli eredi legittimi dello S., signori L. R. G., S. F. e S. R. S., ad esclusione
3 3 dell erede S. G., che aveva rinunciato all eredità del genitore con atto rep.65 in notaio Viviana Esposito in data 28 novembre Il PM ha evidenziato che l art.10, comma 1 lett.f), della legge n.575 del 1965 e s.m.i. vieta alle persone, alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione, di ottenere, fra l altro, contributi, finanziamenti. ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee per lo svolgimento di attività imprenditoriali. Secondo la prospettazione contenuta nell atto di citazione risultava evidente nella fattispecie che la richiesta infedele, o comunque senza titolo, per una specifica causa prevista dalla legge, impeditiva della richiesta stessa e dell ottenimento del contributo, integrasse gli estremi a carico dello S. Giuseppe della violazione dolosa degli obblighi di servizio (recte: obblighi funzionali), a cui egli era tenuto, con conseguente danno erariale corrispondente ai contributi percepiti senza titolo. Sono stati, quindi, ritenuti sussistenti i presupposti per l attribuzione di responsabilità amministrativa di natura dolosa allo S. G.. In presenza di illecito arricchimento dello S. e di conseguente indebito arricchimento dei suoi eredi sopra menzionati gli stessi sono stati chiamati in giudizio per rispondere al risarcimento della somma di , 90, in favore dell AGEA, corrispondente all ammontare dei contributi illecitamente percepiti. Con la sentenza n.2753/2011 la Sezione di primo grado ha accolto la domanda del pubblico ministero e, per l effetto, ha condannato gli eredi di S. G., signori L. R. G., S. F. e S. R. S., al pagamento della
4 4 somma di , 90 in favore dell AGEA a titolo di danno erariale oltre interessi e rivalutazione monetaria. Con atto di appello, depositato in segreteria il 2 febbraio 2012, l avv. Giacalone Salvatore, difensore degli eredi S., ha articolato specifici motivi di censura avverso la suddetta sentenza. Con il primo motivo il difensore ha esposto che l impianto zootecnico con riferimento alla conduzione del quale sono stati erogati i contributi comunitari in parola è stato ceduto in vita dal signor S. ( che ha cessato l attività il 31 maggio 2003 ) al figlio S. F. con atto tra vivi del 24 gennaio 2003 ; tale atto è stato inviato all AGEA con lettera raccomandata,. ricevuta dalla stessa Agenzia l 11 febbraio 2003; da ciò si dovrebbe dedurre che il bene in questione non sia mai entrato a far parte dell asse ereditario per cui gli eredi chiamati in giudizio dal PM sarebbero da considerare carenti di legittimazione passiva mancando l indebito arricchimento che sia conseguenza della trasmissione iure successionis del bene patrimoniale che sarebbe stato illecitamente introitato dal de cuius; per tale circostanza sarebbe da ritenersi, contrariamente a quanto erroneamente statuito nella sentenza appellata, che gli eredi non si siano potuti arricchire in conseguenza dei fatti addebitati al loro dante causa. Osserva la difesa che sussisterebbe, inoltre, l ipotesi di intrasmissibilità dell obbligazione risarcitoria agli eredi e di inammissibilità dell azione erariale per difetto in capo al de cuius dell elemento soggettivo del dolo ai sensi dell art.1 della legge n.20 del 1994 e s.m.i. ; non risulterebbe, infatti, provato che lo S. abbia intenzionalmente presentato richieste di contributi pur avendo consapevolezza di non
5 5 essere in possesso dei necessari requisiti di legge. Con ulteriore motivo di appello la difesa osserva che, come già rappresentato nella memoria difensiva di costituzione nel giudizio di primo grado, il presunto danno configurato nell atto di citazione dovrebbe essere considerato prescritto in quanto l azione di responsabilità è stata esercitata oltre il quinquiennio successivo al pagamento dei premi per le campagne relative agli anni considerati ; esclude, inoltre, che nella fattispecie sia riscontrabile un occultamento doloso del danno come erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata; anche a voler ammettere l ipotesi dell occultamento doloso il momento della scoperta non potrebbe che coincidere con la ricezione da parte della Procura regionale in data 15 novembre 2006 della segnalazione del presunto danno erariale trasmessa dalla Guardia di Finanza con nota prot.n.5929 del 3 novembre Conclusivamente la difesa chiede l accoglimento del gravame con ogni statuizione favorevole agli appellanti. In data 6 aprile 2012 la Procura Generale ha depositato in segreteria un atto conclusionale, articolato in relazione ai singoli motivi di censura prospettati dall appellante, nel quale chiede il rigetto dell appello e la conseguente conferma della sentenza di primo grado; in particolare ha rilevato l inammissibilità del primo motivo di appello in cui è stato affermato che l azienda del defunto S. G. non sia mai entrata nell asse ereditario in quanto con atto tra vivi del 24 gennaio 2003 l azienda era stata ceduta al figlio F. S. per cui è stato allegato che nessun indebito arricchimento si sarebbe verificato per gli eredi; ad avviso della Procura generale tale deduzione difensiva, su
6 6 cui si fonda il motivo di appello, non sarebbe stata sollevata nel giudizio di primo grado per cui non può essere introdotta nel giudizio di appello per la prima volta ostando il divieto di cui all art.345 del c.p.c.. Diritto Dagli atti al fascicolo emerge, come riferito nella narrativa del fatto, che al signor S. G. vennero erogati dall AGEA ( Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura ) per le campagne di allevamento nel settore della zootecnia, relative agli anni , contributi comunitari dell ammontare di ,90 a carico del FEOGA - settore zootecnia. Secondo la prospettazione accusatoria tali contributi sarebbero stati illecitamente percepiti dall allevatore S. che aveva omesso dolosamente di dare comunicazione all ente finanziatore della sua condizione soggettiva di sorvegliato speciale di pubblica sicurezza e di non essere stato riabilitato. Il PM riteneva che i contributi in questione, illecitamente percepiti in violazione dell art.10, comma 1 lett.f), della legge n.575 del 1965 e s.m.i, avrebbero dovuto essere restituiti all ente erogatore. Essendo, frattanto, lo S. deceduto il PM ha considerato che si fosse realizzato nei fatti il presupposto dell indebito arricchimento degli eredi previsto dal citato art.1 della legge 20 del 1994, che disciplina la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, per cui li ha chiamati in giudizio ed ha chiesto la loro condanna alla restituzione della somma di ,90 percepita illecitamente dal de cuius. La richiesta di condanna è stata accolta integralmente con la sentenza n.2753 del 20 luglio 2011 della
7 7 Sezione giurisdizionale avverso la quale è stato proposto dagli eredi del signor S. G. l appello che è oggetto dell odierna discussione. Il Collegio ritiene fondato il motivo di appello in cui viene censurata la statuizione di condanna pronunciata dal giudice di prime cure che avrebbe valutato erroneamente sussistenti i presupposti di ammissibilità dell azione di responsabilità promossa dal pubblico ministero nei confronti degli odierni appellanti chiamati in causa quali eredi del signor S. G. per indebito arricchimento ai sensi dell art. 1, comma 1, della legge n.20 del Tale norma dispone testualmente che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave..il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi. Il Collegio rileva che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza appellata, dalle risultanze documentali in atti non emerge alcuna prova dell asserito indebito arricchimento degli eredi per effetto della successione legittima al dante causa S. G. deceduto il 28 agosto Invero, non può essere condivisa l affermazione contenuta nella sentenza appellata secondo cui l indebito arricchimento degli eredi non debba essere provato dal pubblico ministero contabile a causa di obiettive difficoltà di ricerca di tale prova ( probatio diabolica), dovendosi, invece, ritenere che sia onere degli eredi stessi dimostrare che dall illecito commesso dal dante causa non sia derivato alcun loro vantaggio patrimoniale. Secondo i principi generali in materia di prova
8 8 nel processo chi intende far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (v. art.2697 codice civile ) per cui, nella presente controversia, spetta al pubblico ministero attore fornire la dimostrazione, con qualunque mezzo consentito, dell indebito arricchimento degli eredi come conseguenza dell illecito arricchimento del de cuius, al quale è stato imputato l illecito amministrativo-contabile per indebita percezione dei contributi. Non è sufficiente invocare la generica presunzione, a cui si fa richiamo nella sentenza appellata, che quanto illecitamente introitato, confuso e confluito nei beni del responsabile, sia divenuto, secondo l id quod plerumque accidit, bene patrimoniale trasmissibile ( ed effettivamente trasmesso agli eredi) ; né, d altra parte, la chiara ed univoca formulazione dell art. 1, comma 1, della legge n.20 del 1994 non fa ritenere possibile un inversione dell onere della prova, come ipotizzato dal pubblico ministero, in deroga alla regola generale espressa dall art del codice civile, per quanto riguarda la prova della sussistenza del nesso causale tra illecito arricchimento del dante causa e indebito arricchimento degli eredi. Ferme restando le suesposte argomentazioni, deve osservarsi che nell atto di appello sono state messe in evidenza talune circostanze obiettive che, comunque, escludono nei fatti che tale indebito arricchimento degli eredi sussista. Dagli atti acquisiti al fascicolo risulta che l impianto zootecnico, per il quale sono stati chiesti ed ottenuti i contributi comunitari da parte del de cuius, venne da questi ceduto al figlio S. F. con atto tra vivi del 24 gennaio 2003 e tale atto venne comunicato all AGEA e da questa ac-
9 9 quisito in data 11 febbraio Sotto tale profilo non si ritiene condivisibile il richiamo, contenuto nella memoria del procuratore generale del 6 aprile 2012, all art. 345 c.p.c. teso ad avvalorare l ipotesi di inammissibilità di tale deduzione difensiva, incentrata sugli effetti della cessione per atto tra vivi dell azienda dello S., che sarebbe stata introdotta per la prima volta in appello. La circostanza fattuale della cessione dell azienda, a cui fa riferimento la difesa degli appellanti, risulta in modo oggettivo dagli atti acquisiti nel giudizio di primo grado essendo contenuta nel rapporto della Guardia di Finanza del 3 novembre 2006 n Sulla base delle considerazioni che precedono deve dedursi che l impianto zootecnico dello S., per il cui ciclo produttivo furono erogati i contributi comunitari in seguito alla presentazione da parte dell interessato, della prescritta documentazione giustificativa, non sia mai entrato a far parte dell asse ereditario. Appare evidente, allora, la carenza di legittimazione passiva sotto il profilo processuale degli eredi, odierni appellanti, che sono stati chiamati in giudizio ai sensi del citato art. 1, comma 1, della legge n.20 del 1994 in difetto dei presupposti richiesti dalla norma stessa. L accoglimento dell esposto motivo di censura della sentenza appellata comporta l assorbimento degli altri motivi di appello e di ogni altra questione formulata dalle parti. Non avendo il Collegio pronunciato un proscioglimento nel merito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 bis, comma 10, legge 2 dicembre 2005, n. 248, di conversione del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, e 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n.
10 10 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, non si procede alla liquidazione delle spese di giudizio, ai fini del rimborso delle stesse da parte dell Amministrazione. P.Q.M. definitivamente pronunziando accoglie l appello in epigrafe e, per l effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara inammissibile l azione proposta dal procuratore regionale, ai sensi dell art.1, comma 1, della legge n.20 del 1994, nei confronti degli appellanti. Nulla per le spese. Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 22 maggio L estensore F.TO ( Salvatore G.Cultrera) Il presidente F.TO ( Salvatore Cilia) Depositata oggi in segreteria nei modi di legge. Palermo, 06/06/2012 Il direttore di cancelleria F.TO(dott. Nicola Daidone)
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